RASSEGNA 24/11/2013 QUEI MORTI NON CI PERDONERANNO CNR : SARDEGNA LA REGIONE CON PIÙ PERDITE ALLARME DEI RETTORI: «PERSI DIECIMILA RICERCATORI» UNISS: L’UNIVERSITÀ SCOMPARE DALLA FINANZIARIA REGIONALE UNICA: PIANO DA SEI MILIONI PER L'ALTA TECNOLOGIA UNISS: ERASMUS, NUMERI D'ORO ALL'ATENEO UNICA: STUDIARE IN CITTÀ COSTA CARO L'EUROPA RILANCIA L'ERASMUS L’ERASMUS «PLUS» PUNTA SUL LAVORO MENO DI UNO STUDENTE SU 10 FA LA FORMAZIONE IN AZIENDA LA CORSA AD ANTICIPARE I TEST D’INGRESSO ALL’UNIVERSITÀ CONSIGLIO DI STATO TEST A RISPOSTA MULTIPLA ANONIMI I LINCEI: NON TRASCURARE GLI OGM ALL’EXPO 2015 I NOSTRI AGRICOLTORI CHE STUDIANO GLI OGM LA CIVILTÀ UMANA? MERITO DELLA BIRRA «LO SAPEVO: QUANTE OPERE NATE DA BEVUTE COLOSSALI» SPONSORIZZATI DALLA CULLA ALLA TOMBA UNA SCRITTURA SENZA FINE VERSO UNA CARD UNIVERSALE IL CODICE DEI DOVERI DEI ROBOT «OBBEDITE E NON UCCIDETE» ========================================================= CON LE POSTE IL TICKET SI PAGA ONLINE RISPARMI IN SANITÀ PER 6-7 MILIARDI SANITÀ UGUALE MANGIATOIA DI STATO SORPRESA, ORA AGLI ITALIANI PIACE LA SANITÀ PUBBLICA SANITÀ, TROPPI POSTI-LETTO SPESA PER FARMACI MIGLIORE AL NORD SPECIALIZZANDI, CONCORSO NAZIONALE VARGIU: IN SARDEGNA BASTA UNA SOLA ASL ASLCI:DIPENDENTI DELLA ASL IN RIVOLTA BILL GATE: ECCO IL “PRESERVATIVO PERFETTO” SENTIRE MENO GLI ODORI PUÒ ESSERE UN SINTOMO DEL “PARKINSON” PSICOFARMACI, LE MEDICINE DELLA CRISI L'INCHIESTA CHE DEMOLISCE L'APPROCCIO TRADIZIONALE MELONI: POCHI BENEFICI, MOLTI DANNI» CARPINIELLO: I FARMACI NON SONO IL MALE I PREGI E I LIMITI DELL’ULTIMA «BIBBIA» DEGLI PSICHIATRI MORTO IL PADRE DELLA GENOMICA CHE VINSE DUE PREMI NOBEL PERDONARE FA BENE, LO DICE IL CERVELLO IL MINISTERO DELLA SALUTE PUBBLICA UN MONITORAGGIO SUI LEA DEL 2011 L'ANIMALISMO BLOCCA LA RICERCA SARÀ UN'INFLUENZA AGGRESSIVA PICCOLE DOSI DI CANDEGGINA RINGIOVANISCONO LA PELLE AUMENTA LA RESISTENZA AGLI ANTIBIOTICI IN EUROPA DNA SPAZZATURA: SCOPERTO POSSIBILE RUOLO FORMAZIONE TUMORI IL BATTERIO CHE INVENTÒ L'EVOLUZIONE "ANACRONISTICA" LA PARTE INDISPENSABILE DEL CROMOSOMA Y VIAGRA: TRE MILIARDI DI PILLOLE, VIAGRA, L'OGLIASTRA CHE RESISTE MOBBING, SOTTO ACCUSA IL PRIMARIO DE LISA ANCHE GRANDI TUMORI «NASCOSTI» ORA SONO OPERABILI ========================================================= ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 Nov. ’13 QUEI MORTI NON CI PERDONERANNO Marcello Fois A noi intellettuali, i morti della Gallura, dell'oristanese, del nuorese, non ci perdoneranno mai, perché non abbiamo usato abbastanza bene il nostro diritto di parola. Marcello Fois Ne abbiamo fatto un atto intermittente, spesso inutile. Quei morti non ci perdoneranno mai perché abbiamo avvallato, spesso semplicemente col silenzio, progetti di ordinaria speculazione come un polmone d'acciaio che tenesse in vita a tutti i costi un corpo comatoso. Abbiamo permesso, semplicemente sbagliando le parole, che si alzassero fino all'inverosimile gli indici di tolleranza della stupidità e dell'insipienza; della disonestà e dell'occhiutaggine. Siamo stati timorosi, timidi, qualche volta ricattabili. Abbiamo avuto paura di sembrare pedanti e ci siamo morsicati la lingua piuttosto che indicare puntualmente il dissesto, la scelleratezza, l'infinito non finire. Qualcuno di noi è stato persino complice d'inganni plaudendo alle menzogne come se fossero soluzioni. Abbiamo guardato il dito anziché la luna. Nella Regione degli orgogliosi abbiamo costruito diatribe sulla trina e sul coccio, sull'Atlantide o sul nuraghe, sul verbo e sull'avverbio; quasi mai sul territorio che spesso è, semplicemente, perfetta armonia, di piante, radici, rocce e terra. Abbiamo tuttavia parole per giustificarci e chiamiamo "eccezionali" eventi di cui possiamo avere notizia tutt'al più sul piano dei secoli. Senza aggiungere che quando eventi eccezionali s'innestano in eccezionali inadeguatezze allora si sta progettando l'Apocalisse. Quei morti non ci perdoneranno mai perché sanno che noi avevamo il dovere di sapere, di avere la Storia a disposizione; avevamo il dovere di mantenere attiva la memoria, perché certo gli eventi eccezionali sono imprevedibili, ma la stupidità umana, è sempre, disperatamente, prevedibile. Noi lo sapevamo per esempio che lasciar costruire Centrali Nucleari in riva al mare, poteva essere un modo di rendere micidiale per secoli un evento eccezionale passeggero come uno Tsunami; e sappiamo che cementare gli stagni per farne parcheggi o costruire villette a schiera sui letti secchi dei fiumi, significa sfidare gli eventi eccezionali perché diventino carneficine. Ma le Centrali Nucleari sono state fatte, gli stagni prosciugati, i letti dei fiumi edificati... E oggi, al capezzale della civiltà dei sardi, a noi intellettuali si chiedono parole di sostegno, ma la parola sostegno dovrebbe rappresentare un'azione quotidiana, uno sguardo lungo. Non conta più di tanto un appello al mondo quando la tragedia si è consumata: troppo comodo. La parola sostegno dovrebbe corrispondere a non stancarsi mai di urlare NO tutte le volte che si avvallano decisioni e situazioni insostenibili. La Sardegna è stata abbandonata a se stessa e noi Sardi abbiamo lasciato che ciò avvenisse, anzi ci siamo adeguati al tozzo di pane che ci derivava dal placebo del cemento selvaggio che produce lavoro solo per il tempo che occorre a liquidare una tornata elettorale. Il corso terribile della Natura diventa devastante quando si accompagna all'ignoranza diffusa, alla disonestà degli amministratori, alla pessima memoria di chi si illude di poter mutare la propria precarietà con progetti di piccolo cabotaggio. La nostra terra ha milioni di anni, noi, con la nostra infinita presunzione, non rappresentiamo che un milionesimo di milionesimo di secondo, meno di un istante. Pretenderemo una risposta alle strazianti domande che pongono le vittime di questa ennesima tragedia annunciata? O continueremo a maledire la "malasorte"? ____________________________________________________________ Il Manifesto 20 Nov. ’13 CNR : SARDEGNA LA REGIONE CON PIÙ PERDITE Il tasso di mortalità per inondazione in Sardegna negli ultimi 50 anni è superiore alla media nazionale. È quanto evidenziano i dati dell'Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (Irpi) del Cnr, che ha censito ì disastri di cui si ha notizia dall'843 ai giorni nostri. Rispetto alla media nazionale la Sardegna ha il 50% in più di perdite per inondazioni. Dal '63 a oggi secondo l'Irpi sono 92 le vittime interessate dai fenomeni ìdrici (50) e geologici (42) in Sardegna, calcolate sommando la quantità di dispersi, deceduti e feriti. Ma i numeri nelle ultime ore stanno salendo drammaticamente. ____________________________________________________________ Avvenire 22 Nov. ’13 UNIVERSITÀ, ALLARME DEI RETTORI: «PERSI DIECIMILA RICERCATORI» ROMA. «Persi un miliardo e diecimila ricercatori. Perso anche il premio al merito?». E quanto scrive il presidente della Conferenza dei rettori, Stefano Paleari, in una lettera inviata al presidente del Consiglio, Enrico Letta e al ministro dell'Istruzione, Maria Chiara Carrozza, segnalando nuovamente «l'allarme delle Università italiane circa la situazione che si sta determinando per l'anno in corso, caratterizzato da un taglio drammatico dei fondi agli Atenei statali e non statali di quasi un miliardo sui circa 7,5 disponibili solo quattro anni fa». «Negli ultimi anni — prosegue la nota — sono solo duemila i nuovi ricercatori a tempo determinato a fronte dei I 2mila ricercatori che hanno lasciato gli Atenei, con l'aggravante di un turn over 20 I 3 che ha messo in ginocchio molte Università, impedendo ogni razionale programmazione e sviluppo. Tale circostanza limiterà sempre di più il livello di competitività del sistema universitario italiano a livello europeo ed internazionale». La Crui, prosegue Paleari,«ha condiviso fortemente la valutazione dell'efficacia della ricerca e della didattica come elemento di miglioramento del sistema. Di conseguenza, senza un immediato intervento sulla premialità 2013 per gli Atenei che bene hanno risposto all'Anvur, risulterà inutile il grande lavoro svolto per misurare la qualità». ____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 23 Nov. ’13 UNISS: L’UNIVERSITÀ SCOMPARE DALLA FINANZIARIA REGIONALE Accorato appello del rettore alla Regione perché si ripensi ai tagli sui contributi previsti nella bozza di Gabriella Grimaldi SASSARI Ci ha pensato il rettore Attilio Mastino, nella seduta del Senato accademico in programma ieri, ad introdurre il punto all’ordine del giorno che prevedeva l’avvio di discussione sul bilancio preventivo dell’ateneo per il triennio 2014-2016. Lo ha fatto illustrando una lettera piena di amarezza indirizzata dallo stesso rettore al presidente della commissione regionale Bilancio Pietrino Fois e per conoscenza all’assessore alla Pubblica istruzione Sergio Milia e a quello alla Programmazione Alessandra Zedda. In quella lettera si prende atto di tutti i tagli contenuti nella bozza della Finanziaria regionale rispetto alle richieste formulate dalle due università sarde e si fa presente che l’approvazione del bilancio di ateneo (programmata per il 20 dicembre) sarà fortemente condizionata dalle decisioni della politica. E così Mastino si è prodotto in un elenco sconfortante di ciò che la Regione si appresta a prevedere in termini di finanziamenti e sostegno. A partire dallo zero assoluto relativo alle quote di finanziamento relativo all’attrazione di professori di fama internazionale (“visiting professor”) per proseguire con i progetti di rientro di ricercatori sardi oggi all’estero per cui non è stato previsto alcun fondo. Tutte voci che godevano di modesti contributi (mille euro per ogni anno) ma fondamentali per il funzionamento generale dell’università. Azzerati anche i contributi per il “fitto-casa” degli studenti fuorisede e per gli “assegni di merito” a favore delle matricole (contro i 4 milioni per ogni anno del precedente bilancio). Falcidiati anche i fondi (meno 50 per cento) destinati alla mobilità studentesca internazionale, quell’Erasmus che ha dato grande visibilità e lustro all’ateneo turritano negli anni scorsi: si è passati da 2mila 600 euro a 1300. «Con il nuovo Ersmus Plus 2014-2020 – ha detto il rettore – diventa indispensabile poter contare su un congruo sostegno regionale che possa continuare ad accompagnare il dinamismo dell’ateneo, assicurando ai giovani universitari sardi la possibilità di fare quelle esperienze di formazione all’estero che sono parte integrante di un’offerta formativa al passo con i tempi». Forti riduzioni anche per i fondi per la ricerca (da 13 a 12 milioni) e nei contributi necessari per alcune opere edilizie urgenti (come l’istituto dei Ciechi) che non si potrà fare. Adesso la palla passa alla Regione che a questo appello dovrà dare risposta. ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 23 Nov. ’13 UNICA: PIANO DA SEI MILIONI PER L'ALTA TECNOLOGIA Seicento postazioni informatiche, cinquanta laboratori collegati al web, software di ultima generazione e una rete ad altissima velocità. E c'è pure l'osservatorio astronomico con il più grande telescopio della Sardegna. L'Università e la Regione siglano un accordo e puntano su ricerca e innovazione per migliorare l'offerta formativa dell'Ateneo cagliaritano. Il progetto è nato sfruttando l'opportunità offerta dai fondi comunitari Por 2007-2013: sono stati stanziati sei milioni e cinquecentomila euro, che hanno consentito di mettere in campo uno staff di studiosi, ingegneri e tecnici per il piano di ammodernamento dell'Università. «Questa iniziativa si inserisce tra le azioni che stiamo portando avanti per potenziare i servizi agli studenti», spiega il rettore Giovanni Melis. «Le risorse sono scarse, ma siamo riusciti lo stesso a inserirci in un progetto di grande portata che ci permette di tenere elevata la qualità dei nostri studi». L'assessore regionale alla Programmazione Alessandra Zedda annuisce: «Negli ultimi anni abbiamo dovuto fare economia, in parte perché le risorse sono state tagliate, dall'altra per i vincoli di spesa imposti dal Patto di stabilità», ammette. «Ma abbiamo continuato a investire sulla ricerca». Le innovazioni presentate dall'Università si spalmano sui quattro poli didattici. Le facoltà comprese nell'area scientifica (Scienze, Medicina e Chirurgia, Biologia e Farmacia) avranno a disposizione dodici nuovi laboratori. Si vanno ad aggiungere ai trenta già esistenti, che sono stati potenziati. Seicento postazioni totali tra le sedi della Cittadella di Monserrato, il Palazzo delle Scienze, Ponte Vittorio e via Trentino. Tutte collegate al server centrale e dotate di wi-fi. Il polo Umanistico potrà vantare il laboratorio Turing: la più grande aula d'informatica dell'Ateneo con 130 postazioni. Tra le novità anche il laboratorio di cinema e multimedialità e due aule dedicate alle lezioni in videoconferenza. Alla macro-area delle Scienze Sociali vanno quattro nuovi laboratori con 170 posti totali. Negli spazi nuovi di zecca apparecchiature super moderne, lavagne interattive digitali e banchi di lavoro con schermi a scomparsa. Il polo Ingegneria-Architettura non resta indietro. I professionisti del domani potranno contare su attrezzature all'avanguardia per lo svolgimento delle esercitazioni pratiche specifiche, grafica computerizzata, prototipazione e modellazione 3D. Ieri mattina l'inaugurazione nella sala conferenze della facoltà di Medicina. C'era anche il prorettore Francesco Pigliaru: «Con i laboratori didattici si inizia a gestire il futuro. Oltre ai nostri iscritti, potranno accedere anche le scuole secondarie». Sara Marci ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 22 Nov. ’13 UNISS: ERASMUS, NUMERI D'ORO ALL'ATENEO Per il tirocinio all'estero il primato in Italia è assoluto, con un finanziamento di 382.500 euro Dall'università sassarese al resto del mondo: riconoscimento dall'Europa SASSARI Il progetto Erasmus si inserisce con vigore crescente nel percorso universitario degli studenti sassaresi. Un'attenzione che ha fruttato un ingente aumento dei contributi della Commissione Europea, con un totale di quasi un milione di euro stanziati per l'anno accademico, cifra che colloca Sassari al 12° posto in Italia. Per il tirocinio all'estero, l'Erasmus placement, il primato è assoluto, infatti la somma ammonta a 382.500 euro messi a disposizione per quest'anno. Piero Sanna, il delegato Erasmus, non nasconde la soddisfazione per un simile traguardo: «Consideriamo il contributo che l'Ateneo da per le esperienze all'estero come parte integrante di un moderno diritto allo studio. Se pensiamo che il numero degli iscritti e quindi dei laureati a Sassari è in netto calo, l'aumento degli studenti Erasmus di anno in anno rappresenta un dato ancora più eclatante». Sassari vanta inoltre la recente paternità del programma Ulisse, un tirocinio per la formazione professionale in sedi extraeuropee, con destinazioni quali Argentina, Sudafrica, Brasile, Usa e altre ancora. Le sovvenzioni variano dai 1000 ai 2000 euro, con altri 1000 concessi a seconda dell'onerosità della tratta e i mesi di soggiorno. Per incentivare la aziende locali alle collaborazioni con l'estero, l'Università ha inoltre varato una nuova iniziativa, “Erasmus placement in Sardinia”: studenti di varie università europee possono svolgere il tirocinio sull'Isola scegliendone uno tra i tanti predisposti all'interno dell'offerta. (m. m.) ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 24 Nov. ’13 L'EUROPA RILANCIA L'ERASMUS Silvia Bernardi L'Europa scommette sulla formazione dei giovani e rilancia la circolazione dei cervelli tra gli atenei incrementando del 40% il budget per il programma Erasmus, stanziando 14,77 miliardi di euro per i prossimi sette anni. Il più apprezzato tra i programmi Ue, che ogni anno manda in giro per l'Europa centinaia di migliaia di studenti, riprende vigore dopo aver vissuto momenti difficili. Nel novembre del 2012, cinque Paesi avevano bloccato i finanziamenti necessari a pagare le borse di studio, salvo poi trovare le risorse in extremis. Questo aveva fatto temere un possibile ridimensionamento del programma e invece l'Unione Europea ha deciso di scommettere ancora, e con più convinzione, sull'Erasmus, aggiungendo al nome tradizione del programma un +, a indicare i molti plus. Sotto la denominazione Erasmus +, approvato martedì scorso a Strasburgo in seduta plenaria dalla Commissione Cultura e Sport del Parlamento europeo, rientreranno infatti tutte le preesistenti iniziative per la mobilità formativa europea: i programmi Erasmus, (Università), Erasmus Mundo (Università ed universitari di paesi terzi), Comenius (scuole), Leonardo da Vinci (stage), Groundtvig (adulti) e quelli per l'interscambio dei giovani che permetteranno a quattro milioni di europei di ricevere un supporto per esperienze di studio, formazione, sport o stage all'estero. La ricollocazione in un unico progetto permetterà una maggiore interazione fra i vari programmi e per tutti ci sarà una semplificazione delle pratiche amministrative necessarie alla partenza. Tra le novità più significative, il "Loan Guarantee Facility", un nuovo sistema di prestiti agevolati per gli studenti universitari che intendono realizzare uno o due anni all'estero, con la possibilità di ricevere rispettivamente 12 e 18mila euro a condizioni favorevoli. Promessi anche tempi più rapidi per le borse di studio che non saranno più indifferenziate ma modulate in base al costo della vita del Paese di accoglienza. Per la commissaria Ue all'Educazione, lo sport, la cultura, il multilinguismo e la gioventù, Androulla Vassiliou, «l'aumento del bilancio è prova concreta dell'impegno della Ue nella formazione dei giovani. Erasmus + contribuirà inoltre a lottare contro la disoccupazione giovanile favorendo l'interscambio culturale che permetterà ai giovani di ampliare gli orizzonti di riferimento». ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 24 Nov. ’13 UNICA: STUDIARE IN CITTÀ COSTA CARO Cagliari è una delle mete preferite dai giovani italiani secondo il Affitti alle stelle per i tantissimi universitari fuori sede Una stanza a Cagliari? Dai 140 ai 360 euro per una singola, dai 200 ai 420 euro (da dividere a metà) per una doppia. Seguendo siti internet di annunci e le bacheche nelle università più o meno i prezzi sono questi. Tutt'altro che irrilevanti, insomma, anche perché a questi costi vanno aggiunte le bollette di energia elettrica e acqua, senza contare le eventuali spese per telefono e internet. Ma va sempre più di moda (paradossale dirlo, dovrebbe essere una cosa scontata) il regolare contratto che poi il proprietario della stanza registra. CITTÀ PREFERITA Il mercato delle camere per gli studenti in città a Cagliari è sempre più importante, con un giro di affari alto. Anche perché di recente è uscita un'indagine del sito internet di annunci più famoso d'Italia, Subito.it, secondo la quale Bologna, Milano e proprio il capoluogo sardo sono le mete preferite dagli studenti italiani. Il famoso portale da un esame delle ricerche effettuate nella categoria “Camere e posti letto” fa sapere che sempre più studenti hanno cercato la propria stanza online (+17% di ricerche nel solo mese di settembre rispetto a dodici mesi prima), ma soprattutto emerge chiaramente come questo canale sia diventato sempre più rilevante anche per i proprietari. Bologna si conferma la città universitaria per eccellenza con il 10% delle ricerche totali. Al secondo posto, distaccata di poco si trova Milano, mentre nel gradino più basso del podio c'è appunto Cagliari, «che forte di un clima migliore - fanno sapere da Subito.it - e di un ateneo molto ricco dal punto di vista dell'offerta formativa, attira l'attenzione di molti studenti sardi e non solo». I QUARTIERI Ovviamente i prezzi delle stanze variano a seconda di come sono arredate, se hanno il bagno interno, se sono nuove o vecchie, e anche della zona in cui si trovano. Prezzi alti nel centro storico per le singole (fino a 350-360 euro, ma se ne trovano anche a 140, magari poco arredate e in condizioni non esattamente perfette), ma anche a San Benedetto e Genneruxi (fino a 300 euro). Per una doppia a Villanova i prezzi arrivano a 420 euro (da dividere a metà se si va in due), mentre sono meno care a Sant'Avendrace e Pirri, dove ci sono ottime offerte se si considera il rapporto qualità-prezzo. SÌ AL CONTRATTO La cosa positiva è che sono sempre di più i proprietari che, soprattutto per gli studenti, precisano che sono disposti ad affittare le loro stanze solo con regolari contratti. Certo, ancora qualcuno non si comporta come dovrebbe e ci sono degli appartamenti piccolissimi con dentro anche sei persone, tutte in nero. Ma sono casi sempre più sporadici. Per fortuna. LE TELEFONATE «Salve, sono uno studente universitario, ho letto il suo annuncio per la camera in affitto. Arriverò in città i prossimi giorni, volevo qualche informazione in più». L'inizio della telefonata è più o meno sempre lo stesso per un ragazzo che sta cercando un posto letto. Cambia invece il modo di porsi dell'interlocutore, cioè il proprietario della stanza da dare in affitto. La maggior parte sono persone corrette: «La avviso subito, io dò la stanza solo con regolare contratto», spiega una donna, aggiungendo che «la casa è grande, sono tutti ragazzi, vedrà si troverà benissimo». Ma non tutti sono così gentili e rassicuranti: «Se vuole il contratto, l'affitto aumenta - spiega un altro signore senza mezze parole - perchè devo pagare le tasse, altrimenti rischio di andare in perdita». Alla fine l'uomo fa capire che il canone aumenterebbe di 20-30 euro al mese. «Senza contratto lei spenderebbe di meno e mi risparmierebbe una faticaccia per la registrazione. Non è conveniente?» Sarà anche conveniente, ma è soprattutto illegale. Piercarlo Cicero ____________________________________________________________ Corriere della Sera 23 Nov. ’13 L’ERASMUS «PLUS» PUNTA SUL LAVORO Stage e prestiti per chi è già laureato Stanziati fondi per 14 miliardi. A gennaio l’entrata in vigore Un anno fa, proprio quando festeggiava i venticinque anni di vita, rischiava di soffocare. Tanto da spingere mezzo continente a lanciare l’allarme. «Quel programma non può morire», scrivevano in una lettera pubblica ai capi di Stato e di governo più di cento personalità europee del mondo dell’istruzione, dell’arte, della letteratura, dell’economia e dello sport. Ora, dodici mesi dopo, proprio quel programma non solo riceve più fondi — mentre intorno è tutto una lunga serie di segni meno —, ma si semplifica e guarda con più attenzione all’occupazione giovanile. E nel momento in cui 5,6 milioni di under 25enni del Vecchio continente non hanno un lavoro. Erasmus, si cambia. Nel nome, anche se di poco. Nella dotazione finanziaria. Negli obiettivi. A deciderlo, in seduta plenaria, sono stati gli europarlamentari. Per il periodo 2014-2020 il pacchetto che permetterà a cinque milioni di giovani dai 13 ai 30 anni di studiare all’estero si chiamerà Erasmus+. Un «marchio» — come lo chiama l’europarlamentare tedesca Doris Pack — che unifica le diverse facce del programma: il più famoso «Erasmus» (rivolto agli studenti universitari), poi «Erasmus Mundus» (per i ragazzi dei Paesi terzi), «Comenius» (per gli alunni delle scuole superiori), «Leonardo da Vinci» (per chi vuole fare gli stage), «Groundtvig» (per gli adulti) e le diverse iniziative per l’interscambio. Non solo. Al suo interno è previsto anche l’avvio di un sistema di prestiti agevolati da 12 a 18 mila euro per chi vuole fare un master (di uno o due anni) all’interno dell’Unione europea. E ancora: borse di studio per giovani, insegnanti e apprendisti, fondi per la formazione nel settore sportivo e per il sostegno di associazioni e Ong. Il capitolo finanziario gioca un ruolo importante. Il programma Erasmus, nei prossimi sei anni, potrà contare su 14,77 miliardi di euro di risorse. Il 40 per cento in più rispetto al precedente periodo. E proprio nei giorni in cui parte il primo bilancio europeo all’insegna dell’austerità. La maggior parte del budget sarà destinato ai settori «Istruzione» e «Formazione» (77,5 per cento), un decimo alla voce «Gioventù», il 3,5 per cento alla novità dei prestiti d’onore per i laureati in mobilità (il «Loan guarantee facility») e l’1,8 per cento, pari a 265 milioni di euro, allo sport. Il tutto su una realtà che quest’anno ha superato i tre milioni di studenti che hanno preso parte dal suo avvio, nel 1987, quando i «pionieri» erano soltanto 3.244. Nel 2011-2012, l’ultimo dato disponibile, in 253 mila hanno trascorso un periodo di studi (l’81 per cento circa) in uno degli atenei europei o hanno effettuato un tirocinio. In media, calcola la Commissione europea, ogni ragazzo in Erasmus ha ricevuto un sussidio mensile di 252 euro. Nell’ultimo anno accademico disponibile sono stati 23.377 gli italiani che sono andati all’estero, il 6,1 per cento in più rispetto al 2010- 2011. Nulla in confronto al +61,8 per cento dei giovani croati o al +19,8 per cento dei danesi. In Europa siamo quarti, per numero, dopo Spagna (quasi 40 mila), Germania e Francia (oltre 33 mila). Nessuna traccia dell’Italia nemmeno nel podio dei Paesi più «gettonati». Stravince la Spagna con quasi 40 mila studenti accolti, seguita da Francia (quasi 29 mila) e Germania (poco meno di 28 mila). Nelle nostre università hanno studiato poco più di ventimila europei. Il primo ateneo che spezza l’egemonia degli iberici è quello di Bologna, quinto, con 1.693 ragazzi. Ai primi quattro posti si piazzano le università di Granada, Siviglia, Madrid e Valencia. «Abbiamo migliorato il vecchio programma», esulta Doris Pack. L’eurodeputata , dopo aver precisato che Erasmus+ «non rappresenta una soluzione al problema della disoccupazione», sottolinea che «parlare più lingue, avere un’istruzione e capacità varie — soprattutto nel settore tecnologico — significa aumentare le possibilità di trovare un lavoro, anche al di fuori del proprio Paese». Salvo sorprese dell’ultimo momento, il calendario dei lavori prevede l’adozione del nuovo programma europeo da parte del Consiglio Ue entro questo mese. Poi la firma ufficiale tra il 9 e il 12 dicembre. Alla fine dell’anno dovrebbe arrivare la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea . Ultima tappa: l’entrata in vigore, che dovrebbe scattare dalla seconda metà di gennaio. Leonard Berberi ____________________________________________________________ Corriere della Sera 19 Nov. ’13 MENO DI UNO STUDENTE SU 10 FA LA FORMAZIONE IN AZIENDA Il ritardo dell’Italia sull’alternanza scuola-lavoro MILANO — In teoria dovrebbe servire ai ragazzi per orientarsi meglio. E per avere un primo approccio con il mondo del lavoro. Del resto, «laddove è stata introdotta», l’esperienza funziona. Nella pratica, però, è una realtà che stenta a decollare. E coinvolge ancora pochi studenti. Per non parlare dell’occupazione, un tema che «non è visto come parte integrante del percorso formativo». Alternanza scuola-lavoro, nuovo capitolo. A certificare che la strada è ancora lunga sono i dati elaborati da Indire per il ministero dell’Istruzione. Cifre e analisi che saranno presentate dal ministro Maria Chiara Carrozza giovedì al «Job&Orienta 2013» di Verona. I numeri, innanzitutto. Dicono che nell’ultimo anno scolastico gli studenti coinvolti dall’alternanza scuola-lavoro sono stati quasi 228 mila. In aumento rispetto ai 189 mila del 2011/2012. Ma comunque pari all’8,7 per cento — meno di uno su dieci — tra tutti gli iscritti alle scuole superiori. Se poi si va a guardare più da vicino i percorsi formativi, l’alternanza l’hanno fatta poco più di due liceali su cento, il 6,3 per cento degli studenti degli istituti tecnici e il 28,3 per cento dei giovani dei professionali. Aumentano, negli anni, anche le scuole superiori che hanno attivato il percorso: l’ultimo anno erano 45 su cento. Segno più anche per le strutture che hanno accolto gli studenti: quasi 78 mila, di cui sei su dieci sono imprese. «I dati indicano che si sta andando nella giusta direzione, proprio perché l’alternanza è utile», commenta Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Giovanni Agnelli. Ma aggiunge anche che «non è ancora abbastanza». Soprattutto in un sistema scolastico, come quello italiano, «dove l’astrazione viene preferita alla praticità». E infatti i problemi arrivano quando si entra nel mondo del lavoro. «Al netto delle difficoltà congiunturali — racconta Gavosto — molti direttori del personale si lamentano di avere a che fare con ragazzi disorientati, che non hanno idea di come si sta in un’azienda o di come ci si comporta con capi o colleghi». Insomma, l’alternanza non serve soltanto ad avere le idee più chiare per il futuro, ma anche a capire come muoversi in un’impresa. Per questo Daniele Checchi, docente di Economia politica all’Università Statale di Milano, sostiene che «l’alternanza fa sicuramente bene soprattutto a livello culturale. Il vero problema, però, è il “come” questa attività viene organizzata». E sul «come» il professor Checchi ha molti dubbi. «In Italia si tratta di attività che durano qualche giorno o addirittura qualche ora: come fa un ragazzo ad avere un assaggio del mondo del lavoro in così poco tempo?». Ed ecco che torna alla ribalta l’idea di copiare il «modello tedesco», un sistema che unisce formazione scolastica e apprendistato in azienda. Con risultati soddisfacenti, se è vero che tra il 50 e il 60 per cento degli studenti poi viene assunto. «Ma attenzione — avverte Checchi — non possiamo adottare quel meccanismo “a pacchetti”: o si prende tutto, e allora si interviene anche sull’organizzazione delle scuole superiori, o non funziona». Il «modello tedesco» non dispiace ad Andrea Gavosto: «Ma non sono così sicuro di voler spingere un ragazzino a dover scegliere già a 11 anni cosa fare da grande. Meglio una forma “ibrida” che dia la possibilità al giovane di scegliere all’interno dell’anno scolastico di fare alcune materie pratiche». Leonard Berberi ____________________________________________________________ Corriere della Sera 17 Nov. ’13 LA CORSA AD ANTICIPARE I TEST D’INGRESSO ALL’UNIVERSITÀ In Bocconi a febbraio. E c’è chi li prevede l’anno prima MILANO — L’università Bocconi anticipa ancora il test di ammissione: l’appuntamento per le aspiranti matricole di economia è spostato a febbraio, la seconda data diventa quella di maggio ed è cancellata la sessione di settembre. «Perché bisogna allinearsi alle altre università sulla scena internazionale». L’ateneo milanese ha corretto il calendario sulla linea del Politecnico, che per i futuri ingegneri già dal 2005 ha introdotto il test per gli studenti al quarto anno delle superiori. Per la prima volta, sessione invernale in via Sarfatti. Perché gli aspiranti bocconiani sono ragazzi che valutano magari anche la London School o l’Essec Business School o la Hec di Parigi. Ma non soltanto. «La tendenza per tutti gli studenti è muoversi il prima possibile per pianificare il futuro. Le iscrizioni al nostro test di settembre erano in calo mentre aumentavano a maggio», dice il prorettore della Bocconi Antonella Carù. «E anche alle giornate di orientamento arrivano tanti liceali del quarto anno». Test il prossimo 7 febbraio, allora (per l’anno in corso i posti disponibili erano 2.675 e le domande d’iscrizione, fra economia e giurisprudenza, sono state 7.700). Il dato di partenza per l’ateneo è comunque «l’interesse crescente verso le scuole internazionali e quello degli studenti di altri Paesi per la nostra università». Spiega Carù: «All’estero tante università ricevono le domande nel primo semestre e gli studenti conoscono l’esito all’inizio dell’anno: era necessario adeguarsi. Noi siamo fra i primi, ma altri ci seguiranno». E infatti anche la Luiss di Roma ha scelto di anticipare (anche se di poco) le date nel 2014. La prima sessione dei test si svolgerà il 27 marzo (anziché il 12 maggio), con una seconda sessione a settembre. Il risultato della prova d’esame diventa l’unico criterio di valutazione (il curriculum scolastico che finora pesava per il 40% non inciderà più). Ma l’Università Guido Carli prevede anche la possibilità di affrontare il test fin dalla fine del quarto anno delle superiori. Basta partecipare alla Summer School di luglio per sostenere l’esame. «Il tasso di successo è molto alto, perché i ragazzi affrontano la prova con più serenità che se fossero all’ultimo anno, impegnati con la maturità», spiega il direttore generale Giovanni Lo Storto. Quanto alla Cattolica di Milano, altra università privata d’eccellenza, dipende dalle facoltà. Economia — che ha introdotto i test dal 2012 — prevede tre sessioni: aprile, giugno e luglio. Spiega il rettore Franco Anelli: «Forse quest’anno potremmo partire già a marzo. Se i concorrenti anticipano, impongono anche agli altri la stessa tabella di marcia: uno studente che ha già passato il test in un altro ateneo, non ci prova nemmeno da noi. Forse dovremmo coordinarci di più». E a Medicina (campus di Roma) da tre anni il test, di tipo logico e psicoattitudinale, non nozionistico, si svolge ad aprile, con orale a luglio. In linea con quanto dovrebbe succedere dall’anno prossimo anche nelle università statali per tutte le facoltà a numero chiuso (oltre a Medicina, Odontoiatria, Veterinaria e Architettura). A partire dal 2014 le prove d’esame dovrebbero svolgersi ad aprile (anziché a settembre), come del resto era già previsto dal decreto Profumo. Dal Miur arriva la conferma che non ci sono stati ripensamenti da parte del ministro Maria Chiara Carrozza: con l’annullamento del bonus di maturità, del resto, non ci sono più ostacoli a svolgere i test in corso d’anno. Ma le date non sono ancora state fissate. «Se il ministero manterrà la scadenza di aprile, ma non lo do affatto per scontato, ci allineeremo anche noi», spiega il professor Sergio Morini dell’Università Campus Bio-Medico di Roma. «L’importante — fa notare il professor Stefano Paleari, presidente della Crui (la Conferenza dei rettori delle università italiane) — è che il calendario venga reso noto entro la fine dell’anno per dare il tempo agli atenei di organizzare i test. Anticipare è un bene, perché permette un inizio regolare dell’anno accademico. Ma richiede anche di coordinarsi con le scuole, che in quell’epoca dell’anno sono ancora aperte». «Se posso fare una battuta — chiude Paleari — va bene allinearsi al calendario europeo. Ma bisognerebbe essere europei a tutto tondo: anche sul numero dei ricercatori e sui fondi». Federica Cavadini Orsola Riva ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 23 Nov. ’13 CONSIGLIO DI STATO TEST A RISPOSTA MULTIPLA ANONIMI Le indicazioni dell'Adunanza plenaria per i concorsi pubblici Antonello Cherchi ROMA Anche nei concorsi pubblici con test a risposta multipla, come possono essere quelli per l'accesso ai corsi universitari, deve essere garantito l'anonimato degli elaborati. In caso contrario, la graduatoria non è valida. E questo senza dover prima verificare se la violazione abbia effettivamente comportato imparzialità durante la correzione dei compiti. Il principio è stato stabilito dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che con la sentenza 27/2013 ha risolto un conflitto giurisprudenziale sollevato dal Consiglio di giustizia amministrativa siciliano (l'organo di appello per i Tar dell'isola). La questione, infatti, scaturisce da una serie di ricorsi presentati da studenti contro le procedure seguite dall'università di Messina per il concorso a 200 posti nel corso di laurea di medicina nell'anno accademico 2010-2011. La commissione aveva fatto annotare accanto al nome dei candidati, elencati in ordine alfabetico, il codice Cineca (la struttura deputata a correggere gli elaborati) con lo scopo di consentire l'abbinamento della scheda anagrafica con la prova corretta, senza rischi di scambio di elaborati. In questo modo, però, l'anonimato delle risposte ai test veniva meno. Il Tar aveva rigettato i ricorsi e così era propenso a fare il Consiglio, secondo il quale l'astratta riconoscibilità dei candidati non avrebbe dovuto costituire una causa di invalidazione della procedura concorsuale, poiché non risulta dimostrato che il venir meno dell'anonimato abbia inciso negativamente sui risultati della selezione, determinando condizioni di vantaggio per alcuni. Il Consiglio ha, però, deciso di rimettere la questione all'Adunanza plenaria visto che la giurisprudenza sul tema non è univoca. L'orientamento maggioritario ritiene che la violazione dell'anonimato, allorché sia addebitabile alla pubblica amministrazione, sia rilevante in sé «senza che sia necessario (per inferirne l'illegittimità) ricostruire a posteriori il possibile percorso di riconoscimento degli elaborati da parte dei soggetti chiamati a valutarli». Secondo un altro indirizzo, invece, la violazione è irrilevante quando il concorso consiste in quesiti a risposta multipla e «non risultino, perciò, riconosciuti all'amministrazione margini di discrezionalità valutativa». Inoltre, occorre provare «che l'osservanza della regola procedimentale dell'anonimato avrebbe determinato un differente esito procedimentale». L'Adunanza plenaria ha sposato la prima tesi. Dunque, «nelle prove scritte dei pubblici concorsi o delle pubbliche selezioni di stampo comparativo una violazione non irrilevante della regola dell'anonimato da parte della commissione determina de jure la radicale invalidità della graduatoria finale, senza necessità di accertare in concreto l'effettiva lesione dell'imparzialità in sede di correzione». ____________________________________________________________ Corriere della Sera 17 Nov. ’13 I NOSTRI AGRICOLTORI CHE STUDIANO GLI OGM di Danilo Taino Statistical Editor La discussione «Ogm sì-Ogm no» all’Expo 2015 di Milano dedicata a nutrire il pianeta è mossa prima di tutto da ragioni ideologiche. Ma, al fondo, chi si oppone alla presenza di coltivatori che producono Organismi geneticamente modificati mostra anche sfiducia nei confronti degli agricoltori: li vede interessati alle massime rese ma indifferenti alla terra e all’ambiente. Niente di meno vero. Una ricerca appena condotta dall’Osservatorio Innovazione Impresa Agricola su 750 mila aziende italiane del settore ha rilevato che la loro attenzione alla sostenibilità è elevata. Quasi tutte (il 93,2% ) fanno uso di fertilizzanti: ma il 72,2% sulla base di piani di concimazione e il 62% effettua analisi periodiche dei terreni per conoscere le esigenze reali della terra. L’approccio antico, dove era il calendario a dettare l’attività, è stato in gran parte abbandonato: se ne parla poco, ma l’agricoltura italiana è moderna nelle tecniche e nell’approccio ambientale. Il 75% dei produttori conosce la direttiva sull’utilizzo sostenibile degli agrofarmaci, cioè dei prodotti che consentono la difesa delle colture. Nel 59% dei casi, gli agrofarmaci sono utilizzati solo dopo un monitoraggio sul campo teso a verificare l’esistenza di agenti patogeni. Il 30% delle aziende impiega tecnici specializzati. Di più: le metodologie biologiche stanno via via guadagnando spazio. Ad esempio, la cosiddetta «confusione sessuale» — un metodo di controllo dei parassiti usato soprattutto nei vigneti e nei frutteti — è impiegato dal 22,2% delle aziende. I biofunghicidi dall’11,8% , gli insetti utili nel 12% dei casi, i bioinsetticidi nel 22% . Difficile sostenere che l’agricoltura italiana sia un settore arretrato e non interessato ai metodi meno invasivi di coltura e di protezione dei raccolti. La scienza e la ricerca non sono affatto estranee al settore. Il 55% degli agricoltori è perito agrario o diplomato, il 20% laureato. Il problema, piuttosto, è che le aziende agricole chiudono: negli scorsi cinque anni sono calate del 14,3% . Una tendenza che in 20 anni ha comportato (sempre secondo lo studio voluto da Agri 2000) la perdita di tre milioni di ettari coltivati, circa 11 miliardi di euro di produzione (la media annua del settore tra il 2009 e il 2011 è stata di 47 miliardi ). In Europa — secondo Eurostat — siamo il quinto produttore di cereali, con il 7% del totale, dopo Francia (24% ), Germania (16% ), Polonia (10% ) e Regno Unito (7,2% ). Anche nella produzione di latte siamo quinti, con l’8% , superati da Germania (21% ), Francia (17% ), Regno Unito (10% ) e Olanda (8,3% ). C’è spazio per migliorare. Di fronte a questa situazione, tra l’altro fortemente determinata dalla politica agricola della Ue, escludere a priori gli Ogm da Expo 2015 significherebbe dire al mondo che l’agricoltura italiana e quella europea devono vivere entro confini stretti, isolate dal mondo: punire e frustrare un settore che sta invece dimostrando di essere aperto, capace di gestire le sfide scientifiche e in grado di scegliere il Bio come l’Ogm. @danilotaino ____________________________________________________________ Corriere della Sera 23 Nov. ’13 I LINCEI: NON TRASCURARE GLI OGM ALL’EXPO 2015 Con Expo 2015 l’Italia affronta il palcoscenico mondiale con un approccio preoccupante: c’è il rischio che l’evento non solo sia ostile alla tecnologia Ogm, ma che consideri superflua l’innovazione in agricoltura. Trascurare gli Ogm significa non comprendere il futuro della alimentazione e ignorare i mercati mondiali dai quali importiamo il 30% delle proteine e calorie che consumiamo. Nel mondo, le coltivazioni Ogm sono in crescita, e gli Ogm sono già tra noi: l’80% del cotone, che utilizziamo per la moda «made in Italy» ma anche negli ospedali per bende e garze, derivate da varietà Ogm. Conviene davvero organizzare un’Expo che ignori una tecnologia adottata da tutti i Paesi in cui l’economia cresce? Un recente documento del ministero delle Politiche Agricole certifica che senza mangimi Ogm sarebbe compromessa la filiera delle carni italiane. Quali alimenti «made in Italy» potremmo presentare, senza contraddirci, in un’Expo che ha bandito gli Ogm? Esistono altri motivi di preoccupazioni, oltre alle contraddizioni legate al nostro culto del prodotto tipico: spesso, gli argomenti antiOgmsono antiscientifici. L’Ue ha investito 100 milioni di euro per studiare in laboratori pubblici la sicurezza degli Ogm. Il risultato sono centinaia di pubblicazioni e di documenti che certificano che gli Ogm sono sicuri per l’ambiente e per la salute. Si noti la contraddizione: è stata finanziata la migliore ricerca e se ne ignorano i risultati. L’Europa ha oggi compreso che l’opposizione mediatica e politica agli Ogm danneggia l’economia. Al contrario, in Italia si programma un evento mondiale cercando avallo a inesattezze scientifiche, come quelle riportate anche dal Corriere. Sostenere che un’Italia Ogm-free favorisca le nostre esportazioni è una tesi non provata: i mercati di nicchia Ogm-free possono essere organizzati, come il biologico, parallelamente e nel reciproco rispetto dei due tipi di prodotto. Proporre che l’agricoltura italiana guardi al futuro recuperando metodi e varietà di cento anni fa è utopia. Migliorare geneticamente le piante coltivate è un’esigenza a cui l’uomo ha dedicato tecnologie man mano affinatesi nel tempo. La tecnologia Ogm, che gli scriventi conoscono bene, è l’ultima aggiunta al nostro bagaglio tecnologico: oltre a contribuire a risolvere i problemi della sicurezza alimentare, questa tecnologia può ridurre notevolmente l’impatto dell’agricoltura sull’ambiente. Ignorare gli Ogm a Expo 2015 è illogico, e contribuisce alla cultura antiscientifica ormai radicata in Italia. Gli Accademici Lincei Roberto Bassi (Univ. di Verona), Paola Bonfante (Univ. di Torino), Paolo Costantino (Sapienza. di Roma), Antonio Graniti (Univ. di Bari), Giovanni Martelli (Univ. di Bari), Giorgio Morelli (Cra- Nut), Michele Morgante (Univ. di Udine), Francesco Salamini (Fond. E. Mach) ____________________________________________________________ Il Giornale 23 Nov. ’13 LA CIVILTÀ UMANA? MERITO DELLA BIRRA L'ebbrezza causata dalla bevanda avrebbe spinto i primitivi ad aggregarsi in società sempre più efficienti Gianiuca Grossi E Trovandosi intorno a un fuoco a discutere, scherzare, sognare, con un po' di alcol in corpo: così sarebbe nata la civiltà. Leggeri stati di ebbrezza avrebbero, infatti, determinato una maggiore loquacità, un migliore rapporto fra le genti, indispensabile p erl' evoluzione di un tessuto sociale più solido e funzionale. È ciò che emerge da uno studio condotto in Usa, presso l'University of California. Charlie B amforth, a capo della ricerca, è ancora più prosaico: tutto ciò che ci circonda dai computer alle navicelle spaziali, dall'ultimo iP o d alnuovo disco delnostro gruppo preferito è figlio della birra. Secondo lo scienziato americano prima che l'uomo venisse in sua conoscenza, conduceva un'esistenza nomade e vivendo di caccia, allevamento e raccolta, il suo livello sociale era piuttosto scarso. Poi ha scoperto che la fermentazione di un particolare vegetale, l’ orzo, dava una bevanda che rendeva tutti un po' più euforici e desiderosi di uscire dai tradizionali schemi comportamentali e da lì ha iniziato a consumarla metodicamente. Era l'optimum per affrontare dispiaceri, avversità, scontri con bestie feroci e per poter pianificare con un pizzico di sana incoscienza qualunque azione particolarmente insidiosa. Ma era anche il presupposto per la creatività e i guizzi geniali che avrebbero presto portato all'affermazione del cosiddetto «agglomerato sociale» e quindi alle prime forme di civiltà. Jeffrey P. Kahn, psichiatra di fama internazionale, non usa mezzi termini e rivela che «la birra ci ha letteralmente civilizzato», e che ancora oggi «abbiamo bisogno di birra». Pare una provocazione, ma non va confusa con un monito a darci dentro con la bottiglia. C'è un retroscena di natura antropologica che non può essere trascurato. Agli albori della civiltà ci fu davvero il bisogno di qualcosa che rendesse l'uomo meno primitivo e più umano, ma questo fondamentale passaggio non ci sarebbe stato senza un «elemento» che potesse rendere le persone più amichevoli. Oggi gli scienziati hanno capito bene cos'è: la birra, appunto, benché quelle primordiali fossero un po' meno forti di quelle attualmente in commercio. La pensa così anche Brian Hayden, della Simon Fraser University, in Canada. Secondo lo studioso la coltivazione dei cereali, e quindi l'avvio della civiltà, corrispose con l' esigenza di pro durre vegetali che fornissero al p op olo bevande alcoliche. Solo in un secondo momento ci si rese conto che i cereali potevano costituire anche un elemento essenziale nella dieta. Ci aiuta peraltro il confronto con una delle più antiche civiltà della storia: quella dei sumeri, per i quali la birra era una bevanda sacra, che conferiva non solo gioia e coraggio, ma anche sapienza e pace. È noto, infatti, che fra i vari delegati alla religiosità dei tempi, ci fosse anche Ninkasi, matrona d ella birra; il padre si chiamava Enki, il dio dell'acqua, la madre Ninti, la regina delle acque sotterranee. Non incarnava solo la bevanda ricavata dall'orzo, ma anche l'ebbrezza, la seduzione, l'attrazione sessuale, la fertilità. In Mesopotamia divenne presto una bevanda per ricchi. Poi conquistò i costumi egiziani, cinesi e romani. Fino a oggi, che riguarda ogni parte del mondo, con numeri record in paesi come la Germania, «LO SAPEVO: QUANTE OPERE NATE DA BEVUTE COLOSSALI» E Andrea G. Pinketts, le pare attendibile questa tesi sul nesso fra birra e civiltà? «Senza dubbio, e mi piace testimoniarla con la storia di Noè, che dopo avere raggiunto la terraferma, costruisce per prima cosa un altare dedicato a Dio, e subito dopo pianta una vigna.In pratica l'uomo delle caverne si trasforma in un uomo delle taverne». Perché la taverna o l'osteria? «Perché sono i luoghi di socializzazione per eccellenza. In questi ambiti sono nati capolavori, sono state organizzate le rivoluzioni, movimenti di ogni genere». Ne parla nel suo ultimo libro. «Che si intitola non a caso Mi piace il bar». Perla psichiatra Khan ancora oggi abbiamo bisogno di birra. «Sono assolutamente d'accordo». Quando, però, l'assunzione di alcol diviene problematica? «Quando una persona non sa gestire il proprio bere, quando si diventa violenti o l'alcol diviene un rifugio dal resto del Siamo mondo. Anziché uscire, si rientra nella passati dalle caverna del proprio inconscio malato». Jack London ha scritto un bellissi caverne a e ____________________________________________________________ Il Fatto Quotidiano 18 Nov. ’13 SPONSORIZZATI DALLA CULLA ALLA TOMBA QUEL VIZIO CHE CI SEGUE SEMPRE NASCIAMO GIÀ "SEGNALATI": PARTO, ASILO, SCUOLA, UNIVERSITÀ, LAVORO. PERFINO UN GELATO E UN POSTO AL CIMITERO di Chiara Daina e Mario Molinari Geni della lampada di Aladino in utero, superman senza carriera in ufficio, semidei nell'oltretomba: in Italia raccomandati si nasce, si diventa o si muore. A Napoli Filippo F., prima di uscire dalla pancia di sua madre, aveva già un posto assicurato dove conservare il suo cordone ombelicale. Il padre, allergico alle pratiche burocratiche, ha fatto uno squillo a un medico che aveva un amico che lavorava in una delle banche del cordone in Lombardia. Si tratta di un caso di spintarella ereditaria. Il nonno di Filippo, sospettoso della sanità pubblica, aveva approfittato dell'amicizia con il primario dell'ospedale Cardarelli per chiedergli di essere presente alla nascita del figlio. A MILANO Michele M., due anni, dalla culla all'asilo ci è finito con un'acrobazia. Le liste d'attesa per il nido sono infinite: "Allora racconta la mamma mi sono rivolta a una compagna di pilates, dirigente del Comune, e le ho chiesto di entrare in graduatoria. Io non posso contare sui nonni, ho tre figli e l'asilo privato costa troppo". E pensare che Michele a quel posto aveva diritto. Il raccomandato, più avanza il ciclo della vita più cresce come i funghi dopo un temporale estivo. DI CILINDRI e bacchette magiche sono piene le università, da nord a sud. Ogni anno rettori, professori e assistenti si esibiscono in salti mortali con avvitamenti quadrupli, anche sincronizzati: preconfezionano eserciti di studenti da raccomandare prima di esami, lauree e dottorati. Spesso è una questione di albero genealogico da salvaguardare. Lo sussurrano i muri e le inchieste di Report quel che successe alla Sapienza quando regnava Luigi Frati. Nell'ateneo ad agosto è scoppiato pure lo scandalo del concorso in Cardiologia: un mese prima erano già noti i sei vincitori. Meno eclatante il santo in paradiso di un neolaureato in Veterinaria in Emilia Romagna, che decide di partecipare alle selezioni per il dottorato. Peccato che suo padre sia professore e che a lui e agli amichetti siano spifferate le domande della prova. Altre volte c'è la zampa del politico. A settembre salta fuori che il padre di uno studente di Odontoiatria all'Università di Perugia sfrutta l'amicizia con Maria Rita Lorenzetti, ex presidente della Regione Umbria, per fargli prendere un 30 in Patologia. PERCHÉ tutto vada liscio come l'olio ci si accontenta anche della proprietà transitiva dei legami. Basta perdere la pazienza un attimo e la gaffe è fatta. Un professore della Cattolica di Milano durante la lezione risponde al cellulare e davanti alla classe si lascia scappare: "È bloccato in autostrada, oh per fortuna! Un raccomandato in meno da promuovere". NON MANCANO i pentiti del vizio. Il Comune di Tricase si è costituito al Tar per revocare la delibera con cui affida senza gara al Politecnico di Bari la consulenza per il piano urbanistico generale (in ballo ci sono 40 mila euro più iva). A denunciarlo è stato l'Ordine degli ingegneri e quello degli architetti di Lecce. Nella sanità avere i contatti giusti conta come la pillola di viagra per gli impotenti. Laura G. ha un tumore. Le dicono che a Milano per farsi operare deve aspettare un paio di mesi. Ma che se suo figlio, medico, parla coi colleghi può accorciare i tempi. Lei però si mette in coda. Rischia pur di non cedere. Adele P. deve subire un intervento alla spalla a giugno. È il suo turno ma dopo cinque mesi dall'ospedale non si fanno sentire. Ritorna dal medico di base. La segretaria afferra il telefono e va a colpo sicuro: nel giro di qualche giorno Adele viene operata. Per non parlare degli sconti riservati ai nostrani. Attilio F. questa estate entra in una gelateria di Cefalù. Compra gelato e cannoli: 27 euro. Torna il giorno dopo con un amico e il proprietario basito: "Ma perché ieri non mi hai detto che ha amici cefaludesi?". Risultato: stesso menu a 15 euro. I raccomandati in eterno sono al cimitero. Come è successo al monumentale del Verano, a Roma: nonostante il divieto di nuove tumulazioni, tra il 1999 e il 2001 sono arrivati 93 funerali raccomandati. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 24 Nov. ’13 UNA SCRITTURA SENZA FINE Negli istituti Usa l'insegnamento della calligrafia non sarà più obbligatorio. Ma il digitale può far evolvere il corsivo aprendo prospettive tutte nuove di Pierangelo Soldavini Le pagine di quaderno piene di aste sono ormai un lontano ricordo. E anche le linee arrotondate della calligrafia corsiva rischiano di finire nel dimenticatoio prima di quanto ci si potesse aspettare. Un primo squarcio su quello che potrebbe succedere anche in Europa viene dagli Stati Uniti, dove i nuovi standard federali per i curricula scolastici hanno abolito l'obbligo di insegnamento del corsivo, a favore della scrittura su tastiera. Nella gran maggioranza degli Stati americani, quindi, l'avviamento alle forme rotonde delle lettere corsive manoscritte nei primi anni di scuola potrà - ma non necessariamente dovrà – essere sostituita da un qualsiasi word processor (senza peraltro tenere conto che questi forniscono un'enorme varietà di caratteri, compresi quelli più simili al corsivo). Perché i nativi digitali di oggi, secondo i fautori di questa scelta, fanno ormai a meno della penna per prendere appunti o per comunicare: i bimbi sono ormai abituati a scrivere su una tastiera, sia essa di un telefonino, di un pc o quella virtuale del tablet. «Una minima parte della popolazione adulta utilizza il corsivo per la scrittura quotidiana - afferma Morgan Polikoff, professore di didattica alla University of Southern California al New York Times -. La maggior parte della nostra comunicazione avviene mediante una tastiera e quindi appare ormai superfluo l'insegnamento di un doppio sistema di scrittura». Gli estremisti sottolineano come il corsivo sia ormai per i bimbi una lingua straniera, utilizzato per una cosa sola: la firma. Non sorprende che la scelta abbia provocato un vespaio di polemiche e non solo da parte dei tradizionalisti, che si rivoltano all'idea di abbandonare da subito la scrittura manuale. Si sono così moltiplicati gli studi scientifici che ne hanno corroborato il ruolo. All'Università della Florida un'equipe coordinata da Laura Dinehart ha stabilito una forte correlazione tra l'apprendimento precoce della scrittura e la riuscita scolastica: «La scrittura manuale appare associata alla capacità di autocontrollarsi, di frenare le proprie emozioni e di memorizzare il lavoro svolto», afferma Dinehart. All'Università dell'Indiana la neuroscienziata Karin Harman James ha concluso, sulla base dell'esame dell'attività cerebrale attraverso la risonanza magnetica, che i bambini riescono a memorizzare maggiormente le parole quando le scrivono a mano piuttosto che con la tastiera: «È come se l'attività cerebrale rafforzasse il processo visivo», commenta Harman James. D'altra parte anche i dispositivi elettronici fanno ricorso, accanto alla tastiera, anche all'uso della penna sugli schermi touch. «Il vero fattore che aiuta la memorizzazione con la scrittura è la presenza di punti di riferimento – sostiene Gino Roncaglia, professore di Informatica applicata alle discipline umanistiche presso l'Università della Tuscia -: così succede anche nella lettura dove gli angoli del foglio e i margini del libro cartaceo aiutano il processo di fissazione nella memoria, mentre nella gestualità liquida dei libri digitali si perde questo fattore». Non c'è dubbio che la tecnologia digitale modifica il paradigma dell'apprendimento, a partire dalle animazioni multimediali che aumentano la potenza in termini di apprendimento: «Il vero fattore innovativo è la multicodicalità, la presenza di diversi codici integrati nel testo, al posto del semplice codice scritto e lineare», conclude Roncaglia. D'altra parte il digitale rappresenta un'enorme opportunità per aprire la scuola al mondo: «La scuola deve formalizzare ciò che è già una pratica esterna», sostiene Roberto Maragliano, professore di Tecnologie dell'apprendimento all'Università di Roma Tre, sottolineando come la tecnologia stessa costringa a concentrarsi sulla capacità comunicativa della scrittura e come i ragazzi, oggi più che mai, scrivono per comunicare. A livello storico la scuola ha fatto coincidere due aspetti della scritura: da una parte l'atto manuale del lasciare dei segni che permettono la comunicazione, la calligrafia, e dall'altra la capacità di elaborare dei testi complessi. Quest'ultima competenza, che entra nel profondo della struttura della comunicazione, va oltre alla semplice composizione di un tema e, secondo Maragliano, non è mai stata insegnata veramente dalla scuola. «Eppure - prosegue - oggi i ragazzi comunicano in forma scritta, via mail, sms o social network, senza contare uno strumento come il wiki che permette di condividere uno stesso spazio di scrittura: saranno anche forma basiche, ma possiamo ripartire da qui per riformulare la didattica. Senza fermarsi solo a denunciare che i ragazzi non sanno scrivere!». Altro che sparire! L'atto manuale della scrittura appare così destinato a una seconda vita alla luce del digitale. «Nel solco della tradizione orientale - spiega Maragliano -, la calligrafia può diventare arte, capacità di elaborare segni che abbiano un valore estetico, utilizzando un mix di saperi che integra diverse discipline per trasformare il segno in un elemento distintivo personale». La forma della lettera caratteristica della scrittura si evolverebbe così in segni digitali che si associano a suoni, immagini e animazioni. Anche per quanto riguarda la scrittura la tecnologia contribuirà ad aprire la scuola al mondo. ____________________________________________________________ Il Mondo 20 Nov. ’13 VERSO UNA CARD UNIVERSALE Pierluigi Simonetta, ad di Paybay. Sotto, Gregorio Fogliani, fondatore e presidente di Qui! Group Il traguardo di Titan: una piattaforma che comprenderà pagamenti, trasporti e buoni fedeltà Già dieci anni fa avevano iniziato a dematerializzare i buoni pasto sulle carte di pagamento per accompagnare la transazione con servizi a valore aggiunto. «Per indurre le persone a usare la moneta elettronica, la sola formula di pagamento non basta. Così nel corso degli anni abbiamo studiato e brevettato dei sistemi per caricare su qualsiasi carta coupon, buoni per acquisti, mobilità, carburante», spiega Gregorio Fogliard, fondatore e presidente di Qui! Group, «E poiché è indispensabile una rete di punti vendita dove fruire di questi sconti, creiamo anche una sorta di autostrada di servizi con esercizi convenzionati. Lo facciamo per Enel e per Poste Italiane, in questo caso con un sistema di cash back. Ma questo è solo il primo passo verso una rivoluzione paragonabile a Viacard o alle schede telefoniche che hanno sostituito i gettoni». La società genovese conta 7 mila clienti tra enti e aziende (come Eni, Banca d'Italia, Ferrovie dello Stato, Cnr) e 525 milioni di fatturato nel 2012, grazie al suo sistema brevettato Fasyvoucher per la dematerializzazione dei buoni pasto e la fornitura di titoli di servizio, attività di fidelizzazione e strumenti di pagamento. A cui si aggiunge la realizzazione di reti e piattaforme tecnologiche sul territorio, compresa la app iPay Voucher, per la gestione da mobile di buoni, ticket e voucher, da utilizzare in 27 mila punti vendita dotati di terminali Pos. Ora l'azienda vuole abbattere le barriere tecnologiche dei diversi standard grazie a un progetto di ricerca condotto con l'Università di Salerno. In Italia, però, ci sono già il circuito delle banche che si affida a Mastercard e Viso per le carte di credito e debito, la card nazionale dei servizi erogata dallo Stato che funziona con un'altra tecnologia, e quella dei titoli di viaggio, ossia gli abbonamenti per il trasporto locale che si basano su una piattaforma ancora differente. Insomma, è complicato riuscire a offrire a un utente tutti questi sistemi su un solo supporto. Per questo l'idea di Qui! Group, in partnership con Poste Italiane (insieme hanno investito 15 milioni da spendere in tre anni) e il Centro di ricerca in matematica pura e applicata dell'Università di Salerno (prima in classifica nell'area disciplinare Scienze matematiche e informatiche, secondo l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario), è quella di definire nuovi standard nazionali in ambito moneta elettronica e servizi a valore aggiunto in un'ottica di semplificazione e tracciabilità. E arrivare a uno strumento multifunzione e multicanale, da usare ovunque, in farmacia o al supermercato, per pagare e caricare i punti fedeltà oppure scaricare lo scontrino ai fini della dichiarazione fiscale. Il progetto ha un nome lungo: Titan, Sistema di moneta elettronica e servizi a valore aggiunto multicanale. Il progetto è finanziato dal Miur e ha anche un altro scopo: «Formare ricercatori esperti nella monetica per favorire l'occupazione dei giovani attraverso la formazione specialistica di ° livello. Perché se è vero che 'economia digitale è una leva per spingere la crescita, è anche un'opportunità per creare una libera tutta italiana dei pagamenti elettronici», conclude Pierluigi Simonetta, amministratore delegato di Paybay, la software house del gruppo. ____________________________________________________________ Corriere della Sera 24 Nov. ’13 IL CODICE DEI DOVERI DEI ROBOT «OBBEDITE E NON UCCIDETE» A Pisa gli scienziati che preparano la Carta europea PISA — Il grande libro delle leggi e dei diritti dei robot sarà consegnato alla Commissione europea a maggio. Non avrà un titolo d’ispirazione biblica e non farà alcun riferimento ai Comandamenti e ai grandi saggi dell’etica, ma più prosaicamente si chiamerà «Linee guida per la regolamentazione della robotica». Eppure, queste semplici pagine dattiloscritte, potrebbero cambiare il modo con il quale oggi guardiamo le macchine e lanciare le basi della futura giurisprudenza degli automi e persino della loro etica personale quando un giorno lontanissimo dovessero diventare così intelligenti da avere una parvenza di Io: l’autocoscienza. Ci sta lavorando da anni un gruppo di scienziati europei (uniti dal progetto RoboLaw) composto da informatici, ingegneri, giuristi e filosofi delle università di Reading (Regno Unito), Tilburg (Olanda), Ludwig Maximilians (Monaco) e coordinati dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ateneo d’eccellenza dove hanno studiato il premier Enrico Letta e la ministra Maria Chiara Carrozza, che ne è stata rettore. Sono una quindicina i «cervelloni», tra i quali lo scienziato inglese Kevin Warwick, il primo al mondo a farsi impiantare chip sotto la pelle per sperimentare la status di cyborg, e discutono anche temi futuribili che il 28 e il 29 novembre saranno al centro di convegno internazionale a Pisa. Elucubrazioni che oggi possono apparire fantascientifiche, ma destinate a diventare di quotidiana attualità. Come accaduto per Internet e con i nuovi reati informatici. Qualche esempio? Il problema legato alla violenza e all’uso dei robot come armi. Che non è affatto utopia se si pensa all’ultima generazione di droni capaci di colpire in autonomia o agli esoscheletri e alle protesi che trasformano il più debole degli umani in un incredibile Hulk. «Una macchina non deve uccidere un uomo e questo ci sembra un principio universale — spiega Pericle Salvini, 39 anni, quattro figli, dottorato di ricerca in biorobotica alla Sant’Anna e project manager di RoboLaw —, anche se in questa stesura non affronteremo i problemi legati alle guerre e agli eserciti. Stiamo discutendo molti temi, tra i quali quello del lavoro e la spinosa questione della macchina che toglie occupazione alle persone, cercando di arrivare a una sintesi tra il bisogno della tecnica e dello sviluppo industriale, l’annullamento di impieghi pericolosi e degradanti (sempre più affidati alle macchine) e l’aumento di posti di lavoro». Poi c’è il problema della personalità virtuale. «Un robot deve essere riconosciuto come tale — continua Salvini — e non deve mai ingannare le persone, né per le sembianze fisiche, né per le capacità cognitive, né per gli pseudo sentimenti. Con un’eccezione: l’impiego in alcune terapie». E ancora se un automa provoca un danno di chi è la colpa? «Sempre e comunque di un umano — continua il ricercatore di RoboLaw — progettista, costruttore, programmatore, assemblatore, venditore o proprietario che sia. Ogni robot dovrà essere dotato di una scatola nera da cui sarà possibile, eventualmente, risalire alle cause di un mal funzionamento». Ma sarà poi un malfunzionamento, oppure l’inizio di quella parvenza d’autonomia e di coscienza individuale che si manifesta con un effetto collaterale non previsto? «Come per i farmaci anche gli atomi dovranno essere sperimentati — risponde la professoressa Erica Palmerini, docente di diritto privato dell’Istituto Dirpolis (Diritto, politica, sviluppo) della Sant’Anna e coordinatrice del progetto RoboLaw — e i produttori dovranno informare gli utenti sui possibili effetti collaterali». Sino a quando la macchina diventerà autocosciente. Marco Gasperetti ========================================================= ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 21 Nov. ’13 CON LE POSTE IL TICKET SI PAGA ONLINE Sono quattro le regioni coinvolte, ma è prevista la copertura totale Flavia Landolfi ROMA Pagare il ticket, ritirare un referto, gestire le proprie informazioni sanitarie e un domani anche prenotare visite ed esami. Dopo il trasporto aereo con Alitalia, Poste Italiane si lancia nel business della salute online. E lo fa accendendo i motori del nuovo portale Poste Salute (www.postesalute.poste.it) con una piattaforma online “ammazza–code” per gestire pagamenti, risultati degli esami e libretto sanitario personale. Un salto tecnologico dello "Sportello amico" già attivo in 5.740 uffici postali dove è già possibile eseguire pagamenti e ritirare gli esiti degli esami. «Per ora abbiamo una copertura a macchia di leopardo – spiega Vincenzo Pompa, amministratore delegato di Postecom, la società che gestisce l'innovazione per la casa madre –. Ma stiamo sviluppando le convenzioni con le Regioni e con le Asl per offrire un servizio sempre più diffuso e fruibile, che permetta di collegarsi da Bolzano alla Asl di Reggio Calabria». La piattaforma attiva da pochi mesi ma che sarà lanciata nei prossimi giorni contiene per ora l'attivazione del pagamento dei ticket in 4 regioni (ma solo in due, Basilicata e Sardegna copre tutte le Asl). Si tratta di 17 aziende sanitarie che hanno acceso la convenzione con Poste per l'intermediazione nel pagamento dei ticket. Solo l'Azienda sanitaria di Firenze, invece, ha attivato il servizio di ritiro dei referti. «La procedura prevede la sottoscrizione di un accordo con la Regione, – prosegue Pompa – un'ulteriore intesa con la Asl, infine l'integrazione dei sistemi per l'integrazione informatica dei dati: è un meccanismo lungo e farraginoso, ma contiamo in breve tempo di raggiungere altre zone della Penisola». Il "cuore" del portale è la sezione del libretto sanitario personale, che sarà lanciato entro la fine dell'anno. Qui possono essere conservati dati e referti, con la "storia" sanitaria del paziente. Ma c'è anche il database delle spese che viene annotato automaticamente a ogni pagamento del ticket per le prestazioni nelle Asl. I servizi hanno un costo con il pagamento della commissione di 1,3 euro per i ticket e di 1 euro per il ritiro dei referti. Il libretto sanitario personale, invece, è gratuito fino a uno spazio di archiviazione dei documenti sanitari di 100 Mb (tra i 2 e i 10 Gb si pagherà dai 16,13 ai 20,17 euro l'anno). Il portale contiene poi anche un'area shop per lo sviluppo dell'e– commerce di prodotti di igiene e bellezza «in attesa che anche l'Italia – prosegue Pompa – recepisca la direttiva che regolamenti la vendita online di farmaci senza prescrizione». La piattaforma è “work in progress” e al momento transita un traffico di 1.000–1.500 utenti unici. Ma l'obiettivo di Postecom è di intercettare i 7–8 milioni di visitatori che ogni mese entrano nel portale Poste.it. Una volta “catturati” e accese nuove convenzioni con le aziende sanitarie e le regioni, il portale si arricchirà di nuovi servizi. Tra questi in futuro anche la funzione per la prenotazione di visite ed esami. Già da tempo infatti Poste si è posizionata su questo settore con un canale fisico per l'erogazione di alcuni servizi. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 Nov. ’13 RISPARMI IN SANITÀ PER 6-7 MILIARDI Roberto Turno Tra 6 e 7 miliardi in meno nel giro di tre anni. Si scrive «riqualificazione» della spesa, si legge «taglio» secco dei costi. Tra sprechi, doppioni, uscite evitabili, centrali d'acquisto impiegate a largo spettro per beni e servizi sanitari e non, strette vere e proprie ai servizi, più rigore nelle cure e nell'appropriatezza delle prestazioni. Non esclusa una revisione dei Lea (i livelli essenziali di assistenza) «anche con riferimento a particolari categorie», dal significato tutto da chiarire. E piccoli ospedali e personali sempre nel mirino. La spesa sanitaria resta l'indiziata «numero 1» anche della spending review targata Cottarelli-Saccomanni. Uscita indenne dalla prima versione della legge di stabilità (ma ora messa sotto tiro dai senatori), la sanità pubblica torna formalmente nel mirino del Governo con una potenziale dote di risparmi ancora una volta miliardaria. Anche perché, oltre alla spending, sul tavolo ci sono già almeno due carte: il «Patto per la salute» con i governatori e i costi standard ormai alle porte. Insomma, un trittico di riforme con le quali si cerca di salvare il salvabile di quel che resta dell'universalità del Ssn. Il piano di spending presentato ieri da Cottarelli e in serata trasmesso alle Camere da Dario Franceschini, dedica alla «salute» un apposito elenco di temi che dovranno essere svolti da appositi gruppi di lavoro. I primi tre punti del capitolo sono apparentemente blandi: riassetto della rete periferica veterinaria e medica, completamento del trasferimento delle funzioni di assistenza sanitaria al personale «navigante e aeronavigante», enti vigilati dal ministero. Quale potrà essere la direzioni di marcia, non è indicato nel documento. Ma sono gli altri tre punti del capitolo che potranno destare preoccupazione nel settore. Il primo sono le centrali d'acquisto per farmaci e beni e servizi sanitari e non sanitari, idea rilanciata da Beatrice Lorenzin e su cui la Consip è pronta da tempo, per fare trasparenza nelle gare e garantire acquisti sempre più favorevoli per asl e ospedali. Secondo intervento: i protocolli terapeutici e la garanzia dell'appropriatezza delle prestazioni. Infine, tema ricorrente e ora indicato nero su bianco: la revisione dei Lea «anche con riferimento a particolari categorie», afferma in maniera sibillina il documento come tema di lavoro per l'apposito gruppo di lavoro, senza spiegare se le «particolari categorie» siano quelle con più reddito, gli esenti per patologia o che altro. Che di stretta si tratti, tuttavia, non c'è dubbio. Accompagnandosi, anche per la sanità, alle misure in cantiere per il pubblico impiego, a partire dalla mobilità Fin qui il documento sulla spending. Che necessariamente si affiancherà ai costi standard in cottura (benchmark tra tutte le regioni con i conti in regola e convergenza in 5 anni per le altre) e al «Patto» atteso per Natale. Ed è qui che entrerà in gioco il pressing sui piccoli ospedali con un taglio di almeno 15mila posti letto, la morsa dei prezzi di riferimento finora falliti, ancora il personale medico e non, perfino un ricorso sempre più serrato all'e-health. Tutto quello che può fare risparmio, insomma, passando al setaccio l'intera spesa del Ssn. Che la riqualificazione dei bilanci non diventi una mannaia sulle cure, sarà una promessa tutta da dimostrare. ____________________________________________________________ Repubblica 19 Nov. ’13 SANITÀ UGUALE MANGIATOIA DI STATO Un libro sul più grande business del Paese Lo leggo dopo Sanità e business, con contorno di burocrazia compiacente. L'Italia ha una spesa sanitaria notevole e un buon livello medico; eppure solo nel 2012 circa due milioni di persone hanno dovuto rinunciare a visite e a esami clinici, in mancanza dei soldi necessari per pagare i ticket. Per quale motivo la nostra sanità, il più grande affare del Paese, non riesce a funzionare e perché lo Stato, nonostante esista la garanzia costituzionale per la salute, non è più in grado di far fronte alla richiesta dei cittadini? Rispondono in La mangiatoia (Mondadori), Michele Bocci e Fabio Tonacci, giornalisti esperti del settore, con un'analisi di tutto quello che non va nel nostro sistema sanitario con, in primo piano, i dati del malaffare, le inefficienze e le contraddizioni che lo bloccano. Una premessa, innanzi tutto, che da sola fotografa la situazione: se nel 2000, secondo l'Oms, l'Italia era al secondo posto nel mondo per qualità dell'assistenza medica, oggi la Sanità è diventata la più proficua "mangiatoia" di Stato, a vantaggio di speculatori e controllati che, paradossalmente, sono anche i controllori. Così una siringa, che costa all'ingrosso 3 centesimi, viene pagata dalle Asl 7 centesimi e, mentre i piccoli ospedali si servono di primari, quelli grandi affidano i malati agli studenti universitari. E centinaia di migliaia di pazienti emigrano fuori dalla propria regione in una sorta di mobilità selvaggia valutabile in un costo di 4 miliardi di euro. Scarseggiano infine i posti letti e, nei pronto soccorso più intasati, un codice rosso può dover aspettare anche 12 ore; eppure ben 132 strutture sanitarie approntate nel Paese non sono mai state utilizzate. Ammoniscono gli autori, cifre alla mano , che se non si cambierà rotta al più presto, nel 2050 serviranno oltre 280 miliardi di euro solo per mantenere l'attuale livello di prestazioni. Ma, anche se la realtà è nera, non tutto è ancora perso e siamo ancora in tempo per rimediare. Per tagliare e controllare la spesa farmaceutica e quella sanitaria, per razionalizzare il parco ospedali sul territorio, per unificare i criteri di spesa tra le Asl. Soprattutto, però, è urgente cancellare la madre di tutti i vizi di sistema, ovvero la politica. Oggi i direttori generali vengono scelti dalla giunta regionale e, quindi, sono emanazione della politica. Così come i direttori sanitari, i direttori amministrativi, i capi dipartimento. In conclusione: la strada per il risanamento passa attraverso un primo passo obbligato ed è ora che la politica faccia un passo indietro. Per andare, finalmente, verso un'efficienza controllata ed etica. Fabio Tonacci, tutte le cifre della Mangiatoia La sanità è, dopo l’edilizia, la più grande “industria” di stato. Riguarda tutti noi, riguarda un articolo della Costituzione, il 32, che è bello da leggere: stabilisce il diritto e la tutela della salute di tutti i cittadini. Ma che, purtroppo, non vale più. Nel 2013, per la prima volta nella storia della Repubblica, il Fondo sanitario nazionale (che viene distribuito tra le Regioni) si è ridotto di un miliardo di euro rispetto all’anno precedente: ora è di 107,9 miliardi. Non è un dettaglio: già l’Italia, per la salute dei suoi cittadini, spendeva il 20 per cento in meno rispetto a Germania, Francia e Gran Bretagna. Ora il taglio porta il Ssn sull’orlo del baratro. Un capitolo di spesa che tende “fisiologicamente” a crescere, perché l’aspettativa di vita nei paesi occidentali si allunga, da noi viene contratto. Al punto che esiste il fenomeno degli esodati della sanità: ci sono 2 milioni di persone con un reddito basso tale da non consentire loro di pagare i ticket mangiatoia per esami e visite (sempre più cari), ma non così basso per ottenere l’esenzione. Quindi hanno rinunciato a curarsi, di fatto sono espulsi dalla tutela pubblica. Si è calcolato che nel 2050 in Italia serviranno, per mantenere gli attuali livelli di assistenza, 281 miliardi di euro. Se non sarà ristrutturata pesantemente la spesa e non aumenteranno gli investimenti, gli esodati della sanità saranno sempre di più. E ci sono cliniche private a pagamento e assicurazioni che non aspettano altro. Dove si concentrano le incongruenze, gli sprechi e la malasanità? Il paradosso è che la spesa sanitaria, pur così consistente, è tra le meno controllate. Non esiste ancora una tabella unica dei prezzi per dispositivi medici e forniture, per esempio. Per cui una siringa costa all’ingrosso 3 centesimi al pezzo ma, non si capisce perché, le Asl italiane la pagano in media 7 centesimi. Il 133% in più. E così defibrillatori, valvole aortiche, garze, stent coronarici. Lo stesso paziente, con la stessa malattia e lo stesso periodo di degenza in ospedale, costa al Policlinico Umberto I di Roma 8.134 euro, al San Camillo sempre a Roma 10.484 euro, alle Molinette di Torino 11.821 euro. Perché? E’ chiaro che la differenza di cifre sta, nella migliore delle ipotesi, nella mala gestione. Ci sono Regioni, come la Sicilia, in cui i medici ospedalieri sono più dei posti letto: 9.369 dottori per 7.624 degenti. E altre Regioni come la Campania e la Calabria, che hanno buttato milioni e milioni di euro per costruire ospedali che non hanno mai aperto. Ce n’è uno a San Bartolomeo in Galdo, che è costato ai contribuenti 25 milioni di euro: ci sono voluti 52 anni per costruirlo, ma non è mai entrato in funzione. Per dire, non hanno curato nemmeno un raffreddore. Eppure grazie a quell’ospedale fantasma sono stati elargiti almeno un centinaio di posti di lavoro. Di “cattedrali”così, costruite e mai aperte, in Italia ne abbiamo contate 132: strutture sanitarie pronte all’uso, ma mai utilizzate. Come contrastare gli effetti nefasti del più grande affare d’Italia? La prima cosa da fare, con urgenza, è stabilire e applicare una tabella unica dei prezzi delle forniture. Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ci sta lavorando da settimane. Così come bisogna predisporre in tutte le Regioni la centrale unica di acquisti, in modo che gli appalti delle Asl e delle aziende ospedaliere vengano sottoposti a un monitoraggio costante, per eliminare quelli sovrapprezzo oppure inutili. La spesa farmaceutica va rivista: è paradossale, ma l’Italia spende in medicine 27 miliardi l’anno, più del Brasile (che ha 189 milioni di abitanti) e più della Gran Bretagna. Va messa mano, pesantemente, alla questione dei piccoli ospedali: tra Bolzano e Palermo, lungo tutta la penisola, ce ne sono 257 che hanno meno di 80 posti letto. Andrebbero razionalizzati, alcuni chiusi, altri accorpati. L’ex ministro Balduzzi ci ha provato, senza esito. E poi c’è la politica che dovrebbe fare un passo indietro. I direttori generali vengono scelti dalla giunta regionale, e quindi sono emanazione della politica. Così come i direttori sanitari, i direttori amministrativi, i capi dipartimento. Sono ancora poltrone che i partiti locali gestiscono con troppa leggerezza, per fare favori e dare ricompense. Il decreto Balduzzi qualcosa ha cambiato, ma ancora non basta. Michele Bocci Fabio Tonacci La mangiatoia Mondadori Pag 168, euro 17 ____________________________________________________________ Repubblica 23 Nov. ’13 SORPRESA, ORA AGLI ITALIANI PIACE LA SANITÀ PUBBLICA Il sondaggio. La prevenzione è in aumento, dallo stile di vita ai controlli. A fare paura a giovani e anziani è sempre "il male oscuro", difficile da guarire per sempre. Il vantaggio competitivo riconosciuto ai privati riguarda i tempi più brevi di ILVO DIAMANTI Lo leggo dopo Sorpresa, ora agli italiani piace la sanità pubblicaNon c'è "sentimento" fra società e istituzioni, in Italia. È una storia lunga, che negli ultimi tempi si è complicata ulteriormente. Eppure, nonostante i problemi e le polemiche, gran parte degli italiani si fida della sanità pubblica. E si dice soddisfatta. Dei medici, degli ospedali, delle cure. I giudizi più positivi provengono da chi ha avuto esperienza della sanità pubblica. Per ragioni di "cuore". È il segno più visibile degli atteggiamenti emersi dal sondaggio condotto da Demos su incarico di ATBV. Un'associazione "professionale" a cui aderiscono medici specialisti di malattie cardiovascolari. L'indagine (i cui risultati verranno presentati oggi a Bologna al convegno nazionale di ATBV) ha analizzato gli orientamenti verso il sistema sanitario tenendo conto dell'esperienza e della percezione della malattia, fra coloro che hanno problemi cardiologici. (Un club di cui anch'io faccio parte.) Ne emerge un legame stretto. L'esperienza della malattia, infatti, influenza direttamente la valutazione dei luoghi e delle figure professionali che caratterizzano la sanità. In senso positivo. In generale, gli italiani dimostrano un buon grado di soddisfazione circa la propria salute. Oltre il 90% sostiene di sentirsi "abbastanza" o "molto bene". Tuttavia la paura del male è diffusa. Per primo e soprattutto: incombe il "male oscuro". Non quello psichico, evocato nel romanzo di Giuseppe Berto. Ma il male che tutti temono. Anche perché lo incontriamo spesso, sempre più spesso. Si aggira intorno a noi. Ed è difficile da curare, ma, soprattutto, da guarire definitivamente. Il tumore. Il cancro. Di cui ammette di aver paura, più che di ogni altra malattia, oltre metà degli intervistati (il 54%). È una paura senza età, senza distinzione di genere e classe. Incombe su tutti. Anche le malattie neuro-psichiatriche (Alzheimer, Parkinson, depressione) preoccupano molto. Soprattutto i più anziani. Ma in misura notevolmente più limitata: 20%. Come, d'altronde, gli ictus: 12%. Mentre l'angoscia suscitata dall'infarto e dalle crisi cardiache riguardano una quota ancor più ristretta. Intorno al 7%. Anche se vengono percepite come un rischio (medio o elevato) da oltre un quarto degli italiani. Senza troppe differenze, dopo i 18 anni. L'esperienza della malattia, comunque, cambia sensibilmente il rapporto con se stessi e la propria salute, come appare evidente se consideriamo l'atteggiamento dei "cardiopatici". I quali fanno osservare un'attenzione maggiore rispetto al resto della popolazione nei confronti delle cure e della prevenzione. Dopo la crisi cardiaca, infatti, mostrano di aver modificato le loro abitudini e i loro stili di vita, in modo talora significativo. Anzitutto, si sottopongono a controlli ricorrenti. Misurano con regolarità colesterolo e pressione. E smettono di fumare. In misura più ampia delle altre persone. Oltre il 45% di essi si sente "a rischio" di ricadute. Tuttavia, l'esperienza della malattia non sembra produrre una frattura biografica violenta. Secondo la maggioranza della popolazione, dopo l'infarto, la vita cambia, ma non in modo radicale. Certo, ci sente più insicuri. Ma il corso della vita prosegue, con una maggiore cura di sé. Oltre il 75% della popolazione, infatti, considera i cardiopatici persone che possono vivere un'esistenza normale. Senza troppi problemi. Anche se debbono usare maggiore cautela rispetto agli altri. Nove cardiopatici su dieci, peraltro, affermano di considerare il loro stato di salute "buono". Cioè: come tutti gli altri. In generale, l'esperienza della malattia rafforza e migliora il rapporto con la struttura sanitaria. Con le figure professionali mediche e paramediche e con le strutture ospedaliere. Ma l'immagine del sistema sanitario appare, comunque, molto positiva, presso tutta la popolazione. Anche oltre la cerchia di chi ha potuto e dovuto sperimentarne l'utilità. Circa l'80% degli italiani, infatti, esprime un grado di fiducia molto elevato verso i medici - ospedalieri e di famiglia. Verso gli "specialisti" pubblici e privati. Verso gli infermieri. La considerazione cresce, soprattutto, in riferimento al sistema pubblico. La maggioranza dei cittadini (55%) ritiene, infatti, che la sanità pubblica vada tutelata in modo autonomo e distinto. Senza metterla in concorrenza con quella privata. E senza favorire processi di integrazione. La sanità pubblica, invece, va rafforzata. E lo Stato dovrebbe sostenerla di più perché è "un valore in sé", come sottolinea gran parte degli italiani. In modo più convinto coloro che hanno fatto ricorso ad essa per motivi di urgenza e necessità. Alla base di questo giudizio, vi sono ragioni "fondate": la verifica diretta della qualità, oltre che dell'utilità del servizio. Vi sono, inoltre, valutazioni ampiamente condivise circa l'accessibilità. Perché, se la salute è un diritto di tutti, diventa essenziale che sia, appunto, accessibile a tutti. Dal punto di vista dei costi e dell'accoglienza. Della possibilità di poter essere curati, soprattutto in caso di urgenza. Senza privilegi né distinzioni sociali. Per contro, il principale vantaggio competitivo riconosciuto alla sanità privata riguarda i tempi lunghi di attesa per le visite, per i referti. L'universalità e l'accessibilità, dunque: le "virtù" del servizio pubblico, rischiano, in questo caso, di divenire "vizi". Perché rallentano le procedure e le attività maggiormente richieste. Tuttavia, in quest'epoca di incertezza diffusa e in questo Paese, dove lo Stato è guardato con sospetto e con sfiducia, dove le istituzioni suscitano distacco: la sanità pubblica costituisce un buon punto di riferimento. Capace di parlare ancora al "cuore" degli italiani. Meglio tenerne conto. ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 24 Nov. ’13 SANITÀ, TROPPI POSTI-LETTO Le risorse regionali vanno razionalizzate Siamo fortunati ad avere nella nostra Isola una stampa ancora libera ed indipendente. Essa ha il compito di mantenere informati i cittadini sulla crisi che attraversiamo. Ma anche di mostrare l'inefficienza e la incapacità della politica tutta di mostrarci una via di uscita per superare assieme queste difficoltà. Ci aiuta a capire come le ricette che ci vengono proposte dai partiti e movimenti che aspirano al governo della regione non tengono conto dei fatti reali e quindi di quello che anche la stampa libera ci sta indicando. Ecco i fatti o meglio i dati. La finanziaria regionale del 2013 può disporre di entrate proprie per 5,6 miliardi di euro. Di questi soldi, circa il 60 per cento (3 miliardi e 371 milioni) serve per coprire i costi della nostra sanità. Ci restano appena 2 miliardi e 230 milioni per tutti gli altri nostri bisogni. Nessuno però si chiede se possiamo ancora sostenere questa spesa diventata ormai un ostacolo per il nostro sviluppo. Tutti i partiti vorrebbero poter gestire direttamente le entrate derivanti dalle tasse e dai tributi. La stampa libera, insieme a pochi di noi, ci ricorda che la Sardegna ha un eccesso di spesa per la sanità di ben 371 milioni di euro. Spendiamo troppi soldi per dare al cittadino una qualità di salute che a detta dell'osservatorio “Osservasalute” ci colloca agli ultimi posti in Italia. La finanziaria nazionale ci indica una possibilità per ridurre la spesa. La indica nel taglio di 571 posti letto che abbiamo in eccesso. Riducendo i posti letto si taglierebbero i costi connessi al loro funzionamento e si avrebbero risorse da destinare alla povertà e allo sviluppo. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Non si può negare il deficit della sanità dicendo che tanto lo pagano i cittadini e mantenere i posti letto in eccesso in attesa che possano essere utilizzati. Tonio Barracca ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 21 Nov. ’13 SPESA PER FARMACI MIGLIORE AL NORD Sanità. Virtuosi Veneto, Piemonte e Abruzzo Paolo Del Bufalo I risultati migliori come prezzi ottenuti per l'acquisto di farmaci ospedalieri sono in Veneto, Piemonte e Abruzzo. Quelli peggiori in Puglia, Lazio e Campania. Dimostrando ancora una volta la diversità tra le Regioni per le forniture di prodotti sanitari analoghi. E con il risultato di ottenere indicatori calcolati in base a un prezzo medio quasi doppi per gli stessi farmaci in Puglia rispetto a quelli del Piemonte. Le Regioni del Sud (Abruzzo a parte) vanno peggio delle altre e tra queste ad andare ancora peggio sono le Regioni con piani di rientro dal deficit sanitario. La classifica delle performance nell'acquisto di farmaci ospedalieri (senza brevetto: per quelli con brevetto non ci sono praticamente differenze di prezzo) è dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, il cui Osservatorio ha elaborato un'analisi territoriale comparativa. Che però – specificano le premesse dello studio – non vuole dare un giudizio sui risultati ottenuti nelle singole stazioni appaltanti – obiettivo che richiederebbe l'impiego di ulteriori elementi di valutazione quali ad esempio i consumi annui e il numero di pazienti – ma più semplicemente fornire una quadro di sintesi dei risultati ottenuti a livello regionale per capacità di ottenere un prezzo di aggiudicazione relativamente vantaggioso. Un'analisi che arriva proprio nel momento in cui costi standard e benchamrk tra Regioni tengono banco nel dibattito per il nuovo Patto sulla salute e per l'assegnazione del fondo sanitario 2013 ma, soprattutto, 2014. I risultati rilevati per le singole amministrazioni (Asl, aziende ospedaliere, società ed enti regionali ad hoc) sono stati poi associati alle rispettive Regioni tenendo conto della loro rappresentatività nell'ambito regionale e da qui nasce la classifica generale. Oltre ai risultati rispetto all'indice sui prezzi poi, incrociando i dati anche con il peso delle singole aziende incaricate degli acquisiti, è la stessa Authority a tirare le conclusioni sulle perfomance regionali. Le peggiori performance l'Osservatorio le indica in Puglia, Lazio e Umbria. Anche i risultati della Campania non «appaiono confortanti», scrive l'Authority. A seguire si collocano nell'ordine Basilicata, Sicilia, Calabria e Sardegna. Le migliori performance sono, come per i prezzi, in Veneto, Piemonte e Abruzzo. Nel centro classifica l'osservatorio identifica un gruppo di sei Regioni (oltre alla Provincia autonoma di Bolzano) che suddivide in tre coppie: Friuli e Toscana che tendono verso i risultati migliori, Valle d'Aosta ed Emilia Romagna nel centro e Liguria e Lombardia che pur non avendo performance del tutto negative sono alla soglia del gruppo delle Regioni bocciate. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 Nov. ’13 SPECIALIZZANDI, CONCORSO NAZIONALE Sanità. Avvio dal prossimo anno accademico Manuela Perrone Graduatoria nazionale unica, razionalizzazione delle scuole, più formazione negli ospedali. Per i medici specializzandi la legge Carrozza ha disegnato una piccola grande rivoluzione, che dovrebbe partire già dal prossimo anno accademico. Obiettivi: più merito, più aderenza dei percorsi universitari ai bisogni del sistema sanitario. La riforma dell'accesso Grazie alla modifica del Dlgs 368/1999, l'accesso dei medici alle scuole di specializzazione avverrà con un concorso a graduatoria nazionale unica. Stop al far west delle graduatorie per ateneo e dunque all'anticamera nelle scuole prescelte cui sono costretti tanti neolaureati, in attesa che il professore dia il suo via libera. La graduatoria nazionale è un colpo ai baronati ma questa apertura di credito al merito va letta in tandem con le altre novità. In primis con la norma che sostituisce nel testo del decreto del 1999 le parole «commissioni giudicatrici locali» con «la commissione». Significa che le commissioni di ateneo dovranno limitarsi al compito di di registrare i punteggi legati agli aspetti oggettivi dei curricula degli aspiranti specializzandi (voto di laurea e media degli esami)? Il tavolo tecnico incaricato di elaborare proposte sull'accesso alle scuole ha consegnato in realtà alla ministra Maria Chiara Carrozza un suggerimento più soft: la valutazione dei curricula deve contemplare anche altro, come i risultati negli esami specifici per tipologia di scuola o eventuali titoli acquisiti durante il corso di laurea. «Per me servono entrambe, la commissione nazionale e quelle locali», dice il presidente del Cun, Andrea Lenzi. Il riordino delle scuole Oltre al nuovo regolamento sull'accesso, Carrozza ha una scadenza precisa da rispettare: entro il 31 marzo 2014 deve emanare un Dm per riorganizzare classi, tipologie e durata dei corsi di specializzazione. Che va rivista osservando «i limiti minimi previsti dalla normativa europea in materia». Rispetto alla direttiva 2005/36, 25 tipologie di scuole sulle ben 59 attive in Italia durano oltre i minimi europei e altre venti non sono contemplate dall'ordinamento Ue. La razionalizzazione passerà dalla revisione degli obiettivi formativi, cui il Cun sta già lavorando, ma anche da semplificazioni e accorpamenti. Qualche ipotesi: prevedere un tronco comune per alcune specializzazioni e fonderne altre. Chirurgia generale e chirurgia dell'apparato digerente, ad esempio, così come chirurgia toracica e cardiochirurgia. La legge prescrive che la riorganizzazione si applichi subito ai nuovi specializzandi (il bando per l'anno 2013-2014 è atteso verso maggio ma non è escluso che ritardi ancora). Per gli iscritti al secondo o al terzo anno il Miur dovrà adeguare l'ordinamento didattico alla durata accorciata. Soltanto per gli iscritti al quarto o ai successivi anni resterà valido l'ordinamento attuale. Una retroattività che non è piaciuta agli interessati. «Siamo soddisfatti della riforma - spiega Walter Mazzucco del Segretariato italiano giovani medici - ma avremmo preferito che l'applicazione agli iscritti attuali potesse avvenire su base volontaria». Il legame con il Ssn La legge Carrozza ribadisce che il numero di specialisti da formare va determinato in base a tre elementi: l'obiettivo di «migliorare progressivamente» la corrispondenza tra il numero di studenti ammessi a medicina e quello dei medici ammessi alle scuole; il quadro epidemiologico; i flussi previsti per i pensionamenti e le esigenze di programmazione delle Regioni. Si potenziano inoltre le possibilità per gli specializzandi di formarsi nelle strutture della rete formativa e non solo nei Policlinici. Il nodo risorse I risparmi derivanti dalla riorganizzazone dovranno essere destinati all'aumento dei contratti di formazione specialistica, che nel 2012-2013 si sono ridotti dai consueti 5mila a 4.500. Per l'Economia, per il 2013- 2014 ci sono risorse sufficienti a finanziarne neanche 2.800, a fronte di un fabbisogno annuo di oltre 8mila specialisti da formare stimato dalle Regioni. Le speranze dei giovani medici sono tutte verso la legge di stabilità. ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 19 Nov. ’13 VARGIU: «SANITÀ, BASTA UNA SOLA ASL» Vargiu: accentrare le amministrazioni. Meloni: nell'Isola servizi di buon livello I Riformatori rilanciano la loro storica proposta di riforma «In Sardegna abbiamo una sanità di buon livello e siamo solo poco sopra la media nazionale per la spesa pubblica e privata convenzionata pro capite». Secondo Franco Meloni, vicecapogruppo dei Riformatori sardi e componente della commissione Sanità in Consiglio regionale, nell'Isola il sistema sanitario regge ancora bene. L'incontro promosso ieri a Cagliari, nella sala congressi dell'Unione Sarda, dalla presidenza della commissione Sanità della Camera (guidata dal deputato sardo Pierpaolo Vargiu) e dal gruppo consiliare regionale dei Riformatori, è servito a fare il punto sulla situazione del sistema sanitario nazionale. «Al contrario di quanto sostiene il Cipe», afferma Meloni, «che certifica uno sforamento sulla spesa di circa 300 milioni di euro, noi riteniamo che per il 2012 sia stato, invece, di un centinaio di milioni». È però fondamentale intervenire per limitare il più possibile eventuali sprechi. «A livello nazionale», chiarisce Vargiu, «la spesa sanitaria pubblica si è attestata sui 110 miliardi di euro, il 7,1% del Pil, e può essere considerata tra le più basse d'Europa. In Italia non sta aumentando la spesa pubblica, ma quella dei cittadini per le prestazioni private. Coloro che non hanno possibilità economiche rischiano di dover rinunciare alle cure mediche». I Riformatori ritengono che, per evitare una tale situazione, sia necessario attuare degli interventi. «Proponiamo l'accentramento delle prestazioni, delle forniture, ma anche l'accorpamento delle strutture amministrative», aggiunge Vargiu, «arrivando a una sola Asl regionale. Crediamo, inoltre, che sia necessario un rafforzamento della medicina del territorio». Il servizio sanitario non deve essere sottovalutato. «Crediamo che sia un bene da salvaguardare», sottolinea Michele Cossa, coordinatore dei Riformatori e vicepresidente del Consiglio regionale, «perché garantisce assistenza a tutti i cittadini». Eleonora Bullegas ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 21 Nov. ’13 ASLCI:Dipendenti della Asl in rivolta SANITÀ. Azione legale di 1300 lavoratori contro i vertici dell'azienda «Non restituiremo quei soldi» CARBONIA L'azienda sanitaria passa all'incasso e loro affilano le armi legali: 1300 fra infermieri, amministrativi e tecnici della Asl 7 sono pronti a una sorta di class action per salvaguardare gli stipendi. Si è vicini alla resa dei conti dopo l'annuncio che da questo mese le paghe del cosiddetto comparto verranno decurtate per cominciare il recupero delle somme in conto fasce (in pratica, gli avanzamenti di carriera) che per la Corte dei Conti sono state erogate illegittimamente negli ultimi dieci anni perché basate su operazioni contabili ritenute errate. SEI MILIONI DI EURO I giudici chiedono di restituire all'erario quasi 6 milioni di euro e rischiano di doversi pensare in solido 8 fra ex manager, l'attuale direttore e funzionari. Adeguandosi alle risultanze dei giudici contabili, la dirigenza ha già inviato a numerosi dipendenti le lettere con gli importi da rifondere subito (si arriva anche a 13 mila euro) o tramite prelievo coattivo. L'Azienda non scherza ed era quindi scontato che avant'ieri al Sirai di Carbonia e ieri al Cto e al Santa Barbara di Iglesias fossero affollate le assemblee indette dalle sigle sindacali confederali per illustrare le contromosse. I SINDACATI «Si passa al contrattacco - ha precisato il segretario Cgil Antonello Congiu - anche perché è fallito il tentativo di conciliazione in Prefettura». Durante le assemblee sono state incassate moltissime adesioni a una maxi causa legale che scatterà quando da questo mese la busta paga dei dipendenti sarà, come annunciato dalla dirigenza, più leggera a causa della sospensione dei benefici maturati con l'accordo del 2005 (quelli dell'accordo 2008 non erano stati neppure erogati). Il percorso illustrato anche dai segretari della Funzione pubblica Cils e Uil, Roberto Fallo ed Efisio Aresti, è quello di «un'azione legale congiunta anticipata da cause pilota ma tutto all'insegna della massima unità per bloccare il recupero delle somme in base a un'operazione che i nostri avvocati ritengono illegale». La dirigenza Asl giudica, invece, le valutazioni della Corte dei Conti ben più che ipotesi. DIBATTITO A CARBONIA La questione è di attualità così stretta che dopodomani alle 12,30 al Lù Hotel di Carbonia il caso sarà al centro del dibattito organizzato dal collegio infermieristico Ipasvi del Sulcis. Andrea Scano ____________________________________________________________ Repubblica 22 Nov. ’13 BILL GATE: ECCO IL “PRESERVATIVO PERFETTO” l’ultima battaglia di Bill Gates Un “condom” di grafene per combattere l’Aids ENRICO FRANCESCHINI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA — Ha una storia lunga quanto la civiltà umana, ma adesso qualcuno vorrebbe reinventarlo per il 21esimo secolo, ed è un signore che di invenzioni se ne intende. Bill Gates, il fondatore della Microsoft, ha donato attraverso la sua fondazione 64 mila sterline alla Manchester University per creare un nuovo tipo di profilattico. Come i programmi di software della sua azienda, anche questo sarebbe ad alta tecnologia: lo scopo è produrre un preservativo di grafene, il rivoluzionario materiale che fece vincere nel 2004 il premio Nobel al suo inventore. L’intento di Gates è benefico: spingere più gente ad usare il “condom” nei rapporti sessuali, specie nel mondo in via di sviluppo, dove spesso rappresenta la prima e più importante barriera contro la trasmissione di malattie, a cominciare dall’Aids, e per la prevenzione delle nascite. Un nuovo capitolo della battaglia che la Bill and Melinda Gates Foundation combatte per debellare virus, portare l’igiene, salvare vite e innescare progresso in Africa e in altre regioni povere del nostro pianeta. La cifra, pari a circa 75 mila euro, certo non è alta, specie se confrontata con i 28 miliardi di dollari che i coniugi Gates hanno finora donato alla propria fondazione, la più grande del mondo in materia di beneficenza. Ma è diretta soltanto a mettere a punto l’invenzione, ad arrivare a un prototipo, finanziando il primo anno di ricerche: ben altre risorse, eventualmente, verrebbero messe a disposizione dopo. Quando il grafene fu scoperto una decina d’anni fa, ricorda il Times di Londra, ci fu chi ironizzò: a cosa mai poteva servire quel tessuto ultra-leggero e ultra-resistente, oltre che a sospingere la rivoluzione digitale? Magari a fare “un condom high tech”? Ebbene sì, risponde adesso il professor Aravind Vijayaragnavan dell’università di Manchester, lo scienziato a cui è stato affidato il progetto: «Ha tutte le proprietà giuste, ma nessuno l’aveva preso seriamente in considerazione fino ad ora». Ottenuto in laboratorio dalla grafite, il grafene infatti è un materiale consistente in uno strato monoatomico di atomi di carbonio, che ha cioè uno spessore ridotto al minimo, equivalente alle dimensioni di un solo atomo, ma è anche duro quanto il diamante. «Sarebbe quindi perfetto per un profilattico più sottile e più resistente, senza perdere impermeabilità ed elasticità», afferma lo studioso. Dai primi preservativi ricavati da budella di animali, a quello moderno nato alla corte di Carlo d’Inghilterra nel Rinascimento (1665-1685), poi descritto per la prima volta in un trattato dallo scienziato italiano Gabriele Fallopio, ne è stata fatta di strada. Il “condom” al grafene, marmoreo ma quasi impercettibile, sarebbe l’evoluzione di una specie il cui compito è evitare che la specie umana si moltiplichi troppo o deperisca. ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 17 Nov. ’13 PSICOFARMACI, LE MEDICINE DELLA CRISI Quasi un cagliaritano su tre ricorre alle cure degli ansiolitici. Numeri record a Sant'Elia e Is Mirrionis È allarme abuso: in un anno consumo cresciuto del dieci per cento VEDI TUTTE LE 2 FOTO L'armadietto dei medicinali è lo specchio dei tempi. Ansiolitici, gocce per dormire, pastiglie antipanico, sempre più cagliaritani si affidano agli psicofarmaci per combattere la crisi e i fallimenti personali. Il consumo è in continua crescita, e l'età di chi bussa alle porte delle farmacie cittadine alla disperata ricerca del farmaco magico si abbassa a vista d'occhio. AUMENTO PREOCCUPANTE Federfarma regionale lancia un grido d'allarme: «Le vendite sono aumentate del dieci per cento rispetto all'anno scorso», racconta Giorgio Congiu, presidente dell'associazione di categoria. I dati delle farmacie del capoluogo sono da brivido: «Il trenta per cento dei cagliaritani fa uso frequente di questi medicinali, soprattutto di ansiolitici. Ma gli antipsicotici e gli antidepressivi (destinati alle forme più importanti), sono sempre più frequenti». IDENTIKIT DELL'ACQUIRENTE Un tempo bastava una buona tazza di camomilla per fare i conti con i nervi tesi o gli sbalzi d'umore. Ma i tempi son cambiati e il mercato si è adeguato. Prescrizione medica in mano e sguardo fiducioso davanti a scatolette dai nomi altisonanti, Tavor, Lexotan, Xanax o Roipnol. Tra gli scaffali la scelta è ampia, le case farmaceutiche fanno a gara per accaparrarsi un mercato fertile: «A richiedere gli psicofarmaci sono soprattutto uomini e donne over cinquanta, con un aumento costante col procedere dell'anzianità. Non ci sono rilevanti distinzioni di sesso, viaggiano tutti alla stessa velocità». L'ETÀ SI ABBASSA Poi ci sono i giovani. «Negli ultimi tempi l'età si è abbassata drasticamente», sottolinea Congiu. E sta raggiungendo confini inquietanti: «Ormai tantissimi diciottenni si affidano agli psicofarmaci per cercare di sfuggire da situazioni familiari pesanti o dallo stress degli studi». Spesso alle spalle c'è un percorso di vita tortuoso che crea stati d'ansia o instabilità emotiva: «In gran parte si tratta di figli di genitori separati». SCENARI DIVERSI NEI QUARTIERI Il fenomeno è diffuso, ma si spalma tra i quartieri cittadini in modo diseguale, quasi a macchia di leopardo: «Nei rioni più difficili, come Sant'Elia, San Michele, Is Mirrionis, dai dati delle vendite emerge un consumo maggiore rispetto alle altre zone». Ma il vero picco si raggiunge nel Sulcis: «L'utilizzo degli psicofarmaci è aumentato vertiginosamente, segno evidente del malessere sociale più pesante che altrove». L'Isola è in media con la tendenza nazionale, ma le prescrizioni fanno registrare preoccupanti impennate in tutta Italia. USO E ABUSO Ansia, attacchi di panico, difficoltà a dormire la notte: la benzodiazepina, principio attivo di quasi tutti i medicinali psicotropi, rilassa, calma, e promette sonni profondi. Ma gli effetti miracolosi messi nero su bianco sui bugiardini chilometrici spesso fanno a pugni con la realtà. «Il farmaco contro il malessere sociale non può fare niente. Non risolve i problemi. Regala cinque minuti di apparente benessere, ma poi torna tutto come prima», ammonisce il numero uno della Federfarma sarda. «Ormai la gente si sta intossicando. È necessario trovare un'altra strada. Gli psicofarmaci non hanno poteri magici, e alla lunga creano dipendenza». Sara Marci ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 19 Nov. ’13 CARPINIELLO I FARMACI NON SONO IL MALE» Il consumo record: il docente di Psichiatria all'Università divide l'uso dall'abuso Carpiniello: un'arma efficace contro i disturbi mentali VEDI TUTTE LE 2 FOTO Mette in guardia da pastiglie o gocce usate con disinvoltura per sfuggire a una vita che non funziona, ma difende l'utilizzo dei farmaci davanti alle patologie psichiatriche conclamate: «Sono l'arma principale per curare gran parte dei disturbi mentali». Bernardo Carpiniello, professore ordinario di Psichiatria all'Università, prende posizione sul fenomeno dell'aumento del consumo degli psicofarmaci, tenendosi alla larga da allarmismi o condanne. «Se non avessimo certi tipi di medicinali, sarebbe davvero un grosso problema». Eppure una parte della medicina li condanna. Perché? «Per motivi ideologici. Nessuno sognerebbe di contestare un oncologo che prescrive una cura contro i tumori fatta con un cocktail di tre-quattro farmaci. Eppure gli effetti collaterali sono pesanti». Un giornalista americano ha recentemente pubblicato un'indagine che smentisce l'efficacia degli psicofarmaci. «Casi di non risposta, di scarsa risposta o di risposta inadeguata valgono per tutti i medicinali. Non esiste la panacea». Federfarma dice che un cagliaritano su tre fa uso di antipsicotici. «Sono in aumento tutti i disturbi dell'umore, non solo i casi di depressione. Sono cresciuti i disturbi bipolari, d'ansia e della personalità. Ma il fenomeno è nazionale». Chi vive un disagio sociale si rifugia nei farmaci? «Esiste una relazione generale tra molti disturbi psichiatrici e i fattori socio-economici. Spesso la causa scatenante di depressione o attacchi d'ansia è legata a fattori esterni, come la perdita del lavoro, la difficoltà a pagare il mutuo e via dicendo. Ma la base è biologica». La crisi non guarda in faccia nessuno. Tutti sono potenziali “malati mentali”? «No, non si diventa depressi semplicemente perché si è sotto stress. Solo chi è predisposto può andare incontro a certi disturbi. Parliamo di persone vulnerabili». Il mercato dei farmaci subisce spesso il pressing delle case farmaceutiche. «Sono industrie, e come tutte le industrie cercano di spingere il loro prodotto. A prescindere da ciò che vendono. È la legge del mercato». Gli sponsor influiscono sulla prescrizione di una medicina o di un'altra? «No, assolutamente. Forse in passato era così». Cosa è cambiato? «Da qualche anno in Italia e in tutta Europa l'attività delle aziende farmaceutiche è rigidamente regolamentata. Gli informatori scientifici ora si limitano a presentare agli specialisti i nuovi farmaci, finisce lì». Un tempo andavano di moda i congressi con cena gratis. In qualche caso ci è uscita pure la vacanza. «È un'epoca finita da un pezzo. Queste cose non capitano più». A chi sostiene che gli psichiatri siano al servizio delle aziende farmaceutiche cosa risponde? «Che è falso. Se un farmaco non funziona, non c'è azienda che tenga. Il medico prova le novità del mercato, se non rendono ciò che promettono vengono abbandonate. Sarebbe contro i nostri stessi interessi fare il contrario». Bimbi iperattivi, c'è una discussione sempre aperta. «L'argomento è delicatissimo». Il caso Ritalin non è mai stato chiarito. Viene definito la droga dei piccoli. «Il problema del Ritalin, come di ogni farmaco, è che va dato solo quando la diagnosi è certa. Il che richiede una grande competenza clinica». Si è parlato di abuso, e di piccoli zombie. «Smentisco che venga dato indiscriminatamente. Il consumo del Ritalin per l'iperattività nei bambini è limitatissimo. Ci sono rigorosi criteri di selezione che stabiliscono quando prescrivere questo farmaco». Qualcuno sostiene che vi siete inventati una patologia. «È una follia». C'è stata un'epoca in cui l'antipsichiatria diceva che anche la schizofrenia non esistesse. «Purtroppo i residui di questa ideologia esistono ancora. È un'eresia, esiste e come. Lo sanno bene chi ne soffre e i familiari che convivono con i pazienti». Quindi i bambini iperattivi esistono davvero? «Certo, alcuni bambini manifestano meccanismi disfunzionali nel cervello. È la stessa cosa dell'autismo infantile. Nessuno si sognerebbe di dire che non esiste. Sarebbe come sostenere che il cancro è stato inventato da aziende che vendono medicinali antineoplastici». Perché ci sono tanti pregiudizi sui farmaci psichiatrici? «Si fa fatica ad accettare che una persona possa non farcela con le proprie risorse. La malattia mentale viene vista come una forma di debolezza. In realtà quando c'è bisogna affrontarla, e i farmaci servono a questo». Sara Marci ____________________________________________________________ Corriere della Sera 24 Nov. ’13 I PREGI E I LIMITI DELL’ULTIMA «BIBBIA» DEGLI PSICHIATRI Il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders , dell’American Psychiatric Association (APA), giunge alla quinta edizione: è il DSM-5 che, come le precedenti edizioni, rappresenta uno dei sistemi di classificazione dei disturbi mentali più usati sia per l’attività clinica, sia per la ricerca. Se ne parlerà al Congresso della Società italiana di psichiatria, intitolato “Il DSM-5 e i suoi riflessi nella pratica psichiatrica clinica in Italia: le principali revisioni e novità”, a Firenze dal 29 al 30 novembre. L’arrivo del DSM-5 è accompagnato da discussioni e punti di vista contrapposti, soprattutto per il timore di un allargamento dei confini della patologia psichiatrica, con eccessiva medicalizzazione della società, contrazione degli spazi di libera espressione di sé e un’indebita diffusione di trattamenti psicofarmacologici. Qualche esempio: con il DSM-5 la perdita di una persona cara e il conseguente lutto potranno portare alla diagnosi di Depressione maggiore ; oppure le piccole e finora normali dimenticanze che affliggono le persone un po’ in là con gli anni saranno catalogate come Disturbo neurocognitivo lieve . Ancora più preoccupante è la nuova diagnosi di Disturbo di disregolazione dirompente dell’umore : in pratica gli scatti di rabbia ripetuti potranno essere diagnosticati come disturbo mentale, e c’è preoccupazione per i bambini, ai quali potrebbero essere prescritti psicofarmaci. Fenomeno già accaduto quando furono identificati il Disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) e il Disturbo bipolare infantile. D’altro canto, in questa edizione del DSM si tenta anche per la prima volta di arrivare a un più solido collegamento tra sintomi psichiatrici e alterazioni di funzionamento del cervello. «Si cerca di creare una classificazione a partire dai sintomi e dalla loro caratterizzazione disfunzionale, per procedere poi all’identificazione dei processi neurali, e anche dell’eventuale supporto di basi genetiche — dice Claudio Mencacci, presidente della Società Italiana di Psichiatria —. Il DSM-5 cerca di compiere questo passo fondamentale, confermando, laddove ci sono dati empirici affidabili, l’utilizzo dei gruppi di sintomi per costruire le categorie diagnostiche. Infatti, purtroppo oggi non ci sono ancora test biologici — basati su geni, marcatori nel sangue o immagini cerebrali — che aiutino a diagnosticare la malattia mentale. Così, la diagnosi è basata su una descrizione, un processo per sua natura soggettivo. È per questa assenza di test diagnostici oggettivi che in psichiatria, più che in altre discipline mediche, sono importanti l’esperienza, la competenza dei clinici e la disponibilità di sistemi diagnostici come il DSM-5 o l’ ICD-11, previsto per il 2015». La spinosa questione del limite tra il comportamento normale e quello patologico è di ampia importanza sociale. Secondo una stima circa il 38% degli europei soffre di qualche disturbo psichico nel corso della vita e l’OMS prevede che nel 2020 i disturbi psichiatrici maggiori avranno un ruolo importantissimo nel generare disabilità e suicidi. «I disturbi mentali sono una delle più ardue sfide da affrontare nel XXI secolo, — conclude Mencacci — ancora più impegnative alle luce della crisi e della conseguente riduzione di servizi. Anche per questo la psichiatria si sta muovendo sempre più nell’area della prevenzione, e quindi del riconoscimento precoce dei disturbi psichici, che nel 75% dei casi compaiono entro i 25 anni di età». Danilo Di Diodoro ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 19 Nov. ’13 SENTIRE MENO GLI ODORI PUÒ ESSERE UN SINTOMO DEL “PARKINSON” VEDI LA FOTO La diminuzione della percezione olfattiva è uno dei sintomi della malattia di Parkinson. Dunque l'analisi dell'olfatto è un possibile strumento per la prevenzione, il monitoraggio della progressione del morbo e per lo sviluppo di nuovi trattamenti. È uno degli importanti risultati a cui è pervenuto un gruppo di clinici e studiosi della ricerca di base dell'Università di Cagliari il cui lavoro è stato pubblicato su PlosOne, una importante rivista internazionale. L'INSETTO DELLA FRUTTA A portare alla scoperta i gruppi di Francesco Marrosu, professore ordinario di Neurologia, e di Anna Maria Liscia, professore ordinario di Fisiologia, è stato un insetto, la Drosophila melanogaster , il cosiddetto moscerino della frutta. «Con il progetto sviluppato negli ultimi due anni grazie alla collaborazione di partner di ricerca internazionali - afferma Liscia -, abbiamo avuto modo di analizzare alcuni aspetti del Morbo di Parkinson in un efficace e semplice modello genetico in vivo qual è il comune moscerino della frutta, che presenta le complete caratteristiche dell'essere vivente. Il modello sperimentale così realizzato - continua - soddisfa alcuni dei più importanti criteri di diagnosi di tipo motorio e non motorio della malattia, come ad esempio la rigidità, il comportamento acinetico, la deficienza olfattoria». «Da diversi studi clinici - spiega Marrosu - si è osservato che i pazienti parkinsoniani mostrano disturbi nella percezione olfattiva come sintomo precoce della malattia. Il nostro primo studio si è infatti concentrato sulle disfunzioni olfattive per il quale abbiamo utilizzato il mutante di Drosophila per il gene “Pink 1”, poiché le mutazioni del gene umano “Pink 1” sono tradizionalmente associate a forme familiari della malattia ad insorgenza precoce». La ricerca ha dato modo di ottenere, per la prima volta, i risultati neurofisiologici e neuroanatomici sulla funzione olfattoria nei mutanti “Pink 1” di Drosophila . «Abbiamo osservato una riduzione della risposta olfattiva dei mutanti ad alcuni composti volatili sintetici e naturali - argomenta il neurologo - e si è visto che questa appare ridursi ulteriormente con il progredire dell'età. La causa della riduzione dell'olfatto è stata rilevata nello sviluppo di un processo neurodegenerativo. Dunque l'analisi dell'olfatto è un possibile strumento per la prevenzione, il monitoraggio della progressione della malattia del Parkinson e lo sviluppo di nuovi trattamenti». LA REGIONE DISSE NO Il progetto è ambizioso anche se l'attività sulla Drosophila melanogaster è stata portata avanti dai ricercatori dell'Ateneo cagliaritano con costi estremamente ridotti: «Ci abbiamo creduto e oggi siamo lieti di presentare i primi riscontri - conclude Liscia - nonostante gli organi preposti ad esaminare i finanziamenti in sede regionale avessero ritenuto non finanziabile il progetto. Oltre a noi ordinari e ai ricercatori Mariella Setzu e Paolo Solla, il lavoro ha visto l'assiduo impegno di due giovani, Simone Poddighe, assegnista, e Francesca De Rose, dottoranda. Dobbiamo l'esito di questi primi dati ai nostri giovani e tutti i colleghi dei vari dipartimenti che hanno lavorato con passione per la riuscita dello studio». ELISABETTA CAREDDA ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 17 Nov. ’13 Il farmacologo Domenico Meloni: troppe prescrizioni inutili MELONI POCHI BENEFICI, MOLTI DANNI» I farmaci psichiatrici spaccano in due l'opinione pubblica. Da una parte c'è chi li considera la panacea per curare i mali della mente, dall'altra chi condanna l'uso eccessivo e spesso ingiustificato. Anche i medici si dividono in sostenitori e non. «Oggi si abusa delle medicine. Purtroppo siamo nell'era del farmaco, un rimedio in molti casi comodo e veloce». Domenico Meloni, dottore di ricerca in drug abuse negli Stati Uniti e allievo di Gian Luigi Gessa, numero uno della Farmacologia sarda, punta il dito contro le prescrizioni facili. «Gli psichiatri sono una delle categorie di cui diffido maggiormente», ammette candidamente. «Negli ultimi tempi si assiste a un uso troppo spesso spregiudicato di antipsicotici, antidepressivi, e ansiolitici», polemizza. «Oggi il farmaco viene prescritto anche per legge, più che per scienza e coscienza». I benefici promessi da pillole e gocce sono tanti, ma attenersi alle modalità d'uso e alla posologia riportata nei bugiardini non basta a evitare possibili effetti collaterali. «Qualsiasi medicinale preso in maniera inadeguata, a sproposito e senza raziocinio può fare più danni dei benefici che promette di dare. In più va sottolineato che un uso prolungato di psicofarmaci crea dipendenza». Meloni tira in ballo anche il Ritalin, farmaco utilizzato per curare i bambini iperattivi, e che in passato ha provocato grandi tensioni. «Nella quinta edizione del Dsm, la Bibbia degli psichiatri, è apparsa una polemica pesante. C'è un medico ultranovantenne che ha fatto una sorta di testamento», racconta. «Ha affermato che dietro l'identificazione del disturbo dell'attenzione nei piccoli pazienti vi sia solo l'interesse delle grandi cause farmaceutiche e dei loro affari». L'argomento è complicato, i confini tra verità e abusi sottile. Sul muro della vecchia clinica Macciotta da anni c'è una scritta: «No Ritalin». Qualcuno ha cercato di coprirla con la vernice. Ma a un occhio attento non sfugge. Sa. Ma. ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 17 Nov. ’13 L'INCHIESTA CHE DEMOLISCE L'APPROCCIO TRADIZIONALE Il suo libro stravolge decenni di consuetudini e rischia di far scoppiare una bomba. Lui è Robert Whitaker, giornalista americano conosciuto per i suoi scritti sulla psichiatria, la sua opera “Indagine su un'epidemia”. Tra le pagine una ricerca della Harval medical school che mette in luce un fatto sconcertante: negli ultimi vent'anni negli Stati Uniti si è registrato un peggioramento degli esiti dei pazienti psichiatrici. Più avanti ce n'è un'altra, dell'Organizzazione mondiale della sanità. Il risultato è altrettanto allarmante: l'evoluzione della schizofrenia è migliore nei paesi poveri, come l'India e la Nigeria, piuttosto che nei Paesi sviluppati. Whitaker indaga, mette il dito nelle pieghe di un mondo, quello della psichiatria, che presenta lati oscuri. Mette in discussione l'eccessiva medicalizzazione della malattia mentale che «ha portato alla sua cronicizzazione e non alla guarigione». Rivelazioni che rompono cardini e insinuano tanti dubbi in chi è stato o è tutt'ora in cura con farmaci psichiatrici. Gisella Trincas, presidente dell'Asarp, Associazione sarda per l'attuazione della riforma psichiatrica lancia un grido d'allarme: «anche nel nostro territorio gli interventi offerti sono soprattutto di tipo farmacologico. Spesso sento dire non possiamo fare altro che dare psicofarmaci. Non è così. E nessuno può imporre scelte ad altri». La richiesta: «C'è bisogno di percorsi pensati per la persona. Che permettano la ripresa e la guarigione». Sulla ricerca made in Usa: «È un'inchiesta che scatena tanti dubbi e perplessità nei familiari di persone sofferenti mentali. Mi chiedo se mia sorella da quando è incappata nella psichiatria sia migliorata o peggiorata». Sa. Ma. ____________________________________________________________ Corriere della Sera 21 Nov. ’13 IL PADRE DELLA GENOMICA CHE VINSE DUE PREMI NOBEL MILANO — È morto ieri all’età di 95 anni Fred Sanger, il biochimico britannico vincitore di due premi Nobel e considerato il padre della genomica, la biologia molecolare che studia il genoma degli esseri viventi. La notizia è stata diffusa dall’Università di Cambridge. Sanger (nella foto a fianco) , che amava definirsi «un tipo che ha fatto un po’ di confusione nel suo laboratorio», nel 1975 guidava l’equipe che ideò un metodo rivoluzionario per ottenere la sequenza del Dna, il «metodo dei terminatori di catena», che prese il suo nome e gli valse il secondo Nobel per la Chimica. Il precedente era arrivato nel 1958 per una ricerca sulla struttura dell’insulina. «È stato un vero eroe della scienza britannica del XX secolo — ha commentato Colin Blakemore, professore di Neuroscienze di Cambridge —, è impossibile esagerare il valore del suo contributo alla scienza biomedica moderna». ____________________________________________________________ Avvenire 23 Nov. ’13 PERDONARE FA BENE, LO DICE IL CERVELLO E anche i neuroscienziati (italiani) DI ANDREA LAVAllA Il perdono fa bene. Lo sa chi ha sperimentato il risentimento per essere stato tradito da persone di cui si fidava o il desiderio di vendetta verso coloro che gli hanno sottratto qualcosa di caro, ma poi ha saputo raggiungere una pacificazione emotiva in cui si smette di ricordare ossessivamente il fatto e di pensare con ostilità a colui che l'ha compiuto. In quel momento si riguadagna un equilibrio psicologico che si accompagna a una serenità ritrovata. Che il perdono faccia bene lo ha dimostrato ormai anche la ricerca psicologica e medica: il ritorno alla condizione personale precedente l'episodio doloroso subito, infatti, fa spesso uscire da depressioni e migliora le condizioni cardiovascolari, che invece sono più precarie in chi si macera in sentimenti di odio. Il perdono fa bene. Lo sa chi ha sperimentato il risentimento per essere stato tradito da persone di cui si fidava o il desiderio di vendetta verso coloro che gli hanno sottratto qualcosa di caro, ma poi ha saputo raggiungere una pacificazione emotiva in cui si smette di ricordare ossessivamente il fatto e di pensare con ostilità a colui che l'ha compiuto. In quel momento si riguadagna un equilibrio psicologico che si accompagna a una serenità ritrovata. Che il perdono faccia bene lo ha dimostrato ormai anche la ricerca psicologica e medica: il ritorno alla condizione personale precedente l'episodio doloroso subito, infatti, fa spesso uscire da depressioni e migliora le condizioni cardiovascolari, che invece sono più precarie in chi si macera in sentimenti di odio. Ma oggi possiamo anche indagare le basi cerebrali del processo del perdonare. Un'impresa scientificamente assai impegnativa, riuscita per la prima volta a un gruppo italiano dell'Università di Pisa, coordinato da Pietro Pietrini, e appena pubblicata su "Frontiers in Human Neuroscience", primo autore Emiliano Ricciardi. Per capire che cosa succede quando perdoniamo, i neuroscienziati hanno costruito situazioni di sofferenza provocata da altri, che i dieci volontari che hanno partecipato all'esperimento dovevano immaginarsi il più vividamente possibile mentre erano all'interno dello scanner per la risonanza magnetica funzionale (uno strumento che permette di individuare le zone più coinvolte in determinati compiti). Una volta immedesimati nella scena, i soggetti erano chiamati alternativamente a perdonare (o a non perdonare) il responsabile del torto compiuto ai loro danni. Per aiutarli nel compito, venivano invitati a considerare, nel primo caso, che l'autore del torto poteva essere in una condizione di disagio personale, aveva qualche giustificazione, la stessa vittima portava parte della responsabilità o che gli eventi potevano essere riconsiderati in termini meno negativi. Nel caso di non perdono, invece, si enfatizzava il risentimento e l'idea della vendetta. Quando i partecipanti "si convincevano" al perdono e lo "simulavano" mentalmente, esprimevano anche sollievo e un maggiore benessere soggettivo misurato con apposite scale, rispetto alla rabbia e alla frustrazione che caratterizza il non perdono. Correlata al dato psicologico spicca l'attivazione di specifiche aree cerebrali, in particolare precuneo, le regioni parietali inferiori destre e la corteccia prefrontale dorsolaterale. Si tratta di quelle zone che sono note per essere coinvolte nella teoria della mente, nell' empatia e nella regolazione cognitiva degli aspetti emozionali. «Si può probabilmente dire che il perdono attraverso una rielaborazione razionale del pensiero negativo e una rivalutazione- riconsiderazione del proprio vissuto passi attraverso il mettersi nei panni dell'altro, nell'assumere la sua prospetti- va, nel capire che il traditore o l'aggressore sono esseri umani come noi», spiega Pietrini. In questo modo, si dà del perdonare una descrizione anche da un punto di vista biologico, co- me meccanismo che ripristina la naturale omeostasi, facendo superare il blocco emotivo e lo stato disfunzionale tipici della ruminazione continua sull'episodio doloroso. Pur con le ineliminabili limitazioni di uno studio di laboratorio, e senza la pretesa di spiegare tutte le componenti di un processo così complesso, la ricerca apre la strada a una feconda contami- nazione tra livelli di analisi, che potrà avere ricadute positive a livello sociale. Non a caso è sta- ta finanziata dalla americana Templeton Foundation all'interno di un più vasto progetto dedicato proprio alla comprensione e alla diffusione del perdono. ____________________________________________________________ Sanità News 19 Nov. ’13 IL MINISTERO DELLA SALUTE PUBBLICA UN MONITORAGGIO SUI LEA DEL 2011 Pubblicato dall’Ufficio VI della Direzione generale della programmazione sanitaria del Ministero della Salute il documento Adempimento mantenimento dell’erogazione dei LEA – anno 2011 che illustra risultati, metodologia e indicatori utilizzati per la verifica degli adempimenti previsti dai Livelli Essenziali di Assistenza nell’annualità 2011. Il monitoraggio è stato realizzato attraverso la Griglia LEA composta da un set definito di 21 indicatori ripartiti tra l’attività di assistenza negli ambienti di vita e di lavoro, l’assistenza territoriale e l’assistenza ospedaliera. Il documento classifica l’erogazione dell’assistenza sul territorio nazionale con una scala a tre livelli (adempienza, adempienza con impegno, critica) e ne evidenzia le criticità. Diminuiscono i ricoveri ospedalieri e aumenta su scala nazionale l’appropriatezza dell’assistenza ospedaliera erogata nelle Regioni. Miglioramenti si registrano nelle Regioni che avevano mostrato criticità al monitoraggio precedente. La Liguria, che ha assolto gli impegni previsti risulta ora classificata come adempiente. Lazio, Sicilia, e Molise passano da una situazione critica a essere classificati, insieme all’Abruzzo, adempienti con impegno su alcuni indicatori. Per queste Regioni si rinvia alPiano di rientro per gli obiettivi relativi all’assistenza residenziale e al recupero dei criteri di efficienza ed appropriatezza dell’assistenza ospedaliera. Rilevate inoltre criticità per le coperture vaccinali, soprattutto per gli anziani, e gli screening. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 17 Nov. ’13 L'ANIMALISMO BLOCCA LA RICERCA Con gli emendamenti insensati votati dai nostri parlamentari non si potranno più fare ricerche con staminali, xenotrapianti, né creare nuovi antitumorali Gilberto Corbellini ed Elisabetta Dejana È inutile che il Presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio vadano in giro per il mondo o parlino con le élite politiche ed economiche internazionali per rassicurare sull'affidabilità del sistema dell'Italia. Perché all'estero si legge e ci si documenta più che in Italia, e si sa che i parlamentari italiani hanno votato una legge sulla sperimentazione animale che taglia fuori la nostra ricerca biomedica dalla competizione internazionale. Ergo, chi ascolta i nostri rappresentanti e governanti non li può prendere più sul serio. E fa due più due: con la nuova legge sulla sperimentazione animale si è fatto un favore ai gruppi di ricerca e alle imprese straniere, penalizzando e quindi tradendo gli interessi del Paese. Perché gli scienziati italiani sono temibili competitori, dato che nonostante le penalizzazioni finanziarie e legislative piazzano regolarmente lavori, basati sulla sperimentazione animale, su «Nature», «Science», «Cell» eccetera. E, comunque, non è vero che siamo un Paese affidabile. Perché invece di recepire la direttiva europea sulla sperimentazione animale così come era stata approvata per tutelare sia il benessere animale sia la competitività internazionale dei nostri laboratori, oggi abbiamo una legge che impedisce di fare ricerche indispensabili per contribuire alla crescita delle conoscenze scientifiche e trovare nuove cure e prevenzioni di gravi malattie. È tragico e incomprensibile che il mondo politico abbia creduto alle menzogne che poche persone esaltate, e in alcuni casi violente, hanno sistematicamente divulgato con l'aiuto dei mezzi di informazione. Vediamone qualcuna. Si è fatto credere che l'uso degli animali sia inutile perché le informazioni raccolte sull'animale non sarebbero valide per l'uomo, oppure perché esisterebbero procedure alternative. Falso. Praticamente tutti i trattamenti in grado di curare o di lenire le principali malattie dell'uomo come i tumori, le malattie cardiovascolari, infettive o genetiche derivano dalla ricerca sugli animali. E nessuno di noi, inclusi gli animalisti che usano vere medicine, somministrerebbe al proprio figlio o a se stesso farmaci o trattamenti la cui efficacia non sia stata prima provata sugli animali. Quando in passato non è stato fatto, sono accadute tragedie come le migliaia di casi di bambini focomelici per gli effetti della talidomide. Per inciso, gli stessi animali che sono curati dai veterinari godono di trattamenti efficaci in quanto sono stati messi a punto sperimentalmente. E le tecniche alternative? Si usano già estesamente. Per esempio, la ricerca in oncologia si serve di lieviti, cellule in cultura, strumenti biochimici e bioinformatici. Basta documentarsi per capire come sia nell'interesse di tutti, quando possibile, usare mezzi alternativi. Anche solo per i costi. Ma è non meno elementare il concetto che non si può riprodurre artificialmente, in vitro o in silico e allo scopo di controllare le variabili implicate, il processo complesso della proliferazione tumorale o delle metastasi. Come non si potrebbe riprodurre in una coltura cellulare un infarto del miocardio. O un diabete, un Parkinson eccetera. Sono malattie d'organo a cui concorrono diverse cellule e processi biochimici che si possono studiare solo in un animale. Vogliono gli animalisti studiarle nell'uomo? Lo dicano. Se ne può anche discutere. O, piuttosto, non gli importa niente dei malati e delle sofferenze umane? Anche alcuni medici e scienziati si sono espressi contro la sperimentazione animale e si ostinano, come chi è contro la scienza generale, a usare la parola "vivisezione". Gli scienziati non fanno vivisezione. La vivisezione si praticava fino a circa mezzo secolo fa. Oggi non esiste più. Meglio, esiste solo nei Paesi incivili e dove la ricerca non è libera. Sono stati inglesi e statunitensi, che peraltro fanno la miglior ricerca biomedica, a istruire una regolamentazione severa a tutela degli animali, che è stata infine adottata anche a livello europeo, e che prevede per esempio che negli interventi che richiedono chirurgia, gli animali vengano trattati sempre e solo sotto anestesia. Ed è una bugia sostenere che si usano normalmente cani, gatti o primati. Il 98% degli animali usati nella ricerca sono roditori, insetti, pesci e rane. L'uso dei primati è molto ridotto, limitato ai casi come la ricerca sull'Aids, in cui il virus infetta solo l'uomo e le scimmie. È disonesta e terroristica propaganda mostrare a scopi pubblicitari foto di cani o gatti o scimmie sotto chirurgia che magari risalgono ai primi del novecento solo per muovere a compassione. Gli emendamenti alla direttiva europea, votati a maggioranza dai parlamentari italiani, sono insensati. Per esempio si vietano «gli esperimenti e le procedure che non prevedono anestesia o analgesia, qualora esse comportino dolore all'animale, a eccezione dei casi di sperimentazione di anestetici o di analgesici». Si tratta di una modifica ambigua e contraddittoria, che avrà come conseguenza di dover anestetizzare l'animale per un prelievo di sangue: procedura che non prevediamo per noi stessi, inclusi i bambini. Poi si «vieta l'utilizzo di animali per gli xenotrapianti e per le ricerche su sostanze d'abuso, negli ambiti sperimentali e di esercitazioni didattiche a eccezione della formazione universitaria in medicina veterinaria e dell'alta formazione dei medici e dei veterinari». A parte l'assurdità di consentire l'uso didattico degli animali per curare gli stessi animali ma non l'uomo, vietare gli xenotrapianti (ossia il trapianto di organi o cellule da una specie all'altra) è grave e avrà conseguenze tragiche per la ricerca e per la possibilità di migliorare molte patologie umane. Infatti, sarà impossibile sviluppare in Italia i trattamenti antitumorali personalizzati – cioè la medicina del futuro – o animali transgenici per disporre di più sicure valvole cardiache e cellule per la produzione di insulina che si possono ottenere da maiali e bovini. Nessuno dei parlamentari ha pensato che avrebbe potuto trovarsi tra i 700mila pazienti che vivono con valvole cardiache di origine suina (300mila) o bovina (400mila). Inoltre sarà cancellata la ricerca con cellule staminali che sulla base di prove visibili, verificabili e riproducibili – invece che di movimenti di piazza e inganni come nel caso Stamina – ha già curato le lesioni alla cornea e alcune malattie della pelle e, speriamo, un domani possa aiutare a recuperare il tessuto cardiaco dopo infarto o le malattie nervose degenerative come il Parkinson o muscolari come la distrofia di Duchenne. Alla luce di questi emendamenti numerosi gruppi di ricerca che godono di finanziamenti europei sulla base di una ferrea competizione per le idee e le progettualità migliori dovranno probabilmente restituire i soldi perché non potranno fare gli esperimenti previsti nel progetto che è stato finanziato. Quanti altri giovani lasceranno l'Italia e quanti non torneranno? E tra le conseguenze degli emendamenti ci saranno anche le sanzioni da parte dell'Unione europea, che esplicitamente vieta di adottare norme più restrittive dopo il 9 novembre 2010. Ma la legge che in Italia snatura la direttiva europea sulla sperimentazione animale va comunque prima di tutto a danneggiare milioni di malati esistenti e futuri. Mentre non stupisce che fanatici animalisti siano contro la sperimentazione animale, lascia esterrefatti che il mondo politico si assuma la gravissima responsabilità di minare la qualità della vita futura per chi sfortunatamente dovrà continuare a vivere in questo Paese. Elisabetta Dejana, Ifom e Università di Milano, Gilberto Corbellini, Sapienza Università di Roma ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 22 Nov. ’13 SARÀ UN'INFLUENZA AGGRESSIVA Avrà sintomi classici ma pesanti: secondo gli esperti farà finire a letto 140mila sardi Picco a fine dicembre, parte la campagna dei vaccini VEDI TUTTE LE 2 FOTO Il virus è già in circolazione, ma gli effetti più importanti si vedranno tra dicembre e gennaio. L'influenza sarà più pesante dell'anno scorso e minaccia di far finire a letto centoquarantamila sardi, tra over sessantacinque, bambini e chi è affetto da malattie croniche o è immunodepresso. L'Azienda sanitaria cagliaritana prova a giocare d'anticipo e dà il via alla campagna delle vaccinazioni per ridurre al minimo le conseguenze di un contatto col virus. VIA ALLE VACCINAZIONI La distribuzione delle dosi è ufficialmente iniziata, in campo ci sono soprattutto i medici di famiglia e i pediatri. «Per la somministrazione ci si potrà rivolgere a loro o agli ambulatori del servizio di Igiene e prevenzione», spiega Emilio Simeone, direttore generale dell'Asl 8. «Abbiamo siglato un accordo con gli operatori sanitari a diretto contatto con i cittadini. Il nostro obiettivo è raggiungere almeno il 75 per cento di copertura». I SINTOMI Tosse, febbre, mal di gola, dolori muscolari e delle articolazioni, cefalea e malessere generale sono i sintomi comuni. Possono essere d'intensità relativa ma a volte rischiano di degenerare in caso di complicazioni: «Le epidemie influenzali sono la terza causa di morte in Europa», ricorda Giorgio Steri, responsabile del servizio Igiene e sanità pubblica. «Il vaccino per le categorie a rischio è fondamentale». LA PREVENZIONE L'Azienda sanitaria cittadina investe sulla prevenzione. «La campagna di vaccinazione ci costerà non meno di un milione di euro e andrà avanti sino a gennaio», sottolinea Simeone. «Ci aspettiamo un ritorno importante in termini di contenimento della spesa farmaceutica e di riduzione dei ricoveri. E anche una migliore qualità di vita per gli individui più esposti farà la sua parte». CATEGORIE DEBOLI Un occhio particolarmente attento ai soggetti deboli: bambini con più di sei mesi (fuori dall'allattamento), uomini e donne dai sessantacinque anni in su e chi presenta condizioni cliniche con patologie croniche. Ma chiunque può richiedere il vaccino, purché non presenti specifiche controindicazioni alla sua somministrazione. Quest'anno c'è una novità: ad alcune categorie di utenti (portatori di cardiopatie, malattie polmonari, cirrosi epatica, epatopatie croniche evolutive, diabete mellito, anemia falciforme, talassemia. E ancora leucemia, linfomi, insufficienza renale cronica, Hiv-positivi, trapiantati d'organo e di midollo) oltre al farmaco antinfluenzale sarà proposta anche la somministrazione del vaccino contro il pneumococco, causa di diverse patologie a carico dell'apparato respiratorio e di meningiti. PERCENTUALE BASSA «L'anno scorso abbiamo somministrato poco più di 67mila dosi. La campagna non è andata molto bene rispetto agli obiettivi che ci eravamo prefissati», ammette Antonello Corda, responsabile del servizio Cure primarie della Asl 8. «È importantissimo che la popolazione venga sensibilizzata per far salire la percentuale di chi si sottopone al vaccino». Sara Marci ____________________________________________________________ Sanità News 19 Nov. ’13 PICCOLE DOSI DI CANDEGGINA RINGIOVANISCONO LA PELLE I ricercatori della Stanford University School of Medicine, con una indagine condotta sui topolini di laboratorio e pubblicata sul Journal of Clinical Investigation, hanno dimostrato che per avere una pelle sempre giovane si può provare con un bagno nella candeggina diluita allo 0.005 %, corrispondente ad un quarto di una mezza tazza di ipoclorito di sodio in una vasca da bagno piena d’acqua. Il dermatologo Thomas Leung che ha condotto la ricerca spiega: “La varechina è un modo efficace ed economico per combattere le forme di eczema, da moderata a grave e ha dimostrato inoltre effetti antinfiammatori e protettivi sulla pelle danneggiata dalla radioterapia, dall’eccessiva esposizione al sole e dall’invecchiamento”, proseguendo: “Sono note le azioni antimicrobiche della candeggina, noi abbiamo scoperto come il composto agisce a livello molecolare, anche quando molto diluito”. I ricercatori hanno trovato che la soluzione di ipoclorito di sodio blocca l’attivazione di una molecola, chiamata NF-kB, coinvolta nel processo infiammatorio e nell’invecchiamento. ____________________________________________________________ Sanità News 19 Nov. ’13 AUMENTA LA RESISTENZA AGLI ANTIBIOTICI IN EUROPA In occasione della Giornata Europea degli Antibiotici l’Istituto Superiore di Sanità ha lanciato ancora una volta l’allarme sull’aumento della resistenza agli antibiotici da parte di alcuni batteri. In particolare si parla di due batteri molto pericolosi quali l’Escherichia Colie la Klebsiella pneumonie che sono diventati, negli ultimi quattro anni, più difficili da combattere e sradicare. In realtà gli antibiotici sono farmaci comuni che normalmente vengono prescritti quando è in corso un’infezione batterica. La loro scoperta e la loro utilizzazione in massa ha cambiato radicalmente il concetto di intervento nelle patologie ad origine batterica ed ha salvato milioni di vite umane. Il problema è che è oramai sempre più presente e pericoloso una specie di rovescio della medaglia legato al cattivo uso di questi farmaci, anche e soprattutto quando vengono assunti per situazioni in cui non servono a niente. Prima di passare a vedere che cosa significhi la resistenza all’antibiotico e come essa stia modificando le terapie necessarie a sconfiggere questi batteri, ricordiamo e ricordiamoci poche piccole regole che ci possono aiutare ad usare gli antibiotici correttamente ed evitare di incappare in un batterio resistente. La prima regola è che l’antibiotico si prende solo ed unicamente quando c’è un medico che vi ha visitato e che lo ha prescritto. La seconda è sapere e ricordarsi che sono farmaci che combattono le infezioni provocate da batteri e che sono quindi inutili nelle patologie legate ai virus, come il raffreddore o l’influenza, a meno di alcune situazioni in cui si torna al punto primo, cioè sarà il medico a decidere se usare un antibiotico per alcune situazioni specifiche, e non voi o il farmacista. La terza regola è che gli antibiotici non prevengono le malattie, o servono perché il vostro medico ha detto che c’è ne è bisogno oppure non servono. La quarta regola è quella di prendere l’antibiotico prescrittovi dal vostro medico, seguendo esattamente la posologia che lui vi ha prescritto. Quello che accade moltissime volte, ed è una delle cause della resistenza, è che si prende l’antibiotico i primi tre giorni poi, visto che ci si sente meglio, lo si sospende commettendo un gravissimo errore. Per ultimo, se pensate che per una qualunque ragione quell’antibiotico non vada bene per voi parlatene con il medico e non cambiatelo da soli. Seguendo queste regole si eviterà di creare super batteri resistenti, come sta accadendo da vari anni e come accade per i due batteri sopracitati che, da soli o in combinazione con altri con cui si “mescolano”, danno vita ad infezioni multi- resistenti quasi impossibili da curare e che impediscono una corretta guarigione. A ciò si può aggiungere che purtroppo negli ultimi anni, i due "superbatteri" sotto sorveglianza, l’Escherichia e la Klebsiella, hanno sempre maggiore capacità di resistere ai medicinali e sono responsabili di infezioni urinarie, sepsi ed altre infezioni cosiddette ospedaliere, ovvero che si prendono in ospedale, patologie per le quali c’è un aumento delle percentuali di resistenza, anche alle cefalosporine di terza generazione, o ai fluorochinoloni ed agli aminoglicosidi, che causano infezioni difficili da trattare. ____________________________________________________________ Repubblica 20 Nov. ’13 'DNA SPAZZATURA', SCOPERTO UN SUO POSSIBILE RUOLO NELLA FORMAZIONE DEI TUMORI Due studi pubblicati su Science e Nature Methods mostrano come il 'Dna non codificante' sia attivo in alcuni processi degenerativi. Se confermati sarebbero una grande scoperta per la ricerca sul cancro Lo leggo dopo Da oggetto misterioso, considerato 'spazzatura', a possibile alleato nella battaglia contro i tumori. Il Dna non codificante, il cosiddetto 'Dna spazzatura', potrebbe invece essere fondamentale per la ricerca. A confermarlo due studi che, a breve distanza temporale l'uno dall'altro, ci dicono che alcune di queste regioni del Dna umano, chiamate pseudo- geni, potrebbero essere responsabili dello sviluppo di processi degenerativi e di forme tumorali tra le più comuni, come quelli al seno e alla prostata. Negli esseri umani, circa l'1,5 per cento del Dna è composto di geni che codificano per proteine. Il restante 98,5 per cento è invece chiamato 'Dna spazzatura', perché contiene geni senza scopo apparente o che regolano la produzione di proteine a parte di altri geni. Da qui lo scarso interesse mostrato, fino a qualche tempo fa, da parte della ricerca scientifica per il Dna non codificante. Ma le cose potrebbero presto cambiare. A fare la clamorosa scoperta due gruppi di ricerca che, pur lavorando indipendentemente, sono giunti a conclusioni simili. Il più recente in ordine di tempo è stato pubblicato sulla rivista Nature Methods ed è il frutto del lavoro di alcuni ricercatori svedesi del Karolinska Institutet di Solna. Il team di scienziati scandinavi ha scoperto che un centinaio di nuove regioni del genoma umano che si pensava non codificassero sono invece attive. In particolare, alcune di esse (gli pseudo-geni, per l'appunto) potrebbero essere legate all'insorgere e allo sviluppo del cancro. Grazie a un nuovo metodo che fonde insieme tecniche di proteogenomia e bioinformatica, gli scienziati svedesi sono riusciti per la prima volta a individuare alcuni pseudo-geni che producono proteine, il che indica che potrebbero avere una funzione. Molte di queste proteine, inoltre, sono state anche ritrovate all'interno di cellule cancerose. Il secondo studio, invece, è merito del team coordinato da Etka Khurana, dell'università americana di Yale ed è stato pubblicato sulla rivista Science qualche settimana fa. Un progetto al quale ha partecipato anche l'italiana Vincenza Colonna, dell'Istituto di genetica e biofisica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Napoli e del britannico Wellcome Trust Sanger Institute. Il pool di ricerca si è basato sui dati pubblici forniti dal progetto '1000 Genomi', che raccoglie il Dna di oltre mille persone, e li ha analizzati con un software appositamente progettato. ''A differenza di quanto si fosse pensato fino ad oggi, abbiamo scoperto regioni a bassa o assente variabilità genetica anche in questa porzione di Dna e le abbiamo chiamate regioni ultrasensibili - ha detto la dottoressa Colonna - E' in esse che siamo andati a caccia delle mutazioni ed abbiamo scoperto che le basi del Dna, se modificate, causavano gravi alterazioni". Così, applicando la stessa tecnica al Dna di 90 tumori che colpiscono seno, cervello e prostata sono state scoperte quasi 100 varianti genetiche potenzialmente responsabili di forme tumorali proprio nelle regioni non codificanti. Una scoperta rivoluzionaria visto che, questa procedura, potrebbe essere utilizzata per trovare molte altre varianti che causano tumori e altri tipi di malattie. A questo punto resta da capire se questi geni del 'Dna spazzatura' siano effettivamente responsabili di forme cancerose e di altre patologie. Per ora la compatibilità c'è tutta ma ulteriori test chiariranno il quadro, aprendo o meno un nuovo fondamentale fronte nella infinita lotta contro il cancro. A suscitare clamore, però, è soprattutto il protagonista di entrambe le ricerche: il 'Dna spazzatura'. Si è sempre pensato che la quasi totalità del patrimonio genetico umano non codificasse alcuna proteina. Questo ha portato gli scienziati, per molti anni, alla conclusione che il Dna non codificante non avesse alcun ruolo nei processi genetici. Almeno fino a qualche anno fa. Perché, grazie al consorzio internazionale Encode (Encyclopedia of Dna Elements) si è potuto scoprire che, al contrario, il 'Dna spazzatura' è un vero e proprio regista del codice genetico umano. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature nel 2007, ha infatti assegnato una funzione ad almeno l'80% dell'intero genoma, imprimendo un deciso cambio di rotta alla ricerca. ll progetto Encode, in particolare, mettendo a disposizione dell'intera comunità scientifica le sequenze di 1.640 genomi, completate con le informazioni relative alle numerose strutture molecolari associate, ha permesso una mappatura quasi completa del genoma umano da mettere a disposizione dei ricercatori, per aiutarli nella comprensione delle complesse interazioni in gioco tra i numerosi elementi del sistema. ____________________________________________________________ Le Scienze 20 Nov. ’13 IL BATTERIO CHE INVENTÒ L'EVOLUZIONE "ANACRONISTICA" Il batterio Acinetobacter baylyi è in grado di inglobare nel proprio genoma frammenti di DNA degradati dispersi nell'ambiente, anche appartenuti ad organismi vissuti decine di migliaia di anni fa, come il mammut. La scoperta svela un nuovo meccanismo di evoluzione dei batteri, dimostrando inoltre la possibilità di un incredibile salto temporale nel trasferimento dell'informazione genetica da un organismo a un altro, secondo un processo battezzato "evoluzione anacronistica”.(red) Che fine fa il DNA degli organismi dopo la loro morte? Viene degradato e disperso nell'ambiente, ma i suoi frammenti possono resistere fino a un milione di anni ed essere addirittura inglobati nel genoma di alcune specie di batteri, come hanno scoperto Søren Overballe-Petersen dell'Università di Copenhagen e colleghi di un'ampia collaborazione internazionale, che ne riferiscono sui "Proceedings of the National Academy of Sciences". La materia organica, decomponendosi, disperde continuamente materiale genetico nell'ambiente. La degradazione del DNA nucleare inizia con la morte cellulare e si deve all'azione congiunta di enzimi noti come nucleasi e successivamente dei microbi che si nutrono di materia organica. Allo stesso modo, il DNA extracellulare viene degradato da processi fisici, chimici e biochimici, i più importantidei quali sono l'idrolisi e l'ossidazione. La degradazione della catena molecola di DNA procede assai rapidamente, ed è per questo che non ci si aspetterebbe che i frammenti, che raramente superano la lunghezza di 100 coppie di basi, possano resistere una volta dispersi. Invece, possono sopravvivere per migliaia di anni, e addirittura fino a un milione di anni in condizioni di conservazione ottimali. Il DNA frammentato o chimicamente danneggiato è un'importante fonte di nutrimento per i microbi, ma finora non erano emerse indicazioni che contribuisse all'evoluzione del genoma batterico. In questo studio, Overballe-Petersen e colleghi hanno testato l'ipotesi che i batteri possano acquisire questo DNA degradato, anche di antica origine, mediante trasferimento genico orizzontale, un processo grazie al quale le cellule batteriche integrano nel proprio genoma DNA che si trova libero nell'ambiente. Questo processo finora è stato documentato sperimentalmente solo per sequenze nucleotidiche molto lunghe o per interi geni. La sperimentazione in laboratorio ha dimostrato che ciò può effettivamente avvenire: il batterio della specie Acinetobacter baylyi, un organismo modello molto utilizzato nelle ricerche di microbiologia, è in grado di acquisire corti frammenti di DNA – anche di meno di 20 coppie di basi - e persino derivati da ossa di mammut di 43.000 anni fa. Queste evidenze sperimentali hanno portato i ricercatori a enunciare due nuovi principi biologici generali: il primo è che la degradazione chimica del DNA non basta a renderlo biologicamente inattivo, e il secondo è che sequenze di DNA disperse nell'ambiente, anche quando sono molto frammentate, possono contribuire all'evoluzione del genoma dei batteri secondo meccanismi finora sconosciuto. La capacità dei batteri di integrare frammenti di DNA anche molto antico introduce infatti un incredibile salto temporale nel trasferimento dell'informazione genetica da un organismo a un altro: Overballe-Petersen e colleghi hanno battezzato questo nuovo fenomeno “evoluzione anacronistica”. La limitata lunghezza dei frammenti genetici integrabili dai batteri ha notevoli conseguenze, studiate dagli autori con simulazioni al computer. La prima conseguenza è che i geni batterici che ospitano i frammenti acquisiti possono perdere la loro funzionalità, cosa che invece non succede se vengono acquisiti interi geni, che anzi ampliano il pool di proteine che il batterio è in grado di sintetizzare. Con nuovi frammenti, il genoma batterico nel suo complesso tenderebbe quindi a diminuire la sua funzionalità invece che ad aumentarla. Una seconda conseguenza è che quando il processo riguarda batteri patogeni per l'uomo, l'acquisizione di frammenti di DNA potrebbe far emergere ceppi resistenti agli antibiotici, un problema di enorme rilevanza in tutto il mondo. ____________________________________________________________ Le Scienze 23 Nov. ’13 LA PARTE INDISPENSABILE DEL CROMOSOMA Y Uno studio su topi ha mostrato che con le tecniche di fecondazione artificiale è possibile fecondare una cellula uovo anche trasferendo al suo interno solamente due geni del cromosoma Y. Questo fecondazione minima ha portato alla nascita di piccoli vitali, sebbene in una percentuale minore rispetto a quella osservata con una fecondazione normale Due soli geni possono sostituire l'intero cromosoma Y, permettendo di generare uno spermatozoo immaturo ma in grado di fecondare con successo una cellula uovo e dare origine a una prole vitale. In geni in questione sono SRY, che codifica per il fattore di determinazione del testicolo (la proteina che provvede a trasformare le gonadi in testicoli invece che in ovai), e Eif2s3y, che codifica per il fattore di proliferazione degli spermatogoni. Come sottolineano gli autori dello studio pubblicato su “Science”, questa scoperta, ottenuta grazie a esperimenti su topi, non ha implicazioni dirette e immediate sulle possibilità di intervento nei problemi relativi alla fertilità umana, ma inizia a fare luce sui requisiti genetici minimi necessari al mantenimento di una normale funzionalità degli spermatozoi. Per la loro ricerca, Yasuhiro Yamauchi e colleghi dell'Università delle Hawaii a Honolulu hanno prima creato un gruppo di topi maschi geneticamente modificati, nei quali il cromosoma Y era stato “amputato” portandone le dimensioni dalle normali 78 megabasi a sole due megabasi circa, e con i due soli geni SRY e Eif2s3y. Questi topi sono sterili perché le cellule germinali che devono svilupparsi in spermatozoi fermano il proprio processo di maturazione in una fase precoce, e generano spermatozoi immaturi, incapaci di portare a termine la fecondazione. Ricorrendo alle tecniche della riproduzione assistita, i ricercatori sono stati in grado di identificare alcuni spermatozoi immaturi ma sufficientemente vitali, dai quali hanno estratto il materiale genetico necessario alla fecondazione artificiale, che per quanto riguarda il cromosoma Y era costituito da frammenti portatori di SRY e Eif2s3y. In questo modo, gli autori dello studio sono riusciti a creare differenti varianti di cellula uovo fecondata. In un caso, per esempio, entrambi i geni SRY e Eif2s3y erano inseriti nel solo cromosoma X, in un altro caso uno dei geni era inserito nel cromosoma X, mentre l'altro rimaneva su un più ampio frammento di cromosoma Y iniettato anch'esso nel nucleo dell'ovocita. Al termine di questa procedura, hanno confrontato fra loro i tassi di impianto in utero e di capacità di sviluppo di una gravidanza a buon termine per le diverse metodiche. Fra il 5 e il 10 per cento dei tentativi ha portato alla nascita di piccoli vitali, una percentuale tuttavia decisamente inferiore a quella che si ottiene con una procedura di fecondazione in vitro standard con topi normali, che si attesta attorno al 26 per cento. Provando ad aggiungere un ulteriore frammento di cromosoma Y che codifica per altri tre geni, i ricercatori sono però riusciti a raggiunger una percentuale più soddisfacente, pari al 20 per cento. "Nel topo, la maggior parte dei geni del cromosoma Y sono necessari per la fecondazione normale", spiega Monika A. Ward, che ha partecipato alla ricerca. "Tuttavia, con la riproduzione assistita il contributo cromosoma Y può essere portato al minimo indispensabile.” ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 Nov. ’13 VIAGRA: TRE MILIARDI DI PILLOLE, 51 milioni di testimonial MILANO Tre miliardi di pillole consumate in 15 anni, e 51 milioni di uomini che in tutto il mondo lo hanno usato almeno una volta nella vita: sono questi alcuni dei numeri che raccontano la storia del sildenafil citrato, meglio noto come Viagra, che compie 15 anni dal suo arrivo sul mercato. Una ricorrenza che quest'anno l'azienda produttrice celebra con il lancio sul mercato, dal prossimo 18 novembre, di una nuova formulazione, che agisce più velocemente. Il principio attivo è sempre lo stesso, ma a differenza della pillola blu classica, questa nuova si scioglie in bocca in pochi secondi, iniziando a fare effetto entro 12 minuti. «La nuova forma farmaceutica - spiega Francesco Scaglione, direttore della Scuola di Specializzazione di Farmacologia Clinica dell'Università di Milano - viene assorbita nella mucosa orale, e fa effetto prima, dai 10 ai 15 minuti, contro i 30 minuti della pasticca classica». In Italia, aggiunge Giorgio Franco, presidente della Società Italiana di Andrologia, «ci sono 3,2 milioni di persone che soffrono di disfunzione erettile, e l'introduzione del sildenafil sul mercato ha rappresentato un grande cambiamento culturale, al punto che il termine rivoluzione appare assolutamente appropriato. Oggi - rileva - il paziente è più incline a parlarne con lo specialista, e anche il medico di base, e la disfunzione erettile non è più vista come un tabu. Tanto che urologi e andrologi, grazie al Viagra, hanno visto aumentare il numero dei loro pazienti in questi anni». Certo, avverte, Scaglione, «bisogna stare attenti a internet, ed evitare di acquistarvi farmaci, proprio come il Viagra. Non c'è infatti - precisa - alcuna garanzia di controllo e qualità e ci sono capitati diversi casi di intossicazione da metalli pesanti proprio in chi lo aveva comprato sul web. Purtroppo molti, erroneamente, credono di comprare su internet il generico, ma è solo una bufala». A livello di consumi la pillola blu non conosce crisi. Nel mondo ogni secondo vengono consumate 6 pillole e l'Italia si pone al secondo posto in Europa per consumo, dopo l'Inghilterra, con oltre 86 milioni di compresse vendute in 15 anni. Solo nel 2013 sono state acquistate oltre 6 milioni di compresse, 12 al minuto, con una media di quasi una pillola blu ogni due maschi italiani over40. La Lombardia, con buona pace del celodurismo leghista, è la prima regione italiana per consumo di Viagra, con oltre un milione di compresse acquistate nel 2013. La prima regione per consumo pro-capite, nell'anno in corso, è invece l'Emilia-Romagna (588 compresse ogni mille over 40), seguita da Toscana (563) e Liguria (546). Quella dove se ne consuma meno è la Basilicata (230 pillole). Roma invece detiene il primato per il maggior numero di compresse vendute nel 2013, oltre 570 mila, mentre le città dove si registra il maggior consumo pro capite sono Piacenza, Rimini e Livorno. In coda alla classifica, le città meridionali, con consumi decisamente inferiori alla media. ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 Nov. ’13 VIAGRA, L'OGLIASTRA CHE RESISTE Ivo Deiana, primario di urologia: «Non sono supereroi, prevale il senso del pudore» La baby provincia ultima nella classifica dei consumi VEDI LA FOTO LANUSEI Di blu in Ogliastra c'è solo il mare. Il viagra, la pillola color cielo che aiuta a combattere la disfunzione erettile, a quindici anni dalla prima prescrizione, non ha conquistato la provincia più piccola dell'Isola, che nella classifica dei consumi è all'ultimo posto in Italia. Attenzione, però, a creare falsi miti. Il fatto che gli ogliastrini non acquistino il farmaco che garantisce prestazioni sessuali impeccabili non significa che non ne abbiano bisogno. «L'uomo ogliastrino non è un supereroe», assicura Ivo Deiana, responsabile dell'ambulatorio di patologia urologica dell'ospedale Nostra Signora della Mercede di Lanusei. Molto più facile che gli uomini da queste parti preferiscano fare shopping in trasferta: andando a fare visita alle farmacie del Sarrabus o del Cagliaritano per non correre il rischio di incontrare il proprio vicino di casa o la collega di scrivania. «Numericamente siamo un piccolo quartiere di una grande città, trovo legittimo che da parte dei pazienti ci sia un po' di pudore». Anche perché le cartelle cliniche non mentono. «I dati dei pazienti sono nella media nazionale. A provocare la disfunzione possono essere cause organiche o psicogene. Per quanto riguarda quelle organiche a incidere più delle altre sono malattie come il diabete o l'intervento per il tumore alla prostata. L'Ogliastra rientra nella media in tutti i parametri. Il viagra è un farmaco che viene prescritto con una certa frequenza anche a maschi molto giovani. E poi, c'è da dire che salvo casi di patologie specifiche, per le quali è necessario l'intervento dell'urologo, i pazienti preferiscono rivolgersi al medico di famiglia. A meno che non si tratti di una donna». Dietro la sospetta riluttanza degli ogliastrini ad acquistare la pillola blu, dunque, ci sarebbe solo un briciolo di sacrosanta vergogna. I dati sui consumi dei primi quindici anni di commercializzazione del farmaco sono stati illustrati ieri mattina a Milano, in occasione di un convegno sulla disfunzione erettile. Il viagra, tuttavia, non è l'unico farmaco disponibile in commercio per combattere la disfunzione erettile, tra gli scaffali delle farmacie ne compaiono sempre di nuovi, l'alternativa più conosciuta ha il nome di Cialis. Una scatola di viagra (la prescrizione si fa su ricetta bianca salvo rari casi di patologie riconosciute dal sistema sanitario nazionale) costa circa 68 euro. A sentire il presidente provinciale dell'ordine dei farmacisti, Cesare Garau, il problema non si pone: «Molti preferiscono acquistare il farmaco generico per risparmiare». Insomma, per una volta il fatto che da queste parti i consumi siano al di sotto della media non sembra da attribuire alla crisi economica. L'unico prezzo troppo alto da pagare per i pochi abitanti d'Ogliastra sarebbe quello di dover arrossire in una delle venti farmacie della provincia. Meglio una trasferta. Mariella Careddu ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 13 Nov. ’13 MOBBING, SOTTO ACCUSA IL PRIMARIO DE LISA Nel processo per mobbing contro il primario di Urologia dell'ospedale del Santissima Trinità, Antonello De Lisa, la Asl e l'Università di Cagliari sono chiamati in causa come responsabili civili. Lo ha deciso ieri il Tribunale nella prima udienza a carico docente universitario. L'inchiesta era nata dall'esposto presentato dall'urologo Paolo Usai, ricercatore in servizio al Santissima Trinità. Dal 2004 - secondo la versione fornita da Usai, tutelato dall'avvocato Andrea Pogliani - De Lisa lo avrebbe apostrofato in malo modo, arrivando a colpirlo con testate e pugni. Presunte vessazioni che cessarono nel 2008. A partire da quell'anno però il professore lo avrebbe emarginato, impedendogli di mettere piede in sala operatoria se non per interventi di poco conto. Poi, nel luglio di tre anni fa, De Lisa avrebbe d'improvviso incaricato Usai di operare da solo un paziente in condizioni critiche, tanto che lui ebbe un crollo emotivo. L'urologo - difeso dagli avvocati Luigi e Pierluigi Concas - dovrà ricomparire in Tribunale il 21 gennaio per l'avvio del dibattimento. ____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 13 Nov. ’13 ASL 8 E ATENEO IN GIUDIZIO NEL PROCESSO ALL’UROLOGO CAGLIARI Gomitate, testate e insulti in sala operatoria a colleghi e infermieri durante gli interventi chirurgici: l’Asl 8 e l’Università di Cagliari sono responsabili civili nel processo al direttore della clinica urologica del Santissima trinità Antonello De Lisa (57 anni), accusato di maltrattamenti aggravati - per fatti avvenuti tra il 2005 e il 2011 - nei confronti del collega Paolo Usai, dei medici specializzandi Sara Gentile, Michele Scarpa, Gianluca Puggioni, Daniela Porcu, Francesca Portoghese, Francesco Floris e Gianfranco Muntoni e degli infermieri Massimo Serra, Pietrina Obinu, Anna Maria Porcedda, Ernesto Marongiu e Stefano Ortu. Ieri l’udienza davanti al giudice Francesco Alterio è durata solo il tempo di chiamare nel giudizio i due enti, poi l’aggiornamento al 21 gennaio. Il capo d’imputazione è un compendio di insulti, secondo le denunce presentate dall’avvocato Andrea Pogliani per Usai sono quelli che il direttore di urologia, difeso da Luigi e Pierluigi Concas, pronunciava mentre operava. ____________________________________________________________ Corriere della Sera 24 Nov. ’13 ANCHE GRANDI TUMORI «NASCOSTI» ORA SONO OPERABILI Un tumore inoperabile è una realtà dura da accettare. Recentemente tuttavia, per 10 pazienti, quella diagnosi è cambiata, grazie a una nuova tecnica messa a punto all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano dall’équipe di Vincenzo Mazzaferro, direttore della Struttura complessa di chirurgia dell’apparato digerente e trapianto di fegato. La procedura, descritta nei dettagli sulle pagine della rivista specializzata Surgery, ha salvato nove di loro (uno è deceduto tre anni dopo l’intervento per una metastasi al polmone). «In termini statistici, significa che persone che avevano il 100 per cento delle probabilità di morire entro breve tempo hanno invece, cinque anni dopo, l’83 per cento delle probabilità di vivere» spiega Mazzaferro. I malati operati a Milano avevano tumori di grandi dimensioni nella parte posteriore del fegato, ed erano tutti stati giudicati inoperabili in altri Centri. «Quella posizione, infatti, è particolarmente critica, perché con la tecnica chirurgica tradizionale c’è un rischio elevato che si verifichino emorragie molto difficili da controllare — dice il chirurgo —. Noi abbiamo indicato una via nuova, che permette di accedere alla sede del tumore e asportarlo, proteggendo allo stesso tempo la vena cava inferiore», il grosso vaso attraverso cui passano 2-3 litri di sangue al minuto, che corre posteriormente all’organo, diramandosi poi al suo interno. Tecnicamente, l’intervento prevede in un primo tempo la separazione dei lobi destro e sinistro del fegato; poi si applica una fettuccia che protegge la vena cava e al tempo stesso espone la zona su cui si deve intervenire, consentendo ai medici di individuare con precisione il piano di sezione. «Asportiamo in blocco il tumore assieme alla parte destra del fegato; — continua Mazzaferro — in questo modo il territorio di sicurezza attorno al tessuto tumorale è abbastanza ampio da consentirci di minimizzare il rischio che la malattia si ripresenti in seguito». L’operazione dura in media sette ore e può aver bisogno della circolazione extracorporea (praticata in tre dei 10 casi descritti su Surgery ), mentre in altri pazienti è sufficiente chiudere la vena cava per il tempo necessario a intervenire. Quando anche questo vaso è colpito dal tumore, è necessario eliminare la parte danneggiata e ricostruirla, avvalendosi di materiale biologico prelevato dallo stesso paziente, oppure di protesi in politetrafluoroetilene (teflon). «La procedura richiede un grande sforzo tecnico e per questo è stata finora utilizzata solo in presenza di particolari caratteristiche, che indicavano che l’esito poteva essere favorevole» riprende Mazzaferro. In particolare, hanno potuto sottoporsi all’intervento pazienti che erano in buone condizioni fisiche nonostante la malattia, che non avevano metastasi, e nei quali la probabilità che il tumore si diffondesse ad altre sedi erano molto ridotte. «In futuro, con l’affinamento della tecnica, non escludiamo di poter operare anche in condizioni meno stringenti, ampliando quindi il numero dei possibili beneficiari — conclude Mazzaferro —. Già ora, comunque, altri gruppi stanno iniziando a usare il nostro metodo, negli Stati Uniti e in Giappone». Margherita Fronte