MA IN ITALIA SI INSEGUE IL BARONE MANCANTE - RIFORMA: NOI "BARONI” AVREMO PIÙ POTERE DI PRIMA - RIFORMA SCUOLA, DOSSIER DI DIFESA - GLI STUDENTI: DOCENTI, BLOCCATE LE LEZIONI - «DA DESTRA E DA SINISTRA L' UNIVERSITÀ VIENE USATA» - GUERZONI: I 12 APOSTOLI DELLA MORATTI - FONDI PRO SCUOLE PRIVATE - RIFORMA MORATTI, LA CGIL ACCUSA: «PRESSIONI SUI DIRIGENTI SCOLASTICI» - SCIENZE, COLPO DI SCURE SUI CORSI - «LA RICERCA? IGNORATA DALLA FINANZIARIA» - PASSWORD A PROVA DI EFRAZIONE - L'OPERAZIONE FOTONE SICURO - VECCHIA ENCICLOPEDIA, ADDIO LE RICERCHE SI FANNO SUL WEB - CRESCE IN INTERNET IL LIBERO POPOLO DEI WIKI - EINSTEIN, DARWIN E LE E-MAIL - EQUAZIONI IMPOSSIBILI - SCIENZIATI CON TANTI PROBLEMI - SCIENZE: OLTRE 2MILA ISCRITTI E UNA VALANGA DI MATRICOLE - UNIVERSITARI, È GIÀ CAMPAGNA ELETTORALE - ======================================================= CLINICA OTORINO: PROTO IL NUOVO DIRETTORE - CAMBIO AL VERTICE DI MEDICINA LEGALE: DE STEFANO A GENOVA - POLICLINICO, LA DOMENICA L'AUTOBUS NON ARRIVA - USA, LE VITTIME DELLA POVERTÀ - ODONTOIATRI, LA LEGGE CAMBIA L'ACCESSO - BISTURI E OSPEDALI A TRE STELLE - L'INFERMIERE "RESPONSABILE" - CHIRURGIA: ALLUNGARE IL PENE NON SERVE - PIASTRINE ALLEATE DELL’EPATITIE B E C - CIBI CRUDI? UNA MODA RISCHIOSA - QUEI PROIETTILI CHE CURANO - GOL DI TESTA? I CANNONIERI RISCHIANO L’ALZHEIMER - EBF-1 E LA SCLEROSI MULTIPLA - MEZZO MILIONE DI ITALIANI HA IL GENE DELLA DISLESSIA - I PIÙ LONGEVI? GIAPPONESI, SARDI E CALIFORNIANI - ANCHE DOPO UN CANCRO AL TESTICOLO SI PUÒ DIVENTARE PAPÀ: 7 VOLTE SU 10 - DALLE SPUGNE ALL'UOMO, UN'ALLEANZA ANTICANCRO - BRIOSTATINA PER CONSOLIDARE LA MEMORIA - NANOBARRETTE D'ORO PER LA DIAGNOSTICA MEDICA - TUMORE COLLO DELL' UTERO VACCINO PER LE RAGAZZINE - ======================================================= ______________________________________________________ Repubblica 3 nov. ’05 RIFORMA: NOI "BARONI” AVREMO PIÙ POTERE DI PRIMA Un gruppo di professori delle Università Italiane DAL momento che ci rifiutiamo di credere che un Ministro possa dichiarare il "falso", pensiamo sia stata male informata dai suoi consiglieri su un presunto punto qualità della Sua legge che investe una dimensione per cosi dire morale (l'etica per noi Pedagogisti è un'opzione di vita) più che politico- istituzionale. Alla stampa e in televisione il Ministro Moratti ha dichiarato che questa Legge toglie il potere ai cattedratici introducendo una ventata di democrazia all'interno delle stanze accademiche. Qui sta la "bugia". L'ispirazione gerarchica della Legge attribuisce, invece, a noi "baroni", dal Ministro esecrati, un potere assoluto. Questo perché in una Università "precarizzata" (contro la quale molti cattedratici si sono battuti) diventa impraticabile la pluralità e la pariteticità delle diverse figure di docenza che in essa operano. La vistosa logica verticalistica con cui il Ministro ha ridisegnato la ricerca (consegnata ai privati) e i corsi di laurea (consegnati alla domanda del mercato) allontanerà per sempre l'Università italiana dalla comunità scientifica internazionale. I "baroni": Franco Frabboni (Bologna), Luigi Guerra (Bologna), Massimo Balda-ci (Urbino), Franco Cambi (Firenze), Marco Dallari (Trento), Dueeio Demetrio (Milano - Bicocca), Farzrzy Giambalvo (Palermo), Alberto Granese (Cagliari), Lucio Guasti (Cattolica, Sede ; Fi Piuc: rrza), Umberto Margiotta (Venezia), Nicola Paparella, (Lecce), Franca Pinto Minerva, (Foggia), Virzeerzzo 5arraeirzo (IVapoli, Sede di Caserta), Giuseppe Trebisacce (Calabria), Benedetto Verrecchi (Roma Tre) ______________________________________________________ LA STAMPA 4 nov. ’05 MA IN ITALIA SI INSEGUE IL BARONE MANCANTE E l'eros univers1tario non è frizzante perché devi pensare a fare il portaborse Giuseppe Culicchia In Italia, è bene chiarirlo subito, la vita universitaria è un'altra cosa, rispetto a quella dei campus americani raccontati da Toni Wolfe. A partire dal fatto che ormai, insieme con gli studenti, protestano contro il ministro dell'Istruzione anche i professori. Non a caso, chi dopo la laurea può permetterselo spesso va notoriamente a fare ricerca all'estero, magari proprio negli Stati Uniti. Non solo per via dei bei prati tagliati all'inglese, ma anche perché da quelle parti in luogo del nepotismo vige la famosa meritocrazia, e i laboratori funzionano. Alla pari, per dire, delle biblioteche: mentre chiunque abbia frequentato un ateneo italiano sa bene come da noi, quando uno studente è alla ricerca di un testo d'esame in teoria reperibilissimo, le cose spesso e volentieri si complichino. Ammesso che la biblioteca sia aperta, non di rado il testo l'ha preso in prestito il professore, e chissà quando lo restituirà. Lasciando da parte gli orari d apertura delle segreterie, in genere surreali, restano leggendari gli aneddoti riguardanti le sessioni d'esame e gli orari di ricevimento dei docenti. Ai quali certi titolari di cattedra si sottraggono volentieri senza avviso alcuno, di modo che chi arriva in facoltà convinto di sostenere un esame o poter parlare della sua tesi si ritrova a passare inutilmente ore e ore di fronte alla tale aula o al tale ufficio in attesa del barone mancante, più che rampante. Com'è ampiamente noto, poi, chi non si trasforma da laureando in portaborse ha scarse, scarsissime chance di proseguire la carriera universitaria. Fermo restando che talvolta limitarsi a portare le borse può anche non bastare. Chi ha avuto la ventura di essere invitato a cena a casa di certi professori universitari, sa che non è infrequente trovarsi davanti a laureandi o laureati in attesa di concorso che badano alle faccende domestiche del loro signori e padroni, facendo la spesa, cucinando, preparando tavola e lavando i piatti. Anche per questo, forse, il sesso tra studenti è per forza di cose un po' meno frizzante rispetto a quanto accade negli Stati Uniti: non tanto perché l'università italiana non disponga di dormitori o alloggi altrettanto ameni di quelli esistenti nei campus d'oltreoceano, ma perché risulta obiettivamente difficile pensare a certe cose quando la vita quotidiana richiede tali extra oltre al normale carico di studi. Per tacere del capitolo studenti lavoratori, che forse meriterebbe un'indagine apposita. Spiegare razionalmente l'accanimento con cui i titolari di certe cattedre perseguono chi è costretto a pagarsi gli studi, creando apposti percorsi a ostacoli volti a scoraggiare anche i più volenterosi, non è facile. C'è perfino chi in sede d'esame pretende che lo studente firmi in prima pagina i testi su cui si è preparato, e li esibisca cosi fumati insieme con il libretto. Guai a passarsi i libri per risparmiare, specie se chi li ha scritti è il professore. Che non vuole certo rimetterci in diritti d'autore. E dunque: se da un lato è vero che per molti studenti l'università è un parcheggio, e in questi anni si è fatto lezione in strada per protesta contro il fatto di doverla fare al cinema, stante la cronica mancanza d'aule a fronte dell'enorme numero di iscritti, dall'altro è anche vero che se si facesse un giro per gli atenei italiani, Toni Wolfe rimarrebbe sicuramente... colpito, ecco, dal «funzionamento» delle nostre università. _______________________________________________________________ Italia Oggi 4 nov. ’05 RIFORMA SCUOLA, DOSSIER DI DIFESA Un dossier contro ´le leggende metropolitane' relative alla riforma della scuola e contro le ´bugie' diffuse soprattutto via internet. Il ministro dell'istruzione, Letizia Moratti, ieri ha preso carta e penna e ha inviato a tutti i giornali una ricca documentazione sugli anticipi delle iscrizioni, il piano di studi, l'alternanza scuola-lavoro, l'obbligo scolastico, il tutor, il portfolio delle competenze, sull'autonomia scolastica e la gestione del personale. Si parte dal decreto n. 59/2004, che attua la legge n. 53/2003 per quanto riguarda il tutor. ´Non è un docente gerarchicamente superiore, è una funzione dell'insegnamento'. E poi: un taglio di 100 mila posti nella scuola, tra leggi finanziarie e decreti attuativi? Falso, le riduzioni previste dovevano essere di 8.936 posti nel 2002-2003, 12.651 nel 2003-2004 e 12.260 nel 2004- 2005. ´In effetti, le riduzioni effettive sono state di 6.878 posti nel 2002- 2003, 10.338 nel 2003-2004 e sono ancora in corso di verifica quelle relative al 2004-2005. Le economie realizzate, pari a 571,80 milioni di euro', assicurano a viale Trastevere, ´sono state tutte destinate alla valorizzazione professionale degli insegnanti'. Sull'alternanza scuola-lavoro si puntualizza che la sua concreta attuazione non prescinde da accordi con le regioni e sul diritto-dovere all'istruzione e alla formazione si fa notare che equivale all'obbligo di studio per 12 anni. Quanto alle polemiche relative al decreto sul secondo ciclo, il ministero sottolinea come gli adempimenti relativi agli aspetti organizzativo-gestionali avverranno ´attraverso un confronto con le regioni e le autonomie locali in sede di conferenza unificata'. Sulle risorse per l'attuazione della riforma, la Moratti sostiene che ´le fonti di finanziamento sono molteplici e non si legano al solo piano programmatico´.Dura replica di Enrico Panini, segretario Cgil scuola, che parla di una ´missione consenso' del Miur ´impossibile perché contrasta sia con i fatti sia con l'esperienza concreta di milioni di cittadini'. _______________________________________________________________ Corriere della Sera 1 nov. ’05 GLI STUDENTI: DOCENTI, BLOCCATE LE LEZIONI Statale occupata. «Cercheremo di coinvolgere anche le altre università» Si continua a tempo indeterminato. Anche quando le lezioni riprenderanno, anche quando la Statale tornerà a brulicare - a partire da domani - di matricole, laureandi, fuoricorso, professori, dottorandi, assistenti. «L' occupazione dell' università procede senza scadenza - dicono i portavoce "dell' assemblea unitaria" degli studenti - e andrà avanti finché non prenderemo una decisione diversa». Ci tengono a farsi vedere compatti i ragazzi che da venerdì pomeriggio si sono presi il piano terra della sede storica di via Festa del Perdono. «Siamo gruppi diversi ma con un unico obiettivo: contrastare la riforma Moratti». Anzi, per confermare questa comunione di intenti ieri è nato il «comitato della stampa» che - dicono gli occupanti - «vuole essere l' unico organo di riferimento per i media». Oggi, dunque, ancora assemblee e incontri, ma il grosso della protesta è previsto per domani, quando gli studenti (dopo un dibattito sulle politiche economiche) sfileranno in corteo tra le aule e cercheranno di convincere i docenti a sostenere la loro battaglia e a interrompere la lezione. «Cari professori e ricercatori, ora tocca a voi», diranno. Lo hanno ribadito in una lettera inviata a tutto il personale docente dell' ateneo e lo hanno fatto ieri, nelle poche classi in cui si andava avanti con il programma, nonostante il ponte di Ognissanti. «Da domani - continuano i ragazzi - cercheremo di coinvolgere anche gli iscritti delle altre università: domattina andremo a fare volantinaggio in tutti gli atenei di Milano spiegando le nostre ragioni». Per ora il bilancio di quattro giorni di occupazione è di zero danni e di un' accusa che arriva direttamente dal rettore dell' ateneo, Enrico Decleva: «Questa protesta - aveva precisato il rettore - costituisce un' evidente illegalità alla quale va posto termine al più presto». Parole cui i ragazzi replicano: «L' illegalità è legittima quando c' è rivendicazione di diritti». E a chi li accusava di scarsa verve politica nell' organizzare una protesta durante i giorni di festa, gli studenti rispondono: «Abbiamo occupato l' Università durante il ponte di Ognissanti non per bivaccare o perché non avevamo nulla da fare. Anzi, molti di noi lavorano e hanno preso giorni di permesso per poter partecipare alle assemblee organizzate». Resta da decidere quando si terrà l' assemblea plenaria - probabilmente giovedì - in cui i contestatori inviteranno insegnanti, precari e ordinari, a prendere la parola. Dalla Statale occupata avvertono: «Stiamo raccogliendo le adesioni». Annachiara Sacchi E la bandiera sovietica spunta nell' aula A Una bandiera rossa, con la falce e il martello dell' Unione Sovietica, campeggia nell' aula A che ospita l' ufficio stampa della Statale in questi giorni di occupazione. «Ma - precisano gli studenti-giornalisti - non l' abbiamo appesa noi. Questo spazio è storicamente gestito dai gruppi di sinistra dell' università: all' inizio dell' anno, ne fanno richiesta ufficiale alla direzione dell' ateneo» Sacchi Annachiara _______________________________________________________________ Corriere della Sera 1 nov. ’05 «DA DESTRA E DA SINISTRA L' UNIVERSITÀ VIENE USATA» Decleva: qualcuno approfitta delle occupazioni Milano, il rettore della Statale: è una questione di libertà MILANO - «Vede, temo che qualcuno ci stia marciando, con la faccenda dei cortei e delle occupazioni». Chi, professore? «Mah, una parte della sinistra che vuole creare imbarazzi alla parte riformista, la destra che sta a guardare perché può far comodo l' università ridotta a un porto franco, la dimostrazione che si è incapaci di governare la transizione...». Enrico Decleva, 64 anni, storico, da cinque anni alla guida della Statale di Milano, riflette in rettorato mentre mentre poco oltre, dall' altra parte del cortile del Filarete, gli okkupanti dissertano su «legalità e il-legalità» con tanto di trattino heideggeriano, mica per niente stanno a filosofia. Un documento del Senato accademico le chiede «ogni azione opportuna» per riportare legalità. Che farà? Si paventava un intervento della polizia... «L' essenziale del documento è l' appello a tutte le forze politiche perché non stiano a guardare, siano al servizio dell' università anziché usarla. Qui da noi, per dire, abbiamo 2500 professori, 65 mila studenti e quattro aule occupate a Filosofia, più una a Giurisprudenza. In sé è una sciocchezza, però è in gioco la libertà. Nessuno vuole soluzioni traumatiche, ma si deve dire che questo è intollerabile». In che senso? «Poche decine di studenti occupano senza motivazioni. La gran parte dei ragazzi non li segue. Contro chi lo fanno? Contro la Moratti che sta a Roma? Non è ammissibile dire di voler difendere l' università pubblica da chissà quali attacchi e incominciare a colpire gli atenei, i professori, gli studenti. Ma si può?». Il filosofo Giulio Giorello ricordava ironico «il vecchio Lenin», l' estremismo come «malattia infantile»... «Chiaro. E tutti a dire quant' è folkloristico, a fare gli amarcord del ' 68! Ma ce lo ricordiamo, è questo che si vuole? Si tende a enfatizzare pure le cose minime come si fosse tornati indietro di trent' anni, diventa fondamentale il modo in cui si manifesta e non siamo capaci di entrare nel merito delle questioni: meglio imbarbarirle a colpi di slogan». Ma il mondo accademico non si è comportato da corporazione? Possibile che ogni riforma vada a sbattere contro un «no»? «Anche qui ci sono aspetti veri e altri gonfiati. Un buon riformismo presuppone buoni riformisti. È chiaro che ci siano resistenze al cambiamento, ma si tratta di vedere se il cambiamento è ragionevole. La proposta originaria di modifica dello stato giuridico dei docenti era irragionevole perché non c' era un centesimo a sostenerla. Poi è arrivato in Parlamento un testo tutto sommato innocuo...». Innocuo? E le proteste dei rettori, la contestazione alla Camera? «In parte era programmato che fosse così. Si è esagerato nella personalizzazione. Non parlo da vicepresidente della Conferenza dei rettori, ma come Enrico Decleva: a una lettura attenta, la riforma non meritava tanta agitazione. Che le si imputino chissà quali nequizie mi pare una forzatura, piuttosto si può parlare di riforma mancata, di delusione». Tanto rumore per nulla? «Prenda il caso dei ricercatori con contratto a tempo determinato: se a un ateneo non piace, semplicemente non lo fa, mica è obbligatorio. Possiamo tranquillamente assumerli a tempo indeterminato per altri otto anni: davanti alle difficoltà si è rimandato al 2013, e chi vivrà vedrà. Questa non è una riforma, è un provvedimento ponte». Meglio un' università ingessata, le carriere per anzianità? «Non è del tutto vero. Da noi, negli ultimi cinque anni, il corpo docente si è rinnovato per oltre la metà. C' è tanto lavoro serio e importante negli atenei. Questa è la realtà, non slogan. L' università è decisiva per lo sviluppo del Paese e ha bisogno di regole condivise, di un' azione che vada oltre quell' interpretazione rissosa del bipolarismo che sarà la sua tomba». E la polizia? «Non sono ancora ridotto a pensare che l' unico modo di riportare l' ordine sia la forza. Una certa fiducia nella ragione, nel valore degli argomenti, ce l' ho ancora, nonostante tutto». Gian Guido Vecchi LA RIFORMA Non meritava tanta agitazione, è soltanto una riforma mancata Vecchi Gian Guido _______________________________________________________________ L’Unità 3 nov. ’05 GUERZONI: I 12 APOSTOLI DELLA MORATTI Dagli uffici di Magna Carta, la Fondazione del Presidente Marcello Pera, nei giorni scorsi è stato spedito un mail circolare a numerosi docenti delle nostre università. Tale mail chiede di aderire a un documento steso, un anno fa, da alcuni illustri Accademici (dodici, come gli Apostoli). È già abbastanza sconcertante che qualcuno possa ritenere attuale un documento così datato, come se in questo anno nulla fosse accaduto e nessuno si fosse mosso a proposito delle questioni universitarie. Ciò appare ancora più sconcertante se si considerano da un lato il contenuto del documento, dall'altro gli atteggiamenti dei promotori. Il documento accusava gli oppositori del ministro Moratti di essere solo capaci di dire dei no, o «al massimo di richiedere provvedimenti specifici a favore di questa o quella categoria», mentre «l'Università è giunta a un punto limite» e bisogna «cercare di migliorarla, di riformarla». Ebbene, il Ministro fa approvare una leggina che interviene non sull'università ma solo sul personale, e proprio a favore di specifiche categorie (e a danno delle prospettive delle nuove generazioni di ricercatori); e i dodici tacciono. Quando all'inizio di ottobre il Comitato «Diamo voce alle università» promuove a Milano Bicocca una affollata Conferenza nazionale che formula precise proposte sulle necessarie riforme (altro che «cartello dei no»), i dodici, invitati a esporre le proprie tesi, non partecipano affermando che gli organizzatori hanno sbagliato a cercarli come «Magna Carta», perché essi non sono «Magna Carta» bensì «Universitas»; e allora, la mail di cui si è detto all'inizio? Uno degli Apostoli, Ernesto Galli della Loggia, in una lettera inviata a nome del gruppo ha ora finalmente chiarito che cosa essi, che non sono gente del no, vogliono per l'università italiana. La lettera è indirizzata ai Rettori delle università, finora sbeffeggiati in quanto autori della deprecata «eterna domanda di più fondi», ma ai quali ora si richiede «consiglio, simpatia e se possibile aiuto» per una campagna focalizzata sulla «parola d'ordine dell'abolizione del valore legale del titolo di studio nel quadro di una possibile liberalizzazione e delegificazione del nostro ordinamento universitario». Sul preciso valore legale da dare ai titoli universitari (valore che esiste in quasi tutti i Paesi, in forme molto diversificate) si può ovviamente discutere; ma non è certo questo il primo dei problemi di una «Università giunta al punto limite», e comunque la mera abolizione sarebbe una truffa ai giovani, che hanno diritto a ricevere una formazione superiore degna di questo nome. Si legga, per capire i rischi che si correrebbero, l'inchiesta del Corriere della sera (28 ottobre) sulle università fasulle che si autopromuovono in termini ripetutamente condannati dall'Autorità responsabile della lotta alle pubblicità ingannevoli. Anche il termine di liberalizzazione è molto ambiguo. E' sacrosanto se con esso si intende che le università, intese come istituzioni guidate dai propri organi di autogoverno, devono essere liberate da vincoli burocratici centralistici; è inaccettabile se si intende che ogni microgruppo disciplinare può organizzare Corsi di studio settoriali solo per distinguersi dai colleghi di una disciplina vicina, o peggio che il singolo docente è libero di insegnare quello che gli pare, senza coordinarsi in un progetto curricolare finalizzato alla formazione degli allievi. Va attentamente considerata, al proposito, la critica più frequente alla frammentazione di Corsi di studio, e soprattutto di insegnamenti all'interno dei Corsi, con la quale in alcune situazioni - non in tutte, va detto con fermezza - è stata attuata la riforma didattica del «3+2». Infine, la delegificazione. Si ricordi che proprio le leggi della Repubblica costituiscono, per l'articolo 33 della Costituzione, un limite alla totale autonomia degli Atenei, ma sono anche l'unico limite; negli ultimi anni si è cercato invece di subordinare gli Atenei non alla legge, ma alle direttive del Ministero, e la leggina Moratti teorizza addirittura questa prassi. Ebbene, nel mentre facciamo concrete proposte di rinnovamento degli Atenei noi diciamo dei no (proprio dei no, senza se e senza ma) a queste illegittimità; è molto negativo che altri tacciano sulle illegittimità e tentino invece di accreditare l'idea di una futura università sottratta ad ogni legge (e perciò governata senza remore dai potentati interni). (Università di Modena) Giunio Luzzatto (Università di Genova) Roberto Moscati (Università di Milano Bicocca) _______________________________________________________________ Italia Oggi 4 nov. ’05 FONDI PRO SCUOLE PRIVATE Un totale di 200 mln a chi iscriverà i propri figli Sono le scuole private la nuova frontiera del welfare secondo il centro-destra. Alle famiglie che sceglieranno di iscrivere i loro figli a istituti non pubblici, andranno 150 milioni di euro con la Finanziaria 2006. E altri 50 milioni saranno destinati ai genitori che preferiscono materne e asili nido privati. Mentre per le famiglie con disabili a carico sono in arrivo 100 milioni e altri 100 alimenteranno un fondo per agevolare l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie. Infine, ma non per importanza, 750 milioni saranno distribuiti ai genitori di neonati a partire dal secondo figlio. È stato un vertice della Casa delle libertà (a cui hanno preso parte, tra gli altri, il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi e il ministro dell'economia, Giulio Tremonti) a sbloccare la trattativa sui fondi per la famiglia, che ha rischiato di arrestare il percorso parlamentare della manovra di bilancio per l'anno prossimo. È stata proprio la mediazione del titolare del dicastero di via XX Settembre, che ha accettato il ritorno della cifra del fondo agli originari 1,14 miliardi e ha stanziato altri 500 milioni di euro per gli emendamenti che i partiti del centro-destra dovessero ritenere necessari, a permettere di trovare la quadratura del cerchio. Tremonti, del resto, da sempre favorevole a un bonus di non meno di 200 euro per l'acquisto dei libri di testo da parte degli studenti, per accelerare i tempi di approvazione della manovra, ha riposto nel cassetto la sua idea. La sua buona volontà è stata premiata da un'intesa che, secondo il viceministro dell'economia Giuseppe Vegas, è stata unanime. ´L'accordo nella maggioranza sulla ripartizione del fondo per le famiglie è stato raggiunto all'unanimità', ha sottolineato il numero due del dicastero di via XX settembre. ´Le misure saranno inserite nel maxiemendamento alla manovra di bilancio che il governo presenterà al senato e sul quale sarà posta la questione di fiducia'. Nell'attesa delle norme concrete, comunque, i partiti del centro-destra possono già con soddisfazione fare i conti delle concessioni strappate a palazzo Chigi e al ministero dell'economia. Dei cinquecento milioni di euro aggiuntivi offerti da Tremonti, 250 saranno custoditi da Berlusconi (che ne deciderà l'utilizzo), 50 milioni serviranno per rimpinguare il fondo unico per lo spettacolo (che comunque non supererà i 400 milioni di euro rispetto ai 464 dell'anno precedente) e 200 saranno messi a disposizione per non meglio precisate ´esigenze del territorio evidenziate dai gruppi politici'. Nessuna novità positiva, invece, per gli amministratori di regioni ed enti locali, che per ora non hanno ricevuto dal premier le attese risposte sulla possibilità di tagli meno drastici di quelli previsti dalla Finanziaria. Ragione per cui resta confermata l'iniziativa di protesta del 10 novembre a cui parteciperanno anche i sindacati. La commissione bilancio di palazzo Madama, nel pomeriggio, di ieri, ha ripreso l'esame degli emendamenti e il voto finale del testo da inviare all'aula dovrebbe arrivare oggi. Lunedì, dunque, la manovra sarà in assemblea e mercoledì sarà probabilmente presentato il maxiemendamento con relativo voto di fiducia. _______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 1 nov. ’05 RIFORMA MORATTI, LA CGIL ACCUSA: «PRESSIONI SUI DIRIGENTI SCOLASTICI» IL CASO Denuncia del segretario Carrus OLBIA. Il segretario della Cgil, Michele Carrus, interviene a proposito della riforma scolastica e in particolare sulla questione della figura dei tutor e degli insegnanti prevalenti. «Abbiamo avuto notizia - spiega Carrus - che da qualche tempo i dirigenti scolastici del territorio subiscono pressioni da parte di funzionari dell’amministrazione scolastica per indurli a forzare in qualche modo la volontà degli organi collegiali delle scuole in merito all’applicazione di alcune parti della riforma Moratti. Parti che sono ancora controverse e che riguardano l’istituzione del tutor e dell’insegnate prevalente, come se queste figure debbano essere create obbligatoriamente, e che spetti ai dirigenti scolastici imporli e far applicare ai docenti tali disposizioni». Il segretario della Cgil sostiene che si stia tentando di imporre normative che non sono ancora ben definite «e perciò controverse anche in sede giudiziale e largamente contestate da docenti, personale della scuola, organizzazioni sindacali, genitori e alunni ma anche dalle Regioni e dagli enti locali, dal mondo scientifico e accademico e da quanti hanno a cuore la difesa della pubblica istruzione». Sulla figura del tutor, Carrus ricorda che esiste una trattativa in corso con l’Aran e che è, dunque, scorretto e rischia di risultare illegittimo deliberare su questa materia. Riguardo all’insegnate prevalente, invece, precisa che non esiste alcun obbligo di adottare la prevalenza oraria, né di adottarla con 18 ore di insegnamento in una stessa classe («non è contemplato neppure dal decreto legislativo 59/04»). «Ogni scuola - spiega ancora - come già sperimentato prima della legge 53 può adottare in regime di autonomia e in coerenza con il Piano dell’offerta formativa (Pof) varie forme di prevalenza, variamente quantificata, purché non diminuiscano le ore di insegnamento a favore di altre attività connesse». Carrus fa riferimento all’autonomia scolastica e ricorda che con il Pof ogni scuola progetta la propria attività sulla base delle dotazioni organiche e delle risorse di cui dispone. «Il Pof - aggiunge - è elaborato dal collegio dei docenti e adottato dal consiglio d’istituto o di circolo, ed è il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale della scuola. Competono, dunque, a questi organi collegiali le decisioni su tali materie, compresa la facoltà di respingere ogni indebito tentativo di prevaricazione». (t.s.) _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 4 nov. ’05 SCIENZE, COLPO DI SCURE SUI CORSI L'Università si prepara a subire una riduzione dell'offerta formativa. Con i ricercatori che non svolgeranno più lezioni, molti corsi saranno costretti a chiudere. Conseguenza, dicono gli stessi ricercatori, della «non riforma Moratti». Il primo passo indietro nell'ateneo, ma la stessa situazione che si sta verificando nelle altre Università, si potrebbe registrare nella facoltà di Scienze: ieri i ricercatori si sono riuniti in assemblea. Dopo tre ore di discussione hanno deciso, all'unanimità, di chiedere al preside di ridurre l'offerta formativa. A breve ci sarà un incontro, anche perché le domande di affidamento per diversi corsi sono bloccate. «Nella nostra facoltà ? hanno sottolineato i ricercatori riuniti in assemblea ? tutti facciamo didattica. Con la legge Moratti la docenza non sarà più retribuita, e soltanto chi ha tre anni di anzianità potrà svolgere la supplenza». Le lezioni saranno svolte così solo dai professori ordinari, associati, o tramite contratti esterni: «Ma quest'ultima opzione non si potrà applicare, visti i bilanci degli atenei. Dunque non sarà più possibile garantire l'attuale offerta formativa». Solo in Scienze si calcola che oltre il 30 per cento dei corsi rischia il blocco. E poi c'è la gabbala dei contratti: «Nella legge si parla di una percentuale dei posti per associati e ordinari, riservati ai ricercatori. Circa il 20 per cento. Ma se i posti disponibili sono soltanto due, come sta accadendo, per noi quali sono le possibilità di entrare nel corpo docente?». Se in Scienze la situazione è critica (sono, per ora, partiti i corsi con i titolari, mentre sono pochi i ricercatori che stanno svolgendo, nonostante tutto, attività didattica), in Farmacia e Medicina l'anno accademico non sembra a rischio. Anche se nelle due facoltà i ricercatori avevano consegnato una lettera ai rispettivi presidi, con la promessa di rinunciare all'incarico della docenza se la legge fosse passata. Approvazione arrivata dopo che i corsi sono partiti. La controprova alla fine del semestre e soprattutto l'anno prossimo. A meno che non intervenga il presidente della Repubblica. «Aspettiamo che firmi la legge», spiegano i ricercatori. Poi potrebbero arrivare forme di lotta più clamorose. Matteo Vercelli _______________________________________________________________ Corriere della Sera 2 nov. ’05 «LA RICERCA? IGNORATA DALLA FINANZIARIA» PISTORIO (CONFINDUSTRIA) MILANO - «Nella legge Finanziaria per la ricerca non c' è assolutamente nulla». Nessuna novità per le imprese. Così Pasquale Pistorio, vicepresidente di Confindustria per l' innovazione, commenta le ultime dichiarazioni del ministro per l' istruzione, l' università e la ricerca Letizia Moratti. La quale ieri, durante la trasmissione Radio anch' io di Radio Uno, ha detto che «la Confindustria quest' anno ha scelto la priorità del cuneo fiscale e non quella della ricerca»... Che cosa ne pensa? «Io sono in Confindustria perché con il presidente Luca Cordero di Montezemolo abbiamo deciso che la ricerca è la priorità delle priorità per modernizzare il Paese. Prima della legge Finanziaria, poi, abbiamo indicato l' esigenza di intervenire innanzitutto su tre fronti: cuneo fiscale, Irap e ricerca. Le scelte di politica economica competono al governo, ma per quello che ci riguarda tutti e tre gli aspetti sono e restano fondamentali». Ma ieri il ministro ha anche fatto un elenco delle misure implementate... «Solo spizzichi e bocconi. L' esenzione dall' Irap per i ricercatori non ha neanche compensato la Tecnotremonti, la deducibilità delle donazioni fatte alle università non ha nulla a che fare con quanto chiedevamo per una maggiore collaborazione pubblico-privato, e il cinque per mille alla ricerca (l' unica novità dell' ultima Finanziaria) va a vantaggio di atenei ed enti pubblici ma non delle aziende. E lo stanziamento di 1,8 miliardi di euro dal fondo rotativo altro non è se non un prestito a tasso agevolato: con un differenziale di 2-3 punti percentuali il trasferimento netto alle imprese non dovrebbe superare i 60 milioni». Pieno disaccordo con la Moratti, quindi? «Il ministro aveva impostato nel 2002 un piano condivisibile, ma questo non è mai stato finanziato. Le nostre proposte, articolate in sei punti e definite nella Giornata della ricerca nel settembre dell' anno scorso, non sono state tenute nella giusta considerazione. E' vero che qualcosa è stato destinato alla ricerca, ma è completamente inadeguato rispetto alle necessità. In questo modo si allungano le distanze tra l' Italia e nazioni come la Francia, la Germania e gli Stati Uniti. Per colmare il gap le imprese chiedono politiche per rilanciare la competitività. Quello che è in gioco è il futuro del nostro Paese». Giovanni Stringa L' EX MANAGER Il piano del ministro Moratti non è mai stato finanziato Stringa Giovanni ______________________________________________________ Il Sole24Ore 3 nov. ’05 PASSWORD A PROVA DI EFRAZIONE Economico: i prezzi sono più convenienti»: è questa la motivazione fornita dalla maggior parte di coloro che usano Internet per gli acquisti. Secondo un recente rapporto del Censis, più di tre milioni di italiani comprano sulla Rete. Eppure cresce l'insicurezza tra coloro che fanno spese online. E aumentano i rischi legati al furto d'identità e alle frodi elettroniche. Lo scorso anno gli attacchi dei truffatori informatici si sono concentrati sul sito di aste eBay e sulla banca americana Citygroup, ha denunciato uno studio della Gartner. Quest'anno le vendite ordine in tutto il mondo rallenteranno la loro crescita dell'r3%, proprio per le preoccupazioni degli internauti sul furto dell'identità su Internet. Nel primo semestre 2005 - come rileva l'azienda produttrice di antivirus Symantec - sono raddoppiati rispetto ai sei mesi precedenti gli attacchi di phishing, cioè i tentativi di pescare (usando l’e- mail o la messaggeria istantanea) le password e i dati della carta di credito immessi online. Sembra ormai tramontata l'era della parola chiave come unico fattore di autenticazione per l'utente: c'è un bisogno diffuso di maggiori livelli di protezione. Sul mercato si affacciano nuove soluzioni più complete, che tentano di andare incontro alle esigenze di diversi profili d'utenza. E, contemporaneamente, si stanno definendo nuove tattiche dei truffatori per eludere le misure di difesa. Una strategia per innalzare il livello di sicurezza è quella di aggiungere alla sola password un ulteriore fattore di autenticazione dell'identità. Una delle più note società di sicurezza informatica, la statunitense Rsa, propone una soluzione che combina una parola chiave personale, custodita nella memoria dell'utente, con una one-time-password (Otp): quest'ultima è una sequenza di più cifre generata ogni 6o secondi da una chiavetta portatile - chiamata token e lunga circa quattro centimetri - che crea un codice formato da una combinazione casuale di numeri. L'unione delle due "parole chiave" rende più sicura l’identificazione della persona. E una soluzione scelta da diciotto società multinazionale da circa quindici milioni di utenti in tutto il mondo. Questo sistema a due fattori, però, non è esente da critiche. Bruce Schneier, guru della sicurezza informatica e autore del best seller Beyond fear, ha osservato nella sua newsletter (reperibile in italiano all'indirizzo www- communicationvalley.it/cryptogramPdf/Aprile2005.pdf) che la combinazione password-token funziona bene contro gli attacchi passivi (come le intercettazioni o il tentativo di indovinare attraverso specifici software le password da parte dei criminali informatici), ma non rende un sistema aziendale inespugnabile al furto d'identità o alle frodi. I truffatori sono infatti in grado di aggirarlo, ad esempio spostando il mirino sulle tecnologie di certificazione delle transazioni finanziarie. Il secondo fattore di autenticazione potrebbe essere costituito anche dal riconoscimento di una parte del corpo, attraverso la scansione della retina, con il riconoscimento vocale o prendendo le impronte digitali mediante dispositivi hardware. In particolare, queste ultime sono memorizzate dal sistema non sotto forma di immagine, ma attraverso appositi calcoli matematici che ne riproducono le linee: tutte le volte che una persona usa le sue impronte per l'autenticazione, queste vengono confrontate con i dati memorizzati negli archivi informatici dell'azienda e, tenendo conto di un margine di errore prestabilito, vengono accettate dal sistema, o rifiutate se non corrispondono a quelle originali. Anche in questo caso, però, i criminali non hanno perso tempo a elaborare una contromisura: in Malesia alcuni ladri hanno tagliato le dita ai proprietari di automobili protette da antifurti in grado di riconoscere le impronte digitali. La scelta della soluzione più adatta e dettata da quattro elementi: costo, esigenze di sicurezza, praticità della soluzione, convenienza dell'operazione. Ecco perché sistemi che prevedono tre (o più) fattori di autenticazione - ad esempio, una password personale, l'identificazione con radio frequenza (Rfid) e il riconoscimento biometrico - sono in genere usati solo da istituzioni che hanno forti esigenze di sicurezza e sono disposte a sostenere le ingenti spese per l'implementazione di queste apparecchiature, come l’Fbi o la Cia. In particolare, nel mirino dei criminali sono finiti due settori economici. «I truffatori mostrano certamente più interesse nei confronti dei servizi finanziari offerti sulla Rete - afferma Chris Young, vicepresidente Rsa security per, le soluzioni dei consumatori -. A1 secondo posto, ma molto vicino all'ordine banking, troviamo le società che gestiscono servizi di telecomunicazione. Molti ladri informatici si sono specializzati anche negli attacchi a istituzioni governative e industrie». E aggiunge: «Il crimine elettronico si muove su scala globale. La maggioranza agisce individualmente, ma i più pericolosi sono quelli riuniti in vere e proprie organizzazioni criminali». I servizi di e-commerce sono oggi usati da circa duecento milioni di persone in tutto il mondo. E nel 2004 ben 50 milioni di individui sono stati derubati della propria identità online: è un problema serio, perché i dati personali vengono utilizzati dai ladri anche per dieci anni dopo il furto. «Bisogna stare attenti - insiste il manager Rsa -, ma è anche vero che oggi le attività sono tutte online». Ecco perché, secondo Young, sarebbe importante tener presente tre semplici regole d'oro per la sicurezza individuale sulla Rete. La prima è quella di usare un'autenticazione a due fattori di riconoscimento. In secondo luogo, bisogna proteggersi con software "pro-security": usare un firewall, aggiornare costantemente il sistema operativo, installare uno spyware. Infine, durante la navigazione, occorre essere attenti a segnali sospetti ogni volta che viene richiesta l'immissione di dati personali. LUCA DELLO IACOVO ______________________________________________________ Il Sole24Ore 3 nov. ’05 L'OPERAZIONE FOTONE SICURO RICERCA APPLICATA A VIENNA Un sistema di comunicazione blindato, a prova di spia. Forse sarà disponibile sul mercato già dal 2010. Solo per grandi utenti: banche, assicurazioni, enti governativi. Ad affermarlo è Anton Zeilinger, docente di fisica sperimentale all'Università di Vienna e uno dei maggiori studiosi al mondo di sistemi quantistici, un'area di ricerca alla base delle comunicazioni ipersicure. E-mail e telefonate tra due apparecchi che dispongono di questa tecnologia, infatti, non potranno essere decifrate. La codifica quantistica avviene sfruttando le proprietà delle particelle di luce, i fotoni. Sono emessi in sequenza da un'attrezzatura speciale che è in grado di generare una cifratura che unita al messaggio in chiaro spedito dal mittente (ad esempio, un testo in Word) lo rende incomprensibile per chiunque provi a intercettarlo. E per i navigatori, quando sarà disponibile il sistema di cifratura top secret? «Per la comunicazione tra gli utenti della Rete ci sarebbe bisogno di un'apparecchiatura specifica nei singoli computer - osserva il fisico austriaco -, forse sarà in commercio fra dieci anni». E sottolinea: «È soprattutto una questione di "sensazioni" dell'utente. Se le persone pensano di essere abbastanza sicure con le attuali tecnologie, non ci sarà richiesta per la codificazione segreta quantistica». Con lo sviluppo di questa tecnologia, ad esempio, il sistema di sorveglianza delle comunicazioni Echelon - basato negli Stati Uniti - incontrerà grosse difficoltà ad intercettare e-mail, fax e telefonate. L'Unione europea ha già investito 11 milioni di euro per condurre ricerche allo scopo di utilizzare la crittografia quantistica: è il progetto «Comunicazione sicura basata sulla comunicazione quantistica» (Secoqc), partito l'anno scorso. Le scoperte delle straordinarie proprietà dei quanti hanno costellato tutto il secolo scorso, eppure il grande pubblico non ha ancora familiarizzato con il paradossale comportamento delle particelle di luce. «La principale ragione è questa: nella fisica classica, il mondo è indipendente dall'osservatore. Ad esempio - spiega Zeilinger - una tazzina di caffé esiste indipendentemente dal fatto che io la guardi o meno: è qui davanti a me». Nei sistemi quantistici, studiati fin dalla fine dell'Ottocento, questo non è più vero. «Le particelle non esistono prima che io le guardi: "esistono", però, appena le osservo. Il soggetto, dunque, non è più separato da ciò che lo circonda»._ Le applicazioni di queste bizzarre caratteristiche possono essere rivoluzionarie. Zeilinger è diventato famoso per avere teletrasportato una particella per la distanza di un chilometro. Sembrerebbe un'idea simile a quella del telefilm Star Trek, ma non lo è. «Il punto principale è che il teletrasporto di grandi oggetti è solo science fiction - ricorda il fisico austriaco -. Oggi siamo in grado di realizzarlo soltanto per particelle piccolissime, i fotoni». E chiarisce: «L'importanza del teletrasporto, però, non è nel trasportare qualcosa, ma nel fatto che questo è un nuovo modo di comunicare, di inviare informazioni». Che in un futuro non troppo lontano sarà decisivo nella costruzione del computer quantistico. Per ora restano ancora delle grosse difficoltà nel teletrasportare le piccolissime particelle di luce. «Il problema principale - chiarisce Zeilinger - è quello di ricevere e identificare i singoli fotoni, perché possono essere persi nel trasporto da un punto all'altro. Possono scomparire, sono cosi piccoli e fragili che svaniscono facilmente». _______________________________________________________________ Repubblica 2 nov. ’05 VECCHIA ENCICLOPEDIA, ADDIO LE RICERCHE SI FANNO SUL WEB La decisione di Wikipedia di stampare anche libri rilancia il dibattito sull'uso di internet per approfondimenti: è davvero la nuova Alessandria? di FEDERICA CRAVERO Fa discutere la proposta di Jimmy Wales, inventore di Wikipedia, di stampare su carta o portare su cd la più famosa enciclopedia gratuita che si trovi su internet. "È un errore gravissimo - commenta Giacomo Goldkorn Cimetta, direttore del giornale on line Equilibri.net ed esperto di web - perché in questo modo viene a mancare il controllo della rete su se stessa. Wikipedia è una buona idea, perché si basa sul principio che ciascuno scriva della sua materia e a sua volta controlli quanto scritto da altri. Nella versione stampata questo è impossibile". Dello stesso parere anche Ugo Volli, docente di semiotica all'università di Torino: "Stampare Wikipedia significa trasformarla in un'enciclopedia come le altre. Non dico che è sbagliato, ma sarà la sua fotografia in un dato momento. Avrà solo il vantaggio di costare poco perché è scritta dalla gente". Ma questo controllo della rete sulla rete, alla fine, non sempre è riuscito a proteggere i navigatori dalla presenza di strafalcioni. "In verità non funziona molto bene - continua Goldkorn -. Ma non bisogna demonizzare internet: errori grossolani se ne trovano anche nei libri e nei giornali. Per questo, fin dall'infanzia, bisogna insegnare ai ragazzi a difendersi, instillando in loro il dubbio e invitandoli al confronto delle fonti". Per molti ragazzi, nelle ricerche scolastiche, internet ha sostituito l'enciclopedia di casa o i libri presi in prestito dalla biblioteca. E il comodo sistema del "copia e incolla" ha permesso di produrre relazioni voluminose, ma prive di indagine personale. "Fatte in questo modo, le ricerche non consentono ai ragazzi di sviluppare le capacità logiche che dovrebbero invece portarli ad incrociare le informazioni per produrre analisi originali e nuova informazione. E, soprattutto, non interiorizzano la materia, perché non la studiano", denuncia Paola Mastrocola, scrittrice e insegnante di lettere in un liceo torinese. Senza contare che tagliare e incollare da internet è un reato non solo per la scuola, ma anche per la legge. "Negli atenei italiani - polemizza il direttore di Equilibri.net - manca quel sano terrorismo contro il plagio, che invece vige nelle università britanniche, dove addirittura si arriva all'espulsione, se si copia un testo altrui. Ma nelle nostre scuole quest'etica non viene insegnata e i professori per primi non fanno i dovuti controlli quando un ragazzo presenta una ricerca, anche se ci sono siti che consentono di verificare se e come un testo è stato copiato". "Anche le ricerche della vecchia generazione di liceali non erano roba loro - spiega Volli - Il problema, d'altro canto, non è tanto quello del reperimento delle informazioni, ma di come vengono messe insieme, altrimenti si rischia di fare un vestito da Arlecchino, fatto solo di toppe. Questo discorso andrebbe affrontato alle superiori, ma anche all'università: spesso si insegnano tecniche di ricerca più sofisticate che inserire una parola su Google, ma poi non si insegna come unire logicamente i concetti". Un'agguerrita difesa della rete arriva da Mario Morcellini, preside della facoltà di Scienze della Comunicazione a La Sapienza di Roma: "Internet sta diventando quella che Umberto Eco ha chiamato la nuova Biblioteca di Alessandria, non solo per i letterati, ma per tutti. I giovani ne sono la dimostrazione: vi si rivolgono per fugare ogni dubbio, per cercare ogni approfondimento. Non si devono criminalizzare se vi si avvicinano come un modo per scansare la fatica: l'offerta di internet è talmente vasta rispetto alla domanda che invoglia ad altra cultura". E la scuola, ne è consapevole? "È indietro - conclude Morcellini - ma ha capito che può essere uno strumento utile anche per l'autodidattica. Non per le università telematiche, però. Quelle sono anti università, perché il confronto fra studenti e fra studenti e insegnanti, non si può fare solo su un computer". _______________________________________________________________ Le Stampa 3 nov. ’05 CRESCE IN INTERNET IL LIBERO POPOLO DEI WIKI UNA CURIOSA STORIA INIZIATA A HONOLULU STA RIVOLUZIONANDO IL WEB A MIGLIAIA METTONO IN COMUNE I LORO SAPERI, TRIONFA UN MOVIMENTO CULTURALE SENZA LEADER WARD Cunningham, ingegnere elettronico di successo, anni fa nell'aeroporto di Honolulu fu invitato a servirsi dei "wiki wiki bus", cioè dei veloci bus navetta in servizio tra i vari terminali. Fece così conoscenza con la curiosa parola "wiki", che in lingua hawaiana significa "rapido". Per Cunningham, che a quel tempo lavorava ad un innovativo progetto per il Web, fu una folgorazione: aveva finalmente trovato il nome giusto per la tecnologia che aveva in mente: wiki. All'inizio, siamo nel 1995, wiki è soltanto una tra le tante potenzialmente interessanti soluzioni nell’ambito delle nascenti comunità web. Ma la strada intrapresa da Cunningham si rivela al tal punto azzeccata che solo pochi anni dopo il software wiki è considerato come una delle più serie promesse per lo sviluppo, attraverso le reti, di sistemi di conoscenza pubblica diffusa. Ma più precisamente che cos’era, e che cosa sta diventando wiki? Nato come software per scrivere e discutere di metodologie di programmazione, wiki si è trasformato prima in un software collaborativo per creare siti web, poi in un programma per dar vita a forme di scrittura comunitaria sino poi a coincidere con particolari siti web nei quali a ogni utilizzatore è permesso di aggiungere contenuti, trasformandosi in ultimo in un vero e proprio modo di essere, un nuovo esempio di filosofia open source. In pratica, la tecnologia wiki permette di scrivere collettivamente qualsiasi genere di documento in un semplice linguaggio di markup usando un web browser, facilita al massimo la creazione e l'aggiornamento delle pagine, e si basa, per quel che riguarda i collegamenti tra le informazioni, su una struttura completamente ipertestuale. Unico dubbio: il controllo dei contenuti. In nome della filosofia "open" che anima il mondo wiki, si è preferito seguire la regola di rendere facili le correzioni di eventuali errori piuttosto che mettere blocchi e/o barriere per rendere difficile il commetterli. Così, i wiki pur rimanendo completamente aperti, forniscono vari modi per verificare la validità e gli aggiornamenti dei contenuti delle pagine. Il più importante è la pagina delle "ultime modifiche", che permette un continuo controllo sugli interventi effettuati. Conseguenza della raggiunta maturazione come tecnologia di successo comunitaria e gratuita, wiki ha ulteriormente allargato il suo raggio d'azione a diversi campi d'applicazione: come strumento per la documentazione di numerosi progetti informatici, metodo per il knowledge base d'impresa, soluzione per tutta una serie di progetti collaborativi. Senza dimenticare i campi di produttività personalizzata, anch’essi in espansione, come ad esempio la creazione di wiki individuali formato agenda e/o block-notes e di blog per la traduzione di libri. Il campo d'eccellenza di wiki è al momento quello delle enciclopedie, sia settoriali, tra le quali un esempio tra i più interessanti è quello della Sensei Library dedicata all'antichissimo gioco "Go", sia generaliste, dove spicca Wikipedia, uno degli ultimi fenomeni esplosi sul Web. L'enciclopedia Wikipedia è uno dei prodotti più sbalorditivi che la rete abbia visto finora: in linea dal gennaio 2001, può contare su circa 15 mila collaboratori sparsi in tutto il mondo che sono in procinto di tagliare il traguardo del milione e mezzo di voci inserite. Questo vuol dire: non solo l’enciclopedia "a contenuto libero" più grande del mondo ma anche quella che cresce più velocemente, con 5 mila voci che vengono aggiunte ogni giorno. La consultazione on line può contare su un sistema di server dislocati in varie parti del mondo (70 in Florida, 6 a Parigi, 12 ad Amsterdam e prossimamente 26 in Sud Corea) in grado di gestire la visualizzazione di circa 1,4 miliardi di pagine al mese. Il tutto realizzato grazie alla raccolta di contribuzioni volontarie, che nel 2005 toccheranno i 500 mila euro, e soprattutto grazie all'entusiastico sostegno dei wikipediani, la comunità che, nata intorno alla Wikimedia Foundation, ha portato alla nascita delle tante comunità nazionali. Una delle ultime, in ordine di tempo, è l'associazione dei wikipediani nostrani che ha già portato la versione italiana di Wikipedia oltre la quota di 50 mila voci. Jimmy Wales, artefice del progetto e creatore di Wikimedia Foundation, sostiene che c’è così un ritorno agli ideali originari di Internet: mettere insieme tante persone per costruire qualcosa di migliore per il futuro. Come per il movimento open source, così anche per le comunità wiki e per i wikipediani l’energia per affrontare grandi imprese collettive sembra venire dall’unione di disinteressate passioni e dalle scelte di persone che offrono il loro apporto e il loro tempo. Buone notizie per i veloci "wiki wiki bus" di Honolulu: di passeggeri entusiasti pronti a salire a bordo diventano sempre di più. Fabio Di Giammarco _______________________________________________________________ Le Scienze 4 nov. ’05 EINSTEIN, DARWIN E LE E-MAIL Analizzata la corrispondenza dei due scienziati Albert Einstein e Charles Darwin rispondevano alle molte lettere che ricevevano in maniera molto simile, dal punto di vista statistico, al modo in cui oggi si risponde alle e-mail. Lo sostengono due fisici che hanno analizzato la corrispondenza dei due scienziati. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista "Nature". Qualche mese fa, Albert-László Barabási dell'Università di Notre Dame e dell'Harvard University aveva dimostrato che la lunghezza del tempo necessario per rispondere alle e-mail può essere descritta da una legge esponenziale. Ora Barabási e João Gama Oliveira dell'Università di Aveiro hanno rivelato che anche i tempi di risposta di Einstein e Darwin alle loro lettere possono essere descritti da una legge simile, anche se con un esponente differente. I risultati suggeriscono che esista uno schema universale per il comportamento umano nella corrispondenza, che si applica anche agli scienziati famosi. Sia Darwin (1809-92) che Einstein (1879-1955) scrissero e ricevettero molte lettere durante la loro vita. Darwin inviò almeno 7591 lettere e ne ricevette 6530, mentre Einstein ne scrisse più di 14500 e ne ricevette 16200. Olivera e Barabási hanno scoperto che, nonostante i tempi siano cambiati con l'avvento della posta elettronica, le dinamiche della comunicazione sono rimaste le stesse. Tuttavia, con le e-mail le scale temporali sono ovviamente molto più brevi. I ricercatori hanno calcolato il tempo di risposta, t (il numero di giorni fra l'arrivo di una lettera a Einstein o Darwin e l'invio di una risposta), scoprendo che la probabilità di rispondere a una lettera in t giorni, P(t), può essere descritta da una legge esponenziale, P(t) = t-a, dove a = 1,45 ± 0,1 per Darwin e 1,47 ± 0,1 per Einstein. Per le e-mail, invece, a = 1. Questo significa che i due scienziati inviavano oltre la metà delle loro risposte entro dieci giorni, anche se a volte rispondevano dopo mesi o persino anni. "La cosa interessante - spiegano i ricercatori - è che gli schemi di risposta osservati per Darwin e Einstein sono simili, anche se i due vivevano in epoche differenti. Questo suggerisce che lo schema osservato non è caratteristico di ciascuno di loro, ma è uno schema globale del comportamento umano". Olivera e Barabási hanno poi osservato uno schema simile nelle lettere di Sigmund Freud. © 1999 - 2005 Le Scienze S.p.A. _______________________________________________________________ Le Stampa 2 nov. ’05 EQUAZIONI IMPOSSIBILI sfida per quattro geni NEL RACCONTO DI UN ASTROFISICO, IL PROBLEMA RISOLTO DA LAGRANGE, RUFFINI, GALOIS ED ABEL MA come si risolve quest’equazione? Era una domanda ricorrente quando al liceo ci si imbatteva in qualche equazione con potenze di terzo o quarto grado. E il professore, per non perdere troppo tempo della lezione, ci rispondeva elusivamente: «Sì, esistono delle formule risolutive ma sono abbastanza complesse e non vale la pena di studiarle perché tanto le equazioni di grado superiore al quarto non si risolvono (per radicali)». Una risposta che accresceva la nostra curiosità e che torna alla mente davanti al titolo del nuovo libro di Mario Livio, "L'equazione impossibile" (edito in questi giorni da Rizzoli). Mario Livio, di origine rumena, è un illustre astrofisico, a capo della divisione scientifica dello Space Telescope Science Institute di Baltimora (l'ente americano che gestisce il telescopio spaziale Hubble), un impegno che gli ha però lasciato il tempo di rivolgersi alla divulgazione con profitto: un suo libro dedicato alla sezione aurea si è aggiudicato nel 2003 il Premio Peano, consegnatogli a Torino dopo una sua conferenza a «GiovedìScienza». Risolvere un'equazione algebrica tramite radicali, significa trovare una formula che fornisca le soluzioni dell’equazione, dove però i coefficienti della stessa appaiano combinati un numero finito di volte tramite le quatto usuali operazioni aritmetiche e l'estrazione n-esima di radice. Così, per rispondere alla nostra domanda iniziale, Livio ci riporta agli albori della civiltà, facendoci conoscere i babilonesi che già risolvevano le usuali equazioni di secondo grado, per poi approdare al sedicesimo secolo, quando i tre matematici italiani Cardano, Ferrari e Tartaglia riuscirono a scoprire le formule di risoluzione per le equazioni di terzo e quarto grado: Tartaglia rivelò le sue scoperte a Cardano attraverso un misterioso sonetto ma questo innescò un'infinita scia di polemiche sulla paternità della scoperta. Il successo ottenuto dai matematici italiani fece presumere che questo genere di formule esistessero anche per l'equazioni di grado superiore al quarto ma nonostante gli sforzi di gran parte della comunità matematica, a fine Settecento il problema non era stato ancora risolto. Ci volle l'acume di altri due matematici italiani di quell'epoca per avvicinarsi alla agognata soluzione: Lagrange comprese che bisognava prestare attenzione alla permutazione delle soluzioni, Paolo Ruffini dimostrò l'impossibilità di risolvere l'equazione generale di quinto grado per radicali. Ruffini, rettore dell'Università di Modena fino alla morte nel 1822, fu però sfortunato: la sua prima dimostrazione conteneva un errore e non riuscì mai a conquistare la benevolenza di Lagrange e dei suoi colleghi a Parigi, incaricati di vagliare il suo lavoro, solo Cauchy ne riconobbe il genio. A proseguire il cammino tracciato da Ruffini, fu il norvegese Abel che ottenne quello che oggi è conosciuto come teorema di Ruffini-Abel. Chi però risolse completamente il problema fu il francese Evariste Galois, geniale matematico morto in duello a soli vent'anni. Galois affrontò il problema generale (capire se una qualsiasi equazione algebrica è risolvibile o no per radicali), fondando la teoria dei gruppi, una disciplina oggi centrale nella moderna ricerca matematica. Ottenuta la risposta che cercavamo, Livio, nella seconda parte del libro, illustra la teoria dei gruppi ideata da Galois e si focalizza sul concetto di simmetria, uno degli aspetti più interessanti che da essa emerge. La simmetria richiama subito alla mente la geometria ma la teoria dei gruppi ha impiegato con successo questo concetto anche alla cristallografia, alla genetica e - su tutto - alla fisica moderna. E' infatti un bisogno di simmetria formale nelle leggi fisiche che spinse Einstein ad abbandonare la meccanica classica per approdare alla relatività generale, dove ogni osservatore deve essere in grado di poter "vedere" lo stesso fenomeno fisico. Interessanti accenni nel finale all'attuale ricerca in fisica teorica: dalla teoria delle stringe al concetto di supersimmetria. Un buon libro, non c'è dubbio, supportato da un'ottima bibliografia. Unico appunto: l'autore riconosce giustamente che le opere di Lagrange e Ruffini segnarono il passaggio verso la moderna algebra, fornendo strumenti ed idee che dai loro successori furono felicemente riprese, ma proprio per questo qualche pagina in più sui due italiani non avrebbe guastato. Francesco Depretis _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 4 nov. ’05 SCIENZIATI CON TANTI PROBLEMI Una Cittadella, tante sedi, pochi spazi e servizi inadeguati Università. Viaggio nella facoltà di Scienze, un micro universo proiettato nel futuro CAGLIARI. Il posto dove studiano gli scienziati del futuro è diviso tra tante piccole sedi frammentate, da Cagliari ad Iglesias passando per Sorgono. Ma questo non è un problema: è soltanto l’università diffusa. Se si dovesse però andare a chiedere agli studenti, cos’è che della loro facoltà cambierebbero, risponderebbero a colpo sicuro: gli spazi in cui passare il tempo tra una lezione all’altra son troppo pochi, anzi praticamente inesistenti. Viaggio nella facoltà di Scienze, un microuniverso nell’ateneo cagliaritano, dove numeri e prospettive sembrano preparare grandi cose per il futuro. Che la facoltà si trovi davanti a una “situazione favorevole” lo dice lo stesso preside, Roberto Crnyar. ‹‹Non esistono ancora dati ufficiali, ma dai numeri che abbiamo visto sinora sappiamo che verso questa facoltà c’è un ritorno››. Si prenda il corso di laurea in Chimica, ad esempio: con le sue 61 matricole, quest’anno ha visto il numero degli iscritti al primo anno triplicarsi. Non che non ce ne sia motivo: fatti bene i conti, dice Crnyar, le possibilità occupazionali per chi esce da qui con una laurea in mano sono alquanto allettanti. Basta scegliere il settore giusto: ‹‹Esperienze come quelle delle industrie pesanti, un esempio su tutti Ottana -, va avanti il preside - non sono state felici per la nostra isola. Per questo dico: produciamo scienziati sardi, ma indirizziamoli verso settori peculiari della Sardegna››. In questo senso, un settore che Crnyar definisce ‹‹particolarmente fertile›› è quello dell’hi-tech, di cui il centro di ricerca Polaris, a Pula, è un luminoso esempio. Per arrivarci però occorre studiare, e non sempre gli studenti riescono a farlo nelle condizioni più favorevoli. Soprattutto perché si sentono spezzettati tra le aule della Cittadella di Monserrato, quelle di Sa Duchessa (che ospita il corso di Geologia), e il Palazzo delle Scienze, dove si svolgono prevalentemente le lezioni dei corsi di laurea in Informatica e Matematica. ‹‹Ma tant’è - commenta Manuel Floris, rappresentate degli studenti -, a questo ci abbiamo fatto il callo. Il vero problema è la Cittadella di Monserrato: pensata solo come luogo per le lezioni, è totalmente priva di servizi per gli studenti». Tra una lezione e l’altra passano due ore? Si può pensare d’impiegarle studiando in biblioteca. Ma non sempre c’è posto per tutti. ‹‹Abbiamo tre biblioteche che possono ospitare un totale di 330 studenti - dice Floris - ma non bastano, e soprattutto non sono aperte a tempo pieno››. Vabbè, il tempo si potrebbe passare in qualche altra aula, verrebbe da dire. Ma anche questo è impossibile: ‹‹Altre aule per gli studenti non esistono - dice Manuel Floris- Così la nostra giornata tipo ci vede buttati negli anditi per un bel po’ d’ore al giorno››. Ancora per poco, fa sapere il preside: entro i primi del 2006 dovrebbe essere inaugurato un nuovo spazio di cinque mila metri quadri solo per Scienze e Farmacia. Resta insoluto un altro problema: i laboratori di chimica non bastano, così gli studenti sono costretti a snervanti turni. ‹‹La soluzione sarebbe ovviamente quella di costruire nuovi laboratori - dice Crnyar- Ma si tratterebbe di spese per ora insostenibili: la nostra non è una facoltà come tante: i laboratori sono fondamentali, ma costano, e tanto››. E siccome diminuire il numero degli studenti non si può, non resta che aspettare tempi migliori. ‹‹Tempi in cui - dice Manuel Floris - Scienze acquisterà di nuovo il suo peso». Sabrina Zedda _______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 4 nov. ’05 SCIENZE: OLTRE 2MILA ISCRITTI E UNA VALANGA DI MATRICOLE CAGLIARI. Il nome completo della facoltà è Scienze matematiche, fisiche e naturali: dieci corsi triennali (laurea di primo livello) cui se ne aggiungono undici di laurea specialistica (due anni). I corsi di primo livello sono: Matematica, Biotecnologie industriali, Scienze naturali, Bioecologia applicata, Biologia sperimentale, Scienze della Terra, Chimica, Scienze dei materiali, Fisica e informatica. Ci sono poi le lauree specialistiche: Scienze geologiche, Geologia tecnica ambientale, Scienze chimiche, Scienza dei materiali, Fisica, Tecnologie informatiche, Matematica, Biologia Marina, Neuropsicobiologia, Biologia sperimentale applicata, Rilevatore ambienti naturali. Dati definitivi sulle iscrizioni non ce ne sono ancora, ma secondo le prime indiscrezioni il numero delle matricole è cresciuto. Per adesso se ne contano 68 in Matematica, 17 in Biotecnologie industriali, 71 in Scienze naturali, 80 in Bioecologia applicata, 180 in Biologia sperimentale, 53 in Scienze della Terra, 61 in Chimica, 40 in Scienze dei materiali, 47 in fisica e 149 in Informatica. Conti alla mano fanno 769 nuovi iscritti, e non sono ancora tutti. Dietro tante iscrizioni, pare ci sia la voglia d’avvicinarsi a un settore che affascina e in continua evoluzione. Anche se qui ci ha messo lo zampino il destino: i corsi in Bioecologia applicata e in Bioecologia sperimentale, avrebbero dovuto essere a numero chiuso, ma i test d’ammissione sono andati così male, che alla fine preside e Rettore hanno deciso da far iscrivere tutti gli aspiranti. Ancora: tra matricole e iscritti agli anni successivi al primo si contano in tutto 2. 385 studenti. S’arriva a 2.553 se s’aggiungono anche i 168 iscritti ai corsi di laurea specialistica. (s.z.). _______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 2 nov. ’05 UNIVERSITARI, È GIÀ CAMPAGNA ELETTORALE Il 29 e 30 novembre studenti al voto per il rinnovo degli organismi dell’ateneo Nessun nome di candidati, ma tre liste che si sfideranno ancora una volta CAGLIARI. I nomi dei candidati non ci sono ancora, ma lo spirito che dovrà animare la campagna elettorale, quello sì. Ed è: ‹‹Tutti alle urne, perchè solo così s’acquista forza contrattuale››. Che significa credibilità, capacità di spuntare dalla controparte sempre qualcosa di più. Il 29 e 30 novembre si vota per l’elezione dei rappresentanti degli studenti nei diversi organismi centrali dell’Università, e se tra gli universitari alle prese con le prime fatiche della campagna elettorale, sono poche le parole spese sui nomi degli eventuali pretendenti, o sulle strategie, già si delinea il campo di battaglia. Fatto di slogan che dovranno indicare le priorità e i problemi da affrontare. Ma si parlerà anche di dati di fatto e di successi raggiunti in questi anni proprio grazie alle battaglie condotte dagli studenti in seno ai diversi organi accademici. Dati di fatto, che non sempre sono noti a tutti. «Il problema - dice Gianluigi Piras, rappresentante degli studenti nel Consiglio di facoltà di Giurisprudenza - è che spesso novità importanti, frutto delle battaglie studentesche, sono accolte solo come novità. Nessuno sta a chiedersi cosa c’è dietro». Significa che spesso le azioni studentesche non sono abbastanza pubblicizzate, al punto che i cambiamenti avvenuti e le battaglie che li hanno originati restano tra loro slegati. E’ stato così, ad esempio, per la “doppia scadenza” delle iscrizioni nei corsi di laurea specialistica: sino a un anno fa ci si poteva iscrivere sino ai primi di novembre, con evidente danno per chi prendeva la laurea di primo livello nella sessione invernale, costretto ad aspettare un anno per cominciare la specializzazione. Dopo le proteste degli studenti, il rettore ha fatto marcia indietro. Adesso che la campagna elettorale è aperta, chi ha lavorato bene in questi anni potrà dunque rinfrescare le idee agli indecisi. Ma ci sono anche nuovi argomenti, con cui si potrebbe tenere banco: «La riforma universitaria, con l’introduzione del tre più due - si domanda Giuseppe Frau, del gruppo Università per gli studenti - ha prodotto buoni frutti o no? Siamo convinti che qualche correttivo serva, e già questo è un argomento su cui gli studenti dovrebbero interrogarsi». Da domani, o al più tardi da venerdì, i gruppi studenteschi cominceranno i loro giri per le facoltà, alla ricerca di chi sappia infervorare gli animi, parlando proprio di tutto questo. Le liste sono tutte da fare, ma tra gli addetti ai lavori la sensazione è che gli universitari saranno chiamati a scegliere tra non meno di duecento candidati. Tutti nomi nuovi? Non è detto: lo statuto universitario stabilisce che i rappresentanti degli studenti non possono essere eletti per più di due mandati consecutivi e gli studenti uscenti sono tutti solo al primo mandato. Quanti studenti dovranno essere eletti? Saranno cinque nel Consiglio d’amministrazione, cinque nel Senato accademico, cinque nel Senato accademico allargato, e due nel Comitato per lo sport universitario (Cus). Inoltre dovranno essere rinnovate le cariche nei diversi consigli di facoltà e di corso. Quali liste si sfideranno? Troppo presto per dirlo: dipenderà anche dalle alleanze che vorranno stringere i diversi gruppi. Che essenzialmente sono: Uniti e liberi (vicini a Comunione e Liberazione), Università per gli studenti (che seppure sia vicina alla Margherita è aperta a tutte le idee), e Studenti a sinistra (il nome è già abbastanza eloquente). Sabrina Zedda ======================================================= _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 4 nov. ’05 CLINICA OTORINO: PROTO IL NUOVO DIRETTORE Dopo trent'anni cambio di guardia in Clinica otorino Cambio della guardia nella conduzione della Clinica di otorinolaringoiatria del San Giovanni di Dio: dopo 31 anni di servizio come primario, il professor Paolo Puxeddu lascia l'incarico di direttore a Ernesto Proto, già docente di Otorinolaringoiatria dell'Università di Cagliari. Il passaggio delle consegne mercoledì scorso. Il sessantacinquenne Ernesto Proto, originario di Lamezia Terme, guiderà la clinica universitaria per 7 anni. «Di più non è possibile - spiega - perché a 70 anni si deve andare necessariamente in pensione e al massimo sono ammessi solo 2 anni in più di tolleranza. Spero comunque di riuscire a portare a termine il mandato, con l'aiuto del Signore». La nuova conduzione sarà all'insegna della continuità con il passato. «Paolo Puxeddu ha operato bene, contribuendo a far diventare la Clinica di otorinolaringoiatria un punto di riferimento importante per tutta la Sardegna e non solo». Ernesto Proto è approdato al San Giovanni di Dio nel 1968 proveniente da Bologna, dove ha completato gli studi di medicina. Dal '83 al '98 è stato professore associato di Otorinolaringoiatria presso la facoltà di Medicina dell'ateneo cagliaritano. Nel 1998 ha vinto il concorso per ordinario, acquisendo la titolarità della cattedra. Nella sua carriera figura anche una breve parentesi napoletana, tra il ?74 e il '76. «Dopo tanti anni di lavoro, sono diventato il direttore della Clinica di otorinolaringoiatria - afferma Ernesto Proto - e sono indubbiamente felice. È un traguardo importante che ho raggiunto anche grazie ai preziosi insegnamenti del mio maestro, il professor Giovanni Motta. Ora l'obiettivo è di continuare a svolgere l'attività nel solco della tradizione di chi mi ha preceduto, seguendo l'esempio di Paolo Puxeddu (che ha rivestito la carica dal 1974 ad oggi) e del suo maestro Ettore Pirodda. La nostra attività sarà dedicata in particolar modo ai pazienti affetti da tumori della laringe della faringe e del cavo orale. Ma più in generale, ci occuperemo (come sempre è stato fatto finora) di tutte le patologie riguardanti orecchio, naso e gola, e soprattutto dei disturbi più diffusi tra la popolazione che sono quelli che riguardano l'orecchio medio, le otiti per intenderci. Ovviamente non tralasceremo la ricerca, davvero essenziale, e la sperimentazione delle nuove metodologia in materia». Nessuna cambiamento sostanziale dunque, ma tanto impegno per far crescere ulteriormente la Clinica e perfezionare l'assistenza ai malati. Paolo Loche _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 2 nov. ’05 CAMBIO AL VERTICE DI MEDICINA LEGALE: DE STEFANO A GENOVA Università. De Stefano a Genova, oggi il nuovo direttore Il Consiglio di facoltà di Medicina dell'ateneo di Cagliari si riunisce oggi per nominare il nuovo direttore del servizio di Medicina legale del Policlinico universitario, che prenderà anche possesso della cattedra d'ordinario nell'importante corso di laurea di Medicina. Il posto è stato lasciato vacante dal direttore uscente, il professore ordinario Francesco De Stefano, che da ieri si è trasferito a Genova. Siciliano di Trapani, De Stefano ha 53 anni, ha lavorato a Cagliari per sei anni ed è stato allievo di uno dei padri della medicina legale italiana, Franchini. Dalle indiscrezioni, il sostituto dovrebbe essere un romano, Ernesto D'Aloia (45 anni), anche lui professore ordinario di Medicina Legale, allievo di Angelo Fiori (ex direttore di Medicina legale dell'università Cattolica di Roma). D'Aloia non è una novità assoluta per Cagliari: fa infatti parte dei docenti della scuola di specializzazione in Medicina legale, ruolo che continuerà a ricoprire anche Francesco De Stefano. Oggi l'ufficializzazione del cambio, durante il Consiglio di facoltà. (m. v.) _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 3 nov. ’05 POLICLINICO, LA DOMENICA L'AUTOBUS NON ARRIVA Protesta per il servizio della linea 8 Di domenica al Policlinico? Come arrivare in una cattedrale nel deserto. La protesta degli abitanti che i giorni festivi non dispongono di una linea di pullman per arrivare al centro ospedaliero universitario sale di tono. La linea 8 del Ctm, nei giorni di festa anziché sostare di fronte al nuovo Policlinico che si affaccia sulla statale 554, fa capolinea in via San Gavino. Uno stop ingiustificato per cittadini e lavoratori che anche durante i week end devono superare il confine della statale. La novità: la petizione-protesta, raccolta mesi fa, sembra aver trovato uno sbocco. «Proprio eri mattina ho avuto un incontro all'assessorato regionale ai Trasporti», dice Italo Murru, assessore alla Viabilità. «Ho fatto da portavoce e dalla Regione mi hanno garantito che, d'intesa con il Ctm, che ha già inoltrato una richiesta in proposito, si faranno carico di risolvere la situazione». Perché durante i giorni di festa nessuna linea del Ctm arriva nelle vicinanze del polo universitario? «La prossima settimana avrò notizie certe e spero che si decida di non far variare la corsa del numero 8 durante i giorni festivi». Anche con i mezzi privati sembra che una camminata per accedere all'ospedale sia d'obbligo. «Faccio delle visite di controllo mensili e ogni volta sono costretto a percorrere anche più di 500 metri a piedi per raggiungere l'ingresso», spiega Mario Usai, pensionato di 65 anni. «È giusto che ci sia un parcheggio grande ed esterno ma per me che ho difficoltà a camminare diventa un'avventura fare una visita medica». Elena Secci, in visita a un parente ricoverato al Policlinico. «In tutti gli ospedali c'è una sbarra per i parcheggi interni, ma se si chiede di parcheggiare vicino all'entrata per un valido motivo l'accesso è garantito. Al Policlinico questo è impossibile». Serena Sequi _______________________________________________________________ La Repubblica 3 nov. ’05 USA, LE VITTIME DELLA POVERTÀ LE DISUGUAGLIANZE nella assistenza sanitaria uccidono negli Stati Uniti 84.000 persone all'anno, l'equivalente delle vittime dell'uragano Katrina ogni settimana. E' quanto risulta dalla ricerca di David Atkins, della Agency for Healthcare Research and Quality, illustrata sul British Medical Journal. La maggiore mortalità registrata nelle classi povere e anche in quelle meno abbienti non è dovuta a particolari patologie. I big killer sono gli stessi, come diabete, malattie cardiovascolari e tumori. Ma chi ha meno cultura e non possiede copertura sanitaria privata esegue meno esami preventivi, ottiene una diagnosi della sua malattia con un ritardo che spesso si rivela fatale e, per quanto riguarda le cure, non riesce a terminarle o a eseguirle con regolarità o non ha la possibilità di comprarsi i farmaci più innovativi e quindi più costosi. _______________________________________________________________ La Repubblica 3 nov. ’05 ODONTOIATRI, LA LEGGE CAMBIA L'ACCESSO Cambia l'accesso alla professione odontoiatrica. E sono tutti d'accordo: gli stessi odontoiatri, i professori universitari interessati e i politici. Serve aspettare il tempo burocratico perché questa nuova bozza di legge si traduca in decreto, e allora coloro che dopo la laurea specifica vorranno dedicarsi alla professione odontoiatrica dovranno sottoporsi ad un periodo di praticantato di 9 mesi (contro i vecchi 3) presso uno studio abilitato e sostenere una prova scritta ed una pratica. Esaminatori di questi nuovi odontoiatri non saranno più solo i professori universitari ma anche una rappresentanza di odontotecnici designata dall'Ordine: "Finora la commissione esaminatrice era composta dagli stessi professori della laurea e l'esame di Stato non ne era che un mero duplicato", ci spiega Marco Poladas, legale e dirigente dell'ufficio centrale degli odontoiatri nell'ambito della Federazione Nazionale dell'Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO), "l'aggiunta dei rappresentanti della professione odontoiatrica garantirà ancor più sui temi deontologici e bioetici, sull'abusivismo e sul prestanomismo. Inoltre in questo modo gli odontoiatri stessi potranno riappropriarsi del controllo e della competenza dei propri iscritti". Oltre che un traguardo "storico" questo accordo è definito "un successo della professione", dice Giuseppe Renzo, presidente della Commissione Nazionale Odontoiatri: "Solo grazie al dialogo si è potuto licenziare un testo che ha trovato tutti d'accordo". "I rappresentanti del mondo universitario", conclude Renzo "hanno riconosciuto la piena competenza dell'Ordine a verificare la qualità dei professionisti, assumendosi, in piena reciproca garanzia, la responsabilità della formazione". (laura cappozzo) _______________________________________________________________ La Repubblica 3 nov. ’05 BISTURI E OSPEDALI A TRE STELLE Così lo "star rating" anglosassone contro errori medici e rischi in corsia In Gran Bretagna le performance delle strutture e, da quest'anno, dei chirurghi sono a disposizione dei cittadini su Internet o su richiesta: un effetto della legge sulla trasparenza. E in Italia? di Susanna Jacona Salafia Ci si può fidare dei medici e dell'ospedale della propria città o di quello che si è scelto per curarsi? Ha un pronto soccorso efficiente, un'adeguata prevenzione delle infezioni ospedaliere o quanto si aspetta per essere ricoverati in caso di emergenza? Ma, soprattutto: è mai morto qualcuno, per una procedura chirurgica sbagliata e, infine, il medico che dovrà operarci ha mai sbagliato prima o qual è il suo curriculum? Sono tutte domande che ci poniamo (specie dopo gli ultimi episodi di malasanità) ma che non hanno risposta, o perlomeno non di tipo ufficiale e documentata. Al di là della Manica, queste e altre informazioni al paziente sono invece la normale prassi. Lì simili quesiti, insieme a molti altri, sono perfettamente leciti e le risposte sono accessibili dal sito web del National Health System britannico nel rispetto della trasparenza. Il sistema di "star rating" che qualifica annualmente, dal 2003, la performance di ognuna delle strutture ospedaliere del Regno Unito (Scozia esclusa perché ha un Nhs indipendente) con tre (alle strutture di eccellenza) due, una o zero "stars" dà la possibilità, ad esempio, di far sapere all'utenza quante morti ci sono state in operazioni d'urgenza o salvavita. O quali sono le azioni adottate quindi nel "managment risk" (gestione del rischio) in quell'ospedale. Due dei 47 "indicatori", fissati dalla "Healthcare Commission", danno un punteggio alla struttura relativamente al numero di morti, avvenute entro trenta giorni da procedure chirurgiche "non elettive"(che significa operazioni d'urgenza salvavita non rinviabili, escludendo però le diagnosi di tumore) o "in operazioni al cuore di bypass". Cinque punti, in questo indicatore (che sommato a tutti gli altri dà poi il punteggio finale del numero di "stelle") significa che il dato è inferiore del 100% rispetto alla media consentita. Il dato si ricava da una frazione tra il numero delle morti complessive e quelle delle operazioni non elettive. Da tre a cinque, dunque, il giudizio è complessivamente buono. Sotto i tre, c'è qualcosa che non và, perchè siamo quasi al 100% oltre la media consentita. Il tutto, come detto, è on line accessibile su www.healthcarecommission.org.uk, semplicemente digitando il nome dell'ospedale. In Italia il dato sulla "mortalità", invece, come indicatore di qualità di un'ospedale, è da tempo abolito e sicuramente non reso pubblico. Potrebbe indurre i medici e gli ospedali a evitare di accogliere pazienti terminali o gravi, si dice da più parti. In Francia una graduatoria di questo tipo, nel 2003, fece gridare allo scandalo i medici. Al contrario, il sistema nazionale sanitario inglese, dal 1988 ha istituito un ufficio investigativo riservato, "National confidential enquiries into patients outcome and deaths" (Ncepod) sulle morti accadute entro 30 giorni dall'intervento chirurgico, per scoprirne le cause e avviare eventuali interventi di miglioramento.Da sempre, invece, esiste "Hospital Episode statistics" al quale gli ospedali sono obbligati a comunicare le morti post- chirurgiche. Anche questo ufficio fornisce i dati statistici sulle morti in ospedale. Basta una semplice richiesta dal sito web. "Le diverse indagini del Ncepod hanno dimostrato che alcune morti sono riconducibili a errori nell'assistenza ospedaliera", scrive la Health commission nel sito, "monitorare annualmente questi dati e imparare dall'esperienza delle strutture che hanno un basso numero di morti può aiutarci a evitare questi episodi". Anche la partecipazione ai "clinical audit", cioè l'analisi critica (soprattutto nelle cardiologie) dell'attività dell'ospedale, è un particolare indicatore di qualità del sistema britannico "star rating". Ma i cittadini britannici possono anche sapere tutto sul chirurgo che li opererà. "Surgery Freedom of Information act", è uno speciale ufficio al quale, da quest'anno, ci si puo rivolgere per chiedere il curriculum e tutta la documentazione ospedalierà del medico in questione. Dal sito web c'è il modello richiesta on line da compilare. Il servizio è gratuito e carico del richiedente ci sono solo le spese per le fotocopie. Si tratta degli effetti del "Freedom of Information act" l'atto approvato dalla Camera dei Comuni nel 2000 ed entrato in vigore quest'anno. _______________________________________________________________ La Repubblica 3 nov. ’05 L'INFERMIERE "RESPONSABILE" Come sta cambiando una figura centrale della sanità Maggiore qualificazione, più giovani ma poca carriera di Anna Rita Cillis Questione di aspirazioni e di volontà. Le stesse che in cinquant'anni hanno permesso agli infermieri italiani di trasformarsi in operatori sanitari tra i più preparati in Europa. Ma paradossalmente, proprio per questo, ancora in cerca di un'identità scevra da stereotipi consumati dal tempo. Così, se da un lato è cresciuto notevolmente il grado di istruzione e di capacità degli infermieri (dal 2000 per diventarlo bisogna frequentare un corso di laurea triennale) e il "mestiere" è svolto sempre più da giovani (poco meno del 56 per cento non arriva ai 40 anni) dall'altro la categoria aspetta ancora di essere valorizzata dalle forze politiche "più di quanto fatto fino ad oggi", come ha ribadito Annalisa Silvestro, presidente della Ipasvi, la Federazione nazionale dei Collegi degli infermieri, durante il quattordicesimo congresso della categoria che si è tenuto alcuni giorni fa a Roma. Categoria rappresentata per lo più da donne (il 79 per cento dei 340mila operatori) anche se il 28,7 degli iscritti ai corsi di laurea 2003-2004 era costituito da uomini con punte di uno ogni tre al Sud. E, in un'Italia dove la sanità pubblica si frammenta sempre più in base a divisioni territoriali e amministrative, il "ruolo" degli infermieri resta un punto nevralgico. Annalisa Silvestro al riguardo aggiunge: "L'Ipasvi chiede maggiore autonomia organizzativa negli ospedali e una diversa organizzazione dei servizi sul territorio". Non più dunque anello di congiunzione tra il medico e il paziente ma base solida alla quale garantire maggiori competenze manageriali e nuove responsabilità all'interno delle strutture sanitarie. Il tutto in attesa che, come promesso durante il congresso dal sottosegretario alla Salute, Cesare Cursi, i collegi provinciali degli infermieri vengano strasformati in ordini professionali e il disegno di legge al quale sta lavorando, a tal fine, il Governo contenga l'obbligatorietà di iscrizione: un modo per verificare il livello di competenza. L'incontro romano, al quale hanno partecipato anche delegazioni europee e con le quali l'Ipasvi si è confrontata sul ruolo degli infermieri in Italia e all'estero, ha portato con sé anche alcune novità. Se è vero, infatti, che nel nostro Paese l'offerta formativa continua a essere più bassa del fabbisogno stimato per il 2005 da Regioni (15.256) e dall'Ipasvi (17.200) e il numero dei laureati non copre il turn-over professionale di circa 13mila unità ogni 12 mesi, le immatricolazione ai corsi di laurea infermieristica, per l'anno accademico 2005-2006, hanno registrato un incremento pari al 31,4 per cento dal 2000 a oggi. In cinque anni, ovvero da quando il percorso formativo universitario è entrato a regime, i posti disponibili sono, infatti, passati da 10.135 ai 13.320. Al di là dei numeri sono "molteplici, nel nostro Paese, le strutture dove le professionalità non vengono ancora riconosciute e valorizzate", spiega Silvestro. Secondo la presidente dell'Ipasvi "la laurea e i master stanno innalzando capacità tecniche, giuridiche, umanistiche ed economiche degli operatori. Peccato, però, che in molte unità operative l'attività domestico- alberghiera e amministrativa-burocratica continui ad essere svolta in gran parte dagli infermieri. I quali, per supplire le carenze non riescono a svolgere il loro lavoro". A Silvestro fa eco Ubaldo Montaguti, direttore generale del Policlinico romano Umberto I: "All'innovazione del percorso di studi non è corrisposta una ristrutturazione organizzativa e gestionale delle strutture", aggiungendo che la situazione in Italia è a macchia di leopardo "non solo a livello regionale ma persino locale". La speranza, condivisa tra più parti, è che presto per gli infermieri siamo previsti iter - in termini di carriera - come quelli dei medici. "Ai quali, per carità" conclude Silvestro "non abbiamo nessuna intenzione di sostituirci. Vogliamo solo che ci venga riconosciuto quello per cui abbiamo tanto lottato". _______________________________________________________________ La Repubblica 3 nov. ’05 CHIRURGIA: ALLUNGARE IL PENE NON SERVE Perché l'intervento chirurgico sul pene è un bluff di Giuseppe Del Bello Colpa delle pubblicità "machiste" e dell'ormai sbiadita immagine di "tombeur de femme", il maschio italico si sente inadeguato. Mette in discussione se stesso e il suo organo sessuale. L'osserva con ansia e lo confronta con quello degli amici in palestra. A casa prende le misure e cade in depressione. Scatta così il perverso meccanismo che conduce tantissimi uomini, normali ma psicologicamente fragili, prima dall'andrologo e, successivamente, dal chirurgo urologo. "Arrivano in ambulatorio pazienti che presentano vari problemi, ma almeno la metà mi rivolge la stessa richiesta", dice Fabrizio Iacono, professore associato di Urologia alla Federico II di Napoli, "pretende un pene più lungo perché è insoddisfatto delle dimensioni attuali. Ma nella maggior parte dei casi si tratta di una patologia psicologica, un'ossessione indotta dal bombardamento televisivo. D'altronde, la media europea si attesta tra i 12 e i 13 cm in erezione, mentre i casi che hanno reale bisogno di intervento sono estremamente rari: in oltre vent'anni ne ho visti solo due". Già, perché si parla di micropene quando ci si trova di fronte a un organo che in erezione non supera i due centimetri di lunghezza. E solo in questo caso sarebbe giustificato il ricorso al bisturi. L'intervento infatti si dimostrerebbe utile nell'aumentare solo di due centimetri la lunghezza del pene. "È un bluff chirurgico", continua Iacono, "proposto una decina d'anni fa. Ma si rivelò subito fallace perché in realtà il protocollo non consente l'allungamento ma lo scivolamento in avanti del pene". Per chiarire la situazione è necessario rifarsi all'anatomia, ricordando che il 50 per cento dell'organo è rappresentato dalla parte crurale, cioè dalla radice dell'organo che rimane nascosta. "L'intervento prevede il sezionamento dei legamenti (sospensori) che tengono ancorata la radice del pene", spiega lo specialista, "in questo modo si favorisce lo slittamento, aumentandone la parte esposta. Tra l'altro questo non succede sempre perché la parte crurale è saldamente fissata alle ossa del pube e del piccolo bacino. Certo, in una situazione di micropene, due centimetri significano il raddoppio della lunghezza". I problemi su cui ci si dovrebbe concentrare e che oggi inducono sempre più uomini ad andare dall'andrologo, sono quelli correlati ai mutamenti di forma che non consentono di avere rapporti sessuali normali. "Si tratta di malformazioni effettive", sottolinea Iacono, "che se raggiungono deviazioni in erezione superiori a 30 gradi, rendono particolarmente difficile la penetrazione". Le curvature congenite o acquisite del pene sono presenti nel 20 per cento della popolazione maschile e sono tutte correggibili chirurgicamente. "In anestesia locale o locoregionale", conclude lo specialista, "si esegue la corporoplastica di raddrizzamento con un'incisione sulla tunica albuginea del pene, suturando poi in senso opposto all'incisione in modo che questa sia retraente e permetta il raddrizzamento dell'organo. La guarigione avviene in pochi giorni e la funzione sessuale può essere ripresa dopo otto settimane". ______________________________________________________ Il Giornale 1 nov. ’05 PIASTRINE ALLEATE DELL’EPATITIE B E C Le piastrine del sangue, che normalmente sono nostre alleate nela lotta contro le emorragie, hanno anche il compito di intrappolare nel fegato le cellule inmunitarie dell'organismo, colpita da epatite B o C. scatenando i sintomi. della malattia: la scoperta di questo nuovo meccanismo legato all’epatite è dei ricercatori del San Raffaele di Milano con lo Scripps Research Institute di La Jolla in California. L’University of California e il Cears-sinai nedical centrd di Los Angeles la ricerca sarà pubblicata su Nature Medicine di novembre. È lieto che il virus dell'epatite non attacca direttamente il fegato e le sue cellule ma anzi le usa per replicarsi. Quale è allora il meccanismo cellulare - questa la domanda che si sono posti i ricercatori che porta ai gravi danni al fegato osservati nel decorse della malattia? i ricercatori del San Raffaele hanno scoperto che le piastrine, in caso di infezione dal virus epatite B e C,sono in grado di formare una soda di tappeto appiccicoso che costituisce una vera e propria trappola per i linfomi citotossici, particolari cellule immunitarie che normalmente circolano nel nostro,sangue _______________________________________________________________ Le Stampa 2 nov. ’05 CIBI CRUDI? UNA MODA RISCHIOSA STA emergendo un nuovo tipo di malattia alimentare che vede alcune persone ossessionate dalla ricerca di alimenti che consentano di migliorare la salute. Si tratta di un comportamento simile a quello delle persone che soffrono di anoressia o bulimia, salvo che questi pazienti si preoccupano esageratamente della quantità di cibo consumato, gli ortoressici invece della qualità. Questa nuova mania nutrizionale viene definita «ortoressia nervosa» (parola composta che deriva dal greco «orthos», che significa giusto, corretto, e «orexis», che significa appetito). Molti pensano che gli alimenti naturali, non manipolati o trattati con antiparassitari, additivi, coadiuvanti tecnologici, siano più buoni e più sani, in base al presupposto che la natura fa sempre cose buone e l’uomo cose cattive. Fortunatamente non è così. Gli esempi sono innumerevoli: mais e arachidi possono contenere le aflatossine, sostanze cancerogene accertate; i cavoli contengono glucosidi che interferiscono nella fissazione dello iodio da parte della tiroide; spinaci, barbabietole e tè contengono acido ossalico che contribuisce alla formazione dei calcoli renali; la glicirrizina presente nella liquirizia favorisce l’ipertensione. L’avanzamento delle tecnologie ha migliorato non solo l’igiene, ma anche la qualità e la shelf life: il pesce e la verdura surgelata, il latte UHT, sono due esempi di alimenti la cui disponibilità non è più limitata alla stagionalità e al breve periodo della raccolta. In questo periodo stiamo assistendo ad un ritorno al «crudismo» che era già in voga negli Anni 50, quando gli svizzeri Bircher Benner e Gayelord Hausen raccontavano i beveroni di frutta e verdura delle dive di Hollywood che cercavano l’elisir dell’eterna giovinezza. Effettivamente il contenuto vitaminico della frutta fresca, colta al giusto punto di maturazione e trattata in modo corretto, è superiore a quello della frutta conservata. Tuttavia, in molti casi, la cottura è utile a migliorare il valore alimentare. E’ stato dimostrato che il licopene, un antiossidante presente nei pomodori diventa più assimilabile (biodisponibile) se i pomodori vengono trattati col calore. La carne cotta offre maggiori garanzie dal punto di vista igienico rispetto alla carne cruda. Il calore azzera le parassitosi (trichinosi, teniasi) e la carica microbica oggi alla ribalta dell’attenzione pubblica (vedi infezione aviaria). Lo stesso si può dire a proposito del pesce crudo (marinato o soltanto affumicato) che oggi viene disinvoltamente proposto dai ristoranti cinesi e indonesiani. L’Associazione Nazionale delle aziende ittiche ha dato recentemente l’allarme, dopo aver constatato la presenza di larve di Anisakis (un parassita che ingerito vivo e vitale può provocare nell’uomo granulomi gastrointestinali), per cui viene sempre raccomandata la cottura o la surgelazione per tutte le specie ittiche. Nell’uovo crudo è presente l’avidina che si lega ad una vitamina (biotina) per formare un composto biologicamente inattivo; l’avidina viene denaturata, e così neutralizzata, mediante la cottura. Il calore distrugge anche eventuali germi patogeni, come le salmonelle. Anche i vegetali ricchi di amido e di cellulosa traggono vantaggi dalla cottura: l’amido viene parzialmente trasformato in destrine, sostanze più facilmente digeribili e le fibre di cellulosa sono meglio tollerate. Cuocendo bene i legumi vengono anche distrutti dei principi antinutritivi (emoagglutinine) che possono provocare una diminuzione dell’assorbimento delle sostanze utili all’organismo. Le «Linee Guida per una sana alimentazione» (messe a punto dall’Inran - Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione) raccomandano di diversificare le scelte alimentari, sia per un più completo apporto di vitamine e minerali, sia per ridurre il rischio di abitudini alimentari monotone che possono veicolare sostanze estranee, e che non adatte a mantenere una buona salute. Renzo Pellati _______________________________________________________________ Le Stampa 2 nov. ’05 QUEI PROIETTILI CHE CURANO LO STUDIO DELL’ATOMO HA DATO ORIGINE A MOLTE APPLICAZIONI MEDICHE: IL CASO DI «TERA» NEGLI ospedali vediamo usare strumenti che non sono altro che applicazioni, talvolta sofisticate e costose, della ricerca di base in fisica. Ma pochissimi, anche tra gli operatori sanitari, sono coscienti delle basi scientifiche di questi strumenti, sanno come a ciò si sia arrivati e si preoccupano di sostenere la ricerca fisica di base di oggi che porterà domani a nuovi strumenti diagnostici e terapeutici. Questo è particolarmente vero in Italia, dove tutti, industriali e politici, dibattono da anni di invenzione innovazione e trasferimento tecnologico ma poco fanno per aiutare chi cerca di trasformare i risultati della ricerca in prodotti vendibili anche all'estero. È questa l'esperienza che facciamo quotidianamente con la Fondazione Tera, che ha lo scopo di utilizzare i più recenti sviluppi della fisica degli acceleratori di particelle per la adroterapia, cioè la terapia dei tumori medianti i fasci di quelle particelle che i fisici chiamano adroni, in particolare mediante fasci di protoni e di ioni carbonio. Vediamo la storia di questa idea, di cui si parlerà a Torino il 7 novembre, ore 10,30, al Centro congressi dell’Unione Industriale (via Fanti 17, tel. 011-5718.246) nella serie di incontri rivolti alle scuole «La scienza e le scommesse del futuro». Le scoperte dei raggi X e della radioattività aprirono la porta alla moderna fisica atomica e subatomica, che però dovette attendere ottant'anni per trovare una sua descrizione soddisfacente nel «Modello Standard» della particelle e delle forze. Il Modello congloba la teoria delle relatività e la teoria quantistica ed è stato accettato perché spiega i risultati di decine di migliaia di esperimenti condotti con acceleratori di particelle che, nati negli Anni 30, sono diventati sempre più potenti. I fisici misurano l’energia in milioni di elettronvolt, il cui simbolo è MeV. I ciclotroni degli Anni 30 - inventati dall'americano Ernest Lawrence come strumento per la ricerca fisica di base - e i sincrotroni degli Anni 40 liberavano nelle collisioni con i protoni della materia qualche centinaio di MeV. Al Cern di Ginevra, quando vi arrivai nel 1960 appena laureato, era da poco entrato in funzione il Proto-Sincrotrone di 300 metri di diametro che superava i 5.000 MeV. Ma per verificare nei più minuti dettagli il Modello Standard abbiamo dovuto sperimentare dal 1990 al 2000 al LEP, il Large Electron Positron collider, nel quale elettroni e positoni (le antiparticelle degli elettroni) si annichilavano liberando fino a 200 migliaia di MeV. Il prossimo passo è il Large Hadron Collider che al Cern farà collidere, a partire dalla fine 2007, protoni con protoni fino a 30.000 migliaia di MeV. Comprendere il mondo subatomico fino a dimensioni che sono dell'ordine di un millesimo del nucleo di un atomo ha anche permesso la costruizione un modello quantitativo dei fenomeni seguiti al Big Bang. Quattordici miliardi di anni fa la zuppa primordiale di particelle e antiparticelle si è raffreddava partendo da altissime temperature e le collisioni accadevano a energie via via decrescenti: quelle che abbiamo riprodotto al LEP erano usuali un miliardesimo di secondo dopo il Big. Bang. Non vi è nulla di più lontano dalla vita di tutti giorni, eppure - spinti dalla curiosità scientifica - i fisici hanno costruito acceleratori e rivelatori di radiazione sempre più sofisticati; questi strumenti trovano oggi molteplici applicazioni in medicina. Con i ciclotroni si producono i radioisotopi artificiale per la scintigrafia e, in particolare, per la PET (Positron Emission Tomography), lo strumento diagnostico che fa uso delle antiparticelle dei positoni, scoperte da Carl Anderson nel 1934. I moderni tubi a raggi X sono usati nella TAC. Gli acceleratori lineari, inventati nel 1945, sono utilizzati per la terapia dei tumori: in Italia ogni anno 110.000 pazienti - circa la metà di coloro a cui è diagnosticato un tumore - sono irradiati con fasci di raggi X di alta energia prodotti da acceleratori lineari. Da qualche annno ciclotroni e sincrotroni sono utilizzati per accelerare protoni e ioni carbonio per la terapia dei tumori profondi. In particolare, TERA ha progettato un centro di terapia basato su un sincrotrone da 25 metri diametro che la Fondazione CNAO sta realizzando a Pavia con la collaborazione dell'Infn e altri istituti italiani e stranieri. Qui, a partire dal 2007, fasci di ioni carbonio in grado di penetrare fino a 25 centimetri di profondità controlleranno i tumori detti radioresistenti in quanto non sono curabili né con i raggi X né con i fasci di protoni. [TSCOPY](*)Università di Milano Bicocca[/TSCOPY] Ugo Amaldi (*) ______________________________________________________ New York Times 2 nov. ’05 L'ESAME DELL'ALITO PUÒ AIUTARE A DIAGNOSTICARE CERTE MALATTIE di AMANDA SCHAFFER I dottori sanno, almeno sin dai tempi di Ippocrate, che dall'alito dei pazienti si possono trarre indizi sui malanni che li affliggono. L'odore di mela marcia dell'acetone può segnalare diabete; un fetore di zolfo potrebbe indicare cirrosi epatica e altre esalazioni possono suggerire infezioni polmonari, problemi renali o, più semplicemente, una carie. L'avvento della chimica moderna ha ulteriormente accresciuto il potenziale dell'impiego dell'alito come metodo per scrutare nel corpo umano. Nel XVIII secolo il chimico francese Antoine Lavoisier provò che il corpo produce diossido di carbonio, emesso con ogni respiro. E nei primi anni74 Linus Pauling dimostrò che l'alito è un gas complesso che contiene oltre cento composti organici. Eppure solo recentemente i ricercatori hanno iniziato ad esaminare l'elaborata struttura chimica dell'alito per vedere se le eventuali alterazioni nella sua composizione possano essere usati come strumento diagnostico per rivelare condizioni quali il tumore al polmone o la tubercolosi. Ad oggi, il test più avanzato è quello che aiuta a capire se chi ha subito un trapianto di cuore stia rigettando il nuovo organo. Questa tecnica, chiamata heartsbreath test (esame del `respiro cardiaco'), è stata recentemente sviluppata dal dottor Michael Phillips, professore di medicina interna al New York Medical College di Valhalla, nello Stato di New York, e fondatore di Mens Sana Research, una società non profit. L'esame, approvato lo scorso anno dalla Food and Drug Administration, ha una vaga somiglianza con quello impiegato dalla polizia per accertare il livello di alcol nel sangue dei guidatori, ma è "miliardi di volte più sensibile", dice il dottor Phillips. Il test prevede che si respiri per due minuti attraverso la bocca in un lungo tubo di acciaio. Un campione dell'alito viene raccolto e analizzato chimicamente con delle tecniche chiamate cromatografia gassosa e spettroscopia di massa. L'alito viene poi paragonato con un campione prelevato dall'ambiente circostante. II risultato negativo scongiura il bisogno di sottoporsi ad una, o anche due, biopsie, benché non sia ancora stato sviluppato un esatto protocollo procedurale. Ma una riduzione anche minima del numero di biopsie al cuore - generalmente effettuate almeno dodici volte nel primo anno che segue un trapianto - sarebbe già un beneficio molto notevole per il paziente. "Non c'è bisogno di solleticare il cuore o farlo palpitare", dice Mark Blackowski, 47 anni, che nel 2003 ha subito un trapianto presso il Beth Israel Medical Center di Newark, nel New Jersey, e si è sottoposto due volte all'esame dell'alito. "Entri, ti tappano il naso, respiri in un tubo per due minuti; e hai finito". Un altro vantaggio è di natura economica. Mentre una biopsia al cuore può costare anche migliaia di dollari, un test heartsbreath ne costerà forse qualche centinaio. Il dottor Mark Zucker, direttore presso il Beth Israel di Newark dell’HearC Failure Treatment Transplant Center, nota che l'esame è meno sensibile di una biopsia, nel senso che non rivela il rigetto di un organo sino a quando questo non è in uno stadio un po' più avanzato. Dal punto di vista clinico questo non rappresenta tuttavia un problema, poiché di prassi le forme leggere di rigetto vengono tenute sotto controllo ma non trattate. (II dottor Zucker, che ha partecipato alle sperimentazioni cliniche per il test heartsbreath finanziate dall'Istituto nazionale di igiene, dice di non avere nessun interesse economico nell'uso di questo strumento diagnostico). Il test heartsbreath è inoltre meno specifico di una biopsia, perché presenta una maggiore probabilità di dare un risultato positivo anche quando. il sistema immunitario del paziente non sta rigettando l'organo trapiantato, un motivo, questo, per cui la Food and Drug Administration ha approvato il test come coadiuvante, e non come sostituto, della biopsia. Il dottor Phillips sta studiando con altri sanitari l'applicazione del test dell'alito per la diagnosi precoce del tumore ai polmoni, un altro campo in cui tecniche di controllo non invasive e relativamente economiche sarebbero molto ben accette. Ad oggi, il cancro al polmone può essere rivelato grazie a delle scansioni Ct, che espongono il paziente a piccole dosi di radiazioni. In caso di risultati positivi si effettuano delle biopsie, nelle quali dei tessuto viene rimosso dal polmone per essere analizzato. Il test dell'alito sembra in linea con la generale tendenza della medicina a preferire test non invasivi, dice il dottor Zucker. Terence Risby, professore alla Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, è d'accordo sul fatto che le analisi dell'alito siano preferibili e che probabilmente saranno gradite ai pazienti, specialmente ai bambini. Fa inoltre notare come i campioni di alito, a differenza dei campioni di sangue, non richiedono refrigerazione e quindi si prestano ad essere impiegati nei Paesi in via di sviluppo. Ma il dottor Risby si domanda se Phillips e gli altri abbiano individuato esattamente i marker biochimici che un simile test richiede. "Se ci si riuscissero", dice il dottor Risby, "sarebbe fantastico". II nuovo test è utile nei casi di trapianto e per alcuni tumori. ______________________________________________________ MF 3 nov. ’05 GOL DI TESTA? I CANNONIERI RISCHIANO L’ALZHEIMER Ricerca I casi aumentano del 37% nei calciatori di Andrea Torti Da vari decenni è assodato che la boxe può provocare danni spesso irreparabili al cervello. Oggi però un nuovissimo studio svolto da due scienziati dell'università del North Carolina ha accertato che anche il calcio professionistico è una disciplina pericolosa per quanto riguarda la possibilità di contrarre il morbo di Alzheimer. Nei calciatori infatti è stato riscontrato un 37% di casi in più rispetto alla media Lo studio è stato condotto fra 2.488 ex calciatori degli Stati Uniti di circa 58 anni. Molti atleti hanno lamentato lesioni al cervello prima dei 70 anni e a 33 di loro è stato diagnosticato l’Alzheimer. Infatti il 61% di questi calciatori aveva riportato un trauma alla testa durante la carriera e il 25% tre o più. _______________________________________________________________ Le Scienze 4 nov. ’05 EBF-1 E LA SCLEROSI MULTIPLA Due specifici polimorfismi sono più comuni nei pazienti che negli individui sani Un gene coinvolto nello sviluppo delle cellule B potrebbe svolgere un ruolo fondamentale nella sclerosi multipla (SM). I risultati di un grande studio pubblicato sulla rivista "BMC Neurology" rivelano infatti che i pazienti di SM hanno maggiori probabilità di presentare due specifiche variazioni genetiche nel gene EBF-1 (Early B-cell factor) rispetto agli individui sani. Queste variazioni, o polimorfismi, potrebbero svolgere un ruolo causativo nella malattia oppure essere situate vicino ad altri polimorfismi che contribuiscono al disturbo. In questo caso, potrebbero essere usati come marcatori genetici per la SM. Alfonso Martinez e colleghi dell'Hospital Clinico San Carlos di Madrid, in Spagna, ipotizzano che EBF-1 possa essere coinvolto nella sclerosi multipla per il suo ruolo nel danneggiamento degli assoni. "Il danno assonale - scrivono gli autori - è un segno distintivo della sclerosi multipla, e il gene è implicato nell'espressione di proteine essenziali per lo sviluppo degli assoni. Come questi danni si verifichino nella SM, però, è ancora da chiarire". Martinez e colleghi hanno confrontato la frequenza di un polimorfismo di un singolo nucleotide (SNP) del gene EBF-1 in 356 pazienti cui era stata diagnosticata la MS e in 540 individui sani. Gli autori hanno anche confrontato le varianti di un "microsatellite", un breve segmento di DNA non codificante, estremamente variabile, all'interno del gene. I risultati rivelano che i pazienti con la SM hanno più probabilità di presentare la variante genetica con la base adenina nel SNP analizzato rispetto ai soggetti di controllo. Inoltre, nei pazienti è stata trovata più spesso una specifica versione (allele) del microsatellite rispetto ai soggetti sani. Alfonso Martinez, Ana Mas, Virginia de las Heras, Rafael Arroyo, Miguel Fernandez-Arquero, Emilio G de la Concha, Elena Urcelay, "Early B-cell Factor gene association with multiple sclerosis in the Spanish population". BMC Neurology 2005, 5:19 (28 ottobre 2005). ______________________________________________________ Il Sole24Ore 3 nov. ’05 MEZZO MILIONE DI ITALIANI HA IL GENE DELLA DISLESSIA MEDICINA STUDIO DELL'UNIVERSITÀ DI YALE Individuata una delle cause biologiche del disturbo che rende più difficile leggere Nel giro di un anno potrebbe essere pronto un test diagnostico U n gene mutato potrebbe essere all'origine di un caso di dislessia su cinque. Questo disturbo che provoca difficoltà nella lettura affligge almeno il 5% della popolazione, quindi circa tre milioni di italiani. Secondo alcuni autori questa cifra sarebbe fortemente sottostimata: ne sarebbe affetto addirittura il 17% delle persone. Già un gene "sospetto" era stato identificato lo scorso anno (da ricercatori dell'Istituto scientifico Eugenio Medea - La nostra Famiglia di Bosisio Parini e della facoltà di Psicologia dell'università del San Raffaele di Milano), ma sembrava avere un ruolo marginale nello sviluppo della malattia, la cui genesi è ancora poco chiara, anche se sembra oramai scontato che vi sia una componente ereditaria. Ricercatori del dipartimento di Pediatria dell'università di Yale hanno individuato un difetto di un altro gene, che è coinvolto nella formazione dei centri nervosi della lettura, attività molto difficile per i dislessici. La mutazione, ritenuta responsabile del 20% dei casi della malattia, riguarda il gene DCDC2, che si trova sul cromosoma 6. La sua funzione non è ancora del tutto ben compresa ma pare, per la sua estrema somiglianza a un altro gene, che DCDC2 serva a guidare la migrazione dei neuroni durante lo sviluppo, aiutandoli a disporsi nello spazio e a collegarsi reciprocamente. Secondo i ricercatori questo gene potrebbe essere cruciale per la corretta formazione dei circuiti neurali nei centri della lettura. La dislessia si manifesta con difficoltà a riconoscere o ricordare le parole scritte, con conseguenti trasposizioni e inversioni di parole o di sillabe durante la lettura. Chi ne è afflitto spesso è costretto a rileggere più volte un testo per afferrarne il contenuto. Queste difficoltà condizionano anche gravemente il rendimento scolastico. «I bimbi dislessici non sono meno intelligenti dei coetanei sani - sottolinea fautore dello studio (anticipato da Pnas online), Jeffrey Gruen - ma devono probabilmente fare i conti con alcune disfunzioni o alterazioni strutturali nelle aree del sistema nervoso che rendono possibile la lettura. Che gli individui dislessici abbiano un'intelligenza assolutamente comparabile a quella degli individui sani è stato dimostrato da diverse ricerche. Per giungere all'identificazione del gene mutato i ricercatori hanno esaminato il cromosoma 6 di 153 famiglie con individui dislessici e hanno visto che presentavano una versione "tronca" del gene DCDC2. Questo sembra causare alterazioni della concentrazione della proteina prodotta dal gene in questione, compromettendo il corretto sviluppo dei circuiti nervosi della lettura. Su queste ipotesi si continuerà ad indagare, concludono i ricercatori, ma nell'immediato la scoperta di DCDC2 offre la possibilità di migliorare le pratiche di diagnosi della malattia. Un test diagnostico, infatti, potrebbe essere sviluppato rapidamente, nel giro di un anno, e potrebbe dunque permettere un più rapido e facile riconoscimento della malattia, che spesso non viene diagnosticata, o comunque viene diagnosticata in ritardo, quando il ragazzino malato ha già subito gravi insuccessi scolastici che si possono evitare se il disturbo viene individuato subito. Esistono infatti delle terapie riabilitative che permettono di attivare le funzioni cognitive deficitarie o rinforzare quelle sane affinché compensino quelle malate. La scoperta potrebbe inoltre permettere di comprendere i meccanismi di base della dislessia, che sono ancora largamente ignoti. ______________________________________________________ Libero 3 nov. ’05 I PIÙ LONGEVI? GIAPPONESI, SARDI E CALIFORNIANI GLI ABITANTI DI OKINAWA, AD ESEMPIO, VIVONO A LUNGO PERCHÉ COLTIVANO LE AMICIZIE, MANGIANO Poco, MANTENGONO ATTIVO IL CERVELLO E SOFFRONO MENO DI MALATrIE CARDIACHE, DI TUMORI E IPERTENSIONE WASHINGTON Fede e dieta. Ecco i segreti per campare cent'anni, ma anche di più. Come Scriryu Toguchi, abitante del Giappone, che a 104 anni coltiva ancora l'orto, o come Giovanni Sannai, italianissimo, che a 103 anni pranza e cena regolarmente con la sua numerosa famiglia. Sono i risultati di una ricerca condotta dal National Geographic. Secondo gli studiosi sono tre i luoghi della Terra dove si vive più a lungo: Giappone, Italia e California,. I giapponesi, in particolare gli abitanti di Okinawa, campano fino a tarda età perché coltivano le amicizie per la vita, mangiano poco, e mantengono attivo il cervello. A Okinawa gli uomini hanno un'aspettativa di vita di 78 anni, le donne di 86 anni. Secondo Craig Willcox, che si è occupato dello "Studio sui centenari di Okinawa", gli individui che abitano questa fetta di pianeta soffrono meno di malattie cardiache, di tumori e ipertensione. Gli italiani, invece, e i sardi in particolare, vivono a lungo perché bevono vino rosso, mangiano pecorino e condividono apertamente lavoro e affanni con il coniuge. Nei paesini alle pendici del monte Gennargentu su 17.865 abitanti nati tra il 1880 c il 1900, ben 91 sono arrivati al centesimo compleanno, più del doppio in percentuale rispetto al resto dell'Italia. Un punto a favore dei sardi è il loro isolamento genetico. Secondo Paolo Francalacci dell'università di Sassari l'80 per cento degli isolani discende direttamente dai primi sardi; c in questa realtà genetica ;si nasconde presumibilmente qualcosa che favorisce la longevità. I Californiani, specialmente gli avventisti (membri di una delle varie sette protestanti, particolarmente diffuse negli Stati Uniti, caratterizzate dalla fede nell'imminente ritorno di Cristo sulla terra) di donna Linda, campano più della media perché mangiano soprattutto semi oleosi e legumi, rifiutano la carne di maiale c hanno fede in Dio: chi va regolarmente in chiesa vive in media due anni in più di ehi non prende parte alle funzioni religiose. La chiesa avventista, sorta durante le prime rivoluzioni salutiste dell'Ottocento, ha reso popolare il vegetarianesimo, i cracker integrali c i cereali a colazione: tutti alimenti che aiutano a tenere lontani tumori e disturbi cardiovascolari. g.9. ______________________________________________________ Libero 3 nov. ’05 ANCHE DOPO UN CANCRO AL TESTICOLO SI PUÒ DIVENTARE PAPÀ: 7 VOLTE SU 10 Il 71% degli uomini colpiti da tumore ai testicoli, dopo il trattamento, riesce a diventare padre. lo rivela uno studio norvegese basato sull'osservazione di 554 pazienti sopravvissuti a un tumore di questo tipo, che volevano. un figlio. Il Team Margarine Brydoydis ha diviso i soggetti in gruppi diversi sulla base del trattamento seguito dopo l'intervento: sorveglianza, rimozione dei linfonodi, radiazioni, chemio a basse dosi, o chemio ad alte dosi. Dopo 15 anni dalle cure anti-cancro il tasso di paternità é risultato del 71%,in media; inoltre, il primo bebè è arrivato dopo sei anni e mezzo dalla diagnosi. ______________________________________________________ Il Sole24Ore 3 nov. ’05 DALLE SPUGNE ALL'UOMO, UN'ALLEANZA ANTICANCRO Scoperta a Genova una curiosa "similitudine" molecolare tra l’essere umano e le spugne che potrebbe rivelarsi una chiave per controllare il processo dell'apoptosi, cioè la morte programmata delle cellule, e per la messa a punto di farmaci mirati contro le leucemie e altre neoplasie del sangue. Tutto grazie a due infinitesimi "porzioni" di materiale genetico (di nucleotidi) che controllano uno dei meccanismi di sopravvivenza fondamentali per le cellule, cioè i canali del calcio al suo interno. I due invisibili "regolatori" sono stati chiamati P18 e P24 e potrebbero diventare una vera e propria "bomba a orologeria" da attivare in caso di bisogno dentro la cellula, per farla "morire" se assume caratteristiche maligne. È la speranza che emerge da una ricerca coordinata da Elena Zocchi del RIA dipartimento di Medicina sperimentale dell'università genovese. Lo studio è stato pubblicata su «Pnas». P18 e P24, piccolissime catene di acidi nucleici (cioè di basi del materiale genetico) praticamente uguali nella spugna e nell'uomo, sono "segnali" fondamentali per l'organismo umano. «Hanno la capacità di indurre un aumento (nel caso di P2q) e una diminuzione (nel caso di Pr8), del calcio nella cellula - spiega Zocchi -. La concentrazione di calcio libero all'interno della cellula è forse il più antico e universale segnale intracellulare, responsabile dell'accensione di "programmi" specifici nei diversi tipi di cellule». Ad esempio, grazie al calcio si controllano le contrazioni muscolari e l'attività delle cellule del muscolo del cuore. Ma non basta, Nel futuro Pi8 e P2q potrebbero rappresentare veri e propri obiettivi per nuovi approcci terapeutici perché si tratta di potenziali "attivatori" di vita e morte per le cellule. Ora occorre solo capire bene come le cellule possano difendersi da queste potenti bombe a orologeria capaci di ucciderle per usare al meglio i due dinucleotidi. Ma non basta. P18 e P24 appaiono direttamente "tossici" per le cellule del sangue e quindi potrebbero rivelarsi utili contro i tumori del sangue. FEDERICO MERETA _______________________________________________________________ Le Scienze 2 nov. ’05 BRIOSTATINA PER CONSOLIDARE LA MEMORIA Il farmaco potrebbe aiutare i pazienti che soffrono di Alzheimer Uno studio pubblicato online sulla rivista "Proceedings of the National Academy of Sciences" suggerisce che la briostatina può stimolare la produzione di proteine essenziali per la memoria a lungo termine. "Sembra che la briostatina - spiega Daniel Alkon, direttore scientifico del Blanchette Rockefeller Neurosciences Institute (BRNI) e principale autore dello studio - favorisca la sintesi proprio di quelle proteine necessarie e sufficienti alle reti cerebrali per consolidare la memoria. Potrebbe trattarsi di un passo significativo per la cura del morbo di Alzheimer". I pazienti di Alzheimer allo stadio iniziale, di solito, non sono in grado di immagazzinare nuovi ricordi a lungo termine. La briostatina migliora biochimicamente proprio questa capacità. Introducendo il farmaco nel mollusco Hermissenda, una lumaca marina, gli scienziati del BRNI in collaborazione con i ricercatori del Marine Biological Laboratory di Woods Hole hanno scoperto che la briostatina aumenta la sintesi delle proteine che consolidano i ricordi a lungo termine. La briostatina è stata sviluppata inizialmente come farmaco contro i tumori, ma viene usata raramente. È già stata sperimentata negli esseri umani e si è rivelata sicura, il che potrebbe consentirne una rapida approvazione da parte della FDA per l'utilizzo come trattamento contro l'Alzheimer, anche se a questo scopo non è ancora stata provata nell'uomo. _______________________________________________________________ Le Scienze 3 nov. ’05 NANOBARRETTE D'ORO PER LA DIAGNOSTICA MEDICA Si va verso lo sviluppo di una nuova tecnica di imaging Alcuni ricercatori della Purdue University hanno compiuto un passo importante verso lo sviluppo di una nuova tecnica ultrasensibile di visualizzazione che agisce inviando un laser attraverso la pelle per rivelare minuscole barrette d'oro iniettate nel flusso sanguigno. Nel corso di esperimenti con i topi, le nanobarrette hanno consentito di ottenere immagini quasi 60 volte più luminose rispetto alle tinture fluorescenti convenzionali come la rodamina, usata di solito in molte applicazioni biologiche per studiare il funzionamento interno di cellule e molecole. I risultati sono stati descritti in dettaglio in un articolo pubblicato online sulla rivista "Proceedings of the National Academy of Sciences". Le barrette d'oro hanno una larghezza di circa 20 nanometri e sono lunghe 60 nanometri, quasi 200 volte più piccole di un globulo rosso. Secondo l'ingegnere biomedico Ji-Xin Cheng, potranno essere usate per sviluppare un nuovo strumento per la diagnosi preventiva dei tumori. La tecnica potrebbe consentire di superare le barriere che impediscono di usare la luce per analizzare i vasi sanguigni e i tessuti sottostanti. "Uno degli ostacoli - spiega il chimico Alexander Wei - è che la luce nello spettro visibile non passa bene attraverso i tessuti". È necessario dunque usare impulsi laser con lunghezze d'onda maggiori, nella regione del vicino infrarosso. "Le nuove tecnologie di imaging - prosegue lo scienziato - potrebbero sfruttare le lunghezze d'onda che vanno da circa 800 a 1300 nanometri". La barrette d'oro con un particolare rapporto fra lunghezza e spessore brillano particolarmente quando vengono illuminate dalla luce in questa regione dello spettro. Le barrette sono ideali per un tipo di rivelazione chiamata "fluorescenza a due fotoni", caratterizzata da maggior contrasto rispetto ai metodi fluorescenti convenzionali. _______________________________________________________________ Corriere della Sera 4 nov. ’05 TUMORE COLLO DELL' UTERO VACCINO PER LE RAGAZZINE LA SCOPERTA PARIGI - Il vaccino preventivo contro il cancro del collo dell' utero, quando disponibile, verrà raccomandato alle pre-adolescenti, dell' età di 11-12 anni. L' indicazione è degli scienziati italiani che hanno messo a punto e sperimentato il vaccino. Tra questi, Sergio Pecorelli dell' Universita di Brescia; Luciano Mariani, dell' Istituto tumori Regina Elena di Roma e Antonio Perino, dell' Università di Palermo. A Parigi, al Congresso europeo di oncologia, è stato rilevato che un picco di incidenza del male si registra proprio fra le ragazze più giovani.