LA FINANZIARIA AFFOSSA GLI ATENEI LA CRUI: "SIAMO TROPPO PENALIZZATI - INVESTIRE SU POCHI ATENEI - CRUI: ITALIA, UN PAESE SENZA RICERCA E AGLI USA REGALIAMO 5 MILIARDI ALL'ANNO - PROMOSSI, BOCCIATI E «DISPERSI» LA SCUOLA RACCONTATA DALL' ISTAT - IN ITALIA L’84 % DEI PROFESSORI UNIVERSITARI É MASCHIO - FACOLTÀ DI ARCHITETTURA, È ARRIVATO IL VIA LIBERA DEL SENATO ACCADEMICO - GLI ARCHITETTI: «DUE FACOLTÀ? TROPPE» - ALL'UNIVERSITÀ SI INSEGNA ANCHE STORIA DELLO SPORT - UNIVERSITÀ, ALLE ELEZIONI PRIMEGGIA IL CENTRODESTRA - UNIVERSITA’ CONFERMATA LA VITTORIA DELLE LISTE DI CENTROSINISTRA - CINQUE ANNI IN UFFICIO VALGONO L'UNIVERSITÀ - EX MAGISTERO, UNA FACOLTÀ CHE SCOPPIA - PRIVACY, ARCHIVI ALLA PROROGA - PRIVACY NEGLI ATENEI REGOLAMENTO SUI DATI SENSIBILI - PIEDINO SÌ, MA SOLO CON I MOON-BOOTS - ======================================================= POLICLINICO: L'INTERVENTO CHIRURGICO ERA AD ALTO RISCHIO - POLICLINICO: UNDICI GLI INDAGATI - DOTT. CHIP VA IN CORSIA - CLONIAMO CRISTO CON LA SINDONE - «QUEL SACRO TELO RISALE AI TEMPI DI GESÙ» - COSÌ SALTA TRA LE SPECIE QUEL VIRUS TRASFORMISTA - ICTUS, TSUNAMI DEL CERVELLO - COSÌ LA NEUROCHIRURGIA PUÒ ALLUNGARE LA VITA - OVER SESSANTA UNO SU TRE SOFFRE DI CATARATTA - IL SOVRAPPESO È CAUSA DI MOLTI TUMORI - LA MICCIA DELL’EPATITE E’ NASCOSTA NEL SANGUE - C’E’ UN FILO COMUNE NELLO SVILUPPO DEL CERVELLO? - GETTI D'ACQUA CONTRO LA CATARATTA - LA FIBRA ALIMENTARE NON PROTEGGE DAL CANCRO - CELLULE DI LANGERHANS E REAZIONI IMMUNITARIE - TESTOSTERONE PER I PAZIENTI DI ALZHEIMER - ======================================================= ______________________________________________________________ La Repubblica 15 dic. ’05 LA FINANZIARIA AFFOSSA GLI ATENEI LA CRUI: "SIAMO TROPPO PENALIZZATI" Grido d'allarme dei Rettori: "Lo sviluppo è legato a ricerca e formazione, ma con il maxiemendamento alla Finanziaria il Governo taglia ancora le risorse" ROMA - Gli atenei italiani "non potranno garantire una risposta adeguata alle giuste aspettative dei giovani e delle loro famiglie" se le politiche del governo non cambieranno. A lanciare il grido d'allarme, ancora una volta, la Conferenza dei Rettori (Crui), che accusa: "Si sta affossando l'università". Secondo l'Assemblea Generale della Crui dal maxiemendamento al disegno di legge Finanziaria presentato dal governo stanno per abbattersi "pesanti tagli" per formazione e ricerca. "Nonostante sia opinione da più parti condivisa che la ripresa dello sviluppo è legata alla ricerca e all'alta formazione, il Governo - fanno sapere dal Crui - non solo non investe in questi due settori, che sono le attività istituzionali delle università, ma ne decurta sensibilmente le risorse". I rettori in particolare esprimono un profondo sconcerto per la chiusura dimostrata dal Governo rispetto ad alcune questioni come le richieste d'integrazione del finanziamento delle università, che congiuntamente Ministro e Rettori avevano avanzato nelle scorse settimane; gli adeguamenti automatici delle retribuzioni del personale docente e i costi aggiuntivi per il contratto collettivo di lavoro del personale tecnico-amministrativo, che aumentano di circa 200 milioni di euro gli oneri finanziari per gli atenei e che sono necessariamente privi di copertura sui bilanci delle università stesse. L'Assemblea denuncia anche le pesanti decurtazioni del fondo per l'edilizia universitaria e la mancata riduzione dell'Irap per i docenti e il personale che nelle università si dedica istituzionalmente alle attività di ricerca. La Crui sottolinea anche che "questa situazione pesantemente negativa giunge al termine di un periodo in cui i provvedimenti legislativi cruciali per l'università sono stati approvati attraverso accelerazioni del dibattito e delle decisioni parlamentari conseguenti". "La grave penalizzazione subita dal sistema universitario con la presente legge Finanziaria - affermano i Rettori - renderà del tutto inapplicabili molte previsioni normative contenute negli stessi provvedimenti legislativi approvati". L'allarme arriva a poca distanza da quello congiunto Crui-Confindustria di un mese fa. "L'Italia sta rinunciando a investire sul proprio futuro" aveva detto Gianfelice Rocca, vicepresidente di Confindustria per l'education, spiegando come "invece di riservare le risorse pubbliche aggiuntive al mondo accademico la Finanziaria prevede tre meccanismi in cui il risultato concreto è di ridurre di quattrocento milioni di euro il finanziamento per l'università". _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 16 dic. ’05 INVESTIRE SU POCHI ATENEI I modelli di Francia e Regno Unito indicano che la competitività richiede la meritrocrazia DI GIACOMO VACIAGO Quando abbiamo un problema... sovente parliamo d'altro. Succedeva anche in passato, ma da quando il Paese ha smesso di crescere questo difetto si è aggravato. E lo vediamo ogni giorno dalla qualità del nostro dibattito politico che continua a deteriorarsi. C'è un problema di solitudine degli anziani a Milano? Diamogli un po' di Viagra. L'Economist ci ricorda che senza riforme radicali e politiche coerenti non riusciremo a invertire il declino degli ultimi dieci annì? Rispondiamo che è la solita invidia degli inglesi per ì nostri successi o, come adesso li chiamiamo, per le "nostre schegge di vitalità". Un tema che viene discusso in modo altrettanto superficiale è quello della riforma universitaria. Ai due estremi stanno chi dice che una riforma meritocratica è appena stata fatta c chi invece auspica la rivoluzione: aboliamo il valore legale del titolo di studio, e poi ogni università faccia quel che vuole. Quando impariamo a discutere in modo razionale? E quindi: anzitutto chiarire quali sono i nostri problemi; cosa gli altri Paesi stanno facendo; tra quali alternative dovremmo dunque scegliere. Per l'università, qualcosa si sta muovendo in Europa. E vediamo emergere almeno tre modelli. Quello tedesco non è per ora un modello di successo, perché registra solo la fatica del Governo federale nel coordinare i 16 Lànder che hanno tra i loro compiti la guida dell'università. Il federalismo tedesco è di tipo cooperativo, ed è perciò lento a muoversi, e solo quando parte davvero poi ha una grande forza. Più interessanti per noi sono il modello inglese e quello francese, perché ambedue stanno cercando di accettare la sfida posta dal modello duale degli Stati Uniti: ci sono università di "ricerca" (dove si concentrano i professori migliori anzitutto sul piano della ricerca scientifica) e università "didattiche" (dove si fa soprattutto buona scuola, ma nessuna ricerca originale: non è qui che si formano i futuri premi Nobel). Le prime selezionano i docenti e gli studenti migliori del mondo; le seconde accolgono soprattutto docenti e studenti locali. In presenza di differenze così marcate, è chiaro perché negli Stati Uniti ciò che conta non sia la materia studiata, ma semmai l’università dove si è presa la laurea. In Europa, sia Francia sia Regno Unito hanno una tradizione di alcune università di grande qualità accanto a tante molto meno famose. E gli sforzi recenti dei due Governi sono rivolti all'unico obiettivo realistico per i prossimi anni, che è quello di rafforzare le università migliori, facendo affluire loro le necessarie risorse (non solo dal Governo, come finora, ma anche da parte degli studenti) e rinforzando le regole di una buona autonomia, affinché possano continuare a competere non tanto fra loro quanto con le migliori del mondo. Merita considerare gli sforzi di Blair (che l'anno scorso accettò il voto dell'opposizione pur di fare approvare una riforma meritocratica cui il suo partito era ideologicamente contrario) e poi del nuovo vicerettore di Oxford, John Hood, per stimolare la produttività scientifica dei suoi docenti. Questa università rimane comunque un esempio di selezione meritocratica che non ha eguali nel nostro Paese: solo alcune grandi scuole inglesi preparano ì loro allievi per l'esame di ammissione a Oxford. In pratica, la famiglia che vuole mandare un figlio in questo ateneo (o a Cambridge) deve deciderlo quando è ancora bambino. La Francia ha appena stabilito di seguire quel modello, scegliendo alcune università che diventeranno fondazioni autonome, molto selettive per docenti e studenti, concentrandovi le risorse più adatte per la ricerca e svolgendola secondo le regole della comunità scientifica mondiale, che non è solo di metodo ma anzitutto di lingua: l'inglese. In Italia, vogliamo accontentarci delle glorie passate, o discutere seriamente quale tipo di università ci serva nel terzo millennio? Tutte le nostre cento università dovranno competere con Harvard e Oxford? Saranno tutte università residenziali cioè con collegi e residenze che ospitano docenti e studenti? E l'italiano sarà d'ora in poi usato solo dal personale delle pulizie, sempre che glielo insegniamo visto che sono ormai solo immigrati dal Terzo mondo che magari preferirebbero anche loro l'inglese? Da molti anni discutiamo di riforme universitarie - alcune fatte e altre da fare - e ancora nessuno ha iniziato a parlare seriamente dei problemi della nostra università. Capisco che è più divertente discutere di riforme, mentre è assai noioso confrontarsi anzitutto sui problemi cui si vuole porre rimedio. Ma non sarà facile invertire il nostro declino, se non proviamo neppure a essere certi che ne abbiamo chiarito le cause. Consolarci con il fatto che anche da noi stia aumentando il numero dei miliardari non basta, se non siamo sicuri che questi nuovi ricchi lo sono diventati contribuendo a migliorare il Paese. ______________________________________________________________ La Repubblica 12 dic. ’05 CRUI: ITALIA, UN PAESE SENZA RICERCA E AGLI USA REGALIAMO 5 MILIARDI ALL'ANNO Da Siena l'ennesima denuncia dei rettori. Migliaia di giovani studiosi vanno oltreoceano e ci restano. Ciascuno è costato allo Stato 500 mila euro Il più basso numero di ricercatori (quasi tutto nel pubblico) e investimenti ai minimi termini: "Parliamo di Cina, ma il disastro è qui" dall'inviato ANGELO MELONE SIENA - La stima è per difetto, ed è di un medico e ricercatore italiano che ora dirige un centro di eccellenza di trapianti a Philadelphia: "Facendo un calcolo approsimativo - dice Ignazio Marino - l'Italia regala ai ricchi Stati Uniti 5 miliardi di euro all'anno attraverso le migliaia di giovani ricercatori che lasciano il nostro paese per andare a lavorare oltreoceano". Una cifra paurosa, diecimila miliardi di vecchie lire. E, d'altra parte, il conto è presto fatto: al momento della laurea o della specializzazione uno studente è costato allo Stato almeno 500mila euro. Che così escono dai confini, quasi sempre per non tornare. La riflessione del chirurgo italiano si ritrova tutta nell'allarme lanciato all'Università di Siena sullo stato della ricerca in Italia. Le cifre sono agghiaccianti, e si possono tradurre in un concetto semplice e disarmante: il nostro paese è in declino, non è il solo ma perde sempre più terreno nell'innovazione e sta tarpando le ali al mondo della ricerca: cioè si sta privando dell'unico strumento per risalire la china. In Italia c'è il più basso numero di ricercatori d'Europa: sono settantamila, per due terzi nel settore pubblico o nelle università. In Francia sono 170mila, in Germania 270mila (ma a rapporto inverso, la maggioranza è nelle imprese): è come aver già spento il motore. Interventi per riaccenderlo? Basta guardare le cifre: facendo un confronto nello stesso lasso di tempo, la spesa pubblica per la ricerca è stata di 14 miliardi di euro in Italia, 47 i Francia, 76 in Germania. Attualmente il nostro paese investe in questo settore essenziale per il suo futuro 129 euro per abitante: l'Inghilterra 338. Eccolo qui, tradotto in cifre, il cuore del declino italiano. Le hanno fornite molti dei partecipanti ad un confronto su ricerca e innovazione promosso a Siena dal presidente della conferenza dei rettori Piero Tosi. Da Enrico Letta a Carlo E. Ottaviani della StMicroelectronics, dal presidente della Fondazione Montepaschi - Mussari - a Bruno Tabacci i toni non cambiano. Fa notare Ottaviani: "Osserviamo con miopia la scena mondiale. Si parla tanto di Cina, ma sfugge che quel paese già spende più dell'Italia in ricerca, e anche qui con stipendi molto più bassi: è su questo fronte che avremo i maggiori problemi". Lo Stato assente, distratto. "Non è una litania, in questo caso", dice Mussari che con la sua Fondazione insieme a università ed enti locali ha dato vita a Siena a una struttura che si occupa di rapporti tra università e imprese. "In Italia l'80% delle imprese è sotto i dieci dipendenti, non possono fare ricerca. Ci hanno spiegato che bisognava lasciar fare al mercato e alle sue virtù, per scoprire ora che in Francia teorizzano e praticano l'intervento pubblico per il progresso delle imprese. I governi si prendano le loro responsabilità: decidano quali sono gli obiettivi, ci mettano i soldi e gli altri investitori inizieranno ad andargli dietro con chiarezza, non in ordine sparso come adesso". E per capire quale sia la differenza di attenzione allo sviluppo della ricerca basta un solo caso. StMicroelectronics è un esempio ricorrente per il polo tecnologico fondato in Sicilia in collaborazione con l'università di Catania. Eppure all'orizzonte c'è una tentazione francese. Racconta Ottaviani: "Abbiamo un centro di ricerca ad Agrate, tutto a spese nostre. Se lo trasferissimo negli stabilimenti di Grenoble lo Stato francese parteciperebbe al 25%. La tentazione è forte: va bene credere nelle idee ma bisogna anche pensare ai dividendi degli azionisti". La leva per uscirne? Per tutti, l'università. Che per ora viene però manovrata in direzione opposta. Ecco l'analisi del rettore Tosi. In Italia ci sono pochi laureati, ma il 25% a tre anni dalla laurea è ancora disoccupato. Gli investimenti sugli studenti sono la metà di quelli dei nostri partners europei, che puntano anche sulle strutture per i giovani e per aiutarli finanziariamente negli studi. In Italia si spendono 75 euro all'anno per studente. "Cosa ci facciamo? - dice Tosi". E lancia la sua proposta: "Abbiamo bisogno di molti più investimenti e di indirizzi chiari su dove puntare. Le università faranno i loro, programmi e chiediamo una agenzia centrale di valutazione che scelga e decida dove investire. Attualmente vedo con preoccupazione ripopolarsi i corridoi del ministero di persone, anche di rettori, a caccia di finanziamenti: un segnale drammatico". E intanto, raccontano, Il Pentagono ha finanziato docenti per scrivere sceneggiature televisive che abbiano al centro il mondo degli scienziati, e gli indiani stanno lavorando a un satellite che andrà in orbita solo a scopi propagandistici: invogliare i giovani alla ricerca. _______________________________________________________________ Corriere della Sera 12 dic. ’05 PROMOSSI, BOCCIATI E «DISPERSI» LA SCUOLA RACCONTATA DALL' ISTAT Più universitari, ma ogni anno in cinque su cento decidono di abbandonare i corsi IN CATTEDRA Non è facile leggere la scuola attraverso i numeri, scavare nelle percentuali, salire e scendere dai grafici per trovare successi e fallimenti. Tot studenti promossi, tot per cento di abbandoni, un virgola qualcosa di persi per sempre. Eppure serve molto conoscere le cifre della scuola. Cifre che arrivano dall' Istat, con il suo Annuario statistico, che registra 50 mila studenti in più e conferma l' andamento positivo. Numeri che arrivano dal 39° rapporto sulla situazione sociale del paese nel 2005 redatto dal Censis, sulla base dei dati forniti dal ministero dell' Istruzione e che segnala il boom degli studenti extracomunitari, con una crescita del 26,5 per cento rispetto al 2002 (il 3,5 per cento dell' intera popolazione scolastica). Aumentano gli studenti, ingrossa la schiera dei prof precari (sono più del 14 per cento gli insegnanti delle superiori con contratto da supplente), e resta sempre alta la percentuale dei ragazzi che non proseguono gli studi alle superiori. L' Istat dice che superiamo l8 per cento, ovvero l' 8,1 per cento dei quattordicenni si ferma all' esame di terza media. Certo, a leggerla dall' altra parte c' è più del 90 per cento di ragazzi che si iscrive in una superiore e rispetto agli anni passati abbiamo un segnale positivo. Il tasso di scolarità - sempre secondo l' Istat - è intorno al 100 per cento nella scuola d' infanzia, elementare e media. Per quanto riguarda i risultati, arriva a sostenere l' esame di maturità il 96,9 per cento degli studenti; si diploma il 99,3 per cento al liceo classico, il 95 per cento agli istituti professionali, in media il 97,3 per cento (maturità 2005). Nel regio anno scolastico 1888-1889 (quando l' Italia contava 28.853.480 abitanti al censimento 1881), gli studenti del terzo anno di liceo classico erano 3.728 e ne furono «licenziati» 3.210 (l' 86 per cento). La percentuale degli studenti che superarono gli esami di maturità nell' anno 1951-1952 toccò quasi il minimo: il 71,6 per cento (dall' Annuario statistico italiano). Continua a crescere anche il numero di giovani che si iscrivono all' università: circa 337 mila nell' anno accademico 2003-2004, 6 mila in più (+1,8%) rispetto all' anno precedente. Ma ogni anno cinque studenti universitari su cento decidono di abbandonare gli studi. Giuseppe Tesorio LA STATISTICA Aumenta il numero degli studenti e dei professori precari Tesorio Giuseppe _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 dic. ’05 IN ITALIA L’84 % DEI PROFESSORI UNIVERSITARI É MASCHIO Scienza, troppe le donne discriminate Uno strano Paese il nostro: ricicla i rifiuti e spreca le intelligenze: le spreca costringendo, con la mancanza di trasparenza nei concorsi, molti tra i migliori laureati a «migrare» e le donne a occupare solo posti di secondo piano nell'ambiente della ricerca. Due iniziative, una europea e una italiana, ora si pongono l'obiettivo di rimediare a tale situazione. La prima consiste nell'istituzione, da parte della Commissione europea di una nuova figura, quella dell'Ambasciatrice per le pari opportunità nella scienza. Una persona che ha l'arduo compito di indirizzare le ragazze con diploma di maturità verso una facoltà scientifica presentando loro modelli di riferimento. Che ha l'impegno di rendere consapevoli le ricercatrici delle discriminazioni esercitate dal mondo scientifico nei loro confronti e i manager accademici e i politici dello spreco di risorse umane femminili. La seconda iniziativa consiste nel proporre alla stessa Commissione un codice (Codice di Minerva), presentato l’altroieri a Trento, che fa riferimento alla Carta europea dei ricercatori e ha l'obiettivo di garantire la massima trasperenza nei concorsi.. In particolare mira a nomine trasparenti nelle università per garantire le stesse opportunità di carriera scientifica a uomini e donne, esclusivamente puntando sui meriti. Sono due i Paesi che hanno già l'ambasciatrice: Italia e Germania. Per il nostro Paese è Rossella Palomba, dirigente dell'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche (Irpps) del Cnr. «Le donne nella scienza ottengono ottimi risultati, ma tutto scivola in secondo piano quando sono in gioco carriere e ruoli prestigiosi: le donne sono eccezionali fino a un certo punto, poi sono inutilmente meravigliose», ha detto Palomba presentando lunedì scorso, il progetto Diva per assolvere la sua funzione di valorizzare le donne nella ricerca. Il progetto prevede per lei viaggi a Roma, Torino, Milano, Venezia, Padova, Lucca, Napoli, Bari, Catania e Sassari, con l'obiettivo di sensibilizzare almeno 400 studentesse della scuola media superiore, 30 ricercatrici e 100 manager e amministratori locali, esponenti di partiti politici e parlamentari. Prevede anche la sua partecipazione al Festival della scienza di Genova del prossimo anno. «Se la Commissione europea ha sentito il bisogno di creare questa nuova figura - osserva l'ambasciatrice -, vuol dire che anche negli altri Paesi dell'unione sono poche le ragazze che si iscrivono alle facoltà scientifiche e poche le donne che occupano posti di responsabilità negli enti di ricerca». Per fornire una fotografia della situazione italiana, si potrebbe dire, parafrasando un famoso proverbio cinese, che valgono più quattro cifre di mille parole. Le cifre: benché le donne che ottengono il massimo dei voti (di laurea) nelle discipline scientifiche siano il doppio rispetto agli uomini (il 14% contro il 7%), quando si tratta di fare carriera sono in netta minoranza. Rappresentano infatti il 16% dei professori ordinari, il 31% dei professori associati, il 43% dei ricercatori. Vale a dire: il loro numero è tanto minore quanto più alta è la posizione. Già questi dati potrebbero spiegare perché le donne italiane che hanno intrapreso la carriera scientifica sono solo il 27% del totale dei ricercatori. Le ricercatrici sono meno numerose soltanto in Austria (19%) e in Germania (14%), mentre in Spagna rappresentano il 33%, in Gran Bretagna il 35%, in Svezia il 36%. ROSANNA MAMELI ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 dic. ’05 FACOLTÀ DI ARCHITETTURA, È ARRIVATO IL VIA LIBERA DEL SENATO ACCADEMICO Il fatto. Il problema: le aule La facoltà di Architettura fa un altro passo avanti e ora è davvero vicina a diventare realtà. Ieri il Senato accademico ha dato il suo parere favorevole all'unanimità (un solo astenuto) seguendo quanto fatto dal cda la settimana scorsa. Ora serve il via libera del comitato regionale di coordinamento Regione e Università, prima che la pratica, di quella che diventerebbe l'undicesima facoltà a Cagliari, passi al Ministero per la parola definitiva. Il dibattito, e anche lo scetticismo di alcuni componenti del Senato, ha riguardato in particolare un punto: l'aspetto economico. Con un'Università che deve fare i conti con poche risorse, creare una facoltà nuova potrebbe portare uno scossone pericoloso al bilancio dell'ateneo. «Alla fine ? commenta il preside di Ingegneria, Francesco Ginesu, - nonostante le perplessità i colleghi hanno capito che i vantaggi per la città superano di gran lunga eventuali problemi economici. Che a mio parere inizialmente saranno minimi: in Ingegneria esistono già due corsi di laurea in Architettura, e si possono utilizzare, ampliandoli non di molto, gli spazi di via Corte d'Appello, nel quartiere di Castello. Ringrazio i componenti del Senato accademico che hanno capito le nostre motivazioni: la nascita di Architettura è una necessità soprattutto culturale». Il dibattito architettonico su Cagliari negli ultimi anni è cresciuto notevolmente: «Nonostante l'impostazione architettonica che viene data nei corsi della facoltà di Ingegneria ? spiega Ginesu ? non è possibile dare una formazione completa per far crescere architetti. La nuova facoltà darà infatti quel valore aggiunto alle materie umanistiche basilari». Secondo il preside di Ingegneria, la facoltà di Architettura aprirà le porte a circa 500-600 studenti, lasciando il numero chiuso. Già pronti i 50 docenti che terranno i corsi. «È un passo importante e un valore aggiunto per la città e per l'Università», aggiunge Ginesu che poi individua alcuni siti che sarebbero l'ideale per ospitare la nuova facoltà: «La manifattura tabacchi andrebbe benissimo, ma si parla anche della dismissione del carcere di Buoncammino, che potrebbe, adattandolo, diventare una sede ideale. Questo è comunque un argomento che andrà affrontato in seguito: inizialmente le strutture di Castello e di altri palazzi nei dintorni che ospitano uffici universitari potrebbero essere parte della nuova facoltà». La palla passa ora al Comitato regionale. Ne fanno parte i due rettori delle Università sarde, il presidente della Regione e uno studente, che dovrà essere eletto. (m.v.) ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 13 dic. ’05 GLI ARCHITETTI: «DUE FACOLTÀ? TROPPE» Laurea in architettura Una lettera inviata ai rettori e al presidente della giunta regionale CAGLIARI. Settembre, Sassari, lettera della federazione degli ordini degli architetti, tema: la nascente facoltà di architettura di Cagliari. Con vari argomenti gli architetti della Sardegna decidono che due «architetture» sono troppe per un’isola, «poco popolata» per giunta. La lettera è di tre mesi fa e non è mai stata resa nota, tantomeno è diventata oggetto di dibattito tra i progettisti isolani. Neppure i due rettori di Cagliari e Sassari, tra i destinatari del documento, hanno ritenuto necessario parlare a viso aperto, magari con Soru presidente della Regione e Pilia assessore alla cultura, altri destinatari. Le voci si rincorrono, i fatti anche: se non c’è stato il dibattito, ci sarà la polemica. Il tono è garbato, ma il contenuto deciso e si chiude con un invito al comitato di coordinamento per la Regione (che approva l’istituzione delle nuove facoltà) affinché vigili «sulla qualità delle proposte formative offerte dalle università dell’isola nell’ottica di implementare e facilitare gli obbiettivi culturali proposti evitando un proliferare di offerte e una conseguente dispersione di risorse culturali e finanziarie che potrebbe andare solo a scapito della necessaria qualità ed eccellenza richieste». «Il moltiplicarsi negli ultimi anni delle facoltà di architettura (dalle 10 esistenti negli anni Settanta alle 21 attuali distribuite in quindici regioni) ha indubbiamente risposto a un’esigenza reale - commentano gli architetti attraverso il presidente della federazione Gian Giuliano Mossa - producendo effetti positivi soprattutto ove queste facoltà hanno posto alla base del processo formativo la qualità, smettendo di ragionare in ottiche provincialistiche ed aprendosi viceversa verso l’ampio e valido panorama delle esperienze internazionali. Anche in Sardegna - si continua nella nota - è sorta recentemente una facoltà di architettura colmando una lunga carenza riscontrata da studiosi e professionisti sin dagli anni Cinquanta del secolo appena trascorso, ed è con piacere che, analizzando gli indici di valutazione annualmente elaborati dal Censis e finalizzata alla pubblicazione della Guida delle università italiane... si è potuto notare come la neonata facoltà di Alghero raggiunga tra le ‘matricole’ una posizione di prestigio... E’ indispensabile che in una Regione poco popolata come la nostra, l’offerta formativa non possa essere commisurata solo alle esigenze quantitative del mercato interno ma debba distinguersi per la capacità di saper svolgere un percorso formativo di eccellenza... E’ indubbio che tale impostazione metodologica, così come attualmente avviene per la facoltà di Alghero, chieda un grande impegno nei laboratori di progettazione, ma anche molte lezioni aperte, seminari, conferenze, con presenza costante di docenti e professionisti anche di altri paesi europei, con viaggi ed esperienze di tirocinio fuori Sardegna». Il documento degli architetti, in quest’ultimo passaggio, si presta a varie letture di cui una potrebbe essere questa: tenere in piedi una facoltà come quella algherese costa e nell’isola non sembra esserci posto per una duplicazione di tali costi. L’università di Cagliari continua a sostenere di voler aprire la facoltà di architettura, anche se i corsi auspicati già per l’anno accademico 2005-2006 di fatto non cominceranno prima del 2006-2007 e, comunque, ancora la settimana scorsa l’operazione «nuova facoltà» era ferma all’espressione del parere (favorevole) da parte del consiglio di amministrazione d’ateneo. Stupisce il silenzio sul documento degli architetti, ma sembra che le università di Cagliari e Sassari siano abituate a marciare ignorandosi. Come quando ingegneria di Cagliari incassò una classificazione che le permetteva di laureare architetti in cinque anni (ingegnere edile architetto), secondo le norme europee le quali, per alcune professioni, non autorizzano lauree brevi, cosicché Alghero, architettura nata con corsi triennali da diploma cui si sarebbero dovuti aggiungere i due per diventare «dottori architetti», rischiava di restare con le sole lauree brevi. Alla fine non è successo, nel 2005-2006 ci saranno anche i corsi per i due anni successivi al triennio. Viene da chiedere: ma è così che si procede per progettare la formazione dei futuri architetti? Alessandra Sallemi ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 dic. ’05 ALL'UNIVERSITÀ SI INSEGNA ANCHE STORIA DELLO SPORT Novità per gli studenti dell'ateneo cagliaritano Due corsi della durata di 15 e 22 ore riservati al'interfacoltà di Scienze Motorie All'inizio fu il gioco, poi arrivarono la regolamentazione e lo sport. La storia dello sport spiegata ai ragazzi dell'università di Cagliari. Da tre anni nell'ateneo cittadino sono attivi due corsi di insegnamento di Storia delle discipline sportive. La storia delle Olimpiadi moderne (con riferimenti a quelle greche antiche), la storia dei simboli olimpici, i principi di De Coubertin e l'analisi su come e quanto sia cambiato lo sport con lo sviluppo della civiltà industriale, con la diffusione delle varie discipline dalle classi elitarie a quelle meno abbienti. Lezioni, conferenze, proiezioni e contenuti seguiti da un centinaio di studenti per la facoltà di Scienze Motorie (interfacoltà di Medicina, Biologia e Scienze della Formazione). Due i corsi: uno per il triennio, da 15 ore, l'altro per la specializzazione da 22 ore. «La parte istituzionale - spiega la docente del corso Maria Concetta Dentoni - tratta lo sviluppo dell'educazione fisica dal diciannovesimo al ventunesimo secolo nelle varie realtà europee, con particolare attenzione alla storia italiana». La normativa e la carrellata delle varie scuole di pensiero sull'educazione fisica nei decenni, da quella medica a quella pedagogica, passando per la militare, con riferimenti agli insegnamenti francesi e tedeschi. Particolarmente interessante il corso monografico, sulla diffusione dello sport nella società contemporanea, dallo sviluppo delle discipline in Inghilterra, con i college, l'istituzione delle regole, i giochi, il movimento, i primi sport di squadra, dal rugby al football (significativo il riferimento durante le prime lezioni alla nascita del Cagliari Calcio in città), ma anche quelle individuali, la boxe e il tennis. «Il corso ? continua l'insegnante ? tende a presentare uno spaccato, quello sportivo, della civiltà civile europea». Unici nei: storiografia e bibliografia carenti, anche perché lo studio della storia dello sport , così come lo sport stesso, non venivano particolarmente considerati. «Adesso invece ? sottolinea la Dentoni - fa parte e incide sulla storia, si pensi alla rinuncia dei paesi del patto di Varsavia alle Olimpiadi di Los Angeles, o a quelli aderenti alla Nato alle precedenti Olimpiadi di Mosca». Le lezioni, cominciate a ottobre, si tengono nella Cittadella Universitaria di Monserrato. A gennaio ci saranno conferenze sulle varie discipline sportive (già previste quelle su nuoto e scherma). Nello stesso mese sarà proiettata anche una serie di film sull'argomento, in collaborazione con la cattedra di Storia del Cinema di Scienze della Formazione: "Olimpia" di Leni Riefenstahl, "Momenti di Gloria" di Hugh Hudson e "Pesi leggeri" di Enrico Pau. _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 12 dic. ’05 CINQUE ANNI IN UFFICIO VALGONO L'UNIVERSITÀ Requisiti / Lo ribadisce il Consiglio di Stato Con almeno cinque anni di servizio nella qualifica inferiore sarà ancora possibile essere ammessi a un concorso riservato per esami qualora non si sia in possesso del titolo di studio richiesto per il profilo di riferimento. A ribadirlo la decisione del Consiglio di Stato numero 6042 del 27 ottobre 2005. Decisione che conferma quanto stabilito dall'articolo 5 della legge 321/91 (interventi straordinari per la funzionalità e il personale dell'amministrazione giudiziaria). Pertanto i soggetti che abbiano conseguito un diploma di scuola superiore possono comunque partecipare ai concorsi pubblici per i quali sia necessaria la laurea. Basterà aver prestato servizio nel gradino gerarchico inferiore per un minimo di cinque anni. II caso. Così il Consiglio di Stato ha rigettato l'appello presentato proprio dal ministero di via Arenula contro il giudizio della prima sezione del Tar del Lazio datato 10 ottobre 1995. Il Tribunale amministrativo regionale aveva accolto il ricorso di una dipendente che si era vista estromettere dal concorso per esami ai posti di funzionario di cancelleria perché laureata ma senza «L'anzianità di cinque anni nella qualifica inferiore». Secondo le argomentazioni del ministero, in base alla legge 321 l'interessata avrebbe dovuto essere in «possesso di un'anzianità di cinque anni nella qualifica immediatamente inferiore unitamente al diploma di scuola media superiore, per cui, essendone priva, era stata esclusa dalla selezione». In sostanza i cinque anni di servizio sarebbero stati necessari a prescindere dagli studi effettuati. Invece il supremo organo di giustizia amministrativa ha precisato che l'anzianità, a cui si riferisce la legge, va considerata un requisito compensativo del titolo di studio richiesto. Nel caso in questione, avendo già il soggetto concluso l'università, «non vi è bisogno di alcun succedaneo per colmare il vuoto culturale rappresentato dal differenziale tra diploma di laurea e diploma di scuola media superiore». Quindi è fondato il rilievo della ricorrente in primo grado, la cui difesa era improntata a dimostrare che «sia la norma di bando sia il provvedimento di esclusione erano in stridente contrasto con la disciplina vigente». E, conclude la pronuncia, dato che per l'interessata «non trova applicazione la norma del possesso dell'anzianità di cinque anni nella qualifica inferiore (che è una norma di favore per chi non è in possesso del titolo di studio richiesto per la qualifica da conseguire), la stessa può partecipare alla selezione», GIOVANNI PARENTE ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 dic. ’05 UNIVERSITÀ, ALLE ELEZIONI PRIMEGGIA IL CENTRODESTRA Il voto. Alle urne la cifra record è l'astensione Le previsioni sono state confermate: le liste "Ichnusa" e "Università per gli studenti" piazzano due rappresentanti in cda, senato accademico e senato allargato. Un eletto, in ogni organismo centrale dell'Università di Cagliari, anche per Sinistra universitaria. Al Cus i due rappresentanti degli studenti saranno ancora una volta Ichnusa e Università per gli studenti. L'analisi. Dal dato numerico a quello politico: se da una parte la vittoria è andata a Ichnusa (la lista di centrodestra, che ha raccolto intorno a sè Cl, Forza Italia, An, Riformatori e Udc) che ha totalizzato tra i 1.889 voti (nel cda) e i 1.616 (al Cus), chi esce con un grande riscontro di consensi è Università per gli studenti, vicina al centro dell'Unione, che ha raccolto nei seggi dei quattro organismi centrali una media di 1.400 voti, senza contare sull'appoggio dei partiti che hanno appoggiato Ichnusa. A conferma di questo anche la vittoria individuale di Giuseppe Frau, leader di Università degli studenti, che è risultato il rappresentante più votato tra tutti con 1.095 preferenze, seguito da Andrea Marrone (Ichnusa, anche lui eletto nel cda) fermatosi a 1.033. La sinistra ha pagato una eccessiva frammentazione, con tre liste al via. L'unico gruppo a piazzare un rappresentante nei tre centri operativi dell'Università è Sinistra universitaria. Resta fuori "Sinistra in movimento + Sindacato studentesco", capeggiato da Matteo Murgia, furente per come si sono svolte le elezioni e che aveva annunciato la possibilità di ricorrere al Tar. Scarso il risultato per "Mi consenta ma io voto a sinistra", lista che ha raccolto nel cda 53. È andata oltre ogni aspettativa "Università ideale", vicina ad An, che da sola ha totalizzato un centinaio di voti, quanti la lista "Terranova ? Federazione universitaria", che non ha certamente raccolto quanto seminato. La verifica. Dunque dopo due settimane dalla tornata elettorale si possono stilare i primi bilanci, anche se l'ufficializzazione dei dati è subordinata alla verifica della regolare iscrizione all'anno accademico 2005/2006, che doveva avvenire entro il 25 novembre, con il pagamento delle tasse. Una spada di Damocle che potrebbe essere calata dall'ufficio elettorale al momento della verifica incrociata con i tabulati provenienti dall'ufficio iscrizioni, che attesteranno la regolarità dell'iscrizione dei candidati e dei votanti. Resta comunque un dato: le elezioni non piacciono agli studenti. Ha votato solo il 18 per cento del totale, 6.400 sui 34.000 votanti. (m.v.) Tutti i voti e gli eletti nell'ateneo - I numeri Cda. Università per gli studenti 1.419 voti: Giuseppe Frau 1.095 e Lorenzo Espa 591. Ichnusa 1.889: Fabio Medas 895 e Andrea Marrone 1.033. Sinistra Univers. 741: Andrea Zucca 234. Terranova 109. Sinistra in movimento 555. Università ideale 109. Mi consenta ma io voto a sinistra 53. Senato accademico. Università per gli studenti 1.397: Fabiola Nucifora 877 e Maurizio Deiana 464. Università ideale 103. Terranova 130. Ichnusa 1.792: Manuela Urru 911 e Roberto Mura 841. Sinistra in movimento 577. Sinistra Universitaria 714: Roberto Ibba 239. Senato accademico allargato. Università per gli studenti 1.359: Manuel Floris 863 e Antonio Cabitta 418. Università ideale 107. Ichnusa 1.647: Andrea Bullegas 665 e Simone Vargiu 633. Terranova 124. Sinistra in movimento 564. Sinistra univer. 704: Andrea Coinu 189. Comitato sport universitario. Università per gli studenti 1.424: Marino Brundu 776. Università ideale 96. Ichnusa: Emanuele Cabiddu 1.011. Terranova 112. Bionda Sardegna 118. Sinistra in movimento 566. Sinistra universitaria 504. (m. v.) ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 14 dic. ’05 UNIVERSITA’: CONFERMATA LA VITTORIA DELLE LISTE DI CENTROSINISTRA Università, tutti gli eletti Elezioni studentesche CAGLIARI. Per i dati definitivi bisognerà attendere ancora un giorno o, chissà, forse una settimana, ma i numeri pubblicati ieri sul sito dell’Università, anche se provvisori, altro non fanno che confermare i conti degli studenti: una vittoria schiacciante delle liste di centrosinistra, che mettono insieme oltre 2.600 preferenze, e numeri meno importanti per il centrodestra, che rispetto alla tornata elettorale precedente ha perso qualcosa come 1.200 voti. Nessuna sorpresa dunque: dei cinque seggi riservati agli studenti nei principali organi dell’ateneo la proporzione sarà di due a tre. Significa che due poltrone spetteranno al centrodestra, mentre tre saranno del centrosinistra. Ma vediamo nel dettaglio quale è stato l’esito delle urne. Al gruppo Università per gli studenti sono andati 1.400 voti: un risultato che entusiasma, soprattutto perché tre anni fa, presentandosi insieme ad altre liste di centro- sinistra, il gruppo aveva totalizzato due mila preferenze. Ichnusa, la lista che raccoglie le diverse anime del centro destra, da An a Forza Paris, di preferenze ne ha incassato invece 1.800. Numeri importanti, ma che non devono trarre in inganno, perchè in realtà si tratta di un flop clamoroso. E il perché è presto detto: nelle passate elezioni il centro destra (e allora erano insieme solo Comunione e liberazione e Udc) di voti ne aveva incassati ben tre mila. Poca roba anche per altre due liste di centro destra: Università ideale e Lista Terranova, che hanno messo insieme rispettivamente 103 e 130 voti. A Sinistra universitaria più Sindacato studentesco, la lista capeggiata dall’attuale rappresentante degli studenti nel consiglio d’amministrazione dell’Ersu, Matteo Murgia, sono andati poco più di 550 voti. E anche in questo caso si tratta d’un flop: in passato il gruppo si era rivelato ben più forte. Infine, c’è Sinistra Universitaria con quasi 740 voti. Ecco i rappresentanti eletti. Senato accademico: Fabiola Nucifora e Maurizio Deiana (Università per gli studenti), Roberto Ibba (Sinistra universitaria), Manuela Urru e Roberto Mura (Ichnusa). Senato accademico allargato: per Sinistra Universitaria Manuel Floris e Antonio Cabidda, per Ichnusa Andrea Bullegas e Simone Vargiu, mentre per Sinistra Universitaria Andrea Coinu. Consiglio d’amministrazione: per Sinistra Universitaria i rappresentanti sono Giuseppe Frau e Lorenzo Espa, per Ichnusa, Fabio Medas e Andrea Marrone, per Sinistra universitaria, Andrea Zucca. Infine, l’ultimo organismo, il Cus: i due seggi andranno a Marino Brundu (Università per gli studenti) e Manuele Cabiddu (Ichunsa). Interessanti sono anche i dati sull’affluenza alle urne: hanno votato il 16,56 per cento degli aventi diritto. Significa che su 34.553 elettori si son presentati in 6. 413. Tutti soddisfatti? A sentire gli studenti pare di si, anche se ad esultare più di tutti è Giuseppe Frau, capolista del gruppo Università per gli studenti, che con 1.100 preferenze è stato lo studente più votato. ‹‹La nostra arma vincente - dice - è stata l’unità››. Nonostante il disastro, esulta anche il gruppo Ichnusa: ‹‹Abbiamo incassato più voti di tutti - dice Antonella Zedda, uno dei candidati - A conti fatti è stata nostra la vittoria››. E soddisfatto è anche Gianluigi Piras, di Sinistra Universitaria: ‹‹ Ora abbiamo un rappresentante in ogni organo d’ateneo››. Sabrina Zedda ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 14 dic. ’05 EX MAGISTERO, UNA FACOLTÀ CHE SCOPPIA Seimila studenti, spazi esigui, docenti insufficienti e un corso super gettonato CAGLIARI. Per oltre trent’anni è stato semplicemente “il Magistero”, uno degli assi portanti dell’intero polo umanistico. Dai primi anni ‘90 è invece Scienze della formazione, una facoltà che prepara i futuri operatori del sociale, ma che ancora annaspa. Tra spazi esigui, insegnanti che sono troppo pochi rispetto all’elevato numero di studenti, e segreteria che funziona a ranghi ridotti, ecco perché spesso per gli universitari, ma anche per gli addetti ai lavori, c’è da perderci la testa. Che tra i problemi più sentiti ci fosse quello degli spazi è cosa nota da tempo. A sentire dalla viva voce degli studenti è addirittura il problema numero uno. ‹‹Siamo in tanti - dicono in coro alcuni studenti fermati poco prima dell’ingresso in facoltà - Spesso solo chi arriva prima riesce a seguire davvero bene la lezione››. Un peccato, anche perché la facoltà è di quelle che piace. E che attrae: ‹‹Seimila studenti, soprattutto ragazze, a convincerli a venire da noi è la qualità degli insegnamenti - dice con un sorriso il preside Alberto Granese - E’ questo il nostro punto di forza: discipline che appassionano, che servono per la vita e per il lavoro, dove l’aspetto umanistico si sposa con quello più propriamente tecnico››. Giovani pronti per l’insegnamento nelle scuole dell’infanzia ed elementari, giovani pronti a lavorare nel sociale, magari con gli anziani, o con gli emarginati. Sono per la maggior parte queste le figure che escono fuori da un percorso di studi in Scienze della formazione. Che in alcuni momenti ha rischiato quasi di scoppiare. Come qualche anno fa, quando il corso di Psicologia (che non aveva il numero chiuso) arrivò a contare mille matricole. ‹‹Ancora oggi gli studenti del corso sono tanti - sottolinea Granese - e questo è un motivo per cui chiediamo che Psicologia diventi facoltà autonoma. Ma il solo numero di studenti non basta››. Già: occorrono anche docenti, spazi, occorre il consenso degli altri. Che per ora non c’è: ‹‹Il rettore, Pasquale Mistretta, in questo senso s’è mostrato disponibile - dice Granese - Ma le altre facoltà non sono sulla stessa linea: nove su dieci hanno detto no››. Roba di mesi fa, chissà, è la speranza di Alberto Granese, che qualcosa non cambi. Intanto ci s’affanna per risolvere gli altri problemi. Che non sono solo quelli delle poche aule per le lezioni. Pochi giorni fa, ad esempio, alcuni neo laureati avevano lamentato di non potersi iscrivere subito alla laurea specialistica: ‹‹Tutto dipende - dice Granese - dal fatto che le scadenze spesso pongono limiti invalicabili. Ma poiché le cose che facciamo, le facciamo per gli studenti, è probabile che qualcosa si smuova, e che si riaprano i termini d’iscrizione. Attenzione però: la situazione la stiamo ancora valutando››. Più difficile da risolvere, almeno per ora, tutto il resto: dai docenti che non bastano, e che costringono a fare largo uso di contrattisti, alle segreterie studenti, che col passaggio di competenze dall’amministrazione centrale, sono sommerse di lavoro. Anche in questo caso, si tratta d’un problema di numeri: troppi studenti, e pochi impiegati per soddisfare tutte le loro richieste. Insomma: qui si sventola bandiera bianca. Sabrina Zedda I numeri - Tutto si regge sulle spalle dei contrattisti CAGLIARI. Seimila iscritti, divisi tra i corsi di laurea triennale e quelli di laurea specialistica, 48 docenti, tra quelli di prima e seconda fascia. Per capire che Scienze della formazione scoppia basta leggere questi primi numeri. Che sostanzialmente dicono: gli insegnanti non bastano. Ed allora ecco 36 ricercatori, e la bellezza di 255 contrattisti, chiamati spesso a far lezione agli universitari. ‹‹Una vera e propria anomalia - dice Granese - In passato, prima d’arrivare all’insegnamento bisognava mangiarne pagnotte››. Invece s’è arrivati al paradosso, e la via d’uscita sembra lontana. ‹‹I soldi son pochi - dice il preside - Anche se quest’anno c’è stato attribuito un budget che non ci permette nuovi insegnanti››. E veniamo all’offerta formativa. Scienze della formazione offre tre corsi per lla laurea di primo livello e due per quella specialistica. Si tratta di Scienze e tecniche psicologiche applicate all’apprendimento e alla salute; Scienze e tecniche psicologiche applicate all’organizzazione e turismo, Scienze e tecniche psicologiche. Sono lauree specialistiche Psicologia (la più gettonata) e Programmazione e gestione dei servizi educativi. (s.z.) _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 14 dic. ’05 PRIVACY, ARCHIVI ALLA PROROGA Allo studio del Governo un nuovo rinvio per l'adozione delle misure minime di sicurezza La scadenza, valida anche per Asl e case di cura, slitta a marzo 2006 Le aziende sanitarie e le case di cura - insieme a imprese, professionisti, istituzioni e altri enti pubblici italiani - avranno ancora qualche mese di tempo per adeguarsi alle norme sulla sicurezza nella conservazione dei dati personali. Esattamente fino al 31 marzo 2006 All'orizzonte si profila, difatti, un nuovo slittamento per l'adozione delle misure minime per rendere tutti gli archivi a prova di privacy: questa settimana dovrebbe, infatti, approdare in Consiglio dei ministri il nuovo decreto «milleproroghe» che, per tradizione, contiene una serie di rinvii per le scadenze più vicine. Tra questa anche quella contenuta nel «Codice sulla privacy» varato il 30 giugno del 2003, sulle misure di sicurezza già fatta slittare da una prima scadenza del 30 giugno 2004 al 31 dicembre di quest'anno. In pratica queste misure prevedono l'introduzione di una serie di accorgimenti tecnici e amministrativi, di dispositivi elettronici o programmi informatici utilizzati in modo da garantire che i dati non vadano distrutti o persi anche in modo accidentale. Con la previsione di consentire l'accesso ai dati solo a persone autorizzate. Nel codice sono fissati una serie di misure, criteri e procedure (a esempio il codice identificativo, la password per l'accesso ai dati, i programmi antivirus, le istruzioni per il salvataggio periodico dei dati) che i titolari devono adottare a seconda che il trattamento dei dati sia effettuato con elaboratori o manualmente. Per i dati sensibili - come quelli sanitari - sono previste ulteriori misure in aggiunta a queste, come il Documento programmatico per la sicurezza (Dps), da redigere ogni anno, e le misure a protezione dei dati da accessi abusivi anche attraverso sistemi firewall. La mancata adozione può portare a sanzioni amministrative, da l0mila a 50mila euro, ma anche penali, con possibilità di pena fino a due anni, e alla richiesta di risarcimento danni. Proprio sul fronte della privacy in tempi di Sanità elettronica si è svolto, lo scorso 5 dicembre, un incontro a Roma organizzato dal Forum Pa. Incontro, questo, dove è intervenuto anche il Garante della privacy, Franco Pizzetti, che ha segnalato l'esigenza di cercare soluzioni sicure con gli addetti ai lavori prima di introdurre nuove soluzioni informatiche e tecnologiche nella Sanità. Come ha ricordato, tra gli altri, Angelo Rossi Mori, dell'Unità Sanità elettronica dell'Istituto tecnologie biomediche del Cnr, «in molte Regioni siamo alla vigilia del lancio di una serie di progetti per realizzare il fascicolo sanitario personale». Il fascicolo conterrà tutti i documenti clinici rilevanti su ogni cittadino, e sarà accessibile a tutti gli operatori sanitari autorizzati. «Ma il fascicolo in rete - ha aggiunto Rossi Mori - è uno strumento nuovo, e quindi dobbiamo sviluppare delle regole nuove per gestirlo.» A partire proprio dalla sicurezza dei dati che vi saranno conservati. Mar.B. _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 dic. ’05 PRIVACY NEGLI ATENEI REGOLAMENTO SUI DATI SENSIBILI La privacy va all'università. La Conferenza dei rettori (Crui) ha messo a punto uno schema di regolamento tipo per il trattamento dei dati sensibili gestiti dagli atenei, sul quale il Garante della riservatezza ha dato il via libera. Le università potranno, pertanto, fare una ricognizione delle informazioni più riservate che utilizzano (salute, opinioni politiche, convinzioni religiose, origine etnica, dati giudiziari), riferite tanto agli studenti quanto al personale interno, senza dover chiedere ogni volta il parere dell'Authority. Purché il monitoraggio venga effettuato secondo lo schema presentato ieri e che è possibile consultare sul sito del Garante (www.garanteprivacy.it). La scadenza per mettersi al passo con quanto previsto dal Codice della riservatezza è ora fissata per il 31 dicembre, ma è certo che anche quella data per l'ennesima volta sarà fatta slittare. Il nuovo termine sarà spostato, con il decreto milleproroghe all'esame del Consiglio dei ministri del 22 dicembre, di due mesi. (A.Che.) ______________________________________________________________ L’espresso 14 dic. ’05 PIEDINO SÌ, MA SOLO CON I MOON-BOOTS La vita sessuale secondo la morale cattolica tra divieti, documenti del Cei e e complesse elaborazioni informatiche Ma come dev'essere, secondo gli ultimi aggiornamenti della morale cattolica, la vita sessuale ideale? Incrociando i veti, i suggerimenti e i precetti del cardinal Ruini, alcuni studiosi hanno ricavato un sistema matematico molto complesso, la cui soluzione appare difficilissima, ma non impossibile. Per prima cosa, il pool di ricercatori ha immesso in un computer le molte migliaia di comportamenti, atti e pensieri considerati contrari a una corretta vita sessuale cattolica. Si tratta di circa 26 mila voci, alcune totalmente inedite e mai sperimentate nella storia dell'umanità, neanche durante la decadenza babilonese o al party per i cinquant'anni di Amanda Lear, e però tutte minuziosamente elencate nei documenti della Chiesa. I principali divieti: sono da evitare i matrimoni misti, i rapporti prematrimoniali, i rapporti post-matrimoniali, i rapporti matrimoniali disgiunti dalla volontà di procreazione, l'erezione non coronata da matrimonio, i rapporti sessuali in posizione non ortodossa (dalla sodomia alla posizione dell'attaccapanni, dal coito a trivella a quello a centrifuga, dal classico trenino al perverso 'asso di bastoni', fino al licenzioso 'di chi è questo ombrellino?' in uso nei boudoir settecenteschi), la sepoltura in tombe di famiglia con loculi promiscui, la dispersione del seme e la dispersione della biancheria sul pavimento (mutande e canottiera vanno ripiegate e appese all'apposito supporto secondo i dettami indicati, già nel Seicento, dal cardinal Foppa Pedretti), l'uso del preservativo, l'onanismo, i coadiuvanti chimici, la pornografia, i pensieri impuri, la fecondazione artificiale, il tiramisù e i cibi afrodisiaci, i vestiti sconci, la biancheria intima a nolo, gli specchi in camera da letto, l'uso di frusta e manette, le fantasie erotiche, le parolacce eccitanti (tutte elencate in un esauriente documento della Cei, dal classico "sei una sporcacciona" al raffinatissimo "vorrei incontrarti in funivia e sfilarti le ghette con le racchette da sci"), abitare sopra un sexy-shop, gli occhiali da sole troppo vistosi, i mezzi guanti con le dita di fuori, le telefonate a bassa voce, la sauna, i massaggi tailandesi, le infradito, i ristoranti con séparé, fare piedino se non con i moon-boots, i calendari da elettrauto, i guanti da chirurgo, depilarsi, le vigilesse, la doccia con il vetro trasparente, i buchi della serratura troppo larghi e infine camminare nudi sul lungomare di Milano Marittima distribuendo il proprio numero telefonico ai passanti e roteando la lingua. Dopo un mese di lavoro, il computer ha fornito il seguente identikit della coppia ideale cattolica, definendola per successive stratificazioni logiche. Ecco il responso. "Un uomo e una donna. Un uomo e una donna vergini. Un uomo e una donna vergini entrambi di Bergamo. Un uomo e una donna vergini entrambi di Bergamo ed entrambi con la barba. Un uomo e una donna vergini entrambi di Bergamo e con la barba che si fingono sordomuti tutta la vita per evitare di dire e ascoltare parole sconce. Un uomo e una donna di Bergamo eccetera che fanno sei figli in cinque anni. Un uomo e una donna di Bergamo eccetera che fanno sei figli in cinque anni e si rivolgono al consultorio per chiedere se non è possibile accorciare i tempi di gravidanza, con mezzi naturali, a soli tre mesi. Un uomo e una donna di Bergamo eccetera che copulano solo nella posizione canonica, quella detta 'a toast', ben descritta e illustrata nel manuale del cardinale Kraft, con lei sotto addormentata e lui sopra completamente inerte, per un'altezza complessiva dell'ammasso carnoso non superiore ai 25 centimetri. Un uomo e una donna vergini di Bergamo eccetera con un metronomo sul comodino, regolato sul ritmo del famoso 'Requiem' dell'abate Mortimer (una battuta ogni 20 secondi) per evitare di cadere, seppure inconsciamente, nella frenesia del piacere. Un uomo e una donna vergini di Bergamo, eccetera...". ======================================================= ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 16 dic. ’05 POLICLINICO: L'INTERVENTO CHIRURGICO ERA AD ALTO RISCHIO Malasanità. Consegnato al pm il referto medico legale: dodici i camici bianchi sotto inchiesta Il paziente morto in sala operatoria debilitato da un'infezione polmonare L'infezione polmonare avrebbe dovuto convincere i medici a rinviare l'intervento. Non solo: alcune alterazioni cardiopolmonari sarebbero dovute emergere durante le analisi che hanno preceduto l'operazione. Il referto medico legale consegnato al sostituto procuratore Giangiacomo Pilia che indaga sulla morte di Pancrazio Azzena, due giorni dopo un intervento al Policlinico universitario di Monserrato per l'asportazione di un'ernia addominale, segnala diversi profili. A partire dalla perforazione intestinale che molto probabilmente è stata provocata dal bisturi. E poi c'è l'emorragia cerebrale che, secondo il medico legale, potrebbe essere legata al farmaco somministrato per l'anestesia. Ecco perché sono dodici gli indagati per omicidio colposo: il professor Angelo Nicolosi, capo dell'équipe che ha eseguito l'intervento, i chirurghi Diego Ribuffo, Pietro Giorgio Calò e Federico Corrias, il primario anestesista Gabriele Finco, gli anestesisti Alberto Orrù, Antonio Marchi e Mario Musu (che ha seguito il paziente durante il trasporto all'ospedale Binaghi), il primario di Fisiopatologia respiratoria Plinio Carta (anch'egli ha seguito Azzena sull'ambulanza che lo trasferiva in Rianimazione), il cardiologo Carmela Montis, l'ecografista Alessandro Melis e il radiologo Antonio Argiolas: gli ultimi tre sono i medici che hanno effettuato gli esami diagnostici prima dell'intervento chirurgico. Pancrazio Azzena, 53 anni, sposato, una figlia, da circa un mese era in lista d'attesa e il via libera era arrivato il 5 dicembre. Era stato ricoverato al Policlinico universitario dove era stato sottoposto a ventiquattr'ore di esami. Il giorno successivo era entrato in sala operatoria. Ma qualcosa era andato storto dal momento che, subito dopo l'intervento il paziente era stato caricato su un'ambulanza e trasportata a tutta velocità al Binaghi. Il Policlinico infatti non è dotato di un reparto Rianimazione di lì la decisione immediata del trasporto. Al Binaghi il paziente era arrivato in condizioni gravissime e, nonostante gli sforzi dei medici per tentare di salvargli la vita, dopo due giorni Azzena aveva cessato di vivere. La direzione sanitaria aveva deciso di effettuare un riscontro diagnostico per accertare le cause della morte, così la salma era stata trasportata all'Oncologico perché il Binaghi non è attrezzato per quel tipo di operazioni. Il medico aveva però interrotto il riscontro diagnostico perché si era accorto della perforazione di un'ansa intestinale. Dall'ospedale era dunque partita una segnalazione per la Procura: il pm Pilia aveva chiesto al medico legale Francesco Paribello di seguire l'autopsia. Nel frattempo il magistrato aveva ordinato alla Guardia di Finanza l'acquisizione delle cartelle cliniche del paziente, quindi aveva chiesto i nomi dei medici che si erano occupati di Azzena. Lunedì il pm incaricherà un'equipe medico-legale di effettuare gli accertamenti e, per consentire ai medici di nominare i loro consulenti, ha spedito dodici avvisi di garanzia. ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 dic. ’05 POLICLINICO: UNDICI GLI INDAGATI Lunedì il pm Pilia nomina i periti per la morte dell’operaio Avviso di garanzia al primario di chirurgia Angelo Nicolosi Ma la perforazione dell’intestino potrebbe non essere la causa della tragica fine di Pancrazio Azzera CAGLIARI. Undici indagati, compreso il primario di chirurgia del Policlinico universitario. Ma adesso non è più certo che a provocare la morte dell’operaio cagliaritano Pancrazio Azzena sia stata una malaugurata perforazione dell’intestino, nel corso dell’intervento d’ernia. C’è il dubbio che l’origine delle complicazioni fatali sia stata un farmaco usato per l’anestesia oppure un errore di valutazione commesso in sede di diagnosi. Solo ipotesi, nient’altro che ipotesi. Sulle quali il pubblico ministero Giangiacomo Pilia chiederà approfondimenti lunedì prossimo, ai consulenti medici nominati dall’ufficio. Col medico legale Francesco Paribello lavoreranno i chirurghi Marco Rais, Michele Pietrangeli e Roberto Marongiu. Sono tutti di Cagliari e dovranno stabilire se prima, durante e dopo l’intervento compiuto al Policlinico di Monserrato sia avvenuta qualcosa di anomalo. Resta in piedi anche la possibilità che nessuno abbia sbagliato: morte naturale, per ragioni che andranno indagate. Di certo la famiglia di Azzena - che ha incaricato l’avvocato Carlo Angioy - vuole sapere tutto e presto, perchè il proprio dolore non sia inquinato dagli interrogativi. L’inchiesta giudiziaria è comunque entrata nel vivo. Il pm Pilia ha fatto notificare ieri pomeriggio gli undici avvisi di garanzia: uno riguarda certamente il primario chirurgo del Policlinico, Angelo Nicolosi. Era a capo dell’equipe che ha compiuto l’intervento ed è il responsabile del reparto. Gli altri avvisi sono stati recapitati agli indirizzi di altri due chirurghi, quattro anestesisti, un cardiologo, un ecografista, un radiologo e un altro medico specialista. Attenzione: si tratta di atti dovuti, legati certo a un’ipotesi di omicidio colposo ma che in sè non dicono nulla sulla colpevolezza dei medici coinvolti. In mancanza di conclusioni attendibili sulle cause della morte - che forse si avranno solo dopo la consulenza, tra circa un mese - il magistrato non può far altro che indagare sul comportamento tenuto da tutti i medici che direttamente o indirettamente hanno preso parte all’operazione di lunedì della scorsa settimana. Il fatto che il pm Pilia abbia deciso di valutare la posizione dei medici anche esterni allo staff chirurgico conferma che niente viene escluso: il responsabile dell’errore, se errore c’è stato, potrebbe essere chi ha controllato lo stato di salute dell’operaio cinquantatreenne prima dell’intervento. Oppure chi si è occupato dell’anestesia. L’equipe di consulenti avrà a disposizione la cartella clinica, i documenti degli esami preoperatori, il referto del medico dell’Oncologico che ha constatato la morte di Azzena, l’esito della prima autopsia. Non sarà un lavoro facile, ma la verità è indispensabile. (m.l) _______________________________________________________________ Italia Oggi 13 dic. ’05 DOTT. CHIP VA IN CORSIA Sanità I software consentono di simulare le condizioni di pazienti affetti da patologie gravi e affrontare meglio le emergenze Cartelle cliniche digitali, pazienti virtuali, telemedicina stanno facendo il loro ingresso in ospedali e studi medici Un business per i prodotti, e un sicuro vantaggio per tutti Non è che uno si può ricordare se e quando ha avuto il morbillo oppure la varicella», dice Antonio Di Santo, direttore generale della Asl 19 di Asti «eppure si tratta di una domanda di grande importanza a cui la tecnologia, quando la memoria del paziente va in corto circuito, può rispondere con rapidità e precisione». Data base integrati, cartelle cliniche elettroniche, sistemi di sicurezza e protezione dei dal stanno infatti facendo il loro ingresso nelle corsie di ospedale negli ambulatori e nelle cliniche «Quando sono arrivato alla Asl parliamo di circa sette-otto anni fa, l'automazione era pressoché sconosciuta e i supporti informatici quasi del tutto inutilizzati » osserva il direttore generale. Da allora le cose sono piuttosto cambiate, tant'è che l’Ospedale Cardinal Massaia di Asti è dotato di tecnologie in grado di creare un sistema sanitario integrato e, quindi, di erogare alla cittadinanza servizi più rapidi ed efficienti. In che modo? In primo luogo, la struttura sanitaria astigiana, ispirandosi alla filosofia dell'ufficio senza carta ha dato il via a una gestione digitale di tutte le attività di accettazione, di movimentazione dei pazienti in reparto, di gestione dei posti letto, di liste ricovero e prericovero. Dal pronto soccorso, infatti, è possibile gestire il paziente preso in carico collegandosi direttamente con le procedure di laboratorio . analisi per prenotare , gli esami e le consulenze specialistiche necessarie presso i vari reparti. Attraverso la soluzione Pacs, Picture archiving and o communication systems di General elecitrics, è possibile inoltre acquisire i referti e le immagini digitali da Tac e risonanze presenti nell'ospedale. Il sistema, realizzato in modalità di full outsourcing da Data Shop e da T- Systems Italia permette poi di gestire elettronicamente tutti gli eventi della cartella clinica. Si va dagli interventi, al registro operatorio dal diario clinico alla prescrizione e somministrazione farmaci, dalla anamnesi infermieristica al monitoraggio parametri fondamentali. Insomma, gli obiettivi di base che hanno portato la Asl a esternalizzare la gestione Ict affidandosi alla società del gruppo Deutsche telekom, ovvero l'incremento consistente della flessibilità, la piena continuità di servizio e la rapidità di risposta «sono stati raggiunti», sottolinea il direttore generale specificando che l'investimento complessivo per l'arredo e la tecnologia sanitaria ammonta a 50 milioni di euro. «Per quanto concerne l’outsourcing, invece, la cifra si aggira intorno ai 15 milioni di euro per dieci anni», dice Di Santo mentre sta già pensando alle prossime innovazioni da attuare. All'Ospedale Cardinal Massaia, infatti, il futuro è rappresentato dalla sperimentazione del bracciale elettronico al polso del paziente per il riconoscimento automatico attraverso l'utilizzo di codice a barre o tecnologia Rfid. L'innovazione tecnologica presso l'Unita operativa di malattie infettive dell'Ospedale di Busto Arsizio sta invece in una smart card. Attraverso l'adozione di un sistema di firma digitale che consente di sostituire totalmente la cartella clinica cartacea rispettando tutti i termini di legge, ogni medico potrà utilizzare una smartcard da operatore per validare digitalmente tutti i dati che inserirà in modo rapido ed efficace. È il risultato del progetto wireless hospital messo a punto da It2b, azienda milanese specializza nello sviluppo di applicativi webbased multicanale per dispositivi tradizionali e wireless. «Il progetto prevede la realizzazione di un sistema innovativo di cartella clinica elettronica in grado di sostituire totalmente la documentazione cartacea dalle corsie degli ospedali», spiega Matteo Tiberi, ceo di It2b. La cartella, grazie a una rete wi-fi, sarà accessibile attraverso tablet-pc e pocket-pc utilizzabili dal personale mentre si trova col paziente. In questo modo il personale sanitario potrà avere accesso a tutti i dati clinici, i referti e la storìa del paziente aggiornati in tempo reale. Va da sé che la possibilità di validare prescrizioni, valutare lo stato clinico e richiedere esami direttamente in digitale consentirà un grande risparmio di tempo ed efficienza operativa. Finanziata dalla Regione Lombardia, che per lo sviluppo del progetto ha stanziato 300 mila euro per il biennio 2005/2006, la sperimentazione prevede che il personale, dopo un periodo di adeguata formazione, possa utilizzare i mini-pc portatili per inserire i dati, prenotare esami, consultare referti e storia clinica del paziente. Oltre a velocizzare i tempi che caratterizzano l’iter terapeutico in ospedale, questo progetto, che sarà compatibile con il Siss, il Sistema informativo socio- sanitario della regione Lombardia, consente di evitare errori di trascrizoone. Integrazione dì dati e informazioni garantita anche presso l'Azienda ospedaliera di Ferrara che completerà a breve il progetto di riorganizzazione e realizzazione del nuovo sistema informativo integrato, l'Erp ospedaliero di Sap, per tutte le aree, dall'amministrazione alle attività di reparto, dalla clinica specialistica all'assistenza. «Abbiamo deciso di rivedere radicalmente una serie di processi clinici e aziendali», racconta Sergio Sisti, direttore del dipartimento economico e della gestione dei servizi dell'Azienda ospedaliera dì Ferrara. L'introduzione del nuovo sistema, basato sulla piattaforma Sap, e l'ottimizzazione dei principali processi aziendali hanno già dato risultati concreti e quantificabili come il miglioramento nella programmazione dei ricoveri e delle attività diagnostiche e terapeutiche, una maggiore efficienza nell'impiego del personale, razionalizzazione delle scorte e una riduzione dei consumi. II progetto, nato dalla necessità di dare una risposta concreta all'esigenza del mondo sanitario di programmare e controllare le attività in presenza di una costante attenzione alla spesa, è stato studiato per ottimizzare e alleggerire l'attività amministrativa e burocratica, evitando le duplicazione e la ripetizione delle informazioni. «La diffidenza iniziale è stata superata immediatamente poiché è risultato subito evidente in che modo il nuovo progetto costituisse un valore aggiunto per l’ospedale e per l'attività quotidiana del personale medico, non medico e amministrativo», dice Sisti specificando che l'investimento complessivo è nell'ordine dei 4 milioni di euro. La consapevolezza del personale medico riguardo all'importanza di un progetto di questo tipo, deriva dal fatto che l'introduzione di Sap ha permesso il raggiungimento di una gestione ottimale del paziente, attraverso workstation specializzate e la piena condivisione di tutte le informazio ni cliniche e amministrative, in tempo reale. Dall'accettazione alle diagnosi, dalle terapie alle prestazioni erogate, fino alla dimissione e contabilizzazione dei relativi costi. «L'ottimizzazione dei processi logistici e il . pieno controllo dell'intero ciclo produttivo, inoltre, hanno migliorato i risultati economico finanziari con evidenti benefici anche sulla struttura patrimoniale dell'azienda. II nuovo sistema informativo», prosegue il dìrettore del dipartimento economico e della gestione dei servizi dell'Azienda ospedaliera di Ferrara, «ha fornito un supporto al profondo cambiamento organizzativo mediante il passaggio da una gestione per atti a una gestione per obiettivi, attraverso l'attuazione del decentramento decisionale alle Unità operative, mantenendo tuttavia una necessaria visione unitaria e centrale grazie a strumenti avanzati di analisi, pianificazione e controllo». Ma gli investimenti tecnologici dell'ospedale emiliano non sì fermano qui. In un prossimo futuro, infatti, l'idea è di creare un vero e proprio ospedale allargato attraverso la piena integrazione con la catena logistica dei partner strategici come aziende farmaceutiche, produttori di eIettromedicali, società dì servizi, istituti finanziari, centri di ricerca, e con i sistemi informativi della medicina territoriale, dalle strutture sanitarie ai medici di famiglia. A supporto dell'attività assistenziale e medica, invece, è allo studio l’impiego del «mobile healthcare», supportato dalla piattaforma tecnologica di Sap, in grado di mantenere costantemente in contatto il personale medico e infermieristico con l'ospedale e con il singolo paziente con l'accesso al sistema informativo attraverso sistemi cellulari e palmari. ___________________________________________ il Giornale 13-12-2005 CLONIAMO CRISTO CON LA SINDONE Scontro in tv sulla clonazione di Cristo «Ma il Dna della Sindone è inutilizzabile» In Francia due inchieste a confronto tra scienza e audience Alberto Toscano da Parigi La domanda ha, l'aria di una pura provocazione più che di un'autentica sfida scientifica: «E possibile clonare Gesù utilizzando il Dna presente sulla Sacra Sindone di Torino?». Però gli autori di una, celebre trasmissione televisiva francese Lundi investigation, che si potrebbe tradurre con «L'inchiesta del lunedì», andata in onda ieri sera alle 22,40 sulla rete privata CanalPluss - si sono posti «molto seriamente», così dicono, quell'interrogativo al limite dell'assurdo. Per loro tutto è plausibile in un'epoca che esaltai prodigi della clonazione fimo a ipotizzare allegramente la nascita di esseri umani «copiati» in laboratorio. In questa, atmosfera fantascientifica, i conduttori della trasmissione hanno parlato delle ricerche (o presunte tali) del biologo americano Leoncio Gaarza-Valdés, dell'università del Texas, che afferma d'essere riuscito a individuare e a clonare tre molécole provenienti dal sangue di Gesù. Oggi la Chiesa non permette più l'effettuazione di analisi scientifiche sulla Sacra Sindone, ma quelle avvenute in passato possono - secondo Didier van Cauwelaerti e Xves Boisset, autori della trasmissione di CanalPlus - aver fornito agli scienziati americani elementi per ipotizzare una clonazione di Gesù. «Vogliono clonare Cristo?» è il titolo di questa trasmissione, durata un'ora e mezzo con tanto di reportages e interviste. L'attesa perla trasmissione televisiva sulla «clonazione di Gesù» è stata testimoniata dal reportage che la rete radiofonica pubblica France Info ha realizzato a sua volta sull'argomento, mandandolo in onda qualche ora prima dell'inchiesta di Canal Plus. La conclusione ditale reportage radiofonico è la sostanziale impossibilità di effettuare una clonazione partendo dagli elementi organici presenti sulla. Sindone. Una conclusione che va nel senso opposto rispetto alla tesi sostenuta dagli autori dell'inchiesta televisiva, che cercano di tenere in piedi la loro tesi «ad effetto» nella speranza di sfondare sul piano dell'audience più che su quello della ricerca scientifica. Il Dna di Dio è il titolo del libro scritto da Leoncio Garza-Valdés a seguito dei suoi studi sulle cellule umane presenti sulla Sindone e anche su reliquie della Passione di Gesù Cristo conservate in Francia e in Spagna. Gli autori del reportage di CanalPlus cercano di attribuire credibilità a tesi di questo genere, al punto che - secondo loro - lo scienziato americano avrebbe voluto presentare al Papa. «l'impronta genetica dell'uomo avvolto nella Sindone». In Francia i temi della clonazione umana stanno provocando attualmente un particolare interesse, testimoniato dall'uscita in questi giorni del libro «La rivincita del serpente o la fine dell'homo sapiens», scritto dal professor Bernard Debré, illustre medico con l'hobby di Famiglia della politica: è figlio di Michel Debré, stretto collaboratore di De Gaulle, ed è fratello gemello di Jean-Louis Debré, attuale presidente dell'Assemblea nazionale. Per il prof. Debré è necessario utilizzare tutti gli strumenti possibili per incentivare la ricerca scientifica e così i1 tema della clonazione ripropone tutti i suoi inquietanti interrogativi morali. In questo dibattito hanno cercato di inserirsi ieri sera i «cacciatori di audience» di Canal Plus, con le loro tesi che fanno talvolta pensare a fantasiose ricostruzioni di complotti per «frenare» la ricerca scientifica sulla Sacra Sindone. Come se la clonazione a partire da molecole di duemila anni fa fosse un gioco da ragazzi e come se l'idea di produrre un «Gesù in laboratorio» potesse davvero essere ipotizzata da scienziati degni di questo nome. _______________________________________________________ il Giornale 13-12-2005 «QUEL SACRO TELO RISALE AI TEMPI DI GESÙ» da. Milano Rialzare il velo sul lenzuolo più venerato del mondo cristiano appartiene alla sfera dell'utopia o della realtà? Una reliquia - quella della Sacra Sindone - che rappresenta ancora oggi il coagulo di tre dimensioni apparentemente inconciliabili: scienza, fede e storia. A rimettere mano al «lembo» scientifico è stato un recente studio del chimico americano Raymond Rogers che, nel febbraio scorso, ha pubblicato i risultati delle sue analisi sulla rivista Termochimica Acta. Un articolo che reillumina il mistero sostenendo che «la sacra Sindone di Torino è un reperto estremamente antico e non un falso di origine medievale». Ma forse - più che la notizia in sé - è la modalità, con cui Rogers (inizialmente scettico sul fatto che il volto impresso sulla Sindone fosse quello di Cristo) è giunto a. tale conclusione. Soffermiamoci sulle dichiarazioni rilascia.te a suo tempo dallo studioso americano all’Assorzated Press: «La chimica dice che era un vero sudario, che le macchie di sangue su di esso sono di vero sangue, e che la tecnologia impiegata per realizzare il tessuto era esattamente quella descritta da Plinio il Vecchio alla sua epoca, intorno a170 d.C.». «Non posso smentire che sia stato il sudario che avvolse il corpo di Cristo, - aggiunge Rogers - ma posso affermare che l'età del sacro telo è compatibile con l'epoca in cui visse Gesù». Ma qual è il dato scientifico più significativo? A questa domanda Rogers ha risposto sostenendo che «la Sindone ha 1300-3000 anni ed è quindi molto più antica dell'epoca medievale, come avevano concluso le analisi al radiocarbonio compiute negli anni '80». Rogers afferma che la datazione al radiocarbonio sul presunto sudario che avrebbe avvolto Gesù è assolutamente valida, ma è stata fatta su un frammento delle dimensioni di un francobollo che era stato cucito sul tessuto per una riparazione dopo uno degli incendi che ha subito, il primo dei quali in Francia nel 1357. «Siamo sicuri che quel frammento non è parte dell'originale», ha scritto Itogers osservando che la «toppa contiene fibre di cotone mentre il resto della Sindone è di puro lino». I.' «errore» della ricerca del 1988 sarebbe insomma riconducibile all'uso di un «campione sbagliato»; esso sarebbe stato prelevato da, una pezza medioevale usata per riparare il lenzuolo originale dai danni dovuti a, un incendio. Il sudario, in lino, è stato infatti aggredito dal fuoco diverse volte, da quando la sua esistenza, è stata registrata in Francia nel 13572 In particolare fu coinvolto in un incendio nel 7 532. Fu allora riparato da alcune suore che rammendarono i buchi e cucirono il lenzuolo ad un materiale di rinforzo conosciuto come tela olandese. La ricerca di Kogers ha inoltre dimostrato la presenza di una sostanza chimica chiamata vanillina nel campione e nella tela olandese, ma non nel resto del sudario. La vanillina è prodotta dalla decomposizione termica della lignina, un composto chimico che si trova in alcune piante come il lino; con il tempo essa scompare e dunque la sua presenza o no in un materiale ne permette la datazione. «II fatto che la vanillina non sia stata trovata nelle fibre del sudario indica che il lenzuolo è abbastanza antico - dichiara Itogers -. E uno studio della cinetica della perdita di vanillina suggerisce che esso dovrebbe avere dai 1.300 ai 3.000 anni». Nella ricerca del 1988, gli scienziati di tre università avevano concluso che il sudario risaliva invece ad un periodo compreso tra il 7 260 e il 1390. Ciò aveva portato alla conclusione che non potesse essere i1 lenzuolo in cui era stato avvolto il corpo di Gesù per la sua sepoltura. Un dubbio che non ha mai sfiorato chi-davanti a quell'impalpabile impronta della Sindone -ha avvertito solo l'impulso di piangere. E di pregare. ______________________________________________________________ La Stampa 14 dic. ’05 COSÌ SALTA TRA LE SPECIE QUEL VIRUS TRASFORMISTA L’INFLUENZA AVIARIA PER ORA E’ UN PERICOLO LONTANO MA I PRECEDENTI SONO INQUIETANTI: BASTA PENSARE AD HIV, EBOLA E FEBBRE EMORRAGICA DA sempre i virus colpiscono l'uomo. A parte le ultime pandemie (1918, 1957 e 1968) di sicura natura virale, si ipotizza che anche molte delle "pestilenze" storiche non fossero altro delle pandemie virali. Finora le pandemie influenzali sono sempre state causate da virus dell'influenza "umana" che in quelle circostanze si erano presentati talmente geneticamennte "mutati" (l'instabilità genetica è una peculiarità dei virus) da cogliere del tutto impreparato il sistema immunitario dell'uomo. E la diffusione riguardava una regione limitata del mondo. Negli ultimi tempi, invece, sono sempre più frequenti i casi in cui anche virus propri di specie animali acquisiscono la capacità di aggredire l'uomo. Il caso più noto è quello dell’Hiv, il virus dell'Aids, trasmesso da scimmie africane. Virus di provenienza animali sono anche quelli che hanno prodotto la Bse (il morbo della mucca pazza), la Sars (la sindrome respiratoria acuta), la febbre emorragica della pampa argentina, l'encefalite giapponese, l'Ebola. La "spada di Damocle" che pende attualmente su di noi è il virus H5N1, sigla che indica le proteine, a potere antigenico, presenti sulla superficie del virus responsabile dell'influenza aviaria che si appresterebbe a dilagare tra gli uomini. E non più in una regione limitata, ma in tutto il mondo. Quali i meccanismi biologici e ambientali di un simile fenomeno, relativamente recente, e quali i motivi di tanto incessante e ansiogeno allarme mediatico? I virus sono strutture sub-cellulari, costituite nella loro forma più semplice da un acido nucleico (Dna o Rna, il loro genoma) contornato da un guscio (capside) formato da proteine (capsomeri) disposte geometricamente. Le loro dimensioni variano dai 20 ai 300 millimicron. La microfotografia a luce ultravioletta e la microscopia elettronica riescono a mostrarceli. Sono assolutamente incapaci vivere e riprodursi al di fuori di una cellula vivente, di cui sfruttano i sistemi enzimatici per la sintesi proteica e la produzione di energia. Sono, in altre parole, dei parassiti intracellulari obbligati. Pur non avendo una propria vita metabolica, quando entrano in una cellula determinano in questa una serie di eventi metabolici che hanno come esito finale la formazione di nuovi virus. Accade infatti che l'acido nucleico virale va a inserirsi nel genoma della cellula ospite deviandone il metabolismo ed inducendola a sintetizzare i costituenti virali (acidi nucleici e proteine di rivestimento) che, assemblandosi, danno origine ad altri virus (neo-virioni), che trasmettono l'infezione ad altre cellule. Isolato per la prima volta ad Hong Kong nel 1997 e ricomparso in Corea nel 2003, il virus H5N1 è considerato particolarmente temibile per la straordinaria capacità di variare continuamente la struttura genetica, acquisendo geni di altri virus con cui viene a contatto. Il virus H5N1 nella sua forma originaria non infetta direttamente l'uomo, ma il timore è proprio quello che possa acquisire i geni di un virus influenzale umano, dando origine a un nuovo ceppo virale che faccia il "salto di specie" e che abbia, insieme, la letalità del virus H5N1 e la capacità diffusiva del virus dell'influenza umana. Una simile ricombinazione genetica potrebbe verificarsi attraverso un passaggio intermedio, per esempio in un maiale infettato sia da virus influenzali aviari sia da virus influenzali umani. L'ipotesi dell'influenza aviaria abbiano superato la barriera fra alcune specie di volatili e la specie umana è suffragata dalle 118 persone infettate nel sud-est asiatico e dalle 64 vittime finora registrate. Una volta che il virus sia passato all'uomo e si sia adattato ad esso, il contagio potrebbe avvenire tra uomo e uomo, come la normale influenza, attraverso le vie aeree, con una diffusione molto rapida essendo il sistema immunitario della popolazione umana impreparato a combattere un virus del tutto diverso dai precedenti. Funzionano da acceleratore di quello che è stato definito "traffico virale" i velocissimi cambiamenti ambientali, la modificazione degli ecosistemi, tutte le situazioni di promiscuità tra suini, uccelli acquatici e uomini frequenti nelle regioni dell'estremo Oriente, la progressiva scomparsa delle barriere, la globalizzazione, che ha abolito i confini. In più l'influenza aviaria si avvale del fatto che a diffonderla in regioni molto lontane tra loro provvedono gli uccelli migratori, come i germani e le anatre selvatiche: in quanto "portatori sani" (loro non si ammalano quando contraggono l'H5N1), possono infettare polli e tacchini incontrati lungo il loro tragitto attraverso l'eliminazione del virus con le feci e con secrezioni respiratorie. Una delle poche certezze è che il virus è inattivato dal calore, per cui non ci sono rischi a consumare carne di pollo e uova cotte. Il virus, fra l'altro, si trasmette per via respiratoria, mai per via alimentare. Il vaccino è di là da venire (sempre che sia possibile approntarne uno efficace, vista l'estrema variabilità del virus; e comunque ci vorranno parecchi mesi per la produzione di quantità sufficienti) e non si sa ancora quanto siano efficaci i farmaci antivirali attualmente in commercio. In questa situazione sono di primaria importanza la sorveglianza epidemiologica e l'individuazione di nuovi casi, oltre alla strategia affidata alla sanità veterinaria di monitorare gli uccelli migratori nelle loro soste, di indicare le misure per proteggere dal contagio gli allevamenti intensivi (ma anche i pollai rurali vicini alle aree di sosta degli uccelli migratori), di proibire la caccia agli uccelli migratori. La vaccinazione antinfluenzale con il vaccino in uso nella corrente campagna vaccinale non dà una protezione specifica verso il virus H5N1 ma è utile per evitare l'eventuale co-infezione: quindi è raccomandabile per tutta la popolazione e non solo per ammalati cronici ed anziani. Antonio Tripodina _______________________________________________________________ Libero 13 dic. ’05 ICTUS, TSUNAMI DEL CERVELLO Invecchia l'organo di 3,6 anni all'ora, uccide 1,9 milioni di neuroni al minuto e cancella 12 Km di fibre nervose Calcolate esattamente le devastazioni della patologia lo studio, compiuto nelcuniversita della california, sottolinea i'urgenza di intervenire in tempi m0lto brevi su chi è colpito dal male. solo cosi si possono evitare effetti conela disabilita permanente LOS ANGELES Perché è importante intervenire immediatamente appena si verifica un ictus:' Ce lo dice Jeffrey Saver, dell’università della California, in un articolo apparso sulla rivista Stroke. Lo studioso, tramite risonanza magnetica, ha evidenziato per la prima volta ciò che accade Con esattezza nel cervello nel momento in cui la grave patologia ha luogo. Secondo Saver a seguito di un ictus muoiono 1,9 milioni di neuroni ogni minuto, mentre il cervello, rimanendo in pratica per troppo tempo senza ossigeno, invecchia di 3,6 anni in media per ogni ora trascorsa dall'evento. Durante un ictus tipico, che mediamente ha una durata di dieci ore, sono coinvolti 54 millilitri di tessuto cerebrale. Quattordici miliardi di sinapsi, le giunzioni tra cellule nervose che servono a trasmettere l'impulso nervoso, sono letteralmente cancellate, mentre sono persi circa 12 chilometri di fibre nervose, porzioni di "cervello" che si diramano dal corpo neuronale. Mai nessuno prima d'ora aveva stimato quantitativamente i danni dell'ictus: «Noi neurologi sapevamo, certo, che: l’ictus è una malattia devastante che evolve rapidamente - ha ammesso lo studioso dell'università della California - ciò nonostante mi ha-sconvolto vedere i numeri crudi che riguardano il danno da esso provocato». L'ictus cerebrale è la causa più frequente di disabilità in persone adulte e una delle più comuni cause di morte. Nell'80% dei casi riguarda individui over 65, ma possono essere coinvolte anche persone molto più giovani. I sintomi sono dovuti alla perdita transitoria o permanente di determinate funzioni cerebrali e dipendono dalla localizzazione del danneggiamento strutturale all'interno del sistema nervoso centrale, provocato da una repentina riduzione del flusso sanguigno (ischemia, infarto, 90% dei casi) o dalla rottura di un vaso sanguigno (emorragia, 10% (lei casi). In Italia la malattia rappresenta la terza causa di mortalità, dopo la cardiopatia ischemica ed i tumori. Ogni anno si hanno oltre 130 mila nuovi casi (numero destinato a salire a oltre 170 mila nel 2008). Più o meno un ictus ogni tre minuti. Gianluca Grassi _______________________________________________________________ Il Giornale 14 dic. ’05 COSÌ LA NEUROCHIRURGIA PUÒ ALLUNGARE LA VITA Monica Marcenaro *La sopravvivenza per i tumori maligni del cervello negli ultimi cinque anni è passata da sei mesi a due anni e questo grazie all'evoluzione della tecnica chirurgica e alle nuove terapie complementari. I pazienti vivono più a lungo e con una qualità di vita decisamente migliore. Sulle nuove frontiere della neurochirurgia si apre oggi a Torino il Congresso della Società italiana di Neurochirurgia che vede riuniti circa 700 specialisti provenienti da tutta Italia, con la partecipazione di colleghi tedeschi e americani. Di particolare interesse è uno dei temi congressuali che riguarda le applicazioni terapeutiche immediate della ricerca di base sulla patologia neurochirurgica, sia nel campo dei tumori, sia in quello della patologia funzionale (per esempio, malattia di Parkinson), sia in quella vascolare e degenerativa spinale. I rapporti tra ricercatori, istituzioni e media saranno poi analizzati in una tavola rotonda in programma domani con la presenza, tra gli altri, del ministro per la Salute, Francesco Storace e del professor Edoardo Boncinelli, biologo e genetista dell'ospedale San Raffaele di Milano. In tutto il mondo occidentale ogni anno si registrano 300 nuovi casi di glioma, tumore maligno del cervello, ogni milione di abitanti. Per tanti lo sviluppo della tecnologia e dei farmaci hanno determinato un significativo cambiamento della prognosi. «Vivono di più e meglio - sottolinea Alessandro Ducati, presidente del congresso e professore di neurochirurgia all'università di Torino - se ml tempo infatti era difficile rimuovere del tutto il tumore perché non c'erano mezzi adatti a distinguere la parte malata dal resto del cervello, oggi grazie alle nuove tecniche di visualizzazione intra-operatorie, come per esempio, la fluorescenza, siamo in grado di asportare la massa cancerosa in modo radicale». Non solo, l'evoluzione della tecnologia «ci ha permesso in sala operatoria di distinguere le diverse funzioni della corteccia cerebrale e di evitare, quindi, possibili danni». Anche i farmaci di nuova generazione, più mirati, efficaci e meno tossici insieme a una radioterapia diretta al bersaglio hanno contribuito ad allungare le speranze di vita dei pazienti. Ed è proprio su questi temi che gli specialisti italiani si confronteranno nei prossimi giorni con i colleghi del resto del mondo. Il professor Ducati: «Con le nuove tecniche rispondono meglio le cure antitumorali» _______________________________________________________________ Il Tempo 14 dic. ’05 OVER SESSANTA UNO SU TRE SOFFRE DI CATARATTA OGNI cinque secondi nel mondo una persona diventa cieca, ogni minuto un bambino perde la vista. In Italia i ciechi sono 35ni111la, un 11111iOtle e mezzo gli ipovedenti, mentre a Roma si stima che i ciechi siano 3000 (5000 gli ipovedentì_ Sono questi alcuni dei dati forniti nel corso della «Giornata nazionale del cieco e per la prevenzione della cecità» durante la conferenza svoltasi in Campidoglio dal titolo «Insieme per salvaguardare la vista degli anziani», alla presenza del sindaco Veltroni, dell'assessore alle politiche sociali Milano, del presidente nazionale l’unione Italiana ciechi Darriele e del presidente dell'Agenzia internazionale prevenzione della cecità (:astrorwvo. «Sono contrario al termine disabilità - Ira esordito Veltronì - che meglio si adatta alle istituzioni che per tanto tempo non sono state capaci di pensare che il mondo è fatto di persone diverse. In città abbiamo installalo 400 semafori sensibili. Inoltre stiamo ristrutturando tutti i percorsi artistici e culturali, come l’Auditorium». Tra le patologie più diffuse connesse alla vista, secondo una campagna di prevenzione svolta nei centri anziani della Capitale su 3000 anziani, ci sono la cataratta - ne soffre un anziano su tre - la retinopatia ipertensiva, la maculopatia, il glaucoma, la retinopatia diabetica. A centri sociali - ha detto Milano - sono sempre di più un luogo di prevenzione e di educazione alla salute. Dove la città si amplia, si parie col piede giusto e senza barriere architettoniche». ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 12 dic. ’05 «IL SOVRAPPESO È CAUSA DI MOLTI TUMORI» Il 9 per cento dei sardi è obeso, l'uno per cento è grande obeso, e il 36 è in sovrappeso, attesta l'Organizzazione mondiale della sanità. Significa che quasi la metà della popolazione rischia, in misura diversa, malattie cardiovascolari o tumori. «Perché ormai è accertato che il trenta per cento dei tumori è legato alla cattiva alimentazione e all'alimentazione in eccesso». Michele Carruba, direttore del dipartimento di Farmacologia, Chemioterapia e Tossicologia medica dell'università di Milano, è considerato il maggiore esperto di obesità in Italia. È presidente della società italiana dell'obesità ed ha all'attivo centinaia di pubblicazioni su riviste internazionali. Giovedì sarà a Cagliari per partecipare a un convegno. Professore, iniziamo dal principio: quando ci si deve considerare in sovrappeso? «Tutto è legato all'indice di massa corporea che si calcola dividendo il peso per l'altezza al quadrato. Se il risultato è compreso tra 18,5 e 25 si è normali, se è tra 25 e 30 si è in sovrappeso, se è superiore a 30 si è obesi, e il rischio di mortalità aumenta esponenzialmente». Tutte le persone in sovrappeso o obese rischiano nello stesso modo? «Bisogna distinguere tra obesità ginoide, tipica delle donne in età fertile, e obesità androide. Nel primo caso i grassi si accumulano a livello di glutei e fianchi. Questo tipo di obesità non ha effetti sulla salute perché il grasso è sottocutaneo». Poi c'è la pancia. «Esatto. Il grasso pericoloso è quello che si accumula a livello viscerale, tipico dell'uomo. La pancetta, appunto». Quando si supera il limite? «Il parametro più semplice per capire se siamo sovrappeso o obesi è la circonferenza vita. Noi definiamo obeso un uomo che ha un diametro di 102 centimetri e una donna che ha 88. E in sovrappeso uno che ha 94 e una donna che ha 80. Teniamo presente che il giro vita è in grado di predire il rischio cardiovascolare di un individuo». In che modo? «Più è larga la vita più è probabile che si abbia un evento cardiovascolare nei 10 anni successivi e questo evento di solito è fatale nel 50% dei casi». Ma il cuore non è l'unico organi a rischio. «No. Si rischiano anche diabete e tumori». Tumori? «Sì. Tutti pensiamo che un cancro sia dovuto principalmente all'inquinamento. Invece il 30% delle neoplasie è legato allla cattiva alimentazione o all'alimentazione in eccesso». Quali tumori, in particolare. «Quello alla mammella, in particolare, ma si rischia anche un tumore all'utero, alle ovaie, al colon e retto. Diciamo che un individuo obeso ha il 65% di possibilità in più di prendersi un tumore rispetto a una persona normale». Meno peso, meno tumori? «É scientificamente accertato che le malattie, specie quelle più pericolose, possono essere prevenute con uno stile di vita più sano. In altre parole siamo noi stessi a determinare il nostro futuro». Che cosa intende per stile di vita più sano. «Banalmente potrei dire che mangiare sempre un po' meno di quanto abbiamo bisogno aumenta la vita». Sulla base di quale meccanismo? «Il cibo attiva il mitocondrio, che è il motore delle cellule, la mitocondriogenesi è il meccanismo che brucia i grassi e gli zuccheri per trasformarli in energia». E senza movimento non bruciamo abbastanza energia. «Esatto. Negli ultimi 50 anni l'obesità è cresciuta non perché mangiamo di più, ma perché mangiamo peggio e ci muoviamo di meno». Ma rinunciare al piacere del cibo è un sacrificio. «Falso. Possiamo trovare ciò che ci piace pur mangiando correttamente. Basta realizzare che per la nostra salute un'alimentazione corretta è fondamentale». Niente pastarella? «Un tempo le paste le portava il papà la domenica e si mangiavano durante le feste. Ora la mangiamo tutti i giorni ed è sbagliato. Zuccheri e grassi sono necessari ma il loro connubio in eccesso è pericoloso». Che aspettativa di vita ha un obeso? «In linea di massima vive dieci anni in meno». Quando è troppo tardi per cambiare? «Mai. Un nostro lavoro pubblicato su Science dimostra che ridurre il peso del 20% in un obeso raddoppia l'aspettativa di vita. E questo si può fare a qualunque età». Fabio Manca _______________________________________________________________ Corriere della Sera 15 dic. ’05 LA MICCIA DELL’EPATITE E’ NASCOSTA NEL SANGUE DI SARA GANDOLFI La scoperta, a prima vista, sembra appartenere soltanto al mondo del laboratorio. Un'equipe italo-americana ha svelato una nuova attività delle piastrine del sangue, finora note soltanto per la loro funzione d'emostasi e coagulazione: oltre a riparare le pareti dei vasì sanguigni danneggiati, bloccando le emorragie, esse «intrappolano» cellule del sistema immunitario, i linfociti citotossici, nella zona colpita da virus. Quello che nasce come un meccanismo naturale di difesa dell'organismo nei confronti di un «invasore», si trasforma però a volte in una nuova fante di malattia. I ricercatori dell'Istituto San Raffaele di Milano e dello Scripps Research Institute di La jolla, in California, hanno infatti riscontrato in una serie d'esperimenti su topi che le piastrine attirano le cellule immunitarie nella zona del fegato quando questo è colpito da virus HBV o HCV. scatenando i sintomi rispettivamente dell'epatite B e C, e aprendo la strada alle conseguenze estreme: cirrosi e tumori epatici, responsabili nell'uomo, a livello mondiale, di oltre due milioni di morti l'anno. La replicazione del virus all'interno del fegato, di per sé, non provoca infatti alcun danno all'organismo. È soltanto quando il sistema immunitario attacca le cellule epatiche infette per eliminare il virus che si sviluppano i sintomi dell'epatite (vedi disegno accanto). Ed ecco perché la scoperta potrebbe avere un utilissimo sbocco farmacologico. «Bloccare, o almeno ridurre, questa specifica funzione delle piastrine riduce a sua volta il numero di linfociti citotossici in grado di passare dal sangue al fegato e di conseguenza anche i danni epatici che queste cellule provocano nel tentativo di eliminare i virus», spiega il professor Luca Guidotti, responsabile dell'Unità di immunopatogeuosi delle infezioni del fegato al San Raffaele e coordinatore di questa ricerca multicentrica. Sono stati ancora una volta i recenti progressi nella conoscenza del patrimonio genetico umano, e le nuove tecniche di mappatura di geni e proteine, a spingere gli scienziati su questa strada: «Si è visto come le piastrine, piccoli e abbondanti elementi cellulari del sangue sprovvisti di nucleo cellulare, producessero fattori coinvolti in processi infiammatori come l'epatite virale, Di qui è nato il nostro interesse nel valutare il ruolo delle piastrine in modelli animali di epatite», spiega al Magazine il professor Guidotti. «Abbiamo così scoperto che le piastrine circolanti riconoscono un segnale di "pericolo" nei vasi sanguigni che irrorano il fegato in corso d'infezione virale. In seguito a questo riconoscimento, le piastrine si attivano e formano un "tappeto adesivo" all'interno dei vasi sul quale i linfociti citotossici, anch'essi circolanti nel sangue, possono fissarsi rallentando o terminando la loro corsa. Ciò fa sì che i linfociti citotossici fuoriescano più facilmente dai vasi e vengano in contatto con le cellule infettate del fegato». ); ormai assodato che i sintomi dell'epatite non dipendono dai virus - essi utilizzano le cellule epatiche «semplicemente» per replicarsi - ma proprio dalla distruzione di cellule infettate del fegato da parte dei linfociti citotossici, Ed è indispensabile, a questo punto, distinguere fra epatite acuta e cronica. «Nel corso di epatite acuta, che va incontro a guarigione spontanea, i linfociti citotossici causano malattie. epatiche anche severe, grazie all’aiuto delle piastrine, ed eradicano i virus in maniera permanente. In questo caso le piastrine, sebbene coinvolte nei sintomi di malattia, hanno un effetto "benefico". L'estrema, in questo caso, sono le epatiti acute particolarmente aggressive, e perciò definite fulminanti, che sono rare ma con esito quasi sempre letale», prosegue Guidotti. «Durante l'epatite cronica (classificata come tale quando l'infezione da IIBV o HCV persiste per più di 6 mesi), invece, i linfociti citotossici non sono numericamente e/o qualitativamente adeguati a eliminare completamente i virus. Perciò, anche se riescono a uccidere una parte delle cellule infettate del fegato, non riescono a eliminarle tutte. Questo provoca la comparsa di cicli ricorrenti di malattia, che possono durare 2-4 settimane, una o due volte l'anno, e che nel corso di 20-30 anni portano alle complicanze nefaste dell'infezione cronica. In questo caso, bloccare o ridurre la funzione proadesiva delle piastrine durante le riacutizzazioni sintomatiche, cioè durante l'attacco dei linfociti citotossici, diminuirebbe l'entità del danno epatico di ogni singolo episodio di malattia e probabilmente allungherebbe notevolmente il periodo d'incubazione delle complicanze». Invece dei 20-30 anni necessari a far sì che si sviluppino cirrosi e tumore, si potrebbe magari passare a 60-80. I pazienti cronicamente infettati da HBV o HCV possono in effetti convivere con questi virus per decine d'anni - basti pensare alle moltissime infezioni verticali da mamma a neonato - con sintomatologie alquanto varie: talvolta i sintomi sono praticamente assenti per tutta la vita, a volte invece le forme asintomatiche si riacutizzano e, come avviene nell'epatite acuta, i pazienti soffrono di nausea, inappetenza e ittero. Molti dei 600 milioni di pazienti cronici (dal 30 al 50% del totale) non rispondono alle terapie finora disponibili, cioè i farmaci antivirali e l’interferone, e quindi non eliminano mai i virus. Terapie che comunque spesso vengono sospese a causa degli effetti collaterali, come forti anemie e gravi sindromi depressive, o perché i virus mutano e i farmaci diventano inutili. D'altra parte, mentre per l'epatite B esiste un vaccino alquanto efficace nel prevenire l'infezione, obbligatorio in Italia, sul fronte HCV non esiste ancora nulla del genere. Le piastrine circolanti nel sangue (1) aderiscono alla parete dei vasi sanguignì in prossimità di cellule del legato (epataciti) infettate dai virus (2). Ciò avvenuta, le piastrine si attivano, cambiano forma e costìtuiscono un «tappeto appiccicoso,, (3) sul quale possano a loro volta aderire ì linfociti cìtotossici (4) che normalmente viaggiano ad alta velocità nel sangue. Queste cellule del sistema immunitario, così rallentate, possono quindi uscire dal vasi sanguigni, penetrare nel fegato e distruggere (5) le cellule infettate dal virus (che a sua volta utilizza proprio gli epatocitì per replicarsi). È questo meccanismo di distruzione cellulare, e non il virus in sé, che provoca i sintomi dell'epatite, nella sua forma acuta o durante le periadiche riacutizzazioni in caso di epatite cronica. Bloccando o riducendo, in maniera selettiva e per brevi periodi, la funzione pro-adesiva delle piastrine si attenuerebbero quindi ì sintomi della malattia e anche il rischio delle complicanze dell'epatite cronica, ìn particolare cirrosi e tumori epatici che ogni anno provocano circa due milioni di morti nel mondo. ITALIANI DI PUNTA IN CALIFORNIA Luca Guidotti, qui con i suoi collaboratori, ha coordinato la ricerca che ha coinvolto i laboratori dell'Istituto San Raffaele di Milano e dello Scripps Research Instìtute di La Jolla. Una terapia che bloccasse la funzione pro-adesiva delle piastrine affronterebbe il problema da un'altra angolatura. Invece di tentare di estìrpare il virus, che come già detto di per sé non causa danno epatico, essa impedirebbe la «tabula rasa» cellulare provocata dall'attacco dei linfociti citotossici. A vero che HBV e I-ICV continuerebbero a replicarsi nel fegato, ma nei pazienti affetti da epatite cronica lo farebbero, anzi lo fanno, comunque, anche in assenza di terapia», spiega Guidotti. Si tratterebbe in ogni caso di una terapia mirata, che non intaccherebbe a livello immunitario la capacità dell'organismo di produrre anticorpi, e limitata nel tempo, da utilizzarsi cioè solo in caso di riacutizzazioni gravi. «Se un paziente infettato da HBV o HICV fosse completamente e continuamente immunosoppresso, ossia non avesse più neanche un linfocita, non svilupperebbe mai malattia epatica. D'altra parte l’immunosoppressione totale è una strategia terapeutica impossibile da perseguire: anche se fosse ottenibile farmacologicamente, e oggi non lo è, il paziente morirebbe ben presto di altre infezioni o tumori». Che tipo di farmaco potrebbe scaturire da questa ricerca? «Abbiamo ragione di pensare che la funzione pro-adesiva delle piastrine sia indipendente dalla loro capacità di contenere le emorragie. Una volta chiariti i meccanismi molecolari attraverso i quali le piastrine interagiscono con i linfociti citotossici, è logico immaginare che si potranno identificare farmaci in grado di inibire tale funzione in maniera selettiva», spiega il ricercatore del San Raffaele che, a questo punto, spera di riuscire quanto prima a trovare finanziamenti italiani o europei per sostenere la sua ricerca, i cui costi sono stati finora interamente coperti dal governo americano. Secondo le stime più recenti, quasi tre miliardi di persone ancor oggi in vita sul pianeta sarebbero state infettato dai virus dell'epatite B o G. circa il 40% della popolazione. Il numero di portatori cronici, 600 milioni, è 15 volte maggiore di quello delle persone sieropositive per HIV, il virus che causa l’Aids. E il tumore epatico, associato alla sola infezione cronica da HBV, resta la seconda causa dì morte per cancro al mondo dopo il fumo di tabacco. «Ma sui finanziamenti alla ricerca in Italia e in Europa è meglio non parlare,..», sospira lo scienziato. Eppure questa ricerca, pubblicata in novembre sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Medicine, potrebbe avere ricadute importantissime. Guidotti è convinto che, con i finanziamenti adeguati, entro 3-4 anni la sua equipe avrà individuato target specifici sulle piastrine e valutato potenziali farmaci sugli animali. Per arrivare all'uomo, e mettere a punto nuove medicine a bersaglio molecolare, sarà poi necessario anche l'aiuto dell'industria farmaceutica. Che potrà a sua volta allargare l'orizzonte ben oltre il campo delle malattie epatiche. Le piastrine potrebbero infatti essere implicate anche nella patogenesi di altre malattie infiammatorie c nelle sindromi da rigetto dei trapianti. «I nostri studi indicano come le piastrine siano coinvolte nel danno epatico dipendente dai linfociti citotossici al di là delle cause che danno origine alla malattia», conferma Guidotti. «È quindi logico pensare che farmaci inibenti la funzione pro-adesiva delle piastrine possano essere di beneficio non solo in corso di epatiti virali croniche, ma verosimilmente anche in corso dì tutte quelle malattie infiammatorie - come diabete di tipo I, artrite reumatoide, malattia di Crohn, colite ulcerosa - e nelle sindromi da rigetto dei trapianti dove i linfociti citotossici sono i principali responsabili della distruzione di organi s tessuti. A maggior ragione sappiamo che in queste malattie e sindromi le piastrine circolanti sono parzialmente attivate e quindi pronte a tendere la loro "trappola"», conclude Guidotti. Sara Gandolfi _______________________________________________________ CORRIERE DEL MEZZOGIORNO 15-12-2005 C’E’ UN FILO COMUNE NELLO SVILUPPO DEL CERVELLO? Esistano indizi di un unica meccanismo alla base del sistema nervoso anteriore di invertebrati di _ANTONIO SIMEONE * Comprendere i meccanismi che hanno determinato l'evoluzione del cervello è uno degli argomenti più affascinanti e complessi. Infatti, se per altre strutture del corpo è abbastanza ovvio o almeno intuibile identificare i corrispondenti in specie molto distanti fino agli insetti, è abbastanza difficile comprendere come si sia potuto evolvere il cervello dei mammiferi ed in particolare quello dell'uomo da organismi invertebrati come vermi ed insetti il cui sistema nervoso è essenzialmente costituito da gangli nervosi in connessione con cellule sensoriali superficiali ed il cui principale scopo è quello di determinare reazioni motrici a stimoli esterni. É da questo tipo di sistema nervoso che si è evoluto quello dell'uomo oppure, come per molto tempo si è pensato, anche sotto l'influenza di dottrine filosofiche e/o religiose, il sistema nervoso è stato inventato e reinventato più volte durante l'evoluzione senza la presenza di un comune antenato? Negli ultimi quindici anni e per merito degli enormi avanzamenti delle biotecnologie è stato possibile iniziare a dare delle risposte ai molti interrogativi. Il primo interrogativo era capire se gli elementi genici che codificano per le proteine che controllano lo sviluppo del sistema nervoso degli invertebrati sono conservati durante l'evoluzione. La risposta è stata affermativa e priva di ambiguità. Nonostante cio' questa non era una prova ma solo una indicazione, seppure necessaria, dell'esistenza di un meccanismo comune alla base dello sviluppo del sistema nervoso anteriore di invertebrati (protocerebro) e vertebrati (cervello). In altre parole questo dato non rappresentava una prova funzionale. Una prova funzionale della conservazione è venuta quando sono stati prodotti dei modelli genetici murini che sostituivano il proprio gene con quello degli invertebrati, e insetti, Drosofile nel caso specifico, che portavano il gene di uomo e mancavano di quello proprio. Questi esperimenti hanno prodotto un risultato eccitante: il gene degli invertebrati compensava completamente le funzioni di quello murino e permetteva lo sviluppo di un cervello normale; in maniera analoga il gene umano permetteva lo sviluppo normale del cervello rudimentale dell'insetto. Era la prima prova funzionale che due geni conservati e cruciali per lo sviluppo del cervello, erano funzionalmente equivalenti. Questi risultati hanno così suggerito che una funzione genica essenziale allo sviluppo del cervello dei mammiferi era già presente oltre 500 milioni di anni orsono in un antenato comune agli invertebrati e vertebrati. Ma allora se i meccanismi di base sono gli stessi perché i cervelli degli insetti e dei mammiferi non sono almeno simili? Questa domanda è intrinsecamente complessa e per il momento non c'è una chiara risposta. Ciononostante la spiegazione è probabilmente da ricercare nei meccanismi che controllano l'espressione genica e negli eventi che hanno modificato il corredo genetico durante l'evoluzione quali ad esempio traslocazioni e duplicazioni. Queste modificazioni hanno determinato cambi nei livelli di espressione e nei territori di epressione di geni necessari alla morfogenesi nonché un più alto numero di interazioni tra prodotti genici differenti. Questo ha probabilmente determinato la nascita di nuove catene regolatorie e l'espressione di preesistenti funzioni in cellule che non le esprimevano. In questo modo e da questo apparente caos sono stati probabilmente generati e selezionati nuovi processi che hanno modificato la morfogenesi di antiche strutture corporee contribuendo durante l'evoluzione alla crescente complessità del cervello imo a quello dell' UOMO. *Ricercatore al CEINGE Biotecnologie Avanzate, Napoli; ICB «A. Buzzati Traverso», CNR, Napoli; Mrc Centre for Developmental Neurobiology, King's College London I _______________________________________________________________ Il Giornale 17 dic. ’05 GETTI D'ACQUA CONTRO LA CATARATTA Notevole l'evoluzione delle metodiche chirurgiche per la sostituzione ottimale del cristallino naturale Mastropasqua: « La facoemulsificazione di terza generazione é la procedura più sicura» *Anche il cristallino invecchia. La lente naturale dell'occhio, situata dietro l'iride, nel corso degli anni si irrigidisce e si opacizza. Ì: così che si forma la cataratta, che nel mondo occidentale rappresenta la prima causa di grave riduzione della vista, con un'incidenza del 65 per cento nella popolazione oltre i sessant'anni e addirittura del 90 per cento passati i sessantacinque. Come affrontarla.? «L'unico trattamento risolutivo è l'estrazione chirurgica del cristallino opacizzato e la sua sostituzione con una lente intraoculare di materiale sintetico», spiega, il professor Leonardo Ma,stropasqua, direttore della, Clinica oftalrnologica dell'università C. d'Annunzi.o di Chieti-Pescara, centro regionale di eccellenza. «Negli ultimi decenni questo tipo di intervento ha consentito di ottenere ottimi risultati in termini di sicurezza e di efficacia,, permettendo di allargare l'indicazione chirurgica anche a pazienti con cataratte iniziali o, in casi selezionati, con cristallini trasparenti, ma. con necessità di correzione della miopia. molto elevata.». L'utilizzo di ultrasuoni (facoemulsiiicazione) è a tutt'oggi la, procedura più diffusa: «Attraverso una, piccola incisione della. cornea., viene inserita nell'occhio una, sonda metallica che consente la frammentazione e l’asportazione del cristallino. Efficace in tutti i tipi di cataratta, tale tecnica presenta, una bassa incidenza di complicanze intra e post, operatorie, assicurando un rapido recupero visivo del paziente». Nonostante i notevoli successi ottenuti, i sia, pur minimi effetti collaterali della facoemulsificazione (sostanzialmente, il riscaldamento dei tessuti oculari correlato al contatto con la sonda metallica) hanno spinto la, ricerca oftalmologica a trovare nuove soluzioni: «A1 fine di ridurre il danno termico da ultrasuoni, negli ultimi anni è stata introdotta la facoemulsificazione con fonte di energia laser», afferma il direttore del Centro regionale di eccellenza precisando che «i tempi prolungati di rimozione del cristallino e l'incapacità di rimuovere i nuclei più duri hanno notevolmente limitato la diffusione di tale metodica». Un ulteriore avanzamento tecnologico, oggi è rappresentato dalla facoemulsificazione ad acqua: «ha, nuova metodica rappresenta una, delle tecnologie più promettenti per l'estrazione della cataratta», sottolinea il professor Mastropasqua. «la caratterizzata, dall'utilizzo di piccoli getti di acqua riscaldata, che sciolgono e rimuovono il cristallino naturale asportando ogni residuo dalla, capsula in cui esso è contenuto, garantendo l'inserimento del cristallino artificiale in un sacco completamente trasparente. Tale procedura consente di rimuovere cataratte morbide e medie, senza il rischio di danni termici ai tessuti. Inoltre la possibilità di asportare completamente tutto il materiale catarattoso riduce, la possibilità, di formazione di quella che viene definita. «cataratta secondaria.», ossia, l'opacizzazione del sacco, con garanzia di una buona, visione a lungo termine. Infine l'uso di punte morbide della, sonda ad acqua, riduce il rischio di eventuali traumi o rotture del sacco capsulare, che in mani meno esperte potrebbero apportare». Dati i buoni risultati e la minore incidenza di complicanze postoperatorie; la tecnica, con facoomulsiiicatore ad acqua trova particolare indicazione nelle procedure rifrattive di estrazione del cristallino, ossia. nella rimozione di cristallini tra sparenti: rtn tipo di intervento che oggi si star notevolmente diffondendo, grazie all'introduzione delle nuove lenti intraoculari accomodative e multifocali utilizzate per la, correzione della visione da vicino e da lontano. ______________________________________________________________ Le Scienze 16 dic. ’05 LA FIBRA ALIMENTARE NON PROTEGGE DAL CANCRO La debole riduzione dei tassi di tumore può essere spiegata da altri fattori I risultati di un'analisi che combina i dati di altri 13 studi non hanno rivelato alcuna associazione fra un consumo elevato di fibra alimentare e una riduzione del rischio di tumore colorettale. La ricerca è stata pubblicata sul numero del 14 dicembre della rivista "Journal of the American Medical Association". In passato era stato ipotizzato che la fibra alimentare riducesse il rischio di questo tipo di tumore. I risultati di numerosi studi epidemiologici, tuttavia, erano stati inconsistenti. Alcune analisi di correlazione ecologica e molti studi caso-controllo hanno trovato un'associazione inversa fra il consumo di fibra alimentare e il rischio di tumore colorettale o di adenoma, ma la maggior parte degli studi di coorte non ha confermato questi risultati. Anche i trial clinici randomizzati dei supplementi di fibra alimentare non hanno rivelato una riduzione di tassi di adenoma colorettale. Per chiarire la questione, Yikyung Park dell'Harvard School of Public Health di Boston e colleghi hanno analizzato nuovamente i dati primari di 13 studi di coorte (Pooling Project of Prospective Studies of Diet and Cancer). L'analisi complessiva ha riguardato 725.628 uomini e donne che sono stati seguiti per un periodo di tempo compreso fra i 6 e i 20 anni. Durante gli studi, sono stati identificati 8081 casi di tumore colorettale. Tenendo anche conto di fattori come l'età e le abitudini alimentari (il consumo di carne rossa, di latte e di alcool), è stata trovata soltanto una debole e non significativa associazione inversa. "La disparità può essere spiegata da diversi fattori, - commentano gli autori - e non consente di associare in maniera univoca il consumo di fibra alimentare alla riduzione dei tassi di tumore". ______________________________________________________________ Le Scienze 15 dic. ’05 CELLULE DI LANGERHANS E REAZIONI IMMUNITARIE Attenuano la risposta della pelle alle infezioni e all'infiammazione Alcuni ricercatori della Scuola di Medicina dell'Università di Yale hanno scoperto che le cellule di Langerhans nella pelle, che finora si riteneva avvertissero il sistema immunitario della presenza di patogeni, smorzano invece la reazione della pelle alle infezioni e all'infiammazione. La scoperta potrebbe consentire di comprendere meglio i meccanismi alla base di molti disturbi della pelle, come la psoriasi, il lupus e alcuni tipi di tumore. Lo studio è stato pubblicato sul numero del 15 dicembre della rivista "Immunity". Le cellule dendritiche si trovano ovunque nel corpo e sono estremamente efficienti nell'avvisare il sistema immunitario della presenza di patogeni e di altri materiali estranei. Le cellule di Langerhans sono cellule dendritiche situate nella pelle, ovvero in un'importante barriera per le infezioni, e generalmente si riteneva che servissero soltanto a dare l'allarme al sistema immunitario. Daniel H. Kaplan, Mark J. Shlomchik e colleghi hanno usato tecniche transgeniche per sviluppare un modello di topo privo di cellule di Langerhans nella pelle. Stimolando l'epidermide degli animali per creare un'ipersensibilità simile alla reazione all'edera velenosa, i ricercatori si attendevano che i topi privi di cellule di Langerhans presentassero una risposta immunitaria ridotta. Invece, anziché un calo della risposta immunitaria, ne hanno osservato un incremento significativo e riproducibile. "Le cellule di Langerhans - conclude Kaplan - non sono necessarie per generare la risposta immunitaria nella pelle, ma la possono regolare e smorzare quando non è necessaria". © 1999 - 2005 ______________________________________________________________ Le Scienze 14 dic. ’05 TESTOSTERONE PER I PAZIENTI DI ALZHEIMER Osservato un miglioramento della qualità della vita Il primo studio degli effetti del testosterone sull'umore, il comportamento e la salute psichica di pazienti con il morbo di Alzheimer ha trovato miglioramenti significativi nella qualità della vita. La ricerca, condotta da neuroscienziati dell'Università della California di Los Angeles (UCLA) e descritta in dettaglio sulla rivista "Archives of Neurology", consisteva in uno studio in doppio cieco. I pazienti di Alzheimer trattati con il testosterone hanno esibito un miglioramento significativo per quanto riguarda le relazioni interpersonali, la salute fisica, l'energia, e il benessere complessivo rispetto ai pazienti cui era stato somministrato un placebo. Tuttavia, i ricercatori non hanno osservato differenze significative relative alla memoria o ad altre capacità cognitive determinate con un test medico. "I risultati - commenta Po H. Lu della David Geffen School of Medicine dell'UCLA, principale autore dello studio - suggeriscono che una terapia di sostituzione del testosterone abbia le potenzialità per migliorare la qualità della vita dei pazienti di Alzheimer e meriti ulteriori sperimentazioni con un gruppo di pazienti più grande e per un periodo più lungo". Lo studio condotto da Lu è durato 24 settimane e comprendeva 16 pazienti maschi cui era stato diagnosticato l'Alzheimer e 22 soggetti sani di controllo. Entrambi i gruppi sono stati suddivisi in due sottogruppi, uno dei quali ha ricevuto ogni giorno il trattamento di testosterone sotto forma di gel idroalcolico (75 mg), mentre l'altro riceveva un gel privo di farmaci attivi. © 1999 - 2005 Le