RECLUTAMENTO SENZA ATTUAZIONE - ESAMI 2006 CON LA VECCHIA DISCIPLINA - MONTEZEMOLO: «II MERITO AL PRIMO POSTO» - IN EUROPA 900 INCUBATORI VALGONO 30 MILA POSTI - LAUREE TRUFFA: E’ UNA QUESTIONE DI LESSICO - TROPPI CORSI INUTILI? SINISTRE INVENZIONI - STUDENTI UNIVERSITARI, ECCO GLI ELETTI - SORU: PRIMI NEGLI INVESTIMENTI SUL PROGRESSO» - UFFICI PUBBLICI CON COMPUTER A RISCHIO ATTACCHI - ALLARME SICUREZZA PER LE RETI DELLA PA - ======================================================= LA CHIRURGIA SI TRASFERISCE AL POLICLINICO DI MONSERRATO: BINAGHI SMANTELLATO - ESAOTE (BRACCO) ALLA CORDATA DI INTESA - GARANTE, SI A PRIVACY SULLE ANALISI - MESTRUAZIONI, UN GAP O UN SALVAVITA? - LE DONNE CHE FANNO TROPPO JOGGING METTONO A RISCHIO LA SALUTE DEL SENO - SCOPERTA LA MOLECOLA CHE SELEZIONA I RICORDI - REALIZZATO IL PRIMO FILM DI UN CERVELLO CHE PENSA - "CONTRO LA MIOPIA GLI OCCHIALI STENOPEICI" - ABBASSO IL COLESTEROLO - RISCHIO OSTEOPOROSI? LO RILEVANO NUOVI MARKER - FALSI DENTISTI, UN RECORD TUTTO ITALIANO - AL POLICLINICO LA PRIMA MINISONDA CHE «SPIA» IL TUMORE AI POLMONI - ======================================================= _____________________________________________________ Il Sole24Ore 16 Gen. ‘06 RECLUTAMENTO SENZA ATTUAZIONE Riforma per il reclutamento degli insegnanti in attesa di 14 decreti di attuazione. dopo le novità introdotte dal Dpr 17 ottobre 2005, che istituisce appositi Albi regionali per l'accesso ai concorsi scolastici. Il compito di invertire la rotta in tema di precarietà e di età media d'inserimento in ruolo dei docenti italiani deve passare attraverso questi Albi, istituiti presso gli Uffici scolastici regionali, che apriranno le porte ai concorsi per l'assunzione a tempo indeterminato nelle scuole materne, primarie, medie inferiori e superiori. Non senza qualche problema. «Sugli Albi sarebbe stata meglio una gestione a livello nazionale, perché la regionalizzazione frammenta le richieste e non permette compensazioni sul territorio». commenta infatti Giuseppe Silvestri, delegato per la formazione della Crui (Conferenza dei rettori). Ancora tutte da definire le modalità con cui verranno regolate le graduatorie e i concorsi. Aspettando che la situazione si chiarisca e arrivino i decreti che devono tradurre in pratica il Dpr di ottobre ecco comunque l’iter che dovrà percorrere chi aspira a una cattedra. I futuri insegnanti di scuola media inferiore e superiore dovranno conseguire una laurea «3+2»: un cor so triennale legato alle varie materie d'insegnamento completato da due anni di laurea specialistica. mirata alla preparazione specifica dei docenti. Le lauree specialistiche - i cui contenuti sono ancora in via di definizione - saranno a numero chiuso, stabilito in base alle esigenze territoriali. Nel frattempo rimangono attive le 5iss, Scuole di specializzazione per l'insegnamento nella scuola secondaria, che continueranno a rilasciare dil51onú abilitanti, cioè con diritto di accesso ai concorsi scolastici, Anche quando il nuovo sistema sarà a regime gli addetti ai lavori temono il permanere del precariato. «Il pericolo è. tuttavia, che si continuino a creare sacche di neolaureati precari approdati a questi nuovi Albi regionali e destinati a invecchiare in attesa di un concorso» sottolinea Luca Curti, presidente della conferenza nazionale dei direttori delle Siss. Riforma più lenta, invece, per chi punta a un cattedra di scuola materna ed elementare: sono ancora in via di definizione i percorsi di laurea quinquennale con valore abilitante ai concorsi scolastici. Fino ad allora rimarranno aperte le iscrizioni ai corsi di laurea in scienze della formazione primaria, di durata quadriennale. CRISTINA GIUA _____________________________________________________ Il Sole24Ore 16 Gen. ‘06 ESAMI 2006 CON LA VECCHIA DISCIPLINA La sessione primaverile degli esami di Stato per l'abilitazione alle professioni si svolgerà secondo le vecchie regole. Le ordinanze del ministero dell'Istruzione dovrebbero essere varate nel giro di qualche settimana, prima che diventi definitiva la riforma del Dpr 328/O1. che riscrive in parte i titoli di accesso, ridisegna le modalità di svolgimento delle prove e la composizione delle commissioni esaminatrici. Le ordinanze bandiranno anche la sessione autunnale a prescindere dalla riforma, A questo proposito, secondo fonti del ministero dell'Istruzione, si deciderà se sia opportuno introdurre fin dagli esami di Stato 2006 le nuove procedure definite con il provvedimento di revisione del Dpr 328. Lo schema di Dpr è stato esaminato in prima lettura dal Consiglio dei ministri del 22 dicembre ed è in attesa del parere del Consiglio di Stato. All'Istruzione si è fiduciosi che la pronuncia arriverà presto. cosi che l’iter possa concludersi nel giro di poche settimane, con la seconda lettura al Consiglio dei ministri e la promulgazione da parte del Presidente della Repubblica. Dovrebbe invece decorrere dalle sessioni di esame 2007 l'obbligo del tirocinio per le professioni che fino a oggi richiedevano. come requisito per candidarsi all'esame di Stato, il solo titolo di studio. Questa previsione - per la verità - non è contenuta nella versione dello schema di decreto resa nota dopo la riunione del Consiglio dei ministri del 22 dicembre. Ciò dimostra come siano numerose - e non secondarie - le questioni ancora aperte. Probabilmente, si è rinviata la soluzione di molle problematiche in attesa del giudizio che esprimerà il Consiglio di Stato. In ogni caso è previsto un meccanismo di salvaguardia (articolo 2. comma 5). Vale a dire: «Coloro i quali, ai sensi della non-nativa vigente per ciascuna professione, hanno titolo a iscriversi all'Albo professionale indipendentemente dal requisito dell'esame di Stato, conservano tale titolo per l’iscrizione alla sezione A dello stesso Albo». Tuttavia. non è chiaro a chi sia diretta questa norma speciale. La revisione del Dpr 328 è un intervento complesso: per esempio, per i consulenti del lavoro è prevista una disciplina transitoria ad hoc. Infatti, «i possessori dei titoli conseguiti secondo l’ordinamento professionale previgente. nonché coloro che all'entrata in vigore del presente regolamento stanno svolgendo il tirocinio 0l’hanno già concluso, svolgono le prove degli esami di Stato secondo il predetto ordinamento entro cinque anni dalla data di conclusione del tirocinio biennale». Secondo questa formulazione verrebbe a crearsi un doppio canale, in cui sopravviverebbero le vecchie prove, accanto al nuovo esame. In generale, se il nuovo obbligo di tirocinio decorrerà dalla sessione 2007 dell'esame di Stato, occorrerà quanto prima definire «le linee guida» tra i Consigli nazionali e i ministeri dell'Istruzione e della Giustizia per disciplinarne «le modalità di svolgimento». Senza queste indicazioni, la possibilità di effettuare la pratica resta sulla carta. Ma oltre, per chi sta terminando gli studi appare piuttosto remota la possibilità di iniziare il tirocinio durante il corso di studi. Occorrerà infatti definire la convenzione quadro tra ministero e Consigli nazionali, cui dovranno rifarsi gli accordi tra gli Ordini territoriali e le università. E il tempo, da qui al 2007, è tiranno. MARIA CARLA DE CESARI _____________________________________________________ Il Sole24Ore 19 Gen. ‘06 MONTEZEMOLO: «II MERITO AL PRIMO POSTO» Un'Università profondamente rinnovata può diventare motore dell'economia DOMENICO LUSI ROMA Nell'economia globale il rilancio del sistema Italia non può che passare attraverso una profonda riforma del sistema universitario. Ne è consapevole Confindustria, che a breve presenterà un documento «con una posizione forte sull'università» per farne il motore dell'economia e della conoscenza. Ad annunciarlo è stato ieri lo stesso presidente degli industriali, Luca Cordero di Montezemolo, nel corso del suo intervento all'inaugurazione dell'anno accademico della Luiss. Per il presidente di Confindustria, l'università italiana ha accumulato «ritardi oggettivi». «In tutto il mondo - ha ricordato - gli atenei competono per attirare i migliori studenti, docenti e ricercatori, e per ottenere i finanziamenti. Da noi invece gli studenti stranieri sono pochi: intorno al 2°Io contro circa il 10°Io di Francia, Germania e Regno Unito. Sono una frazione minima (il 3,3%) anche i professori provenienti dall'estero. Per non parlare dei ricercatori». Ma non tutto è perduto. L'università italiana - ha detto Montezemolo - «è un capitale che può essere meglio messo a profitto se si riduce la burocrazia e cresce l'efficienza e la concorrenza». Autonomia finanziaria, valutazione efficace del mondo in cui vengono utilizzate le risorse, incentivi e disincentivi, autogoverno responsabile, deregulation. Queste le direttrici che, per il presidente di Confidustria, dovranno orientare la riforma. Secondo Montezemolo, occorre partire da «un effettivo processo di delegificazione che consenta a ciascun ateneo di darsi proprie regale, di migliorare la propria governance, di seguire la propria vocazione, di accrescere i rapporti con il territorio e le imprese: ogni università deve poter retribuire il personale in forme differenziate per premiare i] merito e attrarre i talenti». Quindi, più concorrenza. «Serve - ha proseguito Montezemolo - un sistema di incentivi e disincentivi che premino la produttività e la qualità, di università, docenti e studenti». Vanno poi eliminati alcuni legacci. Come il valore legale del titolo di studio, che «andrebbe sostituito con rigorosi sistemi di accreditamento a livello internazionale dei corsi universitari». Perché - ha argomentato il presidente di Confindustria - «inserirsi nella competizione internazionale vuol dire frenare la fuga dei cervelli e attirare i migliori docenti nei nostri atenei». Infine, una maggiore integrazione con il mondo delle aziende. Sia per garantire agli studenti sbocchi facilitati. Sia per rendere più competitiva la ricerca. In un sistema dominato dalle Pini - ha ricordato Montezemolo -- «la collaborazione con gli atenei è fondamentale per l'innovazione». Ma -ha aggiunto -nella ricerca universitaria «occorre generalizzare il metodo della selezione competitiva dei progetti a opera di agenzie indipendenti anche straniere, finanziando solo ricerche ad alta qualificazione e competitività internazionale» _____________________________________________________ Economy 18 Gen. ‘06 IN EUROPA 900 INCUBATORI VALGONO 30 MILA POSTI Nella Ue lo strumento è arrivato negli anni Sessanta, a partire dall'Inghilterra. E lo stretto rapporto università-aziende oggi funziona. La loro storia risale al 1959 quando a Batavia, nello Stato di New York, è stato fondato il primo incubatore tecnologico, tuttora operativo. Un'idea che si è velocemente diffusa anche al di qua dell'Atlantico. Nel Vecchio continente, infatti, verso la fine degli anni 60, hanno aperto i battenti gli incubatori legati alle università di Edimburgo, Cambridge e Oxford, seguiti negli anni 80 da altri in Scandinavia e Germania. A oggi si contano circa 60 associazioni nazionali di incubatori e science park a livello mondiale. La sola National business incubation association americana annovera tra i suoi soci membri 20 associazioni a stelle e strisce, ognuna delle quali raggruppa un centinaio di membri. A livello europeo, in base a una statistica fatta dal Cses, Centre for strategy & evaluation service dell'Unione europea, ci sono circa 900 incubatori che generano 30 mila nuovi posti di lavoro all'anno. «In Inghilterra e Germania la cultura degli incubatori è più diffusa che non in altri Paesi europei» spiega Giuseppe Serazzi, direttore dell'Acceleratore di impresa del Politecnico di Milano. «In particolare, le strutture collegate agli atenei di Oxford e Cambridge sono le più grandi e tra quelle che funzionano meglio all'interno dell'Unione europea. E non è un caso, visto che in queste nazioni da sempre il mondo universitario e quello dell'industria viaggiano a braccetto». Una tendenza che si sta affermando sempre più anche in Francia e Spagna. Unica eccezione proprio l'Italia, dove a quanto pare c'è ancora molta strada da fare in questa direzione anche se negli ultimi anni qualcosa è cambiato. «II mondo universitario e quello dell'industria, infatti, si sono avvicinati in quest’ultimo periodo, ma c'è ancora molto da fare» prosegue Serazzi. «Nel nostro Paese, infatti, i due mondi non si sono mai parlati molto e le responsabilità sono di entrambi. Da una parte manca l'abitudine da parte degli atenei a fare ricerca applicata e dall'altra ci sono le imprese poco abituate a utilizzare le università per applicazioni concrete». 0 meglio, la maggior parte di queste negli anni scorsi ha presentato progetti di ricerca soprattutto per incassare i contributi ministeriali, accedere ai fondi agevolati o ai contributi a fondo perduto. Facendo leva anche sulla difficoltà di effettuare dei controlli successivi. «In America, invece, le commesse vengono date dalle aziende agli atenei con obiettivi precisi e se non vengono raggiunti le imprese tagliano i fondi» precisa Serazzi. E quello dei finanziamenti è un altro elemento che fa la differenza tra Italia ed estero. Oltre frontiera, in Europa come negli Stati Uniti, gli incubatori tecnologici ricevono finanziamenti oltre che dalle aziende private anche da enti pubblici, i cosiddettti feed, e dal governo centrale. «In Italia alla ricerca viene destinato un budget basso, ma il problema non è tanto questo» prosegue Serazzi. «Da noi, infatti, esistono diversi enti pubblici (Regioni e Province) che si muovono con varie iniziative, ma nel complesso sono tanti piccoli interventi individuali. Se fossero più coordinati a livello centrale avremmo sicuramente risultati maggiori». specializzata nei sistemi di visione artificiale per l'automazione industriale. Prima di diventare una realtà, nel 2002, era incubata all'AlmaCube dell'Università di Bologna. «Siamo quattro fisici e matematici che hanno sviluppato un software per il controllo della produzione industriale che permette il riconoscimento di oggetti» spiega Domenico Pozzetti, uno dei soci dell'azienda che, nel bilancio 2005, prevede un fatturato di 300 mila curo (+10%). E i settori d'operatività sono diversi. Wbs, per esempio, società incubata nell'Acceleratore l’impresa del Politecnico di Milano, offre servizi di video sorveglianza basati su tecnologia wireless, settore per il quale si prevede una grande espansione in futuro. Il suo giro d'affari stimato per il2005, il primo anno di attività, è di 100 mila curo. Ma Wbs ha progetti più ambiziosi, come spiegano due dei soci, Torquato Bertani e Umberto Malesci: «L'obiettivo è di raggiungere 20 milioni di ricavi entro il2010». L'ottimismo è consentito, visto il ritmo con cui stanno aumentando gli accordi con i distributori in Europa e __________________________________________________ ItaliaOggi 17-01-2005 LAUREE TRUFFA: E’ UNA QUESTIONE DI LESSICO DI SARA MONETA. CAGLIO E GABRiELE VENTURA Più di 2 mila euro per una laurea, 2.500 per un dottorato e 4 mila per un master. È il costo per un titolo di studio alla «Berkleyr> o alla «Rochville» university. Ma non basta. Perché, a ben vedere, per avere in mano un certificato di un ateneo di prestigio, coma la Berkeley o la Rockville, manca ancora una «e», o ci vuole una «k» al posto della «e>. Un gioco lessicale, quindi, che genera espressioni fuorvianti e che sta alla base del fenomeno delle università fasulle, che lanciano l'esca agli «studenti navigatori» millantando on-line prestigiosi certificati senza richiedere alcun obbligo di studio. Per la precisione, sono 637 gli pseudoatenei che si dedicano a questo business, fotografato da una rielaborazione dell'ufficio per la tutela dei consumatori del comune di Roma, sulla base del numero di segnalazioni di frodi via web ricevute. E secondo l'indagine, nel mese di settembre, sono aumentate a livello esponenziale, tanto che ormai un quinto delle segnalazioni dei cittadini riguarda proprio e-mail fraudolente. Le lauree truffa. Secondo le stime dell'ufficio per la tutela dei consumatori e degli utenti, a destare maggiore preoccupazione è il fenomeno delle lauree fasulle. A livello nazionale, infatti, la stima è di circa l milione di e-mail mensili con cui i truffatori hi-tech cercano di vendere pseudo-lauree. E il tutto, molto spesso, si basa su un semplice gioco lessicale: come per esempio la «Rochville university» che si sostituisce alla vera Rockville offrendo lauree, dottorati e master per alcune migliaia di euro. E senza alcun obbligo di studio. Poi, le pseudo-lauree vengono spedite entro pochi giorni dal pagamento del prezzo stabilito in un tariffario che varia da «università» a «università». Ma non basta. Perché a lato dei finti atenei, ci sono pseudo istituzioni di controllo (ben 32 secondo l'indagine) che attestano la validità dei titoli rilasciati senza averne la capacità giuridica. Le aste truffa. Un altro fenomeno che si sta diffondendo a macchia d'olio sono le aste on-line fasulle. Si tratta, in particolare, di merci offerte e mai inviate o con prezzi gonfiati. La nuova truffa telematica, secondo la ricerca, ha già incastrato numerosi navigatori. Nel dettaglio, i pirati informatici offrono di partecipare a vendite all'incanto con proposte vantaggiose attraverso e-mail contraffatte con la grafica e la finta garanzia dei loghi ufficiali delle più importanti case d'asta che operano sul web. Ma una volta che l'utente si è aggiudicato un oggetto e indica il tipo e il numero della sua carta di credito, scatta la truffa: quanto viene acquistato non verrà mai recapitato e, in più, saranno addebitati sul conto importi molto superiori a quelli previsti. Le truffe telematiche. II fenomeno delle truffe telematiche, quindi, è in sensibile aumento. Complessivamente, infatti, secondo l’indagine, nell'ultimo quadriennio (luglio 2001-giugno 2005) sono state registrate in Italia 349.375 truffe on-line denunciate all'autorità, a fronte delle 206.032 del periodo precedente (luglio 1997-giugno 2001) e delle 181.467 del quadriennio luglio 1993-giugno 1997_ E l'influenza percentuale delle truffe telematiche sul totale generale dei delitti ha raggiunto, nell'ultimo anno, il 3,8%. Nel 2005, i tentativi di truffa attraverso l'invio massivo di messaggi di posta elettronica in Italia sono stati almeno 9 mln. Per un giro d'affari di oltre 4 mln di euro che ha coinvolto circa 500 mila italiani. Ma solo il 20% ha deciso di sporgere denuncia. «Questo tipo di truffa», ha commentato Sergio Scicchitano, presidente dell'ufficio per la tutela dei consumatori del comune di Roma, «presenta un trend in vertiginosa crescita, dovuto in parte all'elevata alfabetizzazione informatica dei cittadini e in parte al notevole sviluppo della rete internet, con l'offerta di beni e servizi acquistabili direttamente on-line tramite i numerosi portali specializzati nel commercio elettronico». «per evitare problemi», ha continuato Scicchitano, «è bene ricordare che gli acquisti on-line sono sicuri se vengono effettuati su pagine protette da certificati di crittografia validi, riconoscibili dalla presenza dell'immagine di un lucchetto sulla finestra del browser>>. «Un altro problema riscontrato dai cittadini», ha concluso il presidente, «è quello delle aste vere su siti legittimi, ma con merce difettosa o inesistente. Quest'ultimo fenomeno, però; non è allarmante, perché molti siti di aste on-line, per garantire l'affidabilità delle proposte e la sicurezza sugli acquisti, hanno deciso di dotarsi di un sistema che permette agli utenti di visualizzare nel profilo di feedback del venditore le informazioni sulle precedenti esperienze di vendita o di acquisto che lo riguardano». ________________________________________________________________________ Secolo d'Italia 18-01-2005 TROPPI CORSI INUTILI? SINISTRE INVENZIONI L'Università ulivista ha fatto proliferare studi e atenei per ottenere più soldi. I rimedi del centrodestra sono cominciati dal reclutamento dei professori RUBINO Riforma universitaria. Dietro queste due parole tanto è stato detto, tanto è stato scritto, ma tanto ancora si nasconde. Perché la riforma dell'Università non sembra avere una sola verità, ma tante. «Abbiamo certamente fatto la riforma della scuola - parte lancia in resta Vittorio Pesato, coordinatore nazionale degli eletti di Azione universitaria e componente del Cun - ma, per fortuna; non siamo stati noi gli ideatori di un progetto criticato da tutti». Parole che vogliono, dopo tanto disquisire e tante manifestazioni di piazza, fare chiarezza e disperdere le ombre che ancora si annidano nel mondo universitario. Per prima cosa, la riforma dei 3+2 (tre anni per le lauree di primo livello, cinque anni per le lauree specialistiche) è stata varata nel novembre 1999 dall’allora titolare dei dicastero Ortensio Zecchino, divenuto ministro durante lo scorporamento dei ministeri istruzione-università voluto dal governo D'Alema. L'ideatore della riforma fu il sottosegretario Luciano Guerzoni (Ds), sotto t'ala protettrice dei ministro Berlinguer, che; contestualmente, disegnava la riforma della scuola. Lo slogan politico fu: «Innovare il sistema universitario nazionale agli standard europei». E invece fu l'inizio di tutti i mali. «Gli atenei trovarono molte difficoltà nel recepire i nuovi modelli didattici - accusa Elena Donazzan, assessore all'istruzione della Regione Veneto, unica in Italia con delega all’università - la sinistra non accompagnò il progetto riformatore con adeguate risorse economiche, furono varati numerosi corsi di laurea, molti dei quali non garantivano e non garantiscono l'impiego nel mondo dei lavoro. E cosi oggi i 3+2 sembrano aver creato confusione e disordine sia tra gli addetti ai lavori, sia tra gli studenti e sia all'interno dei mondo dei lavoro. Oggi molti sono i laureati in corsi di laurea che non trovano una corrispondenza lavorativa». Guai che nascono da un errore strategico di fondo commesso dalla sinistra. Errore che a sua volta nasce dalle scelte culturali e politiche della sinistra che ha voluto un'Università di massa, antimeritocratica, assistenzialista, contro la cultura italiana e con una dimensione elefantiaca, costruita in modo irregolare su tutta la penisola, quasi come se qualcuno utilizzasse 1e sedi universitarie per fare formazione ideologico-politica e per un collocamento a vita a carattere familistico. «Quando l'Unione europea, nel processo d'integrazione - sostiene Pesato - si rivolse a tutti gli stati membri al fine di cercare di riformare i propri sistemi universitari garantendo la mobilità studentesca, i processi d'integrazione e un'atta formazione professionale, l'Italia, definita da tutti la madre creatrice dell'Università, accolse subito con entusiasmo l'idea di riformare il proprio sistema universitario. Ma la sinistra commise un errore strategico che rischieremo di pagare in futuro. In sostanza - dice ancora il coordinatore nazionale degli eletti di Au - il governo progressista intese, come concetto di riforma, la distruzione dei principi cardine e tradizionali del nostro sistema universitario». {ort i famosi 3+z, infatti, s'intendeva immettere nel mondo del lavoro studenti laureati nel minor tempo possibile e contestualmente dare possibilità a una minoranza di essi di affrontare studi specialistici nel caso in cui gli stessi avessero voluto avere una forma professionale più caratterizzante. Ma la maggior parte dei corsi triennali non solo non dà un'adeguata preparazione, ma non sono stati tarati a corrispondenti impieghi nei mondo dei lavoro. Decretando, cosi, il completo fallimento della strategia "3+2", per di più creati senza una distinzione tra l’area umanistica e quella scientifica. Altro aspetto delta riforma targata Zecchino, che fini per "distruggere" gli atenei italiani, fu l’introduzione dell'autonomia didattica. Un principio, quello di mettere le università in competizione tra loro, condivisibile se applicato con criteri giusti. Ovvero, se basato su sistema d'efficienza, qualità, capacità di raccorda con il mondo del lavoro, sviluppo della ricerca e aumento del numero di laureati nei tempi previsti dalla legge. «Ma tutto ciò non è mai avvenuto - sentenzia senza appello Pesato -. Questa forma di competizione ha portato invece gli atenei italiani a varare quasi 2.6oo corsi di laurea triennali e circa 700 corsi di laurea specialistici, molti dei quali con denominazioni al limite della fantasia, solamente per far si che l'università dimostrasse, sulla carta, di avere un'offerta formativa superiore alle altre». Perché, più lauree vuol dire più soldi da parte dei Ministero. Inutile dire che l'allora governo della sinistra non riuscì a reperire i fondi necessari per mettere in piedi un progetto cosi ambizioso, danneggiando principalmente gli atenei storici, quegli atenei definiti come i pilastri dei sistema universitario italiano, e facendo si che questa riforma venisse bollata come riforma "a costo zero". Un assorbimento d'ingenti risorse che la stessa Donazzan conferma: «Tante sono le risorse che, anche direttamente, la Regione dedica alle università dei Veneto. Migliorare il rapporto con gli atenei veneti significa poter rappresentare e condividere le scelte di programmazione e politiche della Regione senza che !e Università si sentano per questo lese nella toro autonomia. L'autonomia dell'Università è un principio inviolato, ma credo che una maggiore collaborazione, nella definizione delle scelte d'orientamento e atta formazione che si esplica all'interno dei sistema universitario, nella condivisione di obiettivi e finalità, sia necessario», E non è un caso se il Veneto, patria di prestigiose università; ha un po' fatto da diga ai guasti della sinistra. «I nostri atenei - afferma sempre l'assessore - hanno interpretato la riforma nel modo migliore, cercando nel limite dei possibile di mantenere inalterati i cardini culturali dell'università italiana. li centrodestra, il ministro Moratti e anche An, tramite i nostri esponenti, hanno avuto la capacità di porre dei paletti e immediati rimedi al progetto di riforma della sinistra». L'eredità è dunque stata pesante quando ne( 2001 il centrodestra vinse le elezioni. Dopo un periodo di studio e di confronto con le parti sociali, con gli addetti ai lavori, il governo Beriusconi ha cercato di rimediare al rimediabile. «Da subito si è capito che bisognava fare una distinzione tra area umanistica- sociale-giuridica e scientifica. Ma - è la tesi di Pesato - la prima teoria, quella d'ipotizzare un percorso a ciclo unico, avvero riportare i corsi fondamentali di giurisprudenza> economia, lettere e scienze politiche a quattro anni anziché a cinque, consentendo la drastica diminuzione dei corsi triennali, di fatto tramontò, perché trovò una forte opposizione dai rettori e dalle università stesse, che vedevano in questa manovra una restrizione del potere da loro acquisito». Oggi, come inizio di controriforma, esiste solo il percorso cosiddetto a "Y" (un anno uguale per tutti, poi, o direttamente in un quadriennio per conseguire il titolo magistrale, oppure in un unico biennio per conseguire un titolo triennale), diventato realtà solo nella facoltà di giurisprudenza. Modifica che consentirà a molti atenei di ridurre drasticamente l'iper proliferazione dei corsi di laurea definiti "inutili" e consentirà allo studente di avere idee più chiare e specifiche sul percorso formativo. Comunque, una riforma, il ministro Moratti l'ha fatta: la modifica del reclutamento dei professori universitari e dei ricercatori: II test unico nazionale, il sorteggio delle commissioni di valutazione, la partecipazione delle imprese all'attività di ricerca (defiscalizzazione a quelle aziende che investono in ricerca e con rendicontazione da parte degli atenei per i fondi ottenuti dalle imprese), la valutazione meritocratica dei docenti (incentivi a chi rispetta gli orari di ricevimento e l'obbligo della docenza in aula e penalità per coloro che non rispettino tali indicazioni), segnano una nuova era in questo settore costringendo la vecchia nomenclatura baronale a cambiare regime. Ma ancora molto va fatto per avvicinare di nuovo l'Università italiana al resto d'Europa. E Pesato individua, tra le diverse priorità, soprattutto una: «Un'anagrafe dei corsi di laurea che non funzionano per ridurli drasticamente». Priorità condivisa da Donazzan: «Va senz'altro controllato e verificato se i corsi di laurea varati sono tutti in linea con le esigenze formative e di accesso nel mondo del lavoro. In tal senso ho intenzione di promuovere un attento e dettagliato monitoraggio dei corsi di laurea a! fine di fare emergere ciò che non funziona e se il caso esortare gli atenei di riconvertirli in altri settori o addirittura di chiuderli». _____________________________________________________ L’Unione Sarda 18 gen. ’06 STUDENTI UNIVERSITARI, ECCO GLI ELETTI Ateneo. Ufficializzate le nomine negli organismi centrali A un mese e mezzo dalla chiusura dei seggi sono state ufficializzate le nomine dei rappresentanti degli studenti universitari eletti negli organi centrali. Ma per le rappresentanze nei consigli di facoltà e nei corsi di laurea si dovrà aspettare ancora qualche giorno. Eventuali ricorsi, per Consiglio d’amministrazione, Senato accademico e Cus, scadranno oggi, a cinque giorni dalla pubblicazione del decreto del rettore, avvenuto venerdì scorso. I controlli e le verifiche non hanno portato a sorprese, confermando i risultati provvisori. Questi i rappresentanti eletti. Consiglio d’amministrazione: Giuseppe Frau e Lorenzo Espa (Università per gli studenti), Fabio Medas e Andrea Marrone (Ichnusa), Andrea Zucca (Sinistra universitaria). Senato accademico: Fabiola Nucifora e Maurizio Deiana (Università per gli studenti), Manuela Urru e Roberto Mura (Ichnusa), Roberto Ibba (Sinistra Universitaria). Senato accademico allargato: Manuel Floris e Antonio Cabitta (Università per gli studenti), Andrea Bullegas e Simone Vargiu (Ichnusa), Andrea Coinu (Sinistra universitaria). Comitato per lo sport universitario: Marino Brundu (Università per gli studenti), Emanuele Cabiddu (Ichnusa). Gli studenti che si sono recati il 29 e 30 novembre a votare sono risultati meno del 20 per cento: 6.413, per una percentuale del 18,5. Molte le schede nulle (una media di 700 nei quattro organi centrali) e quelle bianche (1.000). (m. v.) _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 20 gen. ’06 SORU: PRIMI NEGLI INVESTIMENTI SUL PROGRESSO» Già spesi più di 80 milioni di euro Soru: «Tiscali non ha partecipato» Con i 148 milioni di euro racimolati la Sardegna ha conquistato il primato nazionale. L’assessore: si tratta di una sfida vinta dopo un anno di duro lavoro CAGLIARI. Un’ottantina di milioni già spesi, altri settanta in cassa con una lista d’attesa che non finisce più. Un primato nazionale nella società dell’informazione, condito con un orgoglioso florilegio di vocaboli che sembrano altrettanti titoli di film americani: “La svolta”, “La Sfida”, “La Rivoluzione”, addirittura. Poi lui, Soru, uno del ramo. «Il processo di modernizzazione della Regione è più importante della riforma della legge numero 1». Massimo Dadea, seduto accanto, sorride. Un tempo, i due, non andavano d’accordo. In giunta polemizzavano, si guardavano in cagnesco. Da persone intelligenti, oggi vanno a braccetto perché si trovano a condividere un duro lavoro di modernizzazione che, a regime, trasformerà radicalmente non solo il modo di operare della macchina regionale, ma lo stesso rapporto tra cittadini e istituzioni pubbliche. E’ toccato proprio all’assessore agli Affari Generali illustrare nel dettaglio i contenuti della «sfida, partita il 28 dicembre del 2004, quando venne stipulato tra Governo e Regione l’accordo di programma quadro sulla Società dell’Informazione». E solo pochi mesi più tardi, nell’aprile 2005, la Sardegna conquistò il primo posto in Italia nella classifica delle regioni che avevano trasformato i progetti in bandi. «Abbiamo asfaltato una strada - aggiunge Renato Soru, specificando che Tiscali non ha partecipato ad alcuna gara - e quando asfalti una strada tutti, prima o poi, passeranno da lì». Gli obiettivi. Sono cinque, e rappresentano il frutto di un confronto e di una trattativa con lo Stato. Con risorse proprie e accordi quadro, si è giunti a mettere insieme 148 milioni di euro, e un’ottantina di questi sono stati già spesi: nessuno, in Italia, ha fatto meglio della Sardegna. 1) Rete Telematica. Il progetto prevede la creazione dell’infrastruttura di base dove far convegere tutte le iniziative di sviluppo e utilizzo delle reti telematiche delle pubbliche amministrazioni. A questo si aggiunge un backbone regionale in fibra ottica che collega la province, le reti metropolitane, il Polo scientifico e Tencologico. La rete - che consentirà economie di scale e avrà una capacità illimitata della banda disponibile - sarà estesa oltre il territorio regionale grazie all’infrastruttura in fibra ottica Janna, compensando parte dei costi con la concessione in diritto d’uso di due coppie di fibra ottiva delle tratte su cavo sottomarino. 2) Sistema Informativo Regione. Prevede la creazione di un Centro servizi regionali a cui faranno capo le varie iniziative: rete Intranet, reingegnerizzazione dei processi e gestione dei procedimenti amministrativi, protocollo informatico, sitema contabile integrato, Gestione risorse umane, Erogazione serivizi on-line per cittadini e imprese, Sistema informativo territoriale, Sistema informativo del Lavoro (SIL, a cui si sono già registrati 8 mila cittadini e 2 mila imprese), Sistema integrato per gestione patrimonio ambientale e culturale, Portale della conoscenza, Promozione turistica e marketing, Sistema informativo statistiche, Sito Internet istituzionale. 3) Sistema Informativo Sanità. La delibera del 13 luglio 2005 prevede interventi che vanno dalla gestione delle Aziende sanitarie locali, all’Anagrafe sanitaria, fascicolo sanitario, tessera sanitaria, messa in rete dei medici di base, Gestione dei servizi socio-assistenziali, Gestione dei presidi ospedalieri, Centro unico di prenotazione. 4) Sistema Informativo Enti Locali. E’ imperniato sull’attuazione dell’e- government negli Enti locali, puntando alla creazione di un nuovo modello operativo per un sistema informativo integrato per gli Enti locali della Regione. Per domenica prossima è fissato il debutto ufficiale di Comunas, il sito dei comuni sardi. Il sistema informativo prevede un’organizzazione nel territorio, con il Centro Servizi Regionale a fare da centro operativo e controllo rete, due Centri tecnici territoriali, otto help-desk territoriali (uno per provincia). 5) Sardegna All Digital. Il progetto prevede iniziative di promozione per l’attivazione di servizi a banda larga nelle zone già servite da fibra ottica ma ancora prive di Adsl, la posa di nuove tratte in fibra ottica per le zone sprovviste di banda larga, l’estensione della banda larga sul territorio con copertura WiMax per le zone non raggiunte dalle fibra ottica. Si parte con una copertura di 100 comuni e 64% della popolazione, per una seconda fase con 230 comuni e 80% di popolazione, la terza con 240 comuni e 85% di popolazione e la finale con la copertura dei 377 comuni sardi (100% della popolazione). Augusto Ditel _____________________________________________________ Il Sole24Ore 18 Gen. ‘06 UFFICI PUBBLICI CON COMPUTER A RISCHIO ATTACCHI Le risorse ridotte ritardano l'uso delle misure di sicurezza più adeguate online della Pa e l'afflusso telematico ROMA Il sistema informatico della pubblica amministrazione italiana è a rischio di attacchi e virus. La carenza di risorse e la scarsa consapevolezza del problema sicurezza hanno ritardato l'adozione di strumenti e modelli organizzativi adeguati, rendendo il nostro apparato di e-Government fragile. E il dato che emerge da un convegno sulla sicurezza Ict nelle amministrazioni dello Stato organizzato dal Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione (Cnipa) al Cnr di Roma. A tre anni dalla direttiva sulla sicurezza del ministro dell'Innovazione, Lucio Stanca, solo il43% delle amministrazioni centrali dichiara di avere nominato un responsabile della sicurezza Ict, il 37% di avere definito formalmente una policy della sicurezza, il 53% di avere avviato un piano di formazione e sensibilizzazione e il 22% di disporre di un gruppo interno di gestione degli incidenti. Nel frattempo gli attacchi ai sistemi informatici hanno preso a crescere al ritmo di oltre il 50% l'anno: 52mila nel 2001, 82mila l'anno successivo, 140mila nel 2003. Un incremento di oltre il 160% in tre anni. Tanto che gli esperti parlano già di pericolo "pandemia" per il sistema informatico della nostra Pa. Un quadro che il presidente del Comitato tecnico nazionale per la sicurezza Ict nella Pa, Claudio Manganelli, spiega in parte con l'ancora scarsa cultura della sicurezza Ict presente nelle amministrazioni e nel ceto politico, in parte con gli scarsi investimenti effettuati. «Secondo i dati del Cnipa - afferma Manganelli -l’investimento in sicurezza Ict ammonta all' 1,5% della spesa complessiva in Ict della Pa (tre miliardi di euro l'anno, 1,7 per la Pa centrale e 1,3 per quella locale, ndr) mentre dovrebbe spingersi almeno al 3%». Tutto ciò mentre - come ricordato dal presidente del Cnipa, Livio Zoffoli - i progetti di e-Government stanno diventando operativi facendo crescere il numero dei servizi di cittadini e imprese. Un Paradiso libero da scartoffie burocratiche che, senza strategie e investimenti adeguati, rischia di diventare un inferno. È stato calcolato che un attacco al sistema di e-Government di un Comune di 50mila abitanti comporta un danno economico di circa 30mila euro al giorno. Ma il nodo sicurezza non riguarda la sola Pa. Secondo il Cnipa, il 94% delle imprese italiane ha subito attacchi alle reti informatiche e il 40% ha impiegato da due a cinque giorni per rimettersi in sesto. Insomma, la sicurezza informatica rappresenta ormai un fattore essenziale per la stessa stabilità economica. Un dato che non sfugge al sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano, e al ministro delle Comunicazioni, Mario Landolfi. Per entrambi la sicurezza Ict è «un bene primario che imprese e istituzioni devono tutelare con investimenti adeguati». Ma - afferma Landolfi - per centrare l'obiettivo «bisogna ricondurre a unita le tante competenze oggi distribuite nei diversi settori della Pubblica amministrazione». L'idea è quella di un'Agenzia nazionale per la sicurezza delle reti Ict della Pa. «Un progetto - confessa il ministro - a cui tenevo molto ma che non si potrà realizzare in questa legislatura». L'idea di «un organismo di vertice che raggruppi e coordini tutte le attività nel settore» piace anche a Manganelli, che ne auspica la realizzazione nella prossima legislatura. Il rischio è di creare sovrapposizioni con le competenze di altre Authority. Come quella per la tutela della privacy. «Sarà cruciale - ammonisce il Garante, Francesco Pizzetti - trovare un punto di equilibrio tra la sicurezza della collettività e la libertà dell'individuo. Bisogna favorire l'informatizzazione della Pa tutelando i diritti del cittadino». _____________________________________________________ Il Sole24Ore 18 gen. ’06 ALLARME SICUREZZA PER LE RETI DELLA PA di Benito Carobene Il sistema informativo della Pubblica amministrazione italiana è a rischio di attacchi e virus a causa dei ritardi accumulati nell’adozione di strumenti e modelli organizzativi di sicurezza, determinati da una inadeguata cultura e dalla carenza di risorse. Addirittura, c’è chi autorevolmente sostiene che ci sia il fondato timore di una specie di “pandemia” per i sistemi informatici della Pa. Questo è il monito che emerge dalle conclusioni di un recente convegno promosso dal Cnipa (Centro nazionale per l’informatica pubblica) e dal Cnr. All’incontro sono intervenuti il ministro delle Comunicazioni Mario Landolfi, rappresentanti delle istituzioni ed esperti italiani e stranieri. La manifestazione ha assunto un significato di particolare importanza proprio in questo periodo. Infatti, quello della sicurezza informatica è ormai riconosciuto da tutti non come aspetto secondario, ma essenziale. E questo perché i progetti di e-government nazionale e locali stanno entrando in operatività e ogni giorno cresce il numero dei servizi in linea della Pubblica amministrazione e, di conseguenza, anche l’afflusso telematico di cittadini e imprese. Non solo, ma il problema assume rilevanza fondamentale anche fuori dal contesto puramente tecnologico. Infatti, come ha detto all’incontro Livio Zoffoli, presidente del Cnipa, «le tecnologie digitali devono agire per consentire di costruire un sistema di certezze su cui implementare il moderno Stato di diritto» E, in particolare, se si tiene conto del fatto che per un’amministrazione moderna le reti aperte sono una necessità, si comprende come il problema sicurezza debba essere sempre tenuto presente. A prima vista, comunque, sembra che tutti siano d’accordo sull’affermazione precedente. Infatti, ormai di sicurezza si sente parlare sempre più spesso. Ma siamo certi che questa apparente inflazione di citazioni vada considerata come segnale positivo? Probabilmente, l’equivoco di fondo nasce dal fatto che non tutti sono d’accordo sul significato della parola. La sicurezza viene quasi sempre considerata come qualcosa che possa essere ottenuto attraverso la creazione di una specifica funzione organizzativa o, addirittura, come risultato raggiungibile mediante l’uso di qualche accorgimento tecnologico. Ecco, quindi, le complesse modalità di accesso ai sistemi, i procedimenti di identificazione degli utenti e così via. Accorgimenti sicuramente utili e interessanti che, però, rappresentano solo un particolarissimo aspetto dell’intero discorso. Infatti, come ha affermato Giorgio Antonelli dello Studio Ambrosetti, »la sicurezza deve permeare l’intera organizzazione a livello di struttura, di processi, di comportamenti individuali in modo da rendere concreto ed effettivo l’agire sicuro delle persone». Anche Luisa Franchina, direttore dell’Istituto superiore delle comunicazioni e delle tecnologie dell’informazione” ha affrontato il tema più generale di cosa effettivamente vada inteso per sicurezza. Nel suo intervento è stato evidenziato come troppo spesso gli utenti e i gestori dei sistemi Ict non percepiscano il reale valore del rischio informatico. Infatti, «Le problematiche sono poco note e vengono per lo più affrontate in modo parziale. Gli attacchi informatici sono considerati un problema sporadico; l’insufficiente attenzione al problema vanifica sofisticate procedure e sistemi. In una parola, la componente umana del processo sicurezza, se non guidata da atteggiamenti profondamente interiorizzati, può costituire in se stessa una minaccia, invisibile e difficilmente prevedibile. Senza un diffuso orientamento all’agire sicuro, non è possibile garantire la certezza di dati e sistemi». Ciò, però, che merita di essere messo in evidenza è che tale situazione non è caratteristica della Pubblica amministrazione, ma è diffusa anche nel mondo delle aziende private. Anzi, in un certo senso, si può affermare che sono proprio gli uffici pubblici quelli che sembrano mostrare una maggiore attenzione al problema. Lo dimostra, ad esempio, il fatto che dal 2002 per il coordinamento di tali attività, all’interno della Pa, è stato creato il «Comitato tecnico nazionale sulla sicurezza informatica», la cui presidenza è stata affidata a Claudio Manganelli, componente del Collegio del Cnipa. Malgrado ciò, comunque, la situazione resta grave nell’ambito dell’informatica pubblica. Cosa che può essere ampiamente dimostrata da alcune cifre che sono state fornite nel corso del convegno. Il punto di partenza deve essere quello di considerare che ormai la diffusione dell’Ict ha raggiunto quasi tutti gli uffici delle amministrazioni centrali. In questi, infatti, l’80% dei dipendenti dispone di un personal collegato in rete locale. Non solo, ma l’erogazione di servizi in rete verso cittadini e imprese è in grande crescita. E ormai buona parte dei servizi prioritari di competenza delle amministrazioni centrali sono già disponibili in linea. Però, in questa situazione, come ha osservato Manganelli «a tre anni da una direttiva specifica emanata nel 2002, solo il 43% delle amministrazioni centrali dichiara di aver nominato un responsabile della sicurezza Ict; solo il 37% di aver definito formalmente una politica della sicurezza; solo il 53% di avere avviato un apposito piano di formazione e sensibilizzazione e, infine, solo il 22% afferma di disporre di un gruppo interno di gestione degli incidenti”. Ed è stato proprio Manganelli che, forte di questi dati e tenendo conto del continuo aumentare degli attacchi esterni ai sistemi informatici pubblici, ha parlato, per primo, di “pericolo di pandemia». E, oltre a tutto, non va dimenticato che tali attacchi rappresentano anche un rilevante danno economico per Stato e autonomie locali. Infatti, è stato calcolato che una violazione di un sistema informatico di un Comune di 50mila abitanti comporta spese di circa 30mila euro al giorno. ======================================================= _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 21 gen. ’06 LA CHIRURGIA SI TRASFERISCE AL POLICLINICO DI MONSERRATO: BINAGHI SMANTELLATO la sigla propone il suo piano alternativo Binaghi smantellato, l’altolà della Uil «Non sarà più riferimento regionale per i malati polmonari» IL SINDACATO «Han deciso tutto senza consultarci» CAGLIARI. «Vogliono smantellare il Binaghi: non lo permetteremo». Operatori e associazioni di categoria hanno dissotterrato l’ascia di guerra e minacciano di scendere in piazza per difendere il futuro del presidio di via Is Guadazzonis. Qualche settimana fa hanno iniziato a rincorrersi diverse voci, secondo cui l’assessorato regionale alla Sanità e la direzione della Asl 8 avrebbero deciso di smembrare i reparti e trasferirli in altri presidi. Fino a due giorni fa, nessuna conferma ufficiale. Ma a distanza di ventiquattr’ore le chiacchiere di corridoio si sono trasformate in grandi manovre. Tutto confermato: il Binaghi perde pezzi ed entro il ventisette gennaio il reparto di Chirurgia generale lascerà la struttura di Monte Urpinu per approdare al Policlinico universitario. «E’ l’inizio della fine - dice il medico Giuliano Frau, rappresentante della Federazione poteri locali della Uil - se la rivoluzione studiata ai piani alti della Regione e della Asl 8 non subirà variazioni, daranno il via alla disgregazione del Binaghi. E francamente non si comprendono i motivi di questa manovra: il presidio è da anni un punto di riferimento per l’intera isola, e non potrebbe essere altrimenti, visto che si occupa di specifiche patologie, come quelle polmonari, fin dalla sua fondazione, nel 1935». Lo spostamento del reparto di chirurgia avviene in maniera disorganizzata, dicono i sindacati, e l’ospedale sarà privato di una divisione che, in relazione al numero di interventi, non ha eguali in nessun altro nosocomio isolano. Sindacati e operatori lamentano inoltre una totale mancanza di concertazione, che ha determinato il montare di un malcontento sempre crescente: «Ci hanno informato solo dopo aver preso le decisioni in totale solitudine, rintanati nella stanza dei bottoni - accusa Giuliano Frau - e questo non può che creare un palpabile disagio. Senza contare che cambiare in itinere la fisiologia di un ospedale ci sembra un grave errore. Pare si tratti di un’operazione dettata da logiche squisitamente economiche, ma continuiamo a non capire perché abbiano deciso di smantellare questo presidio di prim’ordine - afferma titubante il rappresentante sindacale - qui si curano i tumori, c’è l’unico centro trapianti di midollo osseo della Sardegna, ci occupiamo di sclerosi multipla e abbiamo i laboratori di analisi più all’avanguardia». Tanti dubbi e, finora, una sola certezza: questa rivoluzione non ha senso. «Se proprio si vuole metter mano all’organizzazione del Roberto Binaghi, allora si studino altre possibilità - dice ancora Frau - stiamo raccogliendo le firme per presentare una nostra proposta che strutturi il presidio ospedaliero secondo specifici dipartimenti. Per il momento - conclude Frau -, visti i tempi ristretti, si tratta solo di una bozza che ci farebbe piacere discutere con la dirigenza sanitaria e politica, ma crediamo che sia un punto di partenza per proporre un’alternativa al paventato smantellamento di questa struttura». Il direttore generale Gino Gumirato spiega l’accordo con l’Università «Solo razionalizzazione di posti letto» CAGLIARI. «Il presidio ospedaliero Roberto Binaghi non sta subendo alcun smantellamento». Il direttore generale della Asl 8 Gino Gumirato smentisce l’esistenza di un progetto che preveda la disgregazione della struttura di via Is Guadazzonis. «L’unica proposta in merito riguarda esclusivamente la razionalizzazione dei posti letto - assicura il manager - e sarà presentata nei prossimi mesi a tutti gli operatori». Il trasferimento del reparto di Chirurgia generale è confermato? «Sì - dice Gumirato - ma stiamo parlando di un discorso differente: si tratta di uno spostamento che nasce da un accordo tra la Asl e l’Università in vista di una futura joint-venture. Voglio sottolineare che si tratta di un fatto storico, perché per la prima volta le sale operatorie del Policlinico saranno potenziate». (p.so.) _____________________________________________________ Il Sole24Ore 20 gen. ’06 ESAOTE (BRACCO) ALLA CORDATA DI INTESA È stata firmata questa mattina la cessione dell'azienda biomedicale Esaote dal gruppo farmaceutico Bracco alla cordata guidata da Banca Intesa (circa 30%) e di cui fanno parte anche San Paolo Imi (20%), Mps, Carige e il fondo Equinox di Salvatore Mancuso con quote paritetiche tra il 10 e il 15 per cento. La società genovese è stata valutata «poco più di 200 milioni di euro, compresa l'esposizione debitoria» hanno riferito a Il Sole 24 Ore Radiocor fonti vicine all'operazione. La vendita, per la quale il gruppo Bracco è stato assistito dallo studio legale Santamaria, aveva subito un brusco stop prima di Natale per le condizioni economiche proposte dagli acquirenti e non gradite a Bracco. Esaote ha circa 1.500 dipendenti e nel 2004 il fatturato era di 240 milioni. Positivo il giudizio del presidente della Regione Liguria, Claudio Burlando: «È molto importante che si sia chiusa una fase di incertezze e che Esaote non vada in mano a un competitor straniero, ma a una banca che ha un fondo private equity molto interessante che si dedica al sostegno delle attività produttive». _____________________________________________________ Repubblica 18 gen. ’06 GARANTE, SI A PRIVACY SULLE ANALISI No agli accertamenti medici generalizzati nei confronti dei lavoratori. Questo, in sintesi, il parere espresso dal Garante per la Protezione dei dati personali per quanto riguarda gli esami di tossicodipendenza sul posto di lavoro. Il Garante spiega che le analisi devono essere compiute nel rispetto della dignità e della riservatezza delle persone coinvolte. Il parere è stato espresso nei confronti del ministero del Lavoro su uno schema di regolamento che individua le categorie da sottoporre a specifici accertamenti. _____________________________________________________ Libero 17 Gen. ‘06 MESTRUAZIONI, UN GAP O UN SALVAVITA? Mondo scientifico e opinione pubblica divisi. C'è chi vede nel prodotta uno strumento di liberazione per lei, e ehi invece sottolinea che il "ciclo" mensile preserva da malattie cardiovascolari e infezioni WASHINGTON Per le donne nella vita c'è almeno un evento praticamente certo: circa trentacinque anni di caos ormonale che si presenta inesorabilmente con cadenza mensile. Le mestruazioni. Tuttavia, proprio quest'anno, dovrebbe arrivare sul mercato americano una nuova pillola anticoncezionale "light" che promette non solo di prevenire le gravidanze indesiderate, ma anche di fornire alle donne il controllo completo dei proprio cielo mestruale, consentendo loro - se lo vogliono - di sospenderle a tempo indeterminato assieme a tutti gli effetti indesiderati ad esse collegati (dai dolori mestruali ai problemi d'umore). In sostanza tale prodotto (messo a punto dalla Wyeth Pharmaeeutieals, di Collegevillc) è stato elaborato appositamente per essere assunto 365 giorni all'anno in modo continuativo. La suddetta pillola anticoncezionale (che dal punto di vista dell'impatto chimico dovrebbe essere molto più leggera delle pillole classiche) fornisce all'organismo femminile un flusso ormonale costante in grado di stabilizzare le ben note fluttuazioni cicliche prodotte dalle mestruazioni. I contraccettivi attualmente in commercio si basano su cicli di assunzione di ventotto giorni; in pratica vengono assunti quotidianamente per ventun giorni di fila, dopodiché è necessario assumere per altri sette giorni delle pillole placebo (cioè composte solo da zucchero), le quali consentono la produzione di flussi sanguigni simili a quelli delle normali mestruazioni. Dal 2003 è disponibile inoltre una pillola anticoncezionale "stagionale", che può essere assunta per ottantaquattro giorni di seguito (più altri sette giorni a base di placebo) e che consente di ridurre il numero annuale di cieli mestruali da tredici a quattro. L'eliminazione del cielo mestruale è già da molti anni un obiettivo primario dell'industria farmaceutica, che vede in essa un mercato molto ampio e remunerativo. E a supportare questo tipo di ricerche contribuiscono - se non altro da un punto di vista politico - anche diverse esponenti dei movimenti Femm9nisti, che invece vedono nella soppressione "a comando" delle mestruazioni la passibilità di "liberare" la donna, una volta per tutte, dalla schiavitù delle leggi della biologia. Per non parlare poi delle dirette interessate, che quasi sempre considerano la loro condizione molto fastidiosa e spesso controproducente da un punto di vista lavorativo e professionale (si pensi ad esempio alle atlete o alle donne manager che devono competere con i loro colleghi di sesso maschile). Il progetto in questione ha suscitato con il passare del tempo aspre discussioni tra chi ne sostiene l'opportunità e chi invece lo considera non etico 0 addirittura pericoloso. I fautori della soppressione del ciclo mestruale elencano la lunga serie di svantaggi apportati da tale processo fisiologico, sottolineando inoltre il fatto che la manipolazione dell'organismo umano è una realtà già da molto tempo e che non serve bloccarla proprio ora. Anche i "conservatori" hanno però dalla loro delle buone argomentazioni. Ad esempio nel 1993 Margie Profet, una biologa evoluzionistica dell'Università di Washington, ha pubblicato un'importante ricerca teorica stando alla quale. le mestruazioni svolgerebbero un ruolo centrale nella protezione dell'organismo femminile dall'infertilità e dalle malattie sessualmente trasmissibili. In pratica, secondo la studiosa, il flusso di sangue tipico del ciclo mestruale servirebbe per "ripulire" l'apparato riproduttivo delle donne da agenti patogeni (virus e batteri) trasportati dagli spermatozoi. Non solo, ma a detta di Susan Rako, esperta di salute riproduttiva di Boston, grazie alle mestruazioni la pressione sanguigna femminile si abbassa per circa due settimane al mese e la quantità di ferro presente nell'organismo viene periodicamente ridotta; tali fenomeni garantirebbero alle donne un'incidenza di patologie cardiovascolari minore rispetto a quella maschile. Altri studiosi sostengono inoltre che, essendo l'organismo femminile una macchina incredibilmente complessa (soprattutto per il fatto che è in grado di mettere in atto e portare a termine la gestazione), prima di intervenire su di essa - effettuando operazioni molto intrusive, come per l'appunto la sospensione "a comando" delle mestruazioni - è necessario assicurarsi dell'effettiva innocuità di tali procedure per la salute e la fertilità femminili. Roberto Manzocco _____________________________________________________ Libero 17 Gen. ‘06 LE DONNE CHE FANNO TROPPO JOGGING METTONO A RISCHIO LA SALUTE DEL SENO MAI CORRERE SENZA `APPOSITO TOP PORTSMOUTH Donne che fate jogging: attenzione al vostro seno. Rischiarei, se non lo proteggete, stiramenti, strappi, e soprattutto cedimenti irreversibili e anti-estetici. E’ l'allarme lanciato da un team di studiosi della britannica Portsmouth University. In particolare, è emerso che, quando si sta facendo sport, le mammelle si muovono indipendentemente l'una dall'altra "disegnando" un otto. E un esercizio di footing protratto per un chilometro e mezzo corrisponde a un rimbalzo complessivo per il seno di 135 metri. Gli esperti hanno comunque dimostrato che con un top sportivo il rischio di questi traumi è ridotto del 38 per cento, e che con un vero e proprio reggiseno per atleti il rischio si può ridurre fino al78 per cento. In ogni caso esiste anche la possibilità di sottoporsi a una ginnastica speciale per il seno. Ecco l'esercizio ideale da fare. Su una sedia, senza appoggiarsi allo schienale, la atleta deve afferrare pesi da un chilo e mezzo, e sollevare le braccia a candeliere, in modo che i gomiti siano. all'altezza delle spalle e che durante l'esecuzione dell'esercizio venga sempre mantenuto, un angolo di 90 gradi all'altezza del gomito. Si eseguono poi delle chiusure centrali delle braccia, ritornando ogni volta alla posizione di partenza, senza mai cambiare l'altezza dei gomiti rispetto alle spalle. Con questo esercizio, lavorano i muscoli della parte alta dei pettorali ovviando al problema di eventuali cedimenti. Gianluca Grossi _____________________________________________________ Il Tempo 18 Gen. ‘06 SCOPERTA LA MOLECOLA CHE SELEZIONA I RICORDI TROVATA una semplice molecola con un ruolo di primo piano nel «selezionare» ciò che entrerà o meno a far parte dei nostri ricordi o del nostro bagaglio di apprendimento. Si tratta, ha spiegato Mîchael Greenberg del Cildren's Hospital di Boston sulla rivista Nature, di un piccolo Rna che nei topolini si è mostrato capace di regolare la forza delle sinapsi, limitando quel processo di rafforzamento delle stesse da cui dipende strettamente la nostra capacità di imparare e ricordare. Alla base di memoria e apprendimento c'è la possibilità, in certe aree del cervello come l'ippocampo o regioni della corteccia, di rimaneggiamenti dei circuiti nervosi in risposta a stimoli o informazioni che arrivano dal inondo esterno. Le reti neurali, ovvero quel fitto intreccio di ramificazioni formate dai prolungamenti dei neuroni, si modificano cioè man mano che il nostro cervello riceve input: si ha la formazione di nuovi contatti tra neuroni (sinapsi) ed eliminazione di altri. Nel marasma di stimoli esterni solo alcune informazioni sono selezionate e saranno tenute a mente, e a queste corrispondono sinapsi create e por rinforzate e quindi rese stabili. Le informazioni che non lasceranno segno su di noi, invece, corrisponderanno a sinapsi labili che, cosi come si sono create, si dissolvono. Gli esperti hanno scoperto che una molecola semplicissima, molto simile a un frammento cortissimo di Dna, il piccolo mtcroR na chiamato miR-134, è un regolatore chiave di questo processo e il suo ruolo specifico è di indebolire le sinapsi destinate ad avere vita breve. _____________________________________________________ Il Sole24Ore 20 Gen. ‘06 REALIZZATO IL PRIMO FILM DI UN CERVELLO CHE PENSA SORPRENDENTI RISULTATI DI ALCUNI ESPERIMENTI USA Migliaia di foto in sequenza, ottenute con la fMri, consentono di leggere l'attività mentale MILANO Saremo in grado di comunicare con gli altri senza aprire bocca, solo attraverso il pensiero? E riusciremo anche ad azionare una macchina o a spostare un oggetto con il solo aiuto delle nostre onde cerebrali? Cosi sembra: la conoscenza dei meccanismi che regolano il funzionamento del nostro cervello fa infatti continui progressi. Inoltre, grazie alle sofisticate tecniche usate dai ricercatori, è già oggi possibile "leggere" nella mente delle persone e, non solo capire se in un dato momento stanno provando piacere o dolore, ma anche se stanno dicendo la verità o una bugia, stanno guardando un volto noto o sconosciuto e cosi via. Come riporta l'ultimo numero del mensile "Focus", la tecnica che sta riscuotendo maggiore successo in Usa e in Inghilterra è attualmente quella della risonanza magnetica funzionale (fMri) che, attraverso un gran numero di "fotografie" del cervello scattate in sequenza, consente di vedere come si sviluppa la nostra attività cerebrale nel tempo, come in un film. Le sorprese, finora, non sono mancate: si è scoperto, per esempio, che quando un innamorato vede un'immagine del proprio partner, gli si attivano sempre le medesima quattro aree del cervello, una delle quali è la stessa che si " accende" sotto l'effetto di droghe che provocano euforia. Sapendo quali aree del cervello vengono sollecitate dalle diverse attività o emozioni - la lettura di una poesia, un calcolo matematico o un desiderio sessuale - già oggi la tecnica ci mette in grado di capire a che tipo di argomento una persona stia pensando e quale sia il suo atteggiamento mentale rispetto a quell'argomento. Altri esperimenti hanno osservato addirittura l'attività di singoli neuroni che si "accendono" alla vista di un animale, di una persona, dell'immagine di sé riflessa in uno specchio. Tutto questo non significa che la lettura del pensiero sia dietro l'angolo. C'è però già chi immagina in un futuro non lontano innesti cerebrali per controllare la mente, "tele-telefonini" per conversare a distanza usando solo i pensieri. Intanto, sembrano aprire nuove speranze per tanti ammalati le ricerche che si stanno compiendo per consentire ai tetraplegici di fare funzionare con il solo pensiero un computer, un altro apparecchio o un arto artificiale. Gaspare Di Sclafani _____________________________________________________ La Stampa 20 gen. ’06 False speranze contro i difetti di vista Vediamoci chiaro: occhio alle false promesse "CONTRO LA MIOPIA GLI OCCHIALI STENOPEICI" Arrivano anche in Italia e promettono miracoli. Sono gli occhiali stenopeici. Lenti con uno schermo opaco e tanti piccoli fori simmetrici. Non costano molto (attorno ai 50 euro) e secondo molti sarebbero in grado di cancellare per sempre la miopia, dopo un uso costante e ripetuto, soprattutto di fronte al computer o alla televisione. "In realtà - dicono gli oculisti - pur migliorando la vista quando si indossano, non sono in grado di cancellare un difetto". Esattamente come il diaframma di una macchina fotografica quasi chiuso va a beneficio della profondità di campo, "così gli occhiali stenopeici migliorano il fuoco permettendo una visione più nitida a distanza, correggendo al momento piccole sfocature provocate da lievi difetti di vista". Sostenere che questi strani occhiali cancelleranno per sempre quelli con le normali lenti è una falsa illusione. Non solo: riducendo il campo visivo - metteno in guardia gli oculisti - le lenti a forellini potrebbero addirittura diventare pericolose. _____________________________________________________ Repubblica 20 gen. ’06 "ABBASSO IL COLESTEROLO" È il monito agli italiani in arrivo dal summit sulla prevenzione di infarto e ictus che si apre oggi a Napoli di Alberico Catapano * Da ora in poi lo slogan "Abbasso il colesterolo" dovrebbe essere scritto in tutti gli ambulatori medici, sui luoghi di lavoro, persino sulle mura di casa, addirittura per le strade. "Abbasso il colesterolo" perché più basso è il livello colesterolo "cattivo" e minori sono i rischi di infarto e ictus. E' un appello che lanciano, alcuni tra i più noti esperti italiani di malattie cardiovascolari i quali si sono resi conto dagli studi epidemiologici, a cominciare dal "Progetto Cuore" dell'Istituto Superiore di Sanità, e dall'esperienza clinica di tutti i giorni sul territorio nazionale che gli italiani hanno superato i livelli di guardia. Un appello quindi che è anche un allarme. Un grappolo di cifre rendono più chiaro il concetto. In Italia 57 uomini e 58 donne su 100 hanno livelli di lipidi plasmatici complessivi più alti di 200 mg/dL che è un limite già di per sé non tranquillizzante. Un esercito di italiani viaggia fra 200 mg/dL e 240 mg/dL che è il limite oltre il quale si entra nell'area ad alto rischio. La situazione è ancor più grave se si considera che lo stesso studio dell'Istituto Superiore di Sanità mette in evidenza che undici uomini e ventidue donne su cento in Italia hanno un livello di colesterolo superiore a 240 mg/dL. Davanti a questa realtà drammatica gli esperti si sono riuniti e hanno deciso in una Consensus Conference di disegnare una strategia che viene presentata da oggi, giovedì, a sabato a Napoli al primo Congresso Nazionale della SITeCS da me presieduto insieme al professore Massimo Chiariello dell'Università "Federico II" di Napoli. La sintesi estrema della Consensus è lo slogan "Abbasso il colesterolo", Ma il vertice degli esperti è andato ben oltre suggerendo, con il disegno delle linee di indirizzo, obiettivi terapeutici da raggiungere preferenzialmente con interventi sullo stile di vita (vedi il box nelle pagine seguenti) e, qualora questi si rivelassero insufficienti, con interventi farmacologici. La strategia anticolesterolo, un'iniziativa tutta italiana, non deve cadere "a pioggia" su tutta la popolazione in modo indiscriminato. Il medico deve valutare nel soggetto non il singolo dato di livello di colesterolo ma deve prendere in considerazione il rischio cardiovascolare nel suo complesso e cioè la situazione sul fronte della pressione arteriosa, del diabete, dei chili in più che la bilancia rivela e dell'attività fisica praticata dal soggetto stesso. Un insieme di elementi possono dare la visione globale del rischio. Ma a quale livello va portato il confine dei lipidi plasmatici di colesterolo? Prima di rispondere a questa domanda bisogna ricordare, anche se ormai la cultura del cittadino è molto cresciuta per merito degli organi di informazione nell'area della salute, che c'è un colesterolo, per semplicità è chiamato "cattivo", che va sotto la sigla LDL, e un colesterolo "buono", HDL. Ovviamente, è il "cattivo" che va abbassato. A questo proposito la Consensus Conference degli esperti italiani ha indicato per la prima volta - e questa è una grande novità per il mondo medico italiano - i livelli da non superare di colesterolo "cattivo". Lo LDL deve stare sotto i 160 mg/dL per i soggetti a basso rischio e 70 mg/dL per quelli ad altissimo rischio. Una rivoluzione nel senso che gli obiettivi verso i quali tendere sono in funzione del rischio del singolo soggetto e non di un ipotetico valore medio di rischio di tutta la popolazione. In altre parole i livelli non valgono per tutti ma per il singolo individuo. La Consensus, che nella sua indicazione iniziale ribadisce che il controllo della colesterolemia totale e LDL rappresenta uno degli interventi di meglio documentata efficacia nella prevenzione cardiovascolare, ha raccomandato prima di tutto corretti stili di vita. Poi si è soffermata anche sull'impiego oculato degli strumenti farmacologici, anche in associazione, per le situazioni ad alto rischio. A questo proposito si affacciano alla realtà italiana nuove possibilità di combinazioni fra farmaci e, in particolare le statine, con ezetimibe, un nuovo principio attivo in grado di inibire l'assorbimento del colesterolo che è stato sviluppato da un ricercatore americano di origine italiana, Enrico Veltri, presente al Congresso della SITeCS a Napoli. Questa associazione permette una ulteriore riduzione della colesterolemia LDL del 20% circa rendendo più agevole il raggiungimento di obiettivi terapeutici quali i 100 e 70 mg/dL di colesterolo LDL in soggetti ad alto ed altissimo rischio. * Ordinario di Farmacologia Dip. di Scienze Farmacologiche Direttore del Centro per gli studi sull'arteriosclerosi Un. degli Studi di Milano COLESTEROLO - 200 mg/dl è il limite di sicurezza del colesterolo totale che in Italia supera il 57% degli uomini ed il 58% delle donne. - 160 mg/dl è il limite di sicurezza del colesterolo "cattivo" per i soggetti normali. - 70 mg/dl è il limite del colesterolo "cattivo" per i soggetti ad alto rischio. pag. 13 Nuova cura da "padre" italiano La ricerca L'ULTIMA "arma" contro il colesterolo parla anche italiano. Un italo-americano, il dottor Enrico "Rick" Veltri, il padre è campano, ha contribuito alla scoperta di una nuova molecola, ezetimibe. Lo stesso dottor Veltri ha poi contribuito a sviluppare un nuovo trattamento che dovrebbe modificare la cura del colesterolo. Ezetimibe, unito ad una statina - precisamente simvastatina - è presente in un farmaco, già disponibile in Italia, in un'unica compressa. Questo prodotto agisce sulle due forme di sintesi e di assorbimento del colesterolo nell'organismo: con l'associazione di ezetimibe e simvastatina si ottiene un'ulteriore riduzione del 20 per cento del colesterolo rispetto a quanto ottenuto con le sole statine. Il dottor Veltri prende parte al Congresso della SITeCS-Società Italiana di Terapia Clinica e Sperimentale, sotto la presidenza dei professori Alberico Luigi Catapano e Massimo Chiariello, che si apre domani mattina, venerdì 19, all'hotel Royal Continental di Napoli. Veltri attualmente dirige negli USA lo sviluppo clinico della ricerca Schering-Plough pag. 13 Donne più a rischio Indagine dell'Iss L'INCIDENZA delle malattie cardiovascolari, fatali e non fatali, nella donna prima della menopausa è largamente inferiore rispetto all'uomo: il rapporto è di una donna colpita ogni quattro uomini. Ma quando finisce il periodo fertile la situazione si rivoluziona e dopo quindici anni dall'inizio della menopausa il rapporto fra uomo e donna per quanto riguarda l'incidenza di malattie cardiovascolari, fatali e non, è identico. Dopo la menopausa, infatti, la donna è esposta agli stessi rischi dell'uomo per quanto riguarda la pressione arteriosa, il diabete, il sovrappeso e anche l'obesità. Ma c'è un fattore di rischio che nella donna riguadagna più terreno che nell'uomo: il colesterolo, in particolare quello "cattivo. La causa sarebbe il riassetto ormonale della menopausa. L'elevazione del colesterolo comunque è tale che, prendendo in considerazione tutte le fasce di età, si registra in Italia, secondo l'Iss (Istituto Superiore di Sanità), il 58 per cento di donne con colesterolo alto contro il 57 per cento di uomini. pag. 13 Muoversi molto e mangiare poco I consigli LE REGOLE elaborate alla Consensus Conference della Società Italiana di Terapia Sperimentale e Clinica per tenere sotto controllo i livelli di colesterolo nel sangue o per abbassarli nei soggetti a rischio. 1 - Una moderata attività fisica aerobica continuativa, ad esempio camminare a passo sostenuto per 45-60 minuti al giorno, salire le scale di casa a piedi etc, è di beneficio. Graduare l'esercizio in funzione delle proprie condizioni fisiche (consultare il proprio medico). 2 - Privilegiare gli alimenti ad alto contenuto di carboidrati complessi quali quelli presenti nei legumi e della frutta (specie delle mele e delle pere) e della verdura (pomodori). 3 - Consumare con moderazione i grassi solidi, preferendo invece gli oli, che potranno essere scelti in base al gusto personale (bene l'olio di oliva extravergine). 4 - Evitare i prodotti industriali che contengono "grassi vegetali idrogenati". 5 - Consumare con moderazione formaggi, salumi od insaccati in genere. Privilegiare il latte parzialmente scremato. 6 - Privilegiare le carni bianche (pollo, tacchino etc), e sostituire una-due porzioni settimanali di carne rossa con pesce, meglio se azzurro, ricco di omega 3. 7 - Bene se si beve del vino a pasto (un bicchiere), meglio se rosso. _____________________________________________________ Le Scienze 21 gen. ’06 RISCHIO OSTEOPOROSI? LO RILEVANO NUOVI MARKER La scoperta è stata fatta dell’Istituto di tecnologie biomediche del Cnr di Milano L’osteoporosi colpisce prevalentemente le persone anziane e interessa soprattutto le donne, in relazione ai problemi ormonali legati alla menopausa. Ma anche gli uomini hanno le ossa sempre più fragili, anche se il più delle volte non sanno di aver raggiunto questa nuova ‘parità dei sessi’. Nuove prospettive si aprono però grazie ai ricercatori dell’Istituto di tecnologie biomediche (Itb) del Consiglio nazionale delle ricerche di Milano che, in collaborazione con le Università di Edimburgo e de L’Aquila, hanno identificato alcuni marker genetici associati a questa malattia. "Abbiamo preso in esame 1.077 donne in postmenopausa – spiega Paolo Vezzoni dell’Itb-Cnr – di cui abbiamo analizzato il gene ClCN7, importante nella fisiologia dell’osteoclasta, la cellula che riassorbe l’osso e che quindi contribuisce alla sua demineralizzazione, e che è coinvolto in un’altra malattia dell’osso, l’osteopetrosi”. I ricercatori hanno individuato alcune varianti del gene ClCN7 che, presenti solamente in una parte della popolazione, possono alterare la funzionalità. In prospettiva la scoperta potrebbe portare anche a una nuova classe di farmaci utilizzabili prima che la malattia diventi conclamata. "L’osteoporosi – sottolinea Vezzoni – non è solo una malattia multigenica ma anche multifattoriale, cioè ambientale. Questo significa che se anche si avessero tutti i geni difettosi ci si potrebbe comunque non ammalare modificando le proprie abitudini di vita (dieta, attività fisica, stress, ecc). Il fatto di poter individuare una propensione all’osteoporosi potrebbe quindi essere utile in questo senso, stimolando l’individuo a modificare opportunamente il proprio stile di vita". _____________________________________________________ Repubblica 18 gen. ’06 FALSI DENTISTI, UN RECORD TUTTO ITALIANO Siamo il paese che cura meno la salute della bocca ma in compenso rispetto al resto d'Europa abbiamo il più alto numero di dentisti: 54mila dei quali almeno 15mila abusivi. La denuncia arriva dalla Commissione Albo Odontoiatri (COA) che chiede l'inasprimento delle pene per gli operatori illegittimi. E per tutelare i cittadini, Giuseppe Renzo, presidente nazionale degli Albi odontoiatri, aveva sperato in un emendamento alla Finanziaria che potesse modificare l'attuale normativa sull'esercizio abusivo della professione. Confisca dei beni e sino a dodici anni di reclusione se il dentista illegittimo commette lesioni, le punizioni richieste dalla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri (www.fnomceo.it). "Federazione e ordini controllano se l'iscrizione è legittima, è vero. Purtroppo nell'odontoiatria italiana la piaga dell'abusivismo ha tradizione antica sia per precise responsabilità di medici dentisti compiacenti, sia perché la professione di dentista è storia relativamente recente", afferma Renzo. Infatti, in Italia, il primo corso di laurea in odontoiatria è stato istituito all'interno delle facoltà di medicina e chirurgia nel 1980-81 e i primi odontoiatri si laureano nel 1984-85. "Prima di allora i dentisti erano o medici generici o specializzati in odontostomatologia", dice Renzo che aggiunge: "oppure "praticoni" tecnici o infermieri". Attualmente, malgrado l'esubero di dentisti (1 su 1064 abitanti e in alcune zone 1 su 800, mentre il rapporto stabilito dall'Oms è di 1 su 2000 abitanti) i 32 corsi di laurea pubblici e ai 2 privati, in netto contrasto con i 2, massimo 5 corsi di laurea di altri paesi europei, se non si vuole rischiare "sorprese" è bene chiedere prima di iniziare le cure di vedere il cartellino che attesta l'iscrizione all'Albo. (mariapaola salmi) _____________________________________________________ Corriere della Sera 18 gen. ’06 AL POLICLINICO LA PRIMA MINISONDA CHE «SPIA» IL TUMORE AI POLMONI Il direttore Santambrogio: ora possiamo scoprire anche le metastasi non rivelate dalla Tac La nuova apparecchiatura evita gli interventi chirurgici esplorativi MILANO - Ferruccio Bonino, direttore scientifico della Fondazione Policlinico, ieri mattina non nascondeva la sua soddisfazione: da tre mesi, primo ospedale in Italia, il Policlinico ha un' apparecchiatura d' avanguardia (il videobroncoscopio) che manda in soffitta la cruenta apertura del torace, fin qui necessaria a un intervento «esplorativo» per tumore del polmone. La novità è al servizio di una scoperta fatta al Policlinico, e ora pubblicata dalla rivista Usa Chest. Lo studio, cominciato nel 2000, ha visto insieme i ricercatori della chirurgia toracica (Mario Nosotti e Alessandro Palleschi, coordinati dal direttore Luigi Santambrogio) e gli anatomopatologi dell' Università di Milano (Monica Falleni, Caterina Pellegrini, Francesca Alessi, Silvano Bosari) coordinati da Guido Coggi. Ma qual è la scoperta? Spiega Santambrogio: «C' erano malati con tumori polmonari poco aggressivi, eppure avevano recidive prima dei 5 anni dall' intervento. Perché? Perché nei linfonodi del torace possono nascondersi micrometastasi non rivelate da Tac, Pet e risonanza magnetica. L' abbiamo dimostrato con l' amplificazione genica (Pcr) dei prelievi cellulari eseguiti nei linfonodi con il videobroncoscopio, grazie a una sottile sonda videoguidata, che entra da una "puntura" del torace. Se ci sono metastasi, si sa se operare o no, e se potenziare la chemioterapia». Antonella Cremonese Cremonese Antonella