ATENEI, PAGELLE A METÀ DEL GUADO - SULLA VALUTAZIONE PIU CORAGGIO E TEMPI RAPIDI - PREMI AGLI ATENEI VIRTUOSI - UNIVERSITÀ, BASTA CON FONDI A PIOGGIA - L'ATTACCO AGLI INTELLETTUALI É IL PRIMO SEGNO DETTA BARBARIE - INNOVAZIONE, L'ITALIA SOTTO LA MEDIA EUROPEA - UNIVERSITÀ D'ECCELLENZA A NUORO - SORU: NUORESI VOLETE STUDIARE? VI MANDO A LONDRA - ASSEGNI DI STUDIO ALL’ESTERO? NO GRAZIE - SCUOLA SARDA ULTIMA IN EUROPA - ALLARME ISTRUZIONE: LA SARDEGNA STA GIÙ - ATENEI, I DOCENTI SONO ELEGGIBILI - CNIPA: IL TRACOLLO DI UNA ISTITUZIONE - L'IMPORTANTE NON E’ PARTECIPARE - LE TECNOLOGIE INFORMATICHE IN MANO AL SUD DEL MONDO - DORMIRE SOTTO I PONTI PER LAUREARSI STUDENTI - FEYNMAN, RIBELLE DEI QUANTI - TIMBUKTU: LE SCIENZE PERDUTE SONO TRA LE SABBIE - ======================================================= SARDEGNA: TAGLI ALLA SANITÀ PER IL BUCO DI BILANCIO - SANITÀ, UN FALLIMENTO ANNUNCIATO - SANITA’:SI PARTE DAI NUOVI LIVELLI DI ASSISTENZA - SANITA’:I MEDICI PREPARANO LA SVOLTA - SANITÀ, CENTO MILIARDI ALLE REGIONI - COME SI RILANCIA LA STRATEGIA DEI VACCINI - VACCINI ASSOLTI DALL' ACCUSA DI INNESCARE L' AUTISMO - HARRIS È «STRANIERO»: FUORI DALL'AZIENDA MISTA - IL MINISTERO: HARRIS MANTERRÀ IL POSTO - CAGLIARI:TI ASPETTIAMO PER IL PAP TEST - BROTZU:IO SPERIAMO CHE ME LA STO CAVANDO - BROTZU: DIARIO DI UN MALATO DA BUTTARE - DIVIETO DI FUMO HA FATTO CALARE GLI INFARTI DELL' 11 PER CENTO - FUMO ADDIO, GRAZIE ALLE TASSE - SU INTERNET LISTE D'ATTESA SENZA SPAZIO - TUTTI I MIRACOLI DELLA PILLOLA BLU - DOPPIO TRAPIANTO DI RENE PER IL MINISTRO MUSSI - TUTTE LE MALATTIE CURATE IN PROFONDITÀ - NON BUTTIAMO VIA I GIOVANI MEDICI - I DOLCIFICANTI NON FANNO DIMAGRIRE - SIAMO TUTTI STORTI - GENE DELL'OBESITÀ DAL DNA DEI SARDI - GENOMICA: CHI FA DELLA SCIENZA UNO SCOOP - OPERAZIONI STRAORDINARIE - PSORIASI, LO SPETTRO DELLA VERGOGNA - PSICHIATRIA: PROVARE AD APRIRE IL DIALOGO SI PUÒ - ======================================================= ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 11 feb. ’08 ATENEI, PAGELLE A METÀ DEL GUADO La crisi di Governo ha bloccato l’ attivazione dell'Agenzia per la «vigilanza» Varati i requisiti su docenza e trasparenza dei corsi In bilico la pubblicazione dei criteri peri poli telematici e la riforma dei dottorati Gianni Trovati me Sulla valutazione dei corsi universitari il Governo Prodi ha tentato una mossa rivoluzionaria, ma i tempi biblici dell'attuazione e la caduta prematura de1fEsecutìvo rischia di vanificarne i contenuti. Il principio, inedito per l'Accademia e nei fatti sconosciuto anche negli altri settori pubblici indagati in queste settimane dal «Sole 24 Ore», è semplice. Per offrire il servizio bisogna assicurare precisi requisiti di qualità, che vanno verificati puntualmente: chi non è in grado di garantirli, viene cancellato. Un decreto firmato da Fabio Mussi a fine ottobre ha fissato i criteri per l'accreditamento obbligatorìo dei corsi: che dal aoio non potranno partire se non conteranno almeno quattro docenti di ruolo per ogni anno dì corso e non assicureranno i parametri indispensabili di efficienza e trasparenza. Il criterio sulla docenza è draconiano, e obbligherà alla riorganizzazione (e à ridurre l’offerta formativa) il 70% delle 58o facoltà italiane, ma rappresenta l'unico tassello finora messo al sicuro nella «Gazzetta Ufficiale». L'edificio della trasparenza e della valutazione, invece, è ancora tutto da costruire, e nelle secche di un Governo in piedi solo per fattività ordinaria molti pilastri rischiano di cadere. Il primo, fondamentale, dovrebbe essere fissato entro metà febbraio, ma i tempi lunghi sono la regola in questo processo. Un decreto direttoriale (che quindi rientra pienamente nell'attività ordinaria, perché non ha nemmeno bisogno della firma del Ministro) deve elencare le informazioni che i corsi di laurea dovranno assicurare per rientrare nell'offerta formativa. Proprio qui si concentra il ruolo degli utenti, almeno secondo le indicazioni offerte a suo tempo dal Comitato nazionale perla Valutazione universitaria (Cnvsu) al Ministero. Il decreto, se sarà fedele a questi indirizzi, obbligherà i corsi a illustrare in modo preciso tutte le informazioni che davvero interessano gli studenti: i risultati ottenuti dagli iscritti degli anni precedenti, il tasso di abbandono, ì reali sbocchi occupazionali raggiunti dai laureati, e il grado di soddisfazione dimostrato dagli iscritti sugli aspetti centrali dell'organizzazione e della didattica. I corsi, insomma, dovranno mettere in soffitta le fumose presentazioni diffuse oggi, in cui si assicura invariabilmente la possibilità per i laureati di «accedere a ruoli di vertice nel settore pubblico e privato», per offrire all'aspirante matricola un kit di indicatori oggettivi sull'offerta, le dotazioni strumentali e la docenza (con tanto di curriculum e pubblicazioni di ogni professore). Un kit sottoposto al vaglio dei nuclei interni di valutazione. Ma tutta l'impalcatura rischia di crollare se non si fa partire in fretta l'agenzia nazionale di Valutazione del sistema universitario (Anvur), l’annunciatissimo organo chiamato a giudicare i corsi e da concedere loro la patente per operare. Anche se è stata introdotta con decretazione d'urgenza nell'ottobre del 2006, l’Agenzia non ha certo bruciato le tappe e ha dovuto attendere 14 mesi il regolamento attuativo, che è stato approvato dal consiglio dei ministri a fine dicembre ma prima di approdare in « Gazzetta Ufficiale» deve superare il vaglio della Corte dei conti. Anche se lunghissimo, questo è solo il primo passo per procedere alla complessa partita delle nomine, che dovranno essere vagliate da un search commitee ancora da definire. Per veder operare l’Agénzia, quindi, bisognerà aspettare ancora molti mesi,mentre questa infinita fase di transizione ha prosciugato i fondi e nei fatti "delegittimato" il Cnvsu, l’attuale organismo di valutazione che ha avviato i meccanismi di accreditamento dell'università italiana e costruito le banche dati che dovranno essere la, base per fattività dell'Agenzia e le azioni di governo. L'impianto per introdurre davvero la valutazione negli atenei, insomma, c'è, ma l'incertezza domina su chi deve attuarlo. E sopraitutto mancano gli incentivi per chi si impegna visto che la quota aggiuntiva al Fondo ordinario per il finanziamento competitivo, prevista l'estate scorsa da un Patto solenne fra Governo e rettori, si è persa nei tagli della Finanziaria. In teoria l'assegnazione dei55o milioni agli atenei «virtuosi» dovrebbe rientrare nell'attività ordinaria, perché attuerebbe le previsioni della manovra. Ma i soldi non ci sono (anzi, rispetto al Fondo consolidato il rosso è di circa 350milioni di euro), e i fondi per i "premi" dovrebbero essere sottratti alla dote storica di ogni ateneo. Una rottura con la Conferenza dei rettori che in passato non è riuscita nemmeno a Governi nel pieno del loro vigore. Firmato, ma fermo al Consiglio di Stato, è il decreto sull'accreditamento per le università telematiche, mentre per le regole sulla qualità dei dottorati bisognerà probabilmente attendere il prossimo giro. . gianni.trovati ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 11 feb. ’08 SULLA VALUTAZIONE PIU CORAGGIO E TEMPI RAPIDI di Alessandro Schiesaro , Sul sito dell'Invalsi mancano gli elementi concreti per aiutare i genitori a individuare di Alessandro Schiesaro Valutare la scuola e l'università è ovviamente operazione molto difficile, per la natura della loro missione e per la complessità dei parametri di riferimento. Difficile ma indispensabile. Nei sistemi più avanzati si è fatta strada da tempo la certezza che strumento essenziale per l'efficacia è la valutazione sistematica, sia ex ante che ex post. Prima si stabiliscono gli obiettivi e le condizioni da rispettare, poi si valuta in che misurale istituzioni sono riuscite a centrarli, e si imposta una strategia forte di questa analisi: In Italia questo percorso è ancora irto di problemi, anche se nel panorama di una Pa restia a farsi valutare l'università spicca ora come esempio potenzialmente "virtuoso". Diverso il discorso per quanto riguarda la scuola. Il libro bianco del settembre del 2007, dopo aver preso atto del «prolungato insuccesso nell'avviare un sistema nazionale di valutazione sugli apprendimenti», ripropone con forza di creare un sistema di valutazione nazionale centrato sull’Invalsi. Oggi nel sito dell'Istituto si può trovare anche una bella descrizione della villa rinascimentale che lo ospita, ma non l'unica cosa che potrebbe davvero interessare a una famiglia, cioè qualche elemento per valutare la scuola sotto casa: quando la valutazione sembra avvicinarsi troppo a un giudizio le resistenze si fanno tenaci. Naturalmente questa esitazione nel valutare in modo concreto non impedisce che a farlo siano altri. In campò scolastico i parametri Pisa giudicano la preparazione degli studenti a livello internazionale, e i risultati dell'Italia sono a dir poco scoraggianti, poiché segnalano una performance deludente> e mettono in luce una forte disparità, anche a parità di voti, tra Nord e Sud. È ovvio che altri ritardi non faranno che peggiorare il quadro. Nell'università il modello duale di valutazione, accreditamento ex ante e valutazione ex post, si é affermato In molti Paesi come garanzia del livello degli studi é strumento di programmazione. Anche in Italia il processo è stato in qualche modo attivato, ma con limiti e sfasature cronologiche assai vistosi. Un vero accreditamento delle istituzioni o dei singoli corsi non esiste; esistono piuttosto alcune norme, le ultime particolarmente complesse, che fissano requisiti per l'attivazione di specifici corsi di laurea. Requisiti prima considerati «minimi», ora «necessari»,la cui finalità esplicita è quella di impedire la proliferazione dei percorsi di studio in assenza di una copertura sufficiente di docenza o di strutture. Mentre le università lavorano per applicare le nuove norme dal 2009 o 2010, appaiono evidenti i limiti dell'operazione. Vengono infatti considerati non parametri qualitativi, ma solo numerici (neppure tali da scoraggiare un massiccio ricorso alla docenza a contratto, cioè allo sfruttamento dei giovani studiosi),e quindi alla riduzione dei corsi, in parte contrastata con scappatoie di vario genere, non corrisponderà necessariamente un innalzamento del livello scientifico. Resta prioritarioprocedereconcoraggioerapiditàsullastradadell’accreditamento,cioèdiuna valutazione di tipo sostanziale, che dovrebbe partire prima di tutto da dottorati e lauree magistrali: entrambe forme avanzate di didattica legata alla ricerca la cui diffusione in ogni angolo del Paese non può non sottendere qualche problema. Qualitativa è già, invece, la valutazione triennale della ricerca curata dal Givr, di cui si è svolta una prima tornata relativa al 2001/03, mentre la seconda tarda decollare. Va detto che il solo fatto di aver portato a termine un ciclo di valutazione costituisce una novità politica e culturale importante. Ma molto resta da fare, sia per rendere più stringenti le regole di partecipazione sia soprattutto per impostare finanziamenti almeno in parte fondati sui risultati. È quanto aveva promesso l'accordo Economia - Miur dell'estate scorsa, che prevedeva già dal 2008 una quota premiale nell'allocazione dei fondi ministeriali. Sarebbe importante se nonostante il quadro politico quell’accordo venisse rispettato nei tempi previsti, e se si completassero con celerità le procedure per dar vita all’Anvur, sulla cui missione non avrebbe senso imbastire dispute ideologiche. ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 10 feb. ’08 PREMI AGLI ATENEI VIRTUOSI Si punta a un DL con il Tesoro, via libera all'Anvur Marzio Bartoloni L'unica certezza è il varo definitivo dell’Anvur: l'Agenzia di valutazione che darà voti e pagelle alla ricerca e all'università. La speranza, invece, salvare in extremis le nuove regole per il reclutamento dei ricercatori, un provvedimento simbolo perché dovrebbe assestare il colpo di grazia ai concorsi pilotati dai baroni universitari.. Ma tra le misure che il ministro dell'Università e della Ricerca, Fabio Mussi, punta a licenziare prima di dover fare le valigie c'è altro: dalla nuova disciplina dei dottorati al giro di vite sulle università telematiche. E con un asso da tirare fuori dal mazzo fino all'ultimo: un decreto da scrivere con l'Economia per decidere come premiare, con i fondi in più previsti dalla Finanziaria, le università virtuose. A un passo dal traguardo, a meno di sorprese, è il regolamento dell’Anvur varato da Palazzo Chigi à fine dicembre. Che dopo la registrazione della Corte dei conti, se non ci saranno rilievi, approderà sulla Gazzetta Ufficiale. Più complicata la situazione dell'altro regolamento, quello sul reclutamento dei ricercatori universitari. Qui lo stop della magistratura contabile è arrivato nelle settimane scorse e già da domani -promettono dal ministero - dovrebbe partire la risposta ai rilievi della Corte. Se tutto filerà liscio arriverà la pubblicazione in Gazzetta. Tempi strettissimi per il decreto ministeriale sui dottorati, trasmesso al Consiglio di Stato, che probabilmente non farà in tempo a incassare i pareri delle commissioni parlamentari. Di sicuro, però, arriveranno gli aumenti delle borse di studio (ferme da tempo a 80o euro al mese) promessi dalla Finanziaria. Le ultime partire riguardano i nuovi requisiti per le università telematiche e gli incentivi economici agli atenei migliori: «Ci stiamo lavorando - spiega il sottosegretario all'Università, Luciano Modica -, sul primo punto sono ottimista, mentre con l'Economia cercheremo di emanare un decreto per premiare le università più virtuose». Su un binario morto l’annunciato Ddl sulla governance degli atenei e quello sulla terza fascia della docenza che doveva trasformare in professori 12 mila ricercatori. Appesi a un filo i concorsi per i docentiuniversitariprevisti dal "milleproroghe" che va convertito in legge entro febbraio. Infine, buio fitto sull'attuazione della delega prevista dalla legge di riforma degli enti di ricerca: «Sarà il prossimo Governo - spiega Modica - a decidere cosa fare». ___________________________________________________________ Europa 13 feb. ’08 UNIVERSITÀ, BASTA CON FONDI A PIOGGIA. IL PD CI STA? I partiti stanno affilando le armi per un campagna elettorale che si prospetta frizzante ed inconsueta. Si stanno preparando i programmi elettorali che saranno concentrati sulle questioni economiche (più liberalizzazioni, meno tasse ; riapparirà certamente l’abolizione dell’ici; federalismo fiscale ecc.); ma essi dovranno, necessariamente, dedicare spazio anche ad altre aree tematiche. Non si può che sperare che i competitori d dicano qualcosa anche su welfare, scuola, pubblica amministrazione, ricerca ed università (senza riforme strutturali in questi settori non c'è percentuale di aumento del Pil che possa risollevare il trend declinante che il paese ha intrapreso negli ultimi decenni). Per tutte queste aree di politica pubblica i problemi sono evidenti da tempo e non ci sono soluzioni da inventare. Esse esistono già sia in teoria che in pratica, e sono state adottate in molti altri paesi. Bisogna che i partiti vengano inchiodati alle loro responsabilità, bisogna che non venga permesso loro di propinarci programmi di politica pubblica vacui, pieni di obbiettivi altisonanti senza nessun chiaro riferimento a "come" essi verranno raggiunti. Eccoci qui; allora, a proporre cinque punti programmatici per cambiare l'università italiana. 1. AUMENTARE LE RISORSE FINANZIARIE. Il paese deve investire di più in università. Per uscire dal depauperamento a cui essa è stata sottoposta negli ultimi anni sono necessari 3 miliardi di euro in più nei prossimi cinque anni. Non sono pochi ma sono necessari. Ovviamente questi denari non dovrebbe ro essere distribuiti a pioggia. Due terzi dovrebbero essere allocati sulla base di una rigorosa valutazione della ricerca. Un terzo dovrebbe essere allocato per supportare le aree eccellenti (le scuole di dottorato migliori e i gruppi di ricerca eccellenti, sulla falsariga di quanto proposto da Schroeder e attuato dalla Merkel in Germania). 2.CAMBIARE LA GOVERNANCE DEGLI ATENEI. Non si possono affidare più risorse ad istituzioni che hanno mostrato una consistente difficoltà a governarsi bene. Basta chiacchiere: si riformino drasticamente gli assetti di governo degli atenei. Si dia agli atenei la possibilità di scegliere tra due strade. 0 quella di trasformarsi in fondazioni private, seguendo lo schema proposto da Nicola Rossi due anni fa; oppure, sulla falsariga di quello che hanno fatto molti paesi europei negli ultimi dieci anni, quella di cambiare le proprie regole interne in modo tale da avere un consiglio di amministrazione formato da pochi componenti (per almeno un terzo esterni) che vengano nominati sulla base delle loro competenze e da verticalizzare e responsabilizzare il ruolo delle cariche monocratiche (rettori, presidi, direttori di dipartimento). 3. RAFFORZARE LA GOVERNANCE DI SISTEMA. Ciò si può fare in due modi. Dando attuazione all’Agenzia nazionale di valutazione (che andrebbe rafforzata dal punto di vista organizzativo) e avvicendando i vertici burocratici del ministero dell’università. Non si può governare il sistema senza una valutazione affidabile e periodica. Non si può governare il sistema se il supporto tecnico dei ministri dell'università continua ad essere costituito da dirigenti più interessati alla conformità formale alle norme che al perseguimento dell'efficacia sistemica. 4. CONSENTIRE AGLI ATENEI DI POTER FARE "GESTIONE E SVILUPPO" DEL PERSONALE DOCENTE. Ciò significa cambiare le regole dello status giuridico dei docenti (arrivando a forme di contrattualizzazione individuale) e separare le procedure di reclutamento da quelle per le promozioni. 5. Consentire che le università che lo vogliano possano ALZARE LA CONTRIBUZIONE STUDENTESCA e, al tempo stesso, lanciare un programma pubblico di supporto ai prestiti d'onore che permetta anche a chi non ha le possibilità economiche di iscriversi ad una buona università (che spesso non è quella sottocasa) e di poterlo fare con profitto e in condizioni finanziarie dignitose. Cinque punti attorno ai quali si potrebbe costruire una strategia quinquennale di governo dell'università italiana. Per approvare le norme di riferimento bastano sei mesi. Per vedere queste norme attuate non più di un anno. Insomma, in diciotto mesi si potrebbe vedere in funzione le innovazioni proposte sopra. Basta arrivare alle elezioni con le bozze dei testi normativi già scritti (pronti per essere proposti agli organi cui compete dibatterli ed approvarli). Basta avere già in testa un’idea su quali individui (quale ministra, quali dirigenti ministeriali) coinvolgere per gestire e supportare il cambiamento. In questo modo, vincendo le elezioni si sarebbe già pronti per governare il cambiamento dell’ Università. Non è difficile. Basta volerlo. ___________________________________________________________ Il Manifesto 10 feb. ’08 L'ATTACCO AGLI INTELLETTUALI É IL PRIMO SEGNO DETTA BARBARIE Donateua Di Cesare Come ormai tutti sanno, in un blog neonazista comparso nel sito «Il cannocchiale» è stata. pubblicata una lista di «docenti ebrei» indicati come Lobby che monopolizzerebbe le università italiane. Il sito è stato oscurato dalla polizia postale italiana per iniziativa del ministro degli interni Amato. Contemporaneamente il Ministero dell'Università si è dichiaro parte civile. I docenti additati nella lista sono accusati di essere ebrei, di essere sionisti, di essere filo israeliani, di vivere in Italia ma di obbedire ad una «comunità sovra-nazionale», cioè Israele, e di corrompere perciò i giovani. Intorno alla lista c'erano slogan che incitavano al boicottaggio di Israele ma anche al «boicottaggio della comunità ebraica». D'altronde il passo è breve. Purtroppo il clima politico e culturale in Italia è degenerato già da tempo. Per chi sta all'estero questo è difficilmente immaginabile. Tutto ciò che ha accompagnato le polemiche intorno alla Fiera del libro di T'orino e al «boicottaggio» di Israele, invitata in occasione dell'anniversario della fondazione dello stato, sono un segnale molto chiaro. Il nuovo antisemitismo viene da lontano, ma è appunto nuovo. 5i nutre del conflitto mediorientale, trae biecamente profitto dalla tragedia di due popoli. Chi asseconda il boicottaggio di Israele deve assumersi le responsabilità, deve essere consapevole degli effetti che produce. L'odio rivolto un tempo contro gli ebrei è diretto ora contro lo stato di Israele, divenuto l0 Stato paria, simbolo di ogni male del mondo. Gli ebrei «celebrati» come vittime il giorno della memoria, diventano il giorno dopo gli israeliani «carnefici». Le accuse mosse nel sito neonazista ai «docenti ebrei» parlano chiaro. Le recenti posizioni della Chiesa cattolica, che non rispondono per nulla alle idee e ai sentimenti dei cattolici, e soprattutto le ultime affermazioni del Papa Benedetto XVI, le sue iniziative reazionarie (ad esempio quella di ripristinare la vecchia preghiera del venerdì santo per la conversione degli ebrei) non favoriscono certo il dialogo. AL contrario hanno contribuito e contribuiscono a creare un clima di ostilità e di contrapposizione inutile e dannosa. Non è neppure un caso che ad essere presi di mira siano stati i docenti universitari - e soprattutto quelli dell'università di Roma La Sapienza. L'aggressione verso gli intellettuali è il primo segno, infatti, della barbarie. ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 feb. ’08 INNOVAZIONE, L'ITALIA SOTTO LA MEDIA EUROPEA Graduatoria della Commissione su ricerca e diritti d'autore Enrico Brivio BRUXELLES. L'Italia arranca nel campo dell'innovazione e mette a segno una performance inferiore alla media europea. L'impietosa fotografia è scattata dall'ultima studio comparativo della Commissione Ue, che mette a confronto cinque indicatori nel campo della ricerca nei Paesi europei e del mondo sviluppato nell'arco degli ultimi cinque anni. La ricerca valuta le prestazioni dei diversi sistemi produttivi prendendo in considerazione i fattori trainanti dell'innovazione, gli investimenti in ricerca e sviluppo, le misure che favoriscono l'imprenditorialità innovativa, l'attuazione concreta della ricerca nell'attività aziendale e i diritti di proprietà intellettuale. Alla fine, i Paesi sono stati suddivisi in quattro gruppi omogenei e l'Italia è finita nel terzo, quello degli «innovatori moderati». In compagnia di Spagna; Repubblica Ceca, Slovenia, Estonia, Cipro, oltre che Norvegia e Australia. Un gruppo ben staccato dal plotone d'avanguardia degli innovation leaders, guidato dalla Svezia, ma comprendente anche Germania, Finlandia, Danimarca, Regno Unito, oltre a Stati Uniti, Giappone e Svizzera. Dietro al gruppo italiano restano comunque i Paesi «in via di recupero», comprendenti m nazioni tra le quali Grecia, Slovacchia e Bulgaria. In base al superindice dell'innovazione l'Italia si trova al23 ° posto sui 37 paesi analizzati a quota 0,33 a fronte di una media europea di 0,45. La Commissione Ue osserva che negli ultimi cinque anni la performance italiana è solo «migliorata in modo marginale rispetto alla media europea». Secondo Bruxelles, l'Italia esibisce «forza relativa, nella creazione di conoscenza e nella dimensione della proprietà intellettuale», campi nei quali si assesta attorno alle prestazioni medie dei Paesi Ue. In particolare vanno bene gli indicatori specifici sulla ricerca in media tecnologia e high-tech, erogazione fondi pubblici e design industriale. Invece la Penisola si ritrova in bassa classifica nei fattori trainanti di innovazione e nella dimensione imprenditoriale. Risultati che - secondo l'analisi della Commissione - indicano che «l'Italia ha un'alta efficienza nel trasformare gli input innovativi in output di proprietà industriale, ma una più bassa efficienza nel trasformare questi stimoli in applicazioni produttive concrete». Il nostro Paese ha invece messo a segno ieri progressi rilevanti in un'altra classifica europea, quello sull'attuazione delle direttive sul mercato unico. L'indice dell'Esecutivo Ue che valuta il grado di trasposizione delle direttive - il cosiddetto Scoreboard - ha evidenziato che l'Italia, per la prima volta, ha superato l'obiettivo dell'1,5% di deficit nel recepimento della normativa comunitaria, arrivando all'i,3%, in linea con la media Ue. Rispetto all'ultima rilevazione del giugno 2007, «progressi notevoli sono stati messi a segno soprattutto da Italia e Portogallo» ha riconosciuto il commissario Ue al Mercato interno, Charlie McCreevy. Nonostante negli ultimi sei mesi abbia risolto i9 casi, il nostro Paese rimane però con 134 procedure d'infrazione aperte la maglia nera dell'Unione europea. Il ministro per le Politiche europee, Emma Bonino, ha sottolineato gli apprezzamenti di McCreevy, sostenendo che rendono merito agli sforzi compiuti fin dall'inizio del suo mandato per migliorare la posizione dell'Italia nel contesto europeo. Un lavoro che ha portato, tra l'altro, negli ultimi 20 mesi alla riduzione del 30% delle procedure d'infrazione. enrico.brivio@skynet.be I VALORI A CONFRONTO Raggiunta quota 0,33 su un valore Ue di 0,45 Progressi nella classifica sull'attuazione delle direttive del mercato unico Agli ultimi posti La classifica in base agli indici di competitività Italia 0,33 Slovenia 0,35 Rep Ceca 0,36 Estonia 0,37 MEDIA EUROPEA 0,45 Belgio 0,47 Francia 0,47 Olanda 0,48 Austria 0,48 Lussemb. 0,53 Regno Unito 0,57 Germania 0,59 Danimarca 0,61 Finlandia 0,64 Svezia 0,73 ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 12 feb. ’08 UNIVERSITÀ D'ECCELLENZA A NUORO Bisogna sviluppare formazione professionale e imprenditorialità Marika Gervasio La provincia di Nuoro è al centro degli interessi dell'amministrazione regionale, ma non basta l'intervento della Pa per svilupparsi economicamente. È necessario anche un forte spirito imprenditoriale privato». Così il governatore della regione Sardegna, Renato Soru, risponde al monito lanciato dal presidente di Confindustria Sardegna centrale, Salvatore Nieddu, sulla crisi industriale che sta interessando le aziende del nuorese. La scarsità di collegamenti Adsl sul territorio è una delle questioni sollevate dagli imprenditori. Cosa risponde? Che tre anni fa meno del 40% della popolazione sarda aveva l’Adsl, al 31 dicembre del 2007 si è passati all’80% e per quest'anno prevediamo di arrivare al 100%. Inoltre porteremo la fibra ottica nei paesi con più di 1.500 abitanti. Il digital divide è sempre stata una priorità e il discorso vale anche per il Nuorese. Da cosa dipende la crisi della provincia di Nuoro? L'industria nuorese in passato era caratterizzata dalle partecipazioni statali. Quando il pubblico se n'è andato è mancata l'iniziativa imprenditoriale privata e le privatizzazioni che ci sono state non sono andate a buon fine,-come nel caso dell'Enimont, poi diventata Montefibre.In realtà non c'è mai stato un tessuto imprenditoriale forte. E per crearlo l'istruzione è fondamentale. Allora perché si sta impoverendo l'università di Nuoro? Secondo il progetto dell'università diffusa, da Cagliari e Sassari hanno "gemmato" sette sedi distaccate tra cui quella di Nuoro. Ma adesso ci dobbiamo chiedere come fare per rendere l’università migliore per i nostri ragazzi e soprattutto come garantire il diritto allo studio anche a chi non ha le possibilità economiche. Ai nuoresi diciamo che vogliamo dare a tutti la possibilità di andare a studiare anche all'estero, nelle facoltà migliori. Oppure, chi vuole restare in Sardegna, deve poter contare su strutture ottime, specializzate. Perciò la strada giusta è evitare i doppioni tra facoltà e concentrare nella sede di Nuoro un settore nel quale si possa raggiungere l'eccellenza e che sia unico in tutta la regione. Il campanilismo non serve. Servono esperienze che aprono la mente per ragazzi che diventeranno gli imprenditori del futuro. E per quanto riguarda progetti sulle infrastrutture e il territorio? L'accusa è che non è ancora arrivato nessun segnale dalla Regione. La Regione ha firmato un'intesa con la Provincia di Nuoro su diversi punti: infrastrutture, università, politiche sociali e d'impresa. E stiamo procedendo celermente. A partire dal digital divide. È in corso di attuazione il project financing per la cittadella sanitaria di Nuoro è c'è già il bando di gara per una nuova centrale a biomasse e con un termovalorizzatore a Ottana che creerà izo posti di lavoro. Ancora, in Ogliastra, che faceva parte del Nuorese fino a uri anno fa, la giunta ha risolto il problema ventennale della cartiera chiusa di Arbatax. Attraverso la finanziaria della Regione l'arca è stata comprata e una grande azienda nautica ci realizzerà un cantiere con mille posti di lavoro. I primi yacht dovrebbero essere consegnati nel 2009. Inoltre è in corso di costruzione il nuovo gasdotto che porterà il metano in Sardegna dall'Algeria. E abbiamo firmato un accordo con l’Enel che si è impegnata a portare sotto la media nazionale i minuti di inefficienza della rete elettrica, che nel 2004 erano molto più alti. marika.gervasio _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 12 feb. 08 SORU: NUORESI VOLETE STUDIARE? VI MANDO A LONDRA Soru dice no ai corsi di laurea decentrati, gli universitari fischiano «Il polo ambientale è possibile ma poi dite no al parco» Il presidente: assegni della Regione per andare fuori dall’isola NUORO. E’ suonato come un requiem il discorso di Renato Soru all’Eliseo. Così, mentre andava via, gli universitari lo hanno fischiato. Il governatore aveva appena finito di dire no all’università decentrata, e che erano pronti assegni di studio per chi andava fuori. Anche a Londra. Le lancette degli orologi segnavano quasi le 14 quando sulla scena del cinema Eliseo è apparso il governatore. Il pubblico, però, era già dimezzato. Tanti, in attesa dalle 10,30, erano andati via piuttosto delusi. Il clima era questo, un po’ freddino, quando Renato Soru ha preso la parola e chiesto a chi era rimasto in sala «un piccolo applauso di incoraggiamento». Segno evidente, questo, di un disagio palpabile, che il governatore ha tentato di esorcizzare chiedendo poi scusa a tutti. «Mi scuso per il ritardo - ha detto - ma un impegno con il ministro Di Pietro mi ha trattenuto a Cagliari». Quindi ha parlato di università. Un discorso lungo e articolato in tre parti distinte. La prima tutta dedicata alle ultime accuse contro la «Regione assente» sentite appena arrivato. «Ma noi siamo attenti al problema dell’università nuorese - ha replicato Soru - e quindi non siamo la controparte, e non c’è neppure una battaglia da fare, perchè la Regione tenterà una sintesi». Previo ragionamento, ha aggiunto poi il governatore, che ha posto subito il dilemma: Quale università per quale sviluppo? Tenendo conto che l’obiettivo fondamentale è basato sulla «crescita del livello di conoscenza» senza il quale si rimane tagliati fuori. Quindi Soru è passato al «diritto allo studio», rivendicato da sindaci e studenti, presentando i conti del bilancio. «Su questo in Finanziaria abbiamo speso tre volte tanto - ha precisato - passando a 50 a 150 milioni di euro. E in altri casi addirittura quintuplicando le risorse». Il problema vero dunque non è il diritto allo studio, ma «questa università» nel suo complesso e «difficile da capire». Difficile per i «concorsi duplicati», per la concorrenza tra i due atenei «nell’aprire nuovi corsi», mentre si diventa sempre «più deboli» in Italia e nel mondo. «Cosa vogliamo - ha chiesto a questo punto il governatore - più punti di debolezza con università diffuse a Ozieri, Tempio, Iglesias e Pimentel, oppure vogliamo un’unica università accentrata: l’Università della Sardegna?». A Soru questa «pletora decentrata» non va proprio, pertanto propone un «manifesto nuovo»: quello dell’offerta formativa pensata in modo unitario. Andando se è possibile a superare la tradizione umanistica per un orientamento più scientifico. E qui il governatore entra nella seconda parte del discorso e parla di atenei che devono fare i conti con le docenze e i costi dell’università diffusa, che lui non vuole. Meglio, allora, «concentrare tutto sui due atenei di Cagliari e Sassari»: creando «nuovi posti letto» e predispondendo «assegni di studio» per gli universitari più meritevoli. Ma anche per quanti vogliono uscire fuori dall’isola. Ed eccoci, dopo un lungo percorso, arrivati a Nuoro, tersa parte del discorso. «Per tutti gli studenti nuoresi - afferma Soru - c’è pronto un assegno per andare a Londra, se vogliono». Ma se poi quelli non tornano più? «I talenti bisogna tenerseli stretti nel pugno - risponde - e noi faremo di tutto per farli tornare». E l’università nuorese? Che dice il governatore, che fine farà? Soru a questo problema dedica poche parole, quelle finali, per accennare a un corso di «governance» sullo Sviluppo locale (ma solo se i «due atenei saranno d’accordo») e anche sulle «eccellenze» di Ambientale e forestale ma se «motore» dell’università barbaricina. «Ma in questo caso - ammonisce Soru - nessuno scenda più in piazza contro il parco del Gennargentu». Il governatore lascia qualche porticina aperta e chiude qui il suo discorso. Ma agli studenti non basta. E dai primi posti parte la protesta. Una protesta che degenera un po’ quando il capogruppo comunale dello Sdi, Paola Demuro, prende la parola e invita il governatore a non andar via e ad ascoltare i sindaci. Cosa che Renato Soru non fa. Ed è a questo punto che son partiti i fischi. Una volta uscito il governatore, escono anche gli studenti, e nella platea degli amminitratori scende il grande gelo. L’imbarazzo è palpabile. I due presidenti, Leonardo Moro e Tore Ghissu, tentano di gestire ancora il dibattito e richiamano all’ordine. Ma c’è poco da fare. Sono le 15,13 e la gente è stanca e comincia a uscire dall’Eliseo. Eppoi il governatore ha già parlato senza lasciare molte chance. Una lingua diversa la sua anche da quella usata dall’assessore regionale alla Cultura, Maria Antomnietta Mongiu, che invece ha lanciato una nuova «Intesa entro 90 giorni» e una «Conferenza di servizi» sull’università nuorese. Sulla base anche di «dati e tendenze rilevate statisticamente» e che danno il Nuorese come «luogo di cultura» su cui si può e si deve investire. Ma stavolta non si può sbagliare sui corsi e gli indirizzi: per questo l’assessore regionale alla Cultura ha proposto un corso speciale di «governance e sviluppo locale» a Nuoro. Una proposta accolta con attenzione dai sindaci presenti del Nuorese e dai politici, che hanno poi calibrato i loro interventi su quest’onda in termini costruttivi. Fino a quando il dibattito non è stato interrotto dal discorso del governatore, che sì, ha anche ripreso questi passaggi, ma senza soffermarvisi troppo. E creando così un certo imbarazzo nel pubblico. Nino Bandinu _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 13 feb. 08 ASSEGNI DI STUDIO ALL’ESTERO? NO GRAZIE Non fa breccia tra i giovani l’iniziativa annunciata dal presidente della Regione Gli allievi del Classico preferiscono l’ateneo sotto casa I ragazzi: «Senza l’università Nuoro rischia di diventare un deserto perché perde i giovani tra i venti e i trent’anni». Gli assegni di studio all’estero non fanno gola agli studenti del liceo classico Asproni. Non è una novità visto che il programma Master and back destinato agli studenti più maturi degli atenei sardi non ha fatto proseliti tra i barbaricini. L’orizzonte si ferma al massimo a Cagliari e Sassari, meglio se venisse potenziata l’università nuorese con nuovi corsi e quelli tradizionali, come ingegneria e giurisprudenza per esempio, che decimerebbero gli iscritti dei due poli sardi. Un’esperienza oltremare andrebbe pure bene, ma per rinverdire le proprie radici. «Ci lamentiamo tanto dei ragazzi che vanno fuori dalla Sardegna, secondo me il lavoro c’è qua, basta scovarlo - dichiara Daniele Granara di Nuoro, della 3^F ad indirizzo linguistico - si può anche andare fuori a fare esperienza, ma poi chi vuol tornare trova qualcosa da fare. E poi in questi assegni di studio sono comprese anche le spese di vitto e alloggio? Secondo me manca anche la comunicazione, ho saputo di master che non hanno raccolto iscritti perché non sono stati pubblicizzati abbastanza». «Abbiamo perso l’opportunità di creare il terzo polo anni fa - aggiunge Enrico Burrai di Nuoro della 3^ F - hanno preferito creare i corsi decentrati perché non c’era interesse a portare facoltà importanti a Nuoro, quindi è naturale che con pochi iscritti l’università di Nuoro non conta nulla. I politici di Nuoro hanno poco peso nei luoghi del potere, il decreto Mussi è stata una scusa. Se ci fosse stata a Nuoro la facoltà che piace a me, avrei potuto decidere di iscrivermi qua, ma con questi corsi non se ne parla». «L’università poteva essere l’occasione per risvegliare Nuoro, però è anche vero che così com’è non porta sviluppo - commenta Margherita Monni di Nuoro, 3^ F - tanto vale investire nei poli sardi di Sassari e Cagliari, sempre meglio che finire a Milano, dove si spende molto di più». «Io andrei comunque a studiare fuori, ma credo che sia ingiusto togliere la possibilità agli studenti di frequentare a Nuoro - spiega Maria Elena Zizi di Nuoro, 3^ F - così com’è non è competitiva, per diventare un polo di attrazione si dovrebbe migliorare l’offerta formativa. Un periodo fuori dalla Sardegna credo che sia importante per acquisire esperienze da sfruttare in loco, a noi giovani manca questa mentalità, non ci stiamo impegnando abbastanza per creare cose nuove. A Nuoro non abbiamo la possibilità di esprimere la nostra personalità, un po’ la colpa è anche nostra: tutti ci lamentiamo ma nessuno fa niente per cambiare le cose». L’argomento viaggi studio all’estero è tabù per i ragazzi della 3^ D e persino fuori luogo in un momento così critico per il futuro dell’ateneo nuorese. «Io credo che bisognerebbe chiudere le università di Sassari e Cagliari e aprire a Nuoro - è la proposta di Alessandra Zidda di Nuoro - chi decide non ha idea delle difficoltà delle famiglie a mandare i figli a scuola». «Io penso che Soru dovrebbe avvantaggiare di più gli studenti della Sardegna indistintamente - interviene Maria Rita Pala di Orosei - si preferisce invece investire per interessi che non ritornano a beneficio dei sardi, anziché investire nelle facoltà barbaricine, migliorando l’offerta formativa». Dello stesso parere anche la compagna, Giuseppina Sedda , di Nuoro: «Da quando ha aperto non è stata migliorata, il fatto di non potenziarla e di non renderla competitiva è stato come volerle tarpare le ali, quindi la chiusura era inevitabile, anche perché gli iscritti sono pochi. Il problema andava affrontato prima, ora non si può fare nulla. È inutile continuare a sfornare laureati in scienze sociali se poi lavoro non ce n’è». «Sono state fatte promesse che non sono state mantenute come, per esempio, l’annuncio dell’apertura della facoltà di veterinaria - accusa Francesca Sanna , di Nuoro - ci sono ragazzi che non vogliono rinunciare alle loro aspirazioni e sono costretti a studiare e lavorare. L’unica cosa che sanno dire è che ci sono problemi finanziari e di strutture». Per Elena Scapicchio, di Dorgali, «un grosso limite per lo sviluppo dell’università nuorese è il fatto di dipendere da altre università, non è pensabile che ci sia un’amministrazione distante, lontana dai problemi percepiti solo attraverso intermediari senza la possibilità di gestire le cose in maniera diretta. L’importanza per una scuola sta proprio nell’autonomia». Aggiungono Lara Firinu e Carla Beccu di Nuoro: «Senza l’università Nuoro diventerà un deserto. Ci sentiamo penalizzati perché mancano i giovani della fascia d’età compresa tra i 20 e i 30 anni con cui confrontarci». MARIA BONARIA DI GAETANO _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 feb. 08 SCUOLA SARDA ULTIMA IN EUROPA di Simonetta Sanna* Non tutti si sono accorti che nell'era globale le nostre decisioni devono tenere conto di un quadro generale di obiettivi strategici. Qualcuno, inoltre, ritiene che sia inutile volgere lo sguardo verso la Finlandia per parlare della nostra formazione. La Finlandia è un Paese in cui, se non si è conseguita la licenza media, non ci si può neppure sposare. Ma ciò non costituisce un problema, perché il Paese è in grado di garantire a tutti i cittadini un livello di istruzione ottimale, avendo posto le basi parecchio tempo fa. Ecco, la questione è proprio questa: la capacità di tracciare un progetto consapevole della previsione, che sembra talora difettare alla nostra politica. In Italia prospettiamo solo oggi, con quasi mezzo secolo di ritardo, di prolungare l'obbligo d'istruzione fino ai sedici anni, continuando a intenderlo quale diritto alla frequenza, non al compimento di un programma. Ma la frequenza non equivale a una eguaglianza delle opportunità, tant'è che anche oggi circa novemila ragazzi non conseguono la licenza. E neppure l'obbligo scolastico elevato fino ai 18 anni risolverebbe le loro difficoltà: il rimedio consisterebbe piuttosto nel contrastare con successo la dispersione scolastica. In ambito regionale sono stati investiti ingenti fondi, ma mentre il Trentino Alto Adige realizzava tempestivamente le misure strategiche basilari, in Sardegna non ci siamo dotati neppure di un'Anagrafe regionale, che pure consentirebbe di intervenire con efficacia. Di conseguenza, non meraviglia che anche nel 2007 la scuola sarda si sia collocata all'ultimo posto della classifica nazionale. Né le cose vanno meglio nella formazione professionale, la cui competenza di recente è stata trasferita alle Province, necessariamente più distanti da una visione d'insieme. Tutto questo accade in un momento in cui l'Europa esige un sistema di qualifiche professionali trasparenti, che consenta la validazione dei titoli in tutto il territorio nazionale. Pertanto, già domani, le qualifiche regionali avranno bisogno di un accreditamento ministeriale per l'inquadramento professionale da parte delle aziende nazionali ed europee. È possibile che nessuno sia in grado di spiegarlo ai responsabili degli enti di formazione? In prospettiva, il discorso va però allargato alle università. Anche se in proposito rimane certo da sciogliere qualche nodo ideologico. In una società postindustriale, più del 70 per cento della popolazione trova occupazione nella cosiddetta economia dei servizi e della conoscenza e almeno il 50 per cento degli impieghi richiede un alto livello di istruzione. È questo il motivo per cui sarà necessario mobilitare maggiormente il sistema universitario: la distinzione fra università di insegnamento e università di ricerca, che si va delineando dal 1999 con la Dichiarazione di Bologna, non sarà che una conseguenza necessaria. È infruttuoso attribuirsi un livello di eccellenza che non si possiede e che mai si potrà raggiungere, per mancanza di tradizioni (la Sorbona, ad esempio, è stata fondata nel 1257 in uno Stato destinato a diventare nel grand siècle il modello culturale dell'Europa), nonché delle risorse necessarie. Basterebbe che le competenze di un docente fossero consone al suo livello di impiego e che conseguisse un pieno riconoscimento salariale e sociale. Parimenti, potrebbe dirsi soddisfatto il giovane che, completato il corso di studio professionalizzante, avesse la possibilità di impiegare per davvero le sue competenze. Insomma, lavorare all'interno di parametri riconoscibili consentirebbe di riequilibrare e di risanare col tempo l'intera filiera, incluso il riconoscimento sociale delle singole professioni. Sono discorsi lunghi e impopolari, eppure è necessario iniziare a parlare con chiarezza. In Finlandia, sono ragionamenti che si fanno da tempo: il Paese non solo ha investito massicciamente nell'istruzione - compresa nella cosiddetta flessicurezza , volta a proteggere il lavoratore, non il posto di lavoro: altro nodo ideologico da sciogliere per rilanciare la nostra società bloccata - ma vanta la minore incidenza delle disuguaglianze economiche e livelli massimi di giustizia sociale diffusa. Come è stato osservato, i successi dei Paesi scandinavi sono stati possibili non perché abbiano rifiutato le riforme, ma per averle abbracciate. *Docente universitario _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 feb. 08 ALLARME ISTRUZIONE: LA SARDEGNA STA GIÙ Statistiche e investimenti C’è un dato che, quando lo presentiamo, la gente reagisce incredula. Nel 1861, nel momento dell’Unità d’Italia, la Sardegna aveva il più alto indice di analfabetismo: il 90%. Poi le cose gradualmente sono cambiate e l’istruzione elementare ha cominciato a diffondersi, ma non dobbiamo dimenticare che l’Italia era un paese in cui, come scrive Tullio De Mauro nella sua Storia linguistica dell’Italia unita, "ancora intorno al 1910 l’istruzione elementare era un bisogno voluttuario, un lusso". A questo punto i più traggono un sospiro di sollievo: "Ah, sono cose del passato. Oggi tutto e diverso!" Sicuri? Certo, un passo avanti è stato compiuto con l’istituzione della scuola media unificata e l’introduzione del relativo obbligo scolastico, di recente elevato in maniera tale che i giovani italiani dovrebbero frequentare anche un ulteriore ciclo di studi. Lo fanno? Questo è un altro discorso. "Avvenire" ha pubblicato una tabella riferita agli anni 2005/2006 dalla quale risulta che i ragazzi tra i 18 e i 24 anni con solo la licenza media sono in Europa il 14,9% e in Italia il 21,9%. Percentuale elevatissima che fotografa uno dei motivi per il quale l’Italia declina. Il lettore si chiederà: come si colloca la Sardegna in questa classifica? Per fortuna c’è la Sicilia, dove si raggiunge il 30,4 % altrimenti avremmo un altro record, dopo quello tristissimo del 1861, giacché qui ci fermiamo al 29,7%. Penultimi. E cosa volete che facciano, nella vita, tutti questi giovani che hanno strascicato una licenza media e lì si sono fermati? Ciascuno si dia una risposta da solo, e non sarà lontano dal vero. Io preferisco fornire ancora qualche dato, questa volta tratto da un ottimo articolo del professor Francesco Pigliaru: "nei paesi avanzati i laureati rappresentano una percentuale della popolazione che va dal 46% al 23%. In Italia siamo al 12, in Sardegna al 10". Siamo, cioè, penultimi per quel che riguarda gli abbandoni dopo la licenza media e al fondo del bidone per quanto riguarda la laurea. Pigliaru incalza: abbiamo una università ogni 800.000 persone; in Corea ce n’è una ogni 280.000, in Canada, Svezia, Australia e Finlandia il dato oscilla fra una ogni 210.000 e una ogni 115.000 abitanti. Negli Stati Uniti una ogni 71.000 abitanti. Queste sono le cifre sulle quali ognuno potrà riflettere come meglio crede, a seconda delle sue visioni del mondo. Senza dimenticare, però, di fronte a tanto disastro, quanto spendiamo per pubblicizzare la nostra immagine così compromessa. Circa sessanta milioni in una botta sola: forse buttati al vento. E con una procedura che di per sé mostra quanto ci sarebbe bisogno di investire nell’alfabetizzazione giuridico-amministrativa. Oltre che in un corso accelerato sui testi degli antichi greci che insegnano i fondamentali della cultura e della democrazia. Giuseppe Marci ___________________________________________________________ Italia Oggi 14 feb. ’08 ATENEI, I DOCENTI SONO ELEGGIBILI DI DEBORA .ALBERICI La Consulta apre le porte all’eleggibilità dei professori universitari alla carica di consigliere regionale. Poche chance, invece, per i rettori degli atenei, soprattutto quando la loro nomina segue un iter nel quale interviene la regione. E quanto ha affermato la Corte costituzionale, che con la sentenza n. 25 di ieri ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 2, comma 2, della legge della regione autonoma Valle d'Aosta n. 20 del 2007 (Disciplina delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità con la carica di consigliere regionale, ai sensi dell'articolo 15, comma 2, dello statuto speciale) nella parte in cui prevede l'ineleggibilità dei docenti universitari alla carica di consigliere regionale. Una decisione a doppio binario, quella presa dai giudici di Palazzo della Consulta, che hanno salvato invece il comma 1 della stessa norma. In poche parole, resta in piedi la causa di ineleggibilità del rettore dell'università valdostana. E ciò perché lo statuto speciale della regione prevede che nella nomina del vertice dell'ateneo intervenga, in qualche modo, la regione stessa. Ecco il motivo dell'incompatibilità. Mentre per i professori è tutto diverso. «Proprio le considerazioni innanzi svolte circa la posizione del rettore», si legge in fondo alle motivazioni, «sia per le funzioni che è chiamato a esercitare sia per le modalità della sua nomina, nonché per le interazioni con gli altri organi dell'università, inducono a ritenere che, per quanto concerne i professori, i ricercatori in ruolo e i titolari di contratti di insegnamento in corsi universitari realizzati in Valle d'Aosta, proprio in ragione del ruolo e delle funzioni degli stessi, non sussistono analoghe esigenze di interesse pubblico. Né, in ragione della funzione e del valore sociale della docenza universitaria, il contatto con il mondo studentesco può essere considerato idoneo a determinare, per i soggetti cui la norma censurata si riferisce, situazioni di captatio benevolentiae, né può essere causa di turbative della libertà di voto degli studenti e, di riflesso, di altri elettori, con il pericolo di alterazione del risultato elettorale». La decisione della Corte costituzionale assume ancora più valore se si pensa che nel '99 è entrata in vigore una legge costituzionale che ha modificato l'articolo 122 della Carta fondamentale «prevedendo, anche per le regioni a statuto ordinario, che i casi di ineleggibilità dei consiglieri regionali vengano disciplinati con legge della regione nei limiti stabiliti dalla legge statale». ___________________________________________________________ Il Manifesto 14 feb. ’08 CNIPA: IL TRACOLLO DI UNA ISTITUZIONE Il tardivo adeguamento ai prezzi di mercato potrebbe essere costato alla Pa milioni di euro Raffaele Mastrolonardo Spreco, regalo o equivoco? La differenza non è irrilevante se si parla di svariati milioni di euro che dovevano restare nelle casse statali e potrebbero essere finiti nelle tasche di un colosso privato come Telecom Italia. A maggior ragione se si tratta di progetti che - attraverso l'informatizzazione della pubblica amministrazione - intendono promuovere efficienza e risparmi. Quale sia la sorte di alcuni di questi risparmi è proprio quanto chiede la Cgil del Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione (Cnipa), agenzia che dipende dalla presidenza del Consiglio e supporta il processo di modernizzazione tecnologica della macchina statale, preoccupata del danno per le casse pubbliche ma anche per il futuro di iniziative cruciali per l'innovazione del sistema. Ma di che cosa si tratta esattamente? AL centro delle perplessità sindacali c'è il contratto quadro stipulato tra il Cnipa stesso e la società PathNet, controllata al 100 per cento da Telecom Italia. Oggetto della fornitura: servizi di trasmissione (accesso alla rete internet, banda, network locali) a tutti gli enti aderenti alla Rupa, la Rete unitaria per la pubblica amministrazione, di cui fanno parte ministeri, Regioni ed anche enti locali. In una parola l'infrastruttura. che permette a buona parte del settore pubblico italiano di accedere alla rivoluzione digitale. Sotto la lente del dubbio sono finiti i prezzi dei servizi erogati da PathNet e il loro adeguamento all’andamento del mercato. L'articolo 17 del contratto prevede infatti che si proceda a una revisione annuale dei listini con validità dal primo gennaio dell'anno stesso. L'obiettivo è consentire alle amministrazioni di usufruire dei servizi ai prezzi più economici disponibili beneficiando del continuo ribasso che caratterizza i costi della connettività. Questa procedura di adeguamento si è svolta regolarmente a partire dal 2000, data di partenza della Rupa, con conseguenti crescenti economie. Secondo l’ultima relazione annuale Cnipa, per esempio, grazie al monitoraggio si sono risparmiati 2,2 milioni di euro nel 2005 e ben 16 milioni nel 2006. Il sistema funziona, dunque. O almeno ha funzionato fin qui. Perché ci sono fondate perplessità che nel 2007 il processo virtuoso si sia inceppato. Secondo quanto risulta alla Cgil-Cnipa - che si esprime sulla base di una riunione effettuata con il collegio (Forgano che dirige il Cnipa) e di documenti pubblici disponibili anche sul sito dell'ente l’ultima revisione prezzi risulta effettiva a partire dal primo dicembre dello scorso anno e non dal primo gennaio. Risultato: per 11 mesi le amministrazioni pubbliche aderenti alla Rupa avrebbero pagato un prezzo sensibilmente più alto rispetto ad analoghi servizi offerti sul mercato. Per verificare lo stato della questione Cgil-Cnipa ha inoltrato una richiesta di chiarimenti al presidente del Cnipa, Fabio Pistella (lo stesso che era stato nominato da Berlusconi a presidente del Cnr, nonostante un curriculum scientifico assai contestato), il 15 gennaio scorso. Senza ricevere, finora, risposte. Ma di che cifre si sta discutendo? Nella sua nota, la Cgil parla di «un danno erariale di molti milioni di euro» a favore di PathNet. Un'indicazione per capire meglio l'entità della partita arriva dall'ultima relazione annuale Cnipa. A pagina 67 - dove si rendiconta dell'attività specifica di revisione ordinaria e straordinaria dei prezzi» della Rupa - il documento formula una «previsione di risparmio» per l'anno 2007 di «32 milioni di euro». Non esattamente bruscolotti. Spreco, regalo o equivoca, dunque? Solo il Cnipa può chiarirlo. E c'è da augurarsi lo faccia al più presto. Il dubbio, soprattutto in questa fase elettorale, non fa bene ai faticoso processo di innovazione della pubblica amministrazione. Un percorso già messo in crisi in questi anni da una politica (bipartisan) degli annunci a cui sono seguiti pochi fatti e da progetti vetrina- come il famigerato Italia.it, milionario portale nazionale del turismo appena chiuso - che molti danni hanno causato alla credibilità della modernizzazione del settore pubblico. Il chiarimento servirebbe inoltre a togliere ombre dal nuovo grande progetto infrastrutturale della pubblica amministrazione, il Sistema pubblico di connettività (Spc), il quale è posto sotto la supervisione del Cnipa e affidato a un consorzio di aziende di cui fa parte (anche se solo per il5 per cento) Telecom Italia. Voluto dal precedente governo, l’Spc è stato dichiarato operativo il dicembre scorso da Luigi Nicolais e salutato come un'iniziativa che «non ha comportato oneri per investimenti da parte dello Stato» e che «determina il conseguimento di notevoli risparmi». ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 14 feb. ’08 L'IMPORTANTE NON E’ PARTECIPARE DI ALESSANDRA PERAZZELLI A poco più di un anno dall'uscita dei primi bandi del 7° Programma Quadro sui principali settori industriali europei, si cominciano a raccogliere i dati della partecipazione italiana al più grande e più ricco programma di finanziamento alla ricerca finora lanciato dalla Commissione europea. I finanziamenti a fondo perduto disponibili ammontano, com'è noto, a oltre 50 miliardi di euro complessivamente, per l'intero periodo del Programma Quadro (2007 - 2013). I bandi usciti nel corso del 2007 hanno messo a disposizione delle imprese europee circa 5 miliardi e mezzo di euro. Ai bandi della Commissione europea si risponde in forma consortile: aziende, centri di ricerca e università si uniscono in un consorzio per proporre un progetto di ricerca condiviso. Almeno tre i soggetti di diversa nazionalità nei consorzi relativi ai progetti. Per ogni progetto, ogni gara, è necessario un "capo cordata", un coordinatore, a cui spetta il ruolo più importante e, al tempo stesso, più impegnativo nel processo di aggiudicazione del finanziamento. È proprio questo il ruolo che le aziende italiane, così come i centri di ricerca e le università, fanno fatica ad assumere. Gli italiani raramente guidano i progetti e quindi perdono la possibilità di fare la parte del leone. Infatti il coordinatore non solo guida il progetto e ne determina le linee fondamentali e applicative, ma è anche il soggetto che percepisce in percentuale la maggior parte del finanziamento a fondo perduto. Fare il coordinatore vuol dire, quindi, avere le maggiori opportunità di ottimizzare commercialmente il risultato, sia esso un nuovo prodotto, una nuova applicazione o materiale eccetera, risultante dal progetto vincente. La partecipazione di consorzi con coordinatore italiano si colloca al secondo posto nel corso del Programma Quadro precedente, il 6°, dal 2002 al 2006, ma, a seguito della valutazione delle proposte dei Paesi dell'Unione europea maggiormente industrializzati, l'Italia si colloca al quarto posto nell'ottenimento del finanziamento. Storicamente sono i consorzi guidati da soggetti provenienti da Paesi quali Francia, Gran Bretagna, Paesi Bassi e Germania a vincere in percentuali maggiori le gare per i finanziamenti in tutti i più grandi settori industriali. I primi dati relativi al 7° Programma Quadro mostrano tuttavia un aumento della partecipazione italiana, sia in termini di partner che di coordinatori, ai progetti in gara. Sono dati ancora aggregati frutto di un'analisi condotta da Apre e confermano quelli risultanti dall’esperienza sul campo di Intesa Sanpaolo Eurodesk, la società del Gruppo Intesa Sanpaolo che assiste le imprese ad accedere ai fondi europei per la ricerca. In particolare, perciò che riguarda il Programma Cooperazione, del quale fanno parte tutti i bandi nei settori industriali strategici (Salute; Prodotti alimentari; agricoltura e biotecnologie; Ict; Nanotecnologie e materiali; Energia; Ambiente; Trasporti; Spazio e sicurezza), si è osservato un trend crescente nella partecipazione italiana nelle priorità Salute, Energia e Sicurezza, dove l'Italia si è posizionata al primo posto intermini di numero di proposte presentate in qualità di coordinatori. Stessa situazione per la priorità Prodotti alimentari, agricoltura e biotecnologie, dove il numero di partecipanti italiani ai progetti è elevatissimo, anche in rapporto alla partecipazione dei Paesi storicamente molto forti, come Francia, Gran Bretagna, Paesi Bassi e Germania. Per ciò che riguarda poi le misure perle pini incluse nel Programma Capacità, l'Italia si colloca al terzo posto dopo Spagna e Gran Bretagna per numero di proposte presentate. Sono dati importanti questi;-che premiano lo sforzo compiuto da molti operatori dell'innovazione nel nostro Paese. Aver parlato questo Programma Quadro averne scritto e averne promosso la partecipazione, ha reso un grande servizio al mondo della ricerca e dell'industria. Gareggiare per ottenere i finanziamenti europei vuol dire per le aziende e per gli operatori dell'innovazione imparare a utilizzare la ricerca come strumento competitivo, porre al centro della competizione industriale le idee, la creatività, vincere con l'eccellenza e la visione del futuro. Vuol anche dire aprirsi al confronto globale e alla capacità di intraprendere collaborazioni creative al di fuori del proprio Paese è del proprio mercato. Lo sforzo delle aziende e degli innovatori italiani va quindi sottolineato e premiato. Tuttavia, questo sforzo non è bastato a far alzare la percentuale di progetti italiani vincenti: in tutti i settori in cui ci siamo attestati ai primi posti come partecipazione, le proposte a coordinamento italiano hanno ottenuto le percentuali di successo più basse in rapporto alle proposte a coordinamento di altri Paesi, con un tasso che oscilla intorno al 13 per cento. Fanno eccezione le pini, che a fronte di un buon tasso di partecipazione hanno ottenuto un tasso di successo leggermente più elevato della media: 17,53% contro il 17,11 per cento. Le ragioni di queste modeste percentuali sono molteplici. Innanzitutto, i bandi emessi nel 2007 sono i primi dopo uno iato di più di un anno dagli ultimi del precedente Programma Quadro. Ciò ha determinato una maggiore affluenza di concorrenti nei primi bandi emessi e la partecipazione di progetti altamente competitivi. In altre parole, vincere era più difficile che mai, anche con progetti eccellenti, come sicuramente molti di quelli a coordinamento italiano. Un secondo motivo può derivare dalla ridotta eterogeneità delle capacità valutative, laddove sarebbe necessario per i prossimi bandi differenziare maggiormente sia la provenienza geografica, che le competenze professionalie industriali prescelte dei valutatori. Infine, occorre considerare anche la scelta della Commissione europea di emettere i bandi con una certa frequenza, ma di limitarne il budget. Questa strategia limita a sua volta la possibilità di premiare più progetti in modo più considerevole. I prossimi bandi dovrebbero essere differentemente cadenzati e prevedere una maggiore profondità di finanziamento, in modo da premiare anche quei progetti che, sebbene superino la soglia per il finanziamento, restano poi in una lista d'attesa per mancanza di fondi. Tra questi, negli ultimi bandi, molti i progetti a coordinamento italiano. Ed è proprio quest'ultimo aspetto che vorrei considerare. I progetti che superano la soglia di valutazione per essere ammessi al finanziamento ma che vengono penalizzati per mancanza di denari sono gemme preziose che non vanno lasciate sole. La valutazione positiva che comunque hanno ricevuto dalla Commissione europea costituisce un sistema di rating importante. Magari non perfetto e sicuramente perfettibile, ma sicuramente unico, internazionale e altamente innovativo. I progetti che hanno ricevuto tale rating costituiscono un'opportunità unica di investimento anche quando, per i motivi che abbiamo visto sopra e per altri ancora, non riescono a essere effettivamente finanziati dalla Commissione europea. Le banche, le agenzie di settore, i fondi di venture capital, le autorità locali e centrali dovrebbero essere attori comuni in un'opera di accompagnamento di queste eccellenze, creare un network di sostegno che possa aiutare le idee a crescere. Gli innovatori che si sono messi in gioco e che hanno partecipato alle gare europee non dovrebbero essere mai lasciati soli. Mediante la recente creazione di una comunità virtuale, su www.intesasanpaoloeurodesk.com ospitiamo gli innovatori del nostro Paese che vogliono parlare di progetti e affrontarne di nuovi insieme. Attraverso questo strumento pensiamo di poter raggiungere le idee più belle e farle diventare grandi. ___________________________________________________________ L’Unità 11 feb. ’08 LE TECNOLOGIE INFORMATICHE IN MANO AL SUD DEL MONDO IL RAPPORTO Dai dati delle Nazioni Unite emerge che beni e servizi per la comunicazione non si producono più in Europa In molti Paesi emergenti mane però il problema dell’accesso a Internet di Pietro Greco Il mondo sta cambiando. Nel 1995 solo il 4% dei servizi informatici esportati in tutto il mondo prevenivano da paesi in via di sviluppo. Dieci anni dopo, nel 2005, la percentuale è salita al 28%. L'India è, ormai, il maggior esportatore al mondo di servizi nel settore delle «information and communlcation technologies» (ICT). E la Cina è ormai il maggior esportatore al mondo di beni nel settore ICT. Non c'è dubbio, la produzione delle tecnologie associate alla comunicazione e all'informazione - dai telefoni a internet - si sta rapidamente spostando dal Nord al Sud del mondo. E la dimostrazione è nei dati resi pubblici la settimana scorsa dalla Conferenza delle nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTD) con la distribuzione dell'Information Economy Report 2007/2008. Non si tratta di dati marginali. Basta pensare che nel 2005 i soli servizi basati sulle tecnologie informatiche e della comunicazione hanno fatto registrare un giro di affari di oltre 1.100 miliardi di dollari: il 50% dello scambio internazionale totale di servizi. D'altra parte è noto che le tecnologie informatiche e della comunicazione sono uno dei settori di punta dell'high tech, ovvero dei prodotti ad alta intensità di conoscenza aggiunta. La Cina, l'India e una estesa costellazione di stati localizzati soprattutto (ma non solo) nell'Asia continentale del Sud-Est stanno rapidamente passando da un economia che gli economisti chiamano «labour intensive» a un'economia «knowledge intensive», ovvero da un economia che produce beni di bassa e media tecnologia e che richiede un alto numero di lavoratori (poco pagati), a un'economia che produce beni e servizi ad alta tecnologia fondata sulla conoscenza che richiede pochi lavoratori, ma sempre più qualificati (e sempre meglio pagati). D'altra parte, sostiene il rapporto, c'è una diretta relazione tra la capacità di produrre (e di usare) le nuove tecnologie informatiche e la vocazione alla ricerca scientifica di questi paesi. Cosicché diventa davvero significativo il dato che già nel 2002 nei paesi in via di sviluppo viveva il29% dei ricercatori di tutto il mondo e che in Asia viveva la maggioranza relativa (il 36,8%) degli uomini di scienza del pianeta. Non stiamo assistendo a una manifestazione di colonialismo economico in salsa moderna. Non solo, almeno. IL Sud, infatti, non si limita a produrre a basso costo beni e servizi utilizzati dal Nord. Nel 2004 le esportazioni di beni e servizi ICT dal Sud al Sud del mondo, infatti, ammontavano a 410 miliardi di dollari, poco meno delle esportazione Nord-Nord (450 miliardi di dollari). Certo, restano profonde differenze nell'utilizzo delle moderne tecnologie informatiche. Nel primo mondo praticamente ogni famiglia è in grado di comunicare via telefono e quasi tutte hanno accesso a Internet. Nei paesi che una volta si chiamavano in via di sviluppo e che oggi dobbiamo definire a economia emergente la penetrazione delle comunicazioni telefoniche non va oltre il 50% e l'accesso a internet non va oltre il 25. Ma il «digital divide», le differenze di accesso alle nuove tecnologie ICT che sono parte decisiva delle nuove e crescenti disuguaglianze nel mondo, è sempre più un problema interno ai singoli paesi e sempre meno un problema tra i paesi. L'«Information Economy Report 2007/2008» ci pone, dunque, di fonte ad almeno due problemi. Uno riguarda il mondo intero e viene sottolineato dagli esperti delle Nazioni Unite: come cogliere le enormi opportunità offerte dall'economia dell'informazione e delle conoscenza e come evitare che questa economia diventi un fattore di esclusione sociale. Il secondo è molto più locale. A differenza degli esperti delle Nazioni Unite, l'Europa, come sostiene Jean Pisani-Ferry - l'economista francese che dirige la Fondazione Bruegel (presieduta da Mario Monti) - non si è accorta che il mondo sta cambiando. Da quasi dieci anni l'obiettivo di Lisbona - puntare sull'economia della conoscenza - resta, appunto, un obiettivo e l'unica pietra di paragone resta il Nord America. Sempre più paesi e regioni stanno realizzando il processo di Lisbona e il mondo della conoscenza sta diventando sempre più multipolare. Se non acquisisce consapevolezza piena di questo processo l'Europa, come sostiene l'inglese Christopher Patten, è destinata a perdere definitivamente la sua antica centralità e a incamminarsi lungo la strada del declino. In molti Paesi emergenti mane però il problema dell’accesso a Internet ___________________________________________________________ La Stampa 11 feb. ’08 DORMIRE SOTTO I PONTI PER LAUREARSI STUDENTI con il caro-casa a Parigi IL SINDACATO LANCIA LA PROTESTA: AFFITTI TROPPO ALTI PER i GIOVANI DOMENICO QUuRiCO CORRISPONDENTE DA PARIGI Il manifesto non ha certo il quieto pudore della reticenza. AL centro del letto due giovani sono impegnati in estremistici palpeggiamenti. Sul bordi i genitori dormono santamente indifferenti. KE pensare che c'è chi dice che gli studenti non hanno problemi di alloggio»: sopra la scena il commento, acre, dell'Unef, il maggiore sindacato studentesco francese, che lo ha ideato e lanciato. Se non solleverà il bigottismo giudiziario di qualche magistrato, il manifesto dovrebbe raggiungere il suo scopa: richiamare l'attenzione, governativa soprattutto, sulla drammatica situazione abitativa dei giovani. Eppure allo scopo dovrebbe essere assai sufficiente la piatta lettura delle cifre: in Francia ci sono solo 156 mila posti nei collegi studenteschi per due milioni 200 mila studenti; a Parigi sono 3500 per 310 mila giovani. Gli altri, ovviamente quelli non ricchi e che non possono pagare le tariffe irraggiungibili dell'immobiliare - a Parigi nulla sotto i 400 euro - dove vanno? Finiscono incasellati in una sigla, l'acronimo dell'incubo abitativo: «SDF» ovvero senza domicilio fisso. E' una bohème giovanile ormai senza nessun fascino. Si raccontano a proposito odissee e tribolazioni degne dei romanzi di Dickens. Per esempio, universitarie costrette ad accettare brutali mercati: sesso e attività da persona di servizio in cambio di alloggio. E' stata pubblicata tutta una letteratura di annunci, missive immobiliari esplicite di maschi che offrono un tetto a studentesse «450 euro più due week end di sesso al mese». Il lato estremo dell'arrangiarsi. Riguadagnando qualche linea verso una anormalità meno trucida ci sono gli studenti che la sera si trasferiscono con le magre masserizie nei centri di accoglimento per i senza casa; c'è chi dorme in auto, chi si è insediato in un caravan poco distante dalla facoltà, chi divi de nove metri quadri con altri 3-4 giovani. A Montpellier la Croce rossa offre a studenti senza fissa dimora un recapito dove ricevere la corrispondenza; ogni week end i locali si riempono di giovani che vengono a consumare un pasto caldo, a fare la doccia o a lavare i panni. Altri cercano soccorso presso i centri Emmaiis, l'associazione creata dall’abbé Pierre per i poveri di strada. C'è chi trova lavoro nei fast food e dorme lì dopo la fine dei turni. Alcuni sono passati nelle file degli squatters. Hanno formato un collettivo e occupano un palazzo nell'ottavo arrondissement. Ogni tanto la polizia li sgombra, loro ritornano. La solidarietà tra i fortunati e i derelitti risolve per brevi periodi almeno qualche problema. I sindacati studenteschi invocano almeno un miliardo di euro per costruire e rinnovare le case a basso canone nelle città universitarie. Chi vive in auto, chi si prostituisce per la casa_ o va alla Croce Rossa_ insieme ai barboni" ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 10 feb. ’08 FEYNMAN, RIBELLE DEI QUANTI Spirito libero, premio Nobel nel, 1965, a vent'anni dalla morte é ancora un personaggio di culto. Ha lasciato tracce durature in ogni ambito della ricerca, soprattutto delle particelle elementari di Luciano Maiani n amico mi ha raccontato che nella massiccia cattedrale di Albi; nel sud della Francia, è affrescato un rutilante Giudizio Universale. Inutilmente cercherete tra i risorti immagini di vecchi ó bambini. Le giovani guide di un gruppo cultural & cattolico locale vi spiegheranno che le scritture fissano l'aspetto della risurrezione agli anni di Cristo. Così, tutti i risorti nell'opera dei pittori francesi, dovevano avere 33 anni. Questo mi è venuto in mente pensando all'immagine di Richard Feynttlan, a due decenni dalla sua morte avvenuta nel febbraio del 1988. Di quest'uomo rimane viva in tutto il mondo l'immagine dei suoi 3o anni, quella riportata sui libri che hanno reso famoso il volto di uno scienziato del '900 che incastona una insopprimibile ironia in una intelligenza scettica e ottimistica. .. Richard Feynman è stato l'eroe di molte generazioni di fisici, inclusa la mia: Arruolato giovanissimo nel progetto Manhattan, riusciva ad aprire le casseforti militari ricostruendo il percorso mentale dell'autore della combinazione di sicurezza e lasciando il suo messaggio «Richard è passato di qui». La tecnica dei «grafici di Feynman» da lui inventata negli anni Cinquanta ha cambiato il nostro modo di pensare la meccanica quantistica e si è rivelata decisiva per esplorare e risolvere l'elettrodinamica quantistica, che i classici lavori dei padri fondatori, da Niels Bohr a Enrico Fermi a Paul Dirac, avevano appena intaccato. Feynman ha lasciato tracce durature dappertutto nella fisica moderna, dalle interazioni deboli alla teoria dell'elio superfluido, affrontando i problemi con un intuito e una chiarezza fatati. Nei primi anni Settanta, l'attenzione dei fisici era appuntata sui processi di diffusione di alta energia di elettroni su protoni. Feynman, dopo il Nobel e mille altri successi, ci insegnò à "guardare" queste reazioni per il verso giusto, scoprendone il significato semplice. Tutto andava come se il protone fosse fatto di una nuvola di costituenti elementari puntiformi, ciascuno con una certa probabilità di essere diffuso dall'elettrone. Già si sapeva che il protone è fatto di quark; ma i costituenti presenti nel protone dovevano essere molti di più dei tre quark postulati da Murray Gell-Mann. Feynman ebbè una intuizione brillante che lo portò a una soluzione pigra: chiamò "partoni" le particelle che costituiscono le parti interne del protone. Alcuni tra i partoni, disse, dovevano essere privi di carica elettrica, a differenza dei quark. Da qui una idea della costituzione del protone ad alta energia che ha rappresentato una indicazione cruciale per la teoria delle forze nucleari fondamentali. I partoni neutri erano la prima indicazione dei quanti delle forze cromodinamiche, che poi si sarebbero chiamati "gluoni" dall’inglese glue (colla), la colla che tiene insieme i quark all'interno del protone. Feynman è vissuto in un periodo storico che gli consentiva diversi ruoli pubblici: quello dello scienziato lontano dalle cose del mondo, il ricercatore scintillante all'interno di un cristallo di idee straordinariamente innovative - come Paul Dirac. Oppure lo scienziato profondamente coordinato con la politica, anche e soprattutto la politica "alta" - come Robert Oppenheimer, Richard Teller, Albert Einstein.lVIa Feynnnan scelse un altro profilo, che se non era originale, di certo lui ha interpretato con grande originalità: quello dello scienziato in grado di assumere la sua responsabilità civile come un sentiero che corre sempre accanto alla sua grande strada maestra della ricerca. È il Feynman che si confronta con la cultura umanistica, artistica e mediatica dei suo tempo rispondendo agli inviti per i convegni di sociologia o esponendo nelle gallerie. È il Feynman che con un pezzo di gomma in mano e un bicchiere di acqua ghiacciata davanti a sé spiega alla nazione come e perché lo shuttle Challenger è esploso poco dopo il lancio. E lo spiega grazie a una indagine da detective scientifico, andando a parlare cori gli operai che producevano i pezzi dell'astronave con le loro mani, e non solo con i responsabili finali (e lontani) della produzione: In questa lista dell'impegno civile vorrei aggiungere un'ultima cosa. Richard Feynman è stato un grande maestro. Non basta a spiegare quanto grande nemmeno la buffa reliquia del suo furgone che i suoi studenti - e gli studenti dei suoi studenti - conservano ancora al California Instifute of Technology: Perché Feynman non hà insegnato qualcosa solo a loro. Ha firmato libri che sono stati letti in decine di lingue e ristampati e ristampati ancora (Zanichelli rimanda in libreria proprio in questi giorni Sta scherzando, Mr Feynman e Che t'importa di ciò che dice la gente?). Milioni di persone hanno percepito lo "human touch" della scienza, le sue idee e i suoi linguaggi che arricchiscono l'umanità, l'individuo, la sua gioia di vivere. Ho visto Richard Feynman perla prima volta in un congresso a Pisa,;negli anni Sessanta. Eravamo andati in Soo (intesa come l'utilitaria) da Roma per sentire le star; da Oppenheimer a Tsúng-dao Lee, a Vladimir Fock, ma soprattutto per lui. Mi aspettavo un discorso di fisica, ma Feynman parlò delle deviazioni irrazionali della società americana, dalla rinascita dell'astrologia alle sette religiose. Ne parlò con grande preoccupazione sopratutto per i pericoli cui andavano esposte le giovani generazioni. A me sembrò eccessivo ma adesso, quando ci ripenso, capisco che vedeva almeno trent'anni avanti a tutti noi. LA SUA LEZIONE CONTINUA NEL WEB Computer quantistici, nanoscienze, particelle supersimmetriche, il lavoro di Feynman non tramonta e neppure il suo personaggio eccentrico e insieme centrale sul quale tanti fisici continuano a riflettere e misurarsi. Sembra incarnare uno modo di fare scienza ideale, ma non perfetto, che rimanda al suo contrario in una simmetria cosi semplice da essere irresistibile: «Esistono due tipi di geni, i "normali" e i "maghi". Con i maghi, anche dopo che abbiamo capito quanto hanno fatto, il processo attraverso il quale ci sono arrivati ci rimane completamente oscuro. Richard Feynman è un mago di altissimo calibro». La contrapposizione di Mark Kac, citata da James Gleick in Genio (Garzanti, 1994, biografia insuperata) è la più nota. Freeman Dyson prende a prestito le due categorie di Archiloco. «La volpe conosce molti trucchi, il riccio uno solo... La maggior parte delle grandi scoperte scientifiche è fatta da ricci; delle piccole scoperte da volpi. Albert Einstein era un riccio; Richard Feynman era una volpe». Ma nell'Universo senza stringhe (Einaudi, 2007), Lee Smolin distingue tra «i maestri artigiani, bravi a lavorare con gli strumenti tecnici» e «i veggenti, sognatori [CHE] entrano nella scienza perché s'interrogano sulla natura dell'esistenza senza trovare le risposte nei libri di testo» e colloca Feyriman tra i veggenti. In rete si trova Feynman in persona, o il suo personaggio, e sedotti o irritati che siano, i lettori se ne faranno un'idea più sfumata, credo. Su YouTube, il "mago" spiega così l'oscuro funzionamento del proprio cervello: «confusione, uno stato d'infelicità costante. Come te scimmie che armeggiano con due bastoni per cercare di arrivare alla banana, all'idea, e non c'è verso, mi sento sempre stupido... poi, chissà come i bastoni s'incontrano e raggiungo la banana!» (Confusion, 1963). Pare da volpe il percorso intellettuale che traccia nella conferenza Nobel del 1965. Diagrammi e integrali che portano il suo nome risolvono un problema, mE per una via piena di sforzi inutili e mere congetture matematizzate. «Sognavo che se fossi stato bravo, avrei trovato una formula insieme semplice e bella», come quella di Dirac, dice. «Non sono mai riuscito a fare nemmeno quello» Non lo dice per finta modestia, era negato sia per la modestia che per fingere, ma con un senso dei propri talenti e limiti, e un'onestà evidente nell'intervista del 1981 che la BBC ha messo online in novembre. È ripresa nel Piacere discoprire (Adelphi), suggerito al debuttante che, arrivando magari da Wikipedia, teme di smarrirsi nell'integrale feynmaniana comprende circa 50, volumi, autografi e,trascritti, biografie, agiografie, narrativa, e si aggiungono di continuo materiali audio e video, manca solo l'opera teatrale di Peter Parnell, Un giorn, nella vita di Richard Feynman. Da Internet, gli amanti del melò possono procurarsi Infinity, il'film di e con Matthew Broderick, una love story cui fa da sfondo la prima bomba atomica e tratta dai libri di memorie ricordati da Luciano Maiani nel suo articolo; e sul sito del Vega Trust, gli amanti della fisica potranno procurarsi i filmati delle quattro conferenze del 1979, raccolte in QED. La strano teoria della luce e della materia (Adelphi), sei ore di estasi, gratuita. Sylvie Coyaud ___________________________________________________________ Tst 13 feb. ’08 TIMBUKTU: LE SCIENZE PERDUTE SONO TRA LE SABBIE Corsa per salvare la biblioteca di "Leggeremo manoscritti di mille armi fa" Tra Medioevo e computer La storia di una fetta di mondo è sul punto di essere buttata via e riscritta da capo, ma prima bisogna sporcarsi le mani con i dollari del presidente sudafricano Thabo Mbeki: dare la caccia alle termiti e ai topi, togliere tonnellate di polvere, rimuovere la sabbia che sfigura le parole come una grattugia: Si devono rimettere assieme migliaia di pagine sul punto di sfarinarsi, incollare serie interminabili di testi su strati di carta giapponese, rilegare quantità indefinite di libri sottosopra come cubi di Rubik. E poi si scannerizzerà riga dopo riga e, mentre milioni di frasi e di versi verranno depositati, ancora convalescenti, prima nelle memorie elettroniche e poi in scatole sigillate, si comincerà a leggere, tradurre e interpretare, cercando di non farsi soffocare dall'attesa rivelazione. Ecco che cosa succede quando si affondano le mani nella Alessandria d'Egitto dell'Africa Nera e si tenta di rianimare i messaggi di una labirintica biblioteca che si disfa un po' ogni giorno e vanta tesori antichi anche un migliaio di anni. A Timbuktu, in Mali, tutti conoscono luci e ombre della sceneggiatura: ai turisti si fanno vedere malinconici depositi in disordine, dalle fondazioni europee e americane si pretendono finanziamenti, ai ricercatori volenterosi si affidano mucchi instabili, come le carte che entro fine anno saranno ordinate nel nuovo centro voluto dal governo di Pretoria vie!no alla moschea Sankoré e all'ancora più fotografato minareto piramidale. E si ripete sempre lo stesso mantra: prima o poi la verità verrà fuori, come un forziere dalle dune, e la storia sarà da rivedere, quella africana, quella del Medio Oriente, quella dell'Islam e quella europea. Risentiremo finalmente le mille voci di un'Africa inaspettata, che tra il Medioevo e il Rinascimento dei bianchi è stata uno dei forzieri del sapere universale. Questo - è evidente - non è il cuore di tenebra di Conrad o il fumettone di Tarzan. E' il continente dei grandi imperi - Ghana, Mali e Songhai, fioriti tra l’VIII e il XVI secolo e poi inabissatisi - e delle fantastiche ricchezze d'oro, d'avorio e di schiavi, delle autostrade commerciali lungo il deserto del Sahara e il fiume Niger, delle università e degli intellettuali e soprattutto dei 100 mila manoscritti (probabilmente di più), che giacciono, sopravvivendo a stento o già in decomposizione, in una delle città-simbolo del passato, la Timbuktu trasfigurata dalle leggende e riscoperta nel 1828 da un esausto francese, René Caillé. Lui si dichiarò sconvolto dalla miseria e soprattutto dalla spaventosa sporcizia. Oggi a stupire è semmai la persistenza di una tradizione di tolleranza, che cerca ossigeno nei soldi dei turisti e nelle donazioni di associazioni e governi, come gli otto milioni garantiti da Mbeki. II presidente li ha messi insieme dopo un'illuminazione: la commossa visita all'KAhmed Baba Institute», una delle 20 biblioteche private che per generazio ni hanno raccolto spasmodicamente libri e che da oltre quattro secoli, dopo il declino seguito all'invasione marocchina del 1591, tentano di tramandarne i resti. Lì ce ne sono 30 mila. «E' tra i tesori più importanti di tutta l'Africa», ha detto Mbeki e il team rapidamente mobilitato ha cominciato a trasferire su computer i testi. «Vogliamo creare una libreria virtuale, a disposizione degli studiosi del mondo», spiega con entusiasmo uno dei ricercatori, Muhammad Diagayete, lui stesso preso alla gola da tanta abbondanza. Vergati in arabo e in diverse lingue africane (gli esperti parlano di Hijazi, Maghribi, Sudani, Suqi, Naskh e altre ancora), i manoscritti coprono ogni disciplina immaginabile, dalla storia alla medicina, dalla legge penale ai diritti di proprietà, dall'astronomia alla filosofia, dalla matematica alla letteratura, dalla botanica alla religione (non solo islamica), a cui si aggiungono le liste di registrazioni che fanno felici gli storici: nascite e morti, transazioni e contratti, processi e condanne, confessioni private e disposizioni ufficiali. Tramandata su diversi tipi di carta, su pelli di gazzella e su cortecce d'albero, questa babelica enciclopedia distrugge lo stereotipo ottocentesco di un'Africa primitiva, senza parola e senza scrittura, popolata di «selvaggi» anziché di dinastie reali e di scienziati. Mentre svela un Islam curioso di sé e del mondo, modernamente multiculturale, spalanca anche le porte a un orgoglio continentale fondato sugli stessi primati culturali dell'Europa. Se uno dei primi a rivendicarlo è stato Henry Louis Gates, lo storico afroamericano della Harvard University diventato una celebrità negli Anni 90, ora comincia a sentirsi un benefico effetto-valanga: ci si impegna, per esempio, nel salvataggio del «Fondo Kati Bibliothèque», fenomenale per le avventure che l'hanno creato. Molti testi furono impacchettati a ime XII e XIII secolo dagli antenati del proprietario, Ismael Haidara, quando lasciarono l'Andalusia e dopo un epico viaggio nel deserto si fermarono a Timbuktu. E intanto continua l'opera di restauro alla «Mama Haidara Library», dove grazie ai dollari spediti dagli Usa si sta digitalizzando la collezione di 9 mila opere e costruendo spazi per studiosi e turisti, accanto all'indispensabile Internet café. Molte biblioteche infatti si autopromuovono in Rete (lo si vede all’indìrizzo http://www.sum.uio.no/research/mali/timbuktu/privates/mamma/index.html) e tentano di farsi concorrenza, come accadeva mezzo millennio fa. AL volante di auto scassate, in groppa ai cammelli e incastrati su piccole canoe, gli inviati dell'«Ahmed Baba Institute» battono i villaggi alla ricerca di libri preziosi, in cambio di soldi o capre. E altri «cacciatori», quando si riesce a persuaderli, tracciano mappe di innumerevoli tesori. A Ber, a due ore da Timbuktu, ce ne sarebbero tantissimi, sepolti sotto la sabbia. I proprietari, anche se spesso analfabeti, tengono le bocche cucite. Non vogliono profanatori nella loro città sotterranea di parole e numeri. ======================================================= _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 feb. 08 SARDEGNA: TAGLI ALLA SANITÀ PER IL BUCO DI BILANCIO Dopo la sentenza della Corte. E Soru ammette: «Colpa mia» «Sono io che vi ho portato in questa situazione, me ne assumo la responsabilità». Un Renato Soru in versione da mercoledì delle ceneri, quasi a capo chino, ha parlato così agli alleati due sere fa, a botta calda: quando la notizia della bocciatura delle tasse sul lusso era appena filtrata da Roma. Quasi delle scuse, da parte del governatore, se non fosse per la convinzione di aver combattuto la buona battaglia: però perdente. DISORIENTATI Da un lato il mea culpa presidenziale, dall'altro i consiglieri della maggioranza con un'aria da ultima cena. Tanto che uno dei discepoli ha chiesto conto al capo delle ipotesi di sue dimissioni, l'estremo sacrificio che si ipotizzava come conseguenza degli ultimi mesi di rovesci politico-giudiziari. «No, andiamo avanti», è stata la risposta. Rassicurante. Per ora. E così la giornata di ieri, il day after dello stop della Consulta alle tasse regionali, è stata in gran parte dedicata alla ricerca dei rimedi. L'eliminazione del prelievo sulle seconde case dei non residenti e sulle plusvalenze immobiliari apre un buco di quasi 100 milioni (teorici) nel bilancio 2008: non una voragine, in una manovra superiore ai sette miliardi di euro, ma comunque vanno ripianati. In realtà la cifra reale da reperire, nelle altre voci della Finanziaria, è di 50 milioni. Perché altri 45, previsti in entrata grazie alle tasse, dovevano andare a finanziare il fondo in favore delle zone interne: venendo a mancare quell'entrata, sarà soppressa la relativa uscita. I SACRIFICI DELLA SANITÀ Gli altri 50 milioni arriveranno, quasi sicuramente, da un taglio della sanità. Con un emendamento all'articolo 8 (che arriverà in aula martedì) sarà ridotto da 371 a 321 milioni lo stanziamento per «la realizzazione di strutture ospedaliere di eccellenza, la riqualificazione e ristrutturazione degli ospedali, dei centri di riferimento dell'Isola e delle aziende ospedaliereuniversitarie ». IL PASTICCIO REGOLAMENTARE La somma risparmiata servirà appunto per colmare il buco creato dalla sentenza della Corte costituzionale. Resta in ogni caso la necessità di riportare in aula l'articolo 1 della Finanziaria, dedicato alle entrate, già approvato dall'assemblea. Fin da mercoledì notte i funzionari del Consiglio regionale si sono messi a studiare ogni piega dei regolamenti parlamentari, per capire come ritornare su una norma già votata. A dire il vero, in maggioranza c'era anche chi pensava di poter andare avanti, visto che ancora la sentenza della Consulta non la si conosce se non per qualche anticipazione. Ma è prevalso l'orientamento di correggere subito la manovra ed evitare assestamenti di bilancio successivi. «Non si può fare diversamente», osserva Giuseppe Luigi Cucca, presidente della commissione Bilancio, «abbiamo la possibilità di rimediare subito: non avrebbe senso approvare una manovra che sapremmo già condizionata dalla decisione della Corte costituzionale». CHI HA PAGATO Ora però c'è la necessità di capire che cosa potrà fare, per riottenere i propri soldi, chi negli anni scorsi ha pagato le tasse. Ieri sul sito dell'Agenzia regionale delle entrate è apparso un avviso riferito alla sentenza sulle imposte: Si informano i contribuenti che verranno pubblicate su questo sito ulteriori informazioni non appena sarà noto il testo integrale della sentenza e saranno definite le necessarie disposizioni in merito . Un annuncio che sembra aprire la strada alle richieste di risarcimento. Ma è ancora presto per sapere quali diritti potrà vantare chi ha pagato. IN AULA Intanto il Consiglio, a parte un dibattito sulle dichiarazioni di Soru a proposito della vicenda delle tasse, ha approvato definitivamente l'articolo 6 della Finanziaria, in materia di occupazione. Il via libera al maxiemendamento concordato da Giunta e Sinistra arcobaleno (senza voti contrari: il centrodestra si è astenuto) ha risolto il lungo braccio di ferro sull'argomento. Soddisfatti i consiglieri della Cosa rossa (Prc, Pdci e Sinistra democratica), non del tutto i sindacati. Soprattutto la Cisl: «L'emendamento - dice il segretario Mario Medde - non recepisce le proposte più significative» avanzate dalle organizzazioni dei lavoratori. Ma il leader della Cgil Giampaolo Diana si dissocia: «Il nostro giudizio resta positivo», pur con alcune lacune. La parte sul lavoro non era però l'ultimo ostacolo della manovra. Ieri è iniziata la discussione generale sull'articolo 7, dedicato alle attività produttive: quello che comprende la mezza riforma dei consorzi industriali. Il punto forse più a rischio, per la tenuta della maggioranza, di tutta la Finanziaria. GIUSEPPE MELONI _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 12 feb. 08 SANITÀ, UN FALLIMENTO ANNUNCIATO Il Piano regionale compie un anno di Franco Meloni A gennaio dell'anno scorso, il Consiglio Regionale ha approvato, dopo ampio dibattito e polemiche vivacissime, il Piano Sanitario Regionale. Atteso da vent'anni e temuto da molti, è stato presentato dall'assessore come la risoluzione definitiva di tutti i problemi della sanità sarda, lo spartiacque tra il vecchio e la nuova sanità del terzo millennio: basta imbrogli, basta interessi inconfessabili, basta primariati e prebende regalati agli amici e agli amici degli amici, basta inciuci tra i vecchi e nuovi padroni della sanità. Insomma, basta quasi tutto. Doveva garantire quello che, almeno a detta dell' assessore Dirindin, i sardi aspettavano da vent'anni ma che l'oscuro e sotterraneo intrecciarsi di interessi e sottopoteri non aveva consentito di raggiungere. Spese sotto controllo, ordine e programmazione dappertutto, fine delle liste d'attesa, meritocrazia diffusa, insomma una specie di "manna" degna del Vecchio Testamento. A distanza di un anno dalla sua entrata in vigore, alzi la mano chi si è accorto di cambiamenti, con la cortese astensione dei beneficiati dal vigente regime. Nulla di quanto era stato promesso si è avverato e questo non è una sorpresa per chi il Piano l'ha letto, studiato e capito ma soprattutto l'ha valutato con serenità e senza fette di prosciutto partigiano sugli occhi. Il Piano ha fallito, almeno per ora, e non è difficile comprendere perché. Era basato su un assunto sbagliato e cioè la territorializzazione dell'assistenza per superare l'ospedalocentrismo che, sempre a detta degli attuali padroni del vapore, aveva ingiustificatamente caratterizzato fino ad allora la sanità sarda. E proprio qui sta il punto, dato che i fortissimi preconcetti in chi doveva decidere hanno impedito di capire che l'ospedalocentrismo in Sardegna non era una follia maturata nella mente di chi in precedenza aveva governato il sistema, non uno spreco ingiustificato di risorse, non un frutto deteriore di clientelismo o di malversazione, non una ricerca esasperata di primariati da parte della classe medica sarda. In realtà esso rispondeva, e risponde tuttora, a una vera e propria necessità che si attagliava perfettamente alle caratteristiche demografiche e geografiche dell'Isola. La Sardegna non è la Lombardia dove in poche decine di chilometri quadrati si trovano 3 milioni di persone (come a Milano) e neppure l'Emilia dove, in una superficie territoriale simile alla nostra, si trovano tre volte i nostri abitanti: qui c'è una situazione unica in tutto il Paese, con una superficie di 24.000 chilometri quadrati su cui sono letteralmente sparpagliati solo 1.650.000 cittadini. Non occorre una cattedra universitaria per capire che portare le prestazioni assistenziali in ogni singolo villaggio dell'Isola ha un costo elevatissimo oltre a presentare una grandissima difficoltà di mantenimento di adeguati livelli di competenza professionale, mentre concentrare attività e competenze in ospedali opportunamente distribuiti nel territorio assicura non solo una spesa compatibile con le risorse disponibili ma consente anche di garantire un livello qualitativo più che dignitoso. Quindi lo sviluppo del servizio sanitario sardo negli ultimi trent'anni ha, e ha avuto, un disegno profondamente razionale e una logica che gli ha permesso di portare l'Isola tra le regioni italiane più progredite nel settore. Certo sappiamo bene che molti sardi vanno a farsi curare fuori regione, ma bisogna dire che il tasso di emigrazione sanitaria è molto contenuto e comunque enormemente inferiore ai tassi di altre regioni del sud come Calabria e Sicilia per le quali valgono sostanzialmente le stesse difficoltà di viaggio che ci sono per i sardi (non credo che da Trapani o da Reggio Calabria vadano a Milano o a Bologna in automobile o in treno). Anche perché molta della emigrazione sanitaria sarda è legata ai problemi dell'oncologia e soprattutto della radioterapia che però il coraggioso progetto del precedente direttore della Asl 8 cagliaritana, poi modificato dall'attuale gestione, ha avviato a soluzione. L'errore di base, dovuto a scarsa conoscenza della situazione sarda, della storia e delle tradizioni del nostro popolo e del nostro sviluppo negli ultimi 25 anni, permea tutto il Piano e, sempre che non saltino improvvisamente fuori risorse economiche straordinarie (e permanenti), è destinato a renderne duraturo il fallimento che abbiamo vissuto in questo primo anno. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 10 feb. 08 SANITA’:SI PARTE DAI NUOVI LIVELLI DI ASSISTENZA L'«ordinaria amministrazione» nei ministeri 2/Sanità Roberto Turno C'è l'ordinaria amministrazione da sbrigare e gli «atti dovuti» da portare a compimento. Poi ci sono le pratiche ingombranti soprattutto sotto campagna elettorale con il centrodestra e la Chiesa che fanno le barricate pronte a sfruttare ogni occasione "eticamente sensibile" (leggi, prima tra tutte: le linee guida sulla procreazione assistita), ma ci sono anche quelle misure che è bene fare subito, per non lasciarle a un Governo "nemico". Nel limbo del «Prodi 2» dimissionario che continua a gestire l'esistente prima di passare la mano agli inquilini che verranno, al ministero della Salute sono cominciate le prove generali di fine legislatura. Nessuno ancora ha fatto le valigie, si continua a lavorare. È chiaro: ben sapendo che la svolta può essere dietro l'angolo. Con un'incognita in più sullo sfondo: non è dato sapere se col prossimo Governo il ministero continuerà a vivere di luce propria o se diventerà un sottoprodotto del ministero del superwelfare nella salsa proposta dal "decreto Bassanini" resuscitato dalla Finanziaria 2008. Così, per Livia Turco e il suo staff le prossime settimane non saranno esattamente di riposo. Anzi. Il tempo stringe e c'è la voglia di tentare di chiudere il più possibile delle partite aperte. Perché superata l'amarezza di un lavoro interrotto neppure a metà e con diversi Ddl rimasti in naftalina alle Camere - i collegati su qualitàsicurezza e nomine nel Ssn e la non autosufficienza, le misure anti burocrazia - adesso si cerca di serrare i ranghi e di accelerare, anzitutto con le Regioni. Come il tentativo in atto già da qualche settimana, ma ribadito appena giovedì scorso dal ministro, di arrivare a un'intesa con le Regioni sulle nuove regole per la sicurezza degli ospedali, aggirando il mancato varo della legge proposta dalla Turco. Ed ecco ancora che su una partita decisiva, i nuovi Lea (livelli essenziali di assistenza), nelle ultime ore sembra essersi aperto più di uno spiraglio. Giovedì 6 marzo, secondo una ufficiosa tabellina di marcia, il decreto del presidente del Consiglio (Dpcm) sui Lea dovrebbe arrivare all'esame della Stato-Regioni, anche se in una forma in qualche modo edulcorata in omaggio alle richieste dei governatori. I confronti sono già stati avviati e i tecnici governativi e regionali sono al lavoro, sempreché l'Economia non decida di tirare i freni e di chiedere strette pesanti. Ipotesi che però sembrerebbe politicamente inopportuna, soprattutto nell'imminenza delle elezioni. Sempre per il 6 marzo, poi, dovrebbe arrivare definitivamente al traguardo anche il riparto dei 101 e rotti miliardi stanziati per il 2008, fin qui frenati dal "caso Lazio". Una specie di "scambio" tra ministero e Regioni, quello tra Lea e divisione della torta del 2008. Ma per la Turco non tutta l'ordinaria (o meno) amministrazione filerà speditamente. Molta prudenza - a dispetto della parte più laica della (anche ex) coalizione - ad esempio c'è alla Salute per il varo delle linee guida sulla procreazione. Il "Piano vaccini", atteso da tempo, potrebbe uscire presto dal guado. Sui farmaci è in pieno svolgimento da parte dell'Aifa il confronto con le aziende per i budget 2008. I problemi rischiano però di crescere per il rispetto della delega (25 maggio) sulla sicurezza lavoro. E forte incertezza c'è anche sui Fondi sanitari integrativi, davanti alla scadenza (fine febbraio) indicata dalla Finanziaria 2008: o non se ne farà niente o si arriverà a una riforma più light rispetto alle intenzioni. Un'accelerata invece c'è da aspettarsi sul passaggio di consegne dalla Giustizia alla Salute della medicina penitenziaria. Infine i capitoli scottanti del personale. Ormai a un passo dalla scadenza della delega (4 marzo), il decreto legislativo che istituisce tre Ordini professionali sarà mercoledì prossimo in pre Consiglio dei ministri: dopo di che si forzerà la mano in Parlamento, anche perché già esistono intese bipartisan. Quanto alle partite su contratti e convenzioni, la patata bollente toccherà al prossimo Governo. Proprio ieri l'Aran ha convocato medici e dirigenti per lunedì 25 febbraio: già qualcosa, ma solo l'avvio dell'abboccamento. Mentre i medici di famiglia non hanno avuto neppure l'atto di indirizzo da parte del Consiglio dei ministri. Ma non è detto: prima delle elezioni, almeno quello, potrà arrivare. Seconda puntata La precedente, dedicata al ministero del Lavoro, è stata pubblicata ieri Foto: IMAGOECONOMICA Foto: Sanità. Il ministro Livia Turco I DOSSIER APERTI In dirittura d'arrivo: Aggiornamento dei Lea, i livelli essenziali di assistenza (giovedì 6 marzo il Dpcm dovrebbe arrivare all'esame della Stato-Regioni) Riparto di 101 mld del 2008 Piano vaccini 3 Nuovi Ordini professionali Sanità penitenziaria (attesa un'accelerazione sul passaggio di consegne dal ministero della Giustizia alla Salute). Misure a rischio Riforma dei Fondi integrativi (la scadenza indicata dalla Finanziaria 2008 è fine febbraio). Linee guida procreazione Contratti e convenzioni Indennizzi emotrasfusione _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 11Sanità. L'accordo Stato-Regioni I MEDICI PREPARANO LA SVOLTA IL REGIME «ECM» Per il triennio 2008-2010 sono previsti 150 «bonus» per ogni operatore sanitario, libero professionista o dipendente Sara Todaro Fase transitoria agli sgoccioli, rivoluzione già disegnata e novità alle porte sul pianeta della formazione continua in medicina, nota come Ecm. A dettare le nuove regole è l'accordo Stato- Regioni del primo agosto scorso, poi convalidato dalla Finanziaria 2008, che ha sancito il cambio di rotta sulla "governance" del sistema dopo un quinquennio. Obiettivo: raddrizzare la barra della formazione continua, dando spazio a tutti i soggetti in campo - Regioni, Ordini e associazioni professionali in primis - senza però tradire la funzione nazionale di indirizzo e coordinamento. Per questo la nuova architettura del sistema prevede in primo luogo una casa comune e un cambio di domicilio: la Commissione nazionale Ecm - attualmente in fase di ricostituzione - continuerà a dettare regole valide a livello nazionale ma traslocherà armi e bagagli presso l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari, come a suo tempo richiesto dai governi locali all'insegna del Titolo V della Costituzione e come appunto sancito dalla Finanziaria. Tra le novità in arrivo, il passaggio dall'accreditamento degli eventi all'accreditamento dei provider, nazionale e locale; la parificazione dei crediti comunque acquisiti; la creazione di anagrafi formative interconnesse, regionali e nazionale; l'affidamento al consorzio Cogeaps - soggetto no profit facente capo a ordini e associazioni di categoria - della funzione di registrazione e certificazione dei crediti. La riorganizzazione è però tutta da avviare: la prima verifica del processo è fissata a giugno 2008. Nel frattempo la macchina dell'Ecm continuerà la sua marcia, prevedendo una doppia possibilità di accreditamento: per il triennio 2008-2010 sono previsti 150 crediti obbligatori per ogni operatore sanitario, medico e non medico, dipendente o libero professionista, nel pubblico e nel privato. Per tutti serviranno 50 crediti/anno (minimo 30-massimo 70 l'anno), potendo recuperare solo 60 dei crediti in esubero eventualmente ottenuti fino al 2007. E saranno Ordini e Collegi professionali a vigilare che la formazione acquisita sia coerente con l'attività realmente svolta dal professionista. L'ossatura c'è tutta. I dettagli attendono. Basti pensare che sulla questione delle sanzioni per i professionisti che non si aggiornano, così come sulle regole di trasparenza per le sponsorizzazioni e sul conflitto di interessi, tutto è rinviato allla stesura di regole condivise con le parti in causa (aziende, sindacati e così via). Un primo approccio è in programma giovedì, in occasione dell'incontro tra la Fnomm (ordini dei medici) e i vertici Farmindustria e Assobiomedica: sul tavolo la bozza di proposte che abbracciano più aspetti dei rapporti tra medici e industria. Per la formazione si suggerisce la creazione di un organismo super partes che dia un bollino di qualità alle inizative in pista. Ma sul tappeto resta l'ipotesi - abbozzata nel documento di agosto - di organismi locali chiamati a fare da collettori unici delle sponsorizzazioni per poi ridistribuirle in modo trasparente nel circuito dell'Ecm. feb. 08 _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 feb. 08 SANITÀ, CENTO MILIARDI ALLE REGIONI Salute. Accordo Stato-governatori per ripartire le risorse messe in campo dalla Finanziaria Dal 1992 fondi per il sistema pubblico più che raddoppiati TEMPI RIDOTTI In via di definizione il decreto sui livelli essenziali di assistenza che potrebbe essere esaminato in Conferenza a inizio marzo Roberto Turno ROMA San Valentino con 101,4 miliardi in più in tasca per le Regioni. Alla Conferenza Stato-Regioni di ieri i governatori hanno concordato definitivamente con il Governo il riparto delle risorse sanitarie per il 2008 decise con la Finanziaria. Una vera e propria boccata d'ossigeno per le casse regionali, che per il 70-75% dipendono proprio dalla Sanità: «Un fatto molto importante - ha dichiarato infatti il rappresentante dei presidenti, Vasco Errani (Emilia Romagna) - perché ci consente di usufruire delle risorse in tempi adeguati». Se non ci fosse stato il "caso Lazio" di mezzo, d'altra parte, la divisione del Fondo sanitario nazionale 2008 sarebbe arrivata anche prima. Anche se la decisione, va detto, è arrivata quest'anno in tempi pressoché da record. A questo punto tocca al Cipe varare definitivamente l'assegnazione della "torta". Che lievita di 4,4 miliardi rispetto al 2007 e addirittura di 10,4 miliardi nei confronti del 2006. In quindici anni, a partire dal 1992, i fondi per la Sanità pubblica sono più che raddoppiati, con un incremento che ha sfiorato il 50% rispetto all'assegnazione del 2001. A questo punto, tuttavia, la partita per le Regioni si sposta sulle prossime sfide in arrivo. Che sono molte e spesso complicate. Quella, anzitutto, di tenere al guinzaglio la spesa di Asl e di ospedali, con i confronti sempre aperti con Economia e Salute sui piani di rientro dai vecchi disavanzi, Lazio in testa. Poi, politicamente, sul rapporto che si stabilirà con il prossimo Governo, tanto più in caso di sconfitta del centro-sinistra alle prossime elezioni. Molti degli equilibri attuali, infatti, potrebbero cambiare, anche nella "geografia" politica che potrebbe stabilirsi tra le stesse Regioni. Per non dire delle nuove prospettive che si aprirebbero nel caso il ministero della Salute col prossimo Governo finisse annacquato (con solo un vice ministro?) nel dicastero del super Welfare, perdendo d'un colpo l'attuale ruolo di ministero di prima grandezza. Un aspetto, questo, contestato pressoché da tutte le categorie dell'universo del Ssn, ma su cui le Regioni - direttamente interessate - non si sono finora espresse ufficialmente. Altro appuntamento da considerare è, poi, quello dell'aggiornamento dei Lea (livelli essenziali di assistenza): il Dpcm è in via di riscrittura e potrebbe arrivare allo Stato-Regioni del 6 marzo. Ministero dell'Economia permettendo. Ministero dell'Economia che deve anche sbloccare i 180 milioni per indennizzare gli emotrasfusi: le associazioni chiedono di varare subito il decreto. Foto: - Fonte: ministero della Salute _____________________________________________________________ Repubblica 14 feb. 08 COME SI RILANCIA LA STRATEGIA DEI VACCINI DOPO L ' HPV SI STUDIANO, ANCHE IN ITALIA, QUELLO PER IL CANCRO OVARICO E ALTRI. CONVEGNO A FIRENZE Mentre in Italia ci si sta preparando a vaccinare tutte le dodicenni contro il papilloma virus (l'HPV, da cui si sviluppa poi il cancro al collo dell'utero), e il ministero della Salute ha avvertito che il vaccino sarà disponibile da marzo (Regioni pronte pre le gare di approvvigionamento), si sta anche sperimentando un vaccino contro le recidive del cancro ovarico. Se ne è parlato a Firenze, nel corso della giornata sull'etica dell'informazione biomedica, organizzata in collaborazione tra Ordine dei medici e Ordine dei giornalisti, e interamente dedicata, in questa sua seconda edizione, ai vaccini. Un anticorpo biotecnologico «II cancro ovarico è uno di quelli più difficili, che non si riesce né a prevenire, né a curare bene», spiega Giovanni Scambia, docente di ostetricia e ginecologia all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, responsabile della sperimentazione per l'Italia, «È un tipo di tumore che si cronicizza e sviluppa resistenza ai farmaci. Stiamo sperimentando un vaccino che potrebbe prevenirne le recidive: un anticorpo monoclonale, che colpisce selettivamente le cellule cancerose». Allo studio MIMOSA (acronimo di Monodonal Antibody Immunotherapy for Malìgnancies ofthe Ovary by Subcutaneous Abagovomab) partecipano circa 900 donne di tutto il mondo (Usa, Germania, Italia, Polonia, Repubblica Ceca, Spagna, Ungheria, Belgio), che vengono trattate in 120 centri. L'Abagovomab è un %"acdno biotecnologico, che stimola il sistema immunitario delle pazienti a combattere la recidiva del tumore, evento che si verifica nel 50-80% dei casi, anche quando chinirgia e chemioterapia hanno ottenuto ottimi risultati. «Il problema», dice Scambia, «è che in Italia solo una piccola quota di pazienti entra nelle sperimentazioni. Bisognerebbe far capire alla gente che dove si fa ricerca si cura meglio». Per informazioni: wuw.mimosa-study.com, e www.dinicaltrials.gov di Lucia Zambelli Polemica sull'obbligatorietà Inevitabile, in un convegno sui vaccini, la polemica obbligo sì/obbligo no per le vaccinazioni ai bambini. Il Veneto l'ha già abolito, ma anche il nuovo Piano vaccinale che dovrebbe essere varato a livello nazionale sospenderà l'obbligatorietà, sostituendola con la responsabilizzazione e l'autodeterminazione dei genitori, che potranno scegliere, su consiglio del pediatra, se e quali vaccini somministrare ai figli. Dall'iniezione alla pillola Tante le novità anche sul futuro dei vaccini. «Arriveremo presto a vaccini "edibili", da prendere per bocca », spiega Sergio Romagnani, ordinario di medicina interna all'Università di Firenze. «Ci sono già trial dinici in corso. Pillole a base di patata, in cui è stato precedentemente iniettato il germe patogeno della malattia. Saranno utili soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, dove la tecnologia vaccinale di tipo iniettivo è troppo costosa (trasporto, conservazione, personale)». Il vaccino contro il virus H5N1, l'aviaria: «C'è il terrore che diventi una pandemia mortale», ricorda Romagnani, «II vaccino è già stato prodotto, ma non sappiamo se sarà attivo su un virus che nel frattempo si sarà modificato. Poi si riuscirebbe a produme 400 milioni di dosi l'anno, ma in caso di pandemia ne servirebbero 13 miliardi di dosi. La soluzione proposta dall'Oms è quella di stoccare un possibile vaccino candidato...». Antrace «L'attuale vaccino è efficace, garantisce una protezione di oltre il 90%», informa Cosima Baldari, ordinario di biologia molecolare dell'Università di Siena, «Ma è un po' complicato, deve essere somministrato in 6 dosi per un anno e mezzo. È in fase di sviluppo un vaccino di seconda generazione». E in un futuro non lontano, i vaccini potranno anche sostituire gli antibiotici: «È un'ipotesi per combattere numerose infezioni batteriche, visto lo sviluppo di resistenze». _____________________________________________________________ Corriere della Sera 10 feb. 08 VACCINI ASSOLTI DALL' ACCUSA DI INNESCARE L' AUTISMO Mercurio Per precauzione in molti Paesi, Italia compresa, già da tempo il mercurio è stato eliminato dai vaccini Ci sono voluti dieci anni per assolvere definitivamente il vaccino contro morbillo, parotite e rosolia dall' accusa di favorire la comparsa di autismo. E non molti di meno per dimostrare che le piccolissime quantità di mercurio contenute nel thimerosal, un conservante utilizzato in passato nella produzione di altri vaccini, vengono immediatamente eliminate e non hanno il tempo di fare danni. La prima, più che un' accusa, era un sospetto, che si basava solo su dodici bambini con disturbi intestinali e comportamentali, nove dei quali erano stati etichettati come autistici. La correlazione temporale tra la regressione nel comportamento e la vaccinazione contro morbillo, parotite e rosolia aveva acceso la miccia. «La diffusione della notizia ha poi soffiato sul fuoco - commenta Antonio Addis, direttore dell' Ufficio informazione sui farmaci dell' Agenzia italiana del farmaco (Aifa)-. La comunità scientifica e le autorità, invece, fanno bene a prendere sul serio ogni segnale d' allarme e a valutarlo accuratamente». La rassicurazione definitiva viene ora da un gruppo di ricercatori britannici che hanno esaminato quasi 250 bambini. Un centinaio soffriva di varie forme di autismo, una cinquantina aveva problemi mentali di diverso tipo e gli altri erano coetanei con un normale sviluppo neuropsicologico: tutti erano stati regolarmente vaccinati, ma i loro campioni di sangue non si distinguevano né per la presenza di tracce persistenti di virus, né per tipo di risposta immunitaria. Inoltre solo uno dei bambini sani aveva segni di quell' infiammazione intestinale che avrebbe dovuto favorire il passaggio di sostanze tossiche per il cervello. I sospetti sul thimerosal, invece, nascevano dalla coincidenza tra la maggiore diffusione delle vaccinazioni registrata negli anni Novanta e un' impennata dei casi di autismo. Si pensò così al conservante contenente mercurio, elemento di cui si conosceva la possibile tossicità. Gli studi esistenti riguardavano però il metilmercurio, contenuto per esempio nel pesce, mentre la forma presente nei vaccini, l' etilmercurio, raggiunge con maggior difficoltà il cervello. «Per precauzione, comunque, le autorità di farmacovigilanza decisero di eliminare la sostanza dai nuovi tipi di vaccini che man mano venivano prodotti» precisa Addis. Oggi si sa che ogni timore era infondato. Una ricerca dell' Università di Rochester, negli Stati Uniti, rivela infatti che il mercurio del thimerosal viene rimosso dall' organismo con una velocità dieci volte maggiore rispetto a quello che si trova in un piatto di pesce. Per verificarlo gli studiosi hanno misurato prima e dopo le vaccinazioni i livelli di mercurio corporeo di più di 200 bambini di Buenos Aires, in Argentina, dove i vaccini contenenti thimerosal vengono ancora utilizzati. Hanno così dimostrato che l' organismo impiega meno di quattro giorni a eliminare metà del mercurio dal sangue, contro i 44 necessari per il metilmercurio. Inoltre l' eliminazione avviene soprattutto attraverso le feci, dissolvendo così anche il timore che possa danneggiare i reni. Roberta Villa * * _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 14 feb. 08 HARRIS È «STRANIERO»: FUORI DALL'AZIENDA MISTA La mancanza della cittadinanza italiana potrebbe rendere nulla la nomina - Il manager è americano ma vive da vent'anni in Italia: «Preferisco non commentare» SASSARI. Un gran pasticcio potrebbe portare l'azienda mista ospedale-università a trovarsi ancora una volta senza guida. A dieci giorni dalla nomina di David Harris come direttore generale si scopre infatti che il suo incarico è inficiato dalla mancanza di un requisito fondamentale: la cittadinanza italiana. Harris, infatti, ha il doppio passaporto inglese e americano ma, nonostante viva in Italia da vent'anni e sia sposato da quindici con una donna sarda, dal punto di vista formale è uno straniero. A segnalare l'incongruenza in base a un decreto legge del 2001 è stato il consigliere regionale Udc (ed ex assessore alla Sanità) Roberto Capelli in una mozione presentata nell'ultima assemblea. Per l'azienda mista quindi è tutto da rifare. Capelli ricorda che l'art. 38 del decreto legislativo del 30 marzo 2001 stabilisce che i cittadini degli stati membri dell'Unione europea possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche purchè questi incarichi non implichino esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri. «Il dottor Harris non è cittadino italiano e non poteva, vista la legge, essere nominato direttore generale dell'azienda mista di Sassari, trattandosi di incarico che comporta l'esercizio di pubblici poteri. La sua nomina - conclude Capelli - deve essere dunque ritirata immediatamente». Insomma «legge» canta e l'assessorato sarà molto probabilmente costretto a fare una clamorosa retromarcia sulla nomina tanto attesa del nuovo manager. Un'attesa determinata, fra l'altro, dalla necessità di sostituire il primo direttore generale, Gianni Cherchi, che Nerina Dirindin aveva scelto e nominato il 1° luglio, e che è scomparso il 21 dicembre a causa di una malattia. Cherchi aveva dunque lasciato un grande vuoto proprio nel momento in cui l'azienda doveva muovere i suoi primi passi. La nomina di David Harris, che già svolgeva il ruolo di direttore amministrativo, quindi, è stata accolta con un sospiro di sollievo perchè finalmente si sarebbe potuto porcedere all'avvio delle attività. Niente da fare: la nascita dell'azienda mista, avvenuta con grande ritardo rispetto alle altre regioni italiane, sembra essere segnata dalla sfortuna. David Harris, colto del tutto impreparato dalla notizia, ha preferito non rilasciare alcuna dichiarazione «in attesa di vederci più chiaro» mentre in assessorato l'imbarazzo è tangibile. «Intanto c'è da dire che il dottor Harris non ha ancora firmato il contratto e perciò non ha ancora svolto alcun atto da direttore generale - dicono -. Ma se dovessero mancare i requisiti è chiaro che la nomina non verrebbe fatta». David Harris, la cui pratica per il rilascio della cittadinanaza italiana è in corso, probabilmente non aveva mai ritenuto necessario ottenere il riconoscimento formale di uno status che ormai considera naturale. La burocrazia però non guarda in faccia i singoli e le loro convinzioni e così quell'incarico che gli piaceva tanto forse lo dovrà lasciare a qualcun altro. Si apre per l'azienda mista un altro periodo difficile, di grande incertezza, con un atto aziendale ancora da sfornare e la paralisi di tutte le attività. Intanto Capelli ne approfitta per rincarare la dose: «Se avessi la certezza che dietro la recente nomina di un cittadino inglese a direttore generale della Azienda mista di Sassari ci fossero solo dilettantismo e pressapochismo - ironizza l'esponente del centrodestra - proporrei di inserire nella Finanziaria ingenti risorse per investire nell'istruzione e nelle conoscenze del presidente, della sua giunta e dei loro consulenti. Ma, ricordando che qualche tempo fa la giunta era incorsa in un incidente analogo in occasione della nomina di un manager non ancora incluso nell'elenco degli idonei, non può non venire qualche fondato dubbio». _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 feb. 08 IL MINISTERO: HARRIS MANTERRÀ IL POSTO Schiarita dopo i dubbi sulla regolarità dell’incarico Sassari. Si apre uno spiraglio nella vicenda della nomina di David Harris a direttore generale dell’azienda mista. A sostenere la regolarità dell’affidamento dell’incarico, contestata da Roberto Capelli dell’Udc, è un pronunciamento del ministero che consente anche a chi non è cittadino italiano di ricoprire incarichi «pubblici». Ad avvalersene sarà l’assessorato che, quindi, rinnoverà la fiducia al manager statunitense nominato con un decreto del governatore Soru. Il disguido era nato alcuni giorni fa, quando il consigliere regionale Capelli, ex assessore regionale alla Sanità, aveva contestato la validità della nomina del dirigente e ne aveva chiesto l’immediato annullamento. Il problema segnalato era che David Harris, pur vivendo in Italia ormai da vent’anni, non aveva mai ottenuto la cittadinanza: un decreto del 2001, sostiene Capelli, chiariva che c’era incompatibilità con funzioni che comportano l’esercizio di pubblici poteri. Un pronunciamento del dipartimento ministeriale per la Funzione pubblica, emesso in occasione di una sentenza, specifica però che per esercizio di pubblici poteri si intende il caso in cui l’incarico presupponga un rapporto di fiducia con il Paese dove esso si svolge, e si fa l’esempio di settori come le forze armate o le prefetture. Il caso di David Harris invece sembra essere diverso: in quanto cittadino inglese (ha il doppio passaporto) il manager dovrebbe poter svolgere le sue funzioni nell’azienda sanitaria mista. I funzionari dell’assessorato sperano che intanto, entro la scadenza del 21, termine ultimo per la nomina del direttore generale, Harris possa essersi messo in regola con la documentazione relativa alla cittadinanza italiana (che intanto aveva già chiesto). Si è trattato di un colpo di scena che ha fatto tremare l’ambiente della sanità sassarese. Dopo i gravi ritardi con cui l’azienda era stata istituita e la morte del direttore generale, Gianni Cherchi, insediato da pochi mesi, l’annullamento della nomina del nuovo manager veniva vista come l’ennesima sfortuna per un’azienda che dovrebbe avere una grossa parte nella rinascita di una sanità accettabile. Di fatto poco e niente fino ad oggi è stato fatto perchè l’azienda, nata come prevede la legge da un accordo fra la Regione e l’università cittadina, potesse finalmente decollare. In tanti sperano dunque che la vicenda di Harris sia chiarita al più presto o che comunque ci sia finalmente la stabilità necessaria perchè si possa cominciare a lavorare sul serio. (g.g) _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 12 feb. 08 CAGLIARI:TI ASPETTIAMO PER IL PAP TEST La campagna di prevenzione del cancro al collo dell'utero CAGLIARI. «Si scrive screening, si legge prevenzione dei tumori»: è lo slogan della campagna che comincia domani in tutta la Asl 8 con lo scopo di fare un test alla popolazione nella fascia di età considerata a rischio per tumore della cervìce uterina, della mammella e del colon retto. Si parte con la prima, responsabile per l'azienda dello screening che poi verrà esteso a tutta l'isola è Valeria Caredda, ginecologa del centro prevenzione tumori di viale Trento, presìdio pioniere sul tema perché è dal 2004 che conduce screening per la prevenzione dei tumori. Le donne dai 25 ai 64 anni riceveranno una lettera di invito. «Ci siamo inseriti nel programma regionale, secondo le indicazioni dell'assessorato, tutti gli operatori che vi prendono parte sono stati formati», spiega Caredda. Ambulatori e consultori sono i presìdi dove le donne potranno recarsi, fissando un appuntamento nel centro indicato dalla lettera, qui si farà il pap test, lo striscio oncologico, una seconda lettera raggiungerà le donne: per informare che l'esito sarà stato negativo, per avvertire che occorre invece fare accertamenti di secondo livello, più approfonditi. L'utilità di un programma del genere è ben documentata: «Una donna su due in Sardegna fa il pap test regolarmente - spiega la dottoressa Caredda - lo screening vuol raggiungere quella che non lo fa. Il nostr punto di arrivo è un'adesione al 100 per cento». Dal 2004 a oggi in viale Trento grazie allo screening sono state trovate 10 donne con un tumore, 8 al collo dell'utero, 2 all'utero, ma tante altre avevano lesioni cosiddette pretumorali oppure carcinomi in sito ed è stato possibile curarle fino alla guarigione. «Alle donne diciamo che arrivare in questa fase significa poter fare interventi conservativi e comunque guarire - dice ancora la specialista». Con la lettera, l'invito, la possibilità di fissare un appuntamento, l'informazione sul risultato che viene anche questa spedita a casa si vuole promuovere una nuova mentalità nelle donne le quali, se stanno bene in salute, non si sottopongono a una procedura del genere. Lo screening aziendale nella 8 fu avviato perché era vero che molte donne frequentavano il centro di prevenzione tumori, ma erano sempre le stesse che ogni anno ripetevano il test. Con lo screening si è riusciti a raggiungere donne che non l'avevano mai fatto. «In Italia - dice Valeria Caredda - ci sono 16 milioni di donne tra i 25 e i 64 anni, ma il pap test lo fanno 6 milioni». Nel giro di qualche mese comincerà anche l'indagine per il colon retto. Coordinatrice dei tre programmi è Silvana Tilocca, responsabile dell'igiene pubblica dell'Asl 8. Tutti e tre gli screening saranno estesi all'intera isola col modello di intervento applicato nella 8 su indicazione della Regione. La scelta dei tre tipi di tumori nasce da una caratteristica comune: si può fare prevenzione perché tutti e tre sono preceduti da lesioni del tessuto che, se trovate grazie alla diagnosi precoce, possono essere curate e il tumore evitato. «Per accompagnare l'avvio degli screening - si spiega nella nota dell'Asl - sono stati fatti tre incontri informativi con i medici di medicina generale. In Sardegna ci sono 8 mila nuovi casi di tumori maligni ogni anno». I tre tumori tema dello screening sono quelli per i quali «le evidenze scientifiche hanno dimostrato l'efficacia dei controlli periodici nell'abbattere la mortalità». Per la mammella il controllo riguarderà le donne fra i 50 e i 64 anni, per il colon retto uomini e donne tra i 50 e i 69. (a.s.) _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 10 feb. 08 BROTZU:IO SPERIAMO CHE ME LA STO CAVANDO Sanità. Dalle carenze di personale ai trapianti saltati nel più grande ospedale dell'Isola Il manager del Brotzu ammette giusto qualche "criticità" Il direttore generale Mario Selis fa il punto sui due anni della sua gestione: «Stiamo risolvendo i problemi». «Una recente statistica dice che gli ospedali italiani sono al secondo posto come grado di efficienza nell'Unione Europea. Eppure, nella percezione dell'opinione pubblica, sono agli ultimi posti». Cagliari non sfugge alla regola: Mario Selis, direttore generale dell'Azienda ospedaliera Brotzu, vorrebbe spazzare questo luogo comune. Un tappeto sardo nasconde una porta di servizio davanti a una scrivania colma di documenti: quelle carte con le quali vorrebbe dimostrare che il Brotzu funziona. Certo, con alcuni disservizi ("criticità", le definisce lui). Ma, tutto sommato, le cose non vanno male. «Ogni direttore generale», spiega, «ha obiettivi che vengono stabiliti dalle Regioni: a me è stato chiesto il rafforzamento dei requisiti di specialità e l'umanizzazione dei rapporti. In questi due anni, sono stati fatti passi avanti su questi due punti». I pazienti sono preoccupati per le "criticità". Per quei trapianti, per esempio, saltati per mancanza di personale. «Due chiarimenti: in primo luogo, i problemi si sono verificati solo per i trapianti di fegato. Per cuore e reni, invece, non ci sono mai stati. Poi, in realtà, è saltato un solo trapianto perché, nell'altra occasione, l'organo non era utilizzabile». Se anche fosse un solo caso, sarebbe grave. «In quel periodo, effettivamente, ci siamo ritrovati a fare i conti con la carenza di personale: molti infermieri ci sono mancati da un momento all'altro. Abbiamo, però, rilevato il problema e siamo intervenuti, formando nuovo personale. Adesso abbiamo superato quella criticità». Che non è l'unica: Valentino Martelli, direttore di cardiochirurgia, ha fatto una pesante denuncia: i pazienti sono costretti a emigrare per essere operati al cuore. «Da subito, abbiamo rilevato una carenza di due cardiochirurghi. In passato, eravamo convinti di risolvere il problema attraverso una maggiore attività del personale disponibile, stimolato da incentivi economici. Ma, nonostante questi incentivi, l'attività non è aumentata e allora abbiamo deciso di scegliere un'altra strada». Assumere i medici che mancano... «Esatto. Uno sarà chiamato con un bando che scade venerdì prossimo, un altro con un contratto particolare che sarà raggiunto con un accordo tra il medico e l'azienda». Che cosa ne dice il reparto? «Abbiamo anche stabilito un diverso modello di gestione di cardiochirurgia: prima, lo stesso staff gestiva la sala operatoria e la terapia intensiva. Adesso, invece, a questo settore sarà destinato personale specifico, in particolare rianimatori e anestesisti». Gli interventi di senologia saltati? «È capitato perché gli interventi si effettuavano nelle stesse sale operatorie dei trapianti di fegato. Questo intervento è ovviamente imprevedibile per cui se, da un momento all'altro, arriva un fegato, quel trapianto ha la precedenza e fa saltare tutto quello che era stato programmato. Per questa ragione, abbiamo deciso di spostare quegli interventi in ostetricia». Ma il problema si è ripresentato Venerdì alle 10.30 è tardi per chiedere una cartella clinica al Brotzu I burocrati del weekend lungo La pratica? La inoltriamo lunedì Il 31 gennaio ricevo la lettera della Asl con cui vengo convocato a metà febbraio per sottopormi alla visita collegiale prevista dalla Legge 104. Il giorno successivo mi reco all' ospedale Brotzu per richiedere la mia cartella clinica. Pago il ticket, compilo e firmo i moduli e mi sento dire: «Provi a chiamare tra 15 giorni». Chiedo tempi più rapidi perché devo presentarmi alla commissione con la documentazione. L'impiegato mi risponde con superficialità: «Lei glielo dice... e la porterà successivamente». Poi si assenta e parlo con un altro impiegato. Gli dico che è urgente e mi risponde che non dipende dal loro ma dal Reparto. Alla fine ottengo un «provi a chiamare tra una settimana». Mentre stavo andando via mi sento dire: «Mandiamo la richiesta lunedì perché ormai è tardi». Tardi per spedire una richiesta ai piani superiori?! Io lavoro anche il sabato fino alle 19 e non mi pare che venerdì mattina alle 10.30 sia così tardi da dover rimandare tutto al lunedì. Sono scandalizzato da questa burocrazia. O è poca voglia di lavorare? Se non avrò la cartella clinica per la visita potrebbe anche essere compromessa la mia domanda. Dovrò fare una denuncia, avere grane e stress dannosi per la mia salute. F. A. Spero bene, gentile lettore, che lei abbia ricevuto per tempo la documentazione di cui aveva bisogno. Per capirci: la 104, sconosciuta a coloro che non hanno la necessità di farvi ricorso, è la "Leggequadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate". Non roba di poco conto. Sospetto che il signor F. A. lavori nel settore privato e che il sabato sera debba garantire un servizio ai clienti. Ma l'amministrazione pubblica è un mondo a parte. Perché un ufficio che stima di poter impiegare quindici giorni a fornire una cartella clinica pratica il cosiddetto weekend lungo: chiuso dalle 12 del venerdì sino al lunedì successivo? Oppure, perché l'Ufficio ticket della Asl 8 di viale Trento a Cagliari è aperto dal lunedì e venerdì tra le 8 alle 12, e solo per tre giorni al pomeriggio, dalle 15 alle 16.30? In questi orari la gente normale è al lavoro, o ci sta andando. Per sbrigare le pratiche deve prendere permessi o ferie. Come, d'altronde, per fare analisi o controlli in ospedale. La sera è disponibile quasi esclusivamente la sanità a pagamento, per chi può. A chi servano servizi pubblici così organizzati è un quesito che qualcuno dovrebbe porsi. DANIELA PINNA _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 10 feb. 08 BROTZU: DIARIO DI UN MALATO DA BUTTARE Mauro Fonsa, trapianto annullato dopo sette anni di GIORGIO PISANO «Adesso che sono tranquillo, vado a cinque litri d'ossigeno al minuto. Ma mi è capitato di andare a 17. Certi amici miei sono arrivati a 20, addirittura 25. Il fatto è che la crisi, quando arriva, ti toglie l'aria e tutto, all'improvviso, si fa sfumato, difficile. Intendiamoci, paura di morire non ne ho. Ci sono andato vicino, vicinissimo: fa parte del gioco. Ho superato una sessantina di ricoveri e cinque o sei momenti davvero drammatici. E con questo? Sono qui, dove i medici mi hanno sequestrato sette anni fa mettendomi in lista per un doppio trapianto di polmone. Poi, un mese fa, se ne sono usciti belli belli dicendo che mi toglievano dalla lista: niente più trapianto. «Come, niente più trapianto? E io, non conto nulla io? Sono venuto a Pavia perché me lo hanno ordinato i chirurghi dicendomi che avrei chiuso la questione nell'arco di sei-diciotto mesi al massimo. Da otto anni vivo incollato alla cannula d'ossigeno, faccio movimento e vado per dieci minuti al giorno sul tapis roulant per non farmi fregare banalmente dalla morte. E ora, finito tutto: grazie, se ne può andare. No, non può finire così». Mauro Fonsa, trentasei anni dopodomani, è andato via da Porto Torres, dov'è nato, per un guaio che l'ha fatto precipitosamente emigrare: displasia polmonare. Era appena un bimbo quando l'hanno operato sapendo bene che sarebbe stata soltanto la prima tappa di una via crucis infinita. Insieme alla famiglia ha lasciato la Sardegna è si è trasferito a Pavia, vicinissimo al policlinico San Matteo. Non allontanarti troppo, l'aveva avvertito un medico, quando ti chiameremo devi essere qui in un'ora. Ci ha creduto. Inutilmente. Della lunga attesa, coltivata tra esercizi di riabilitazione e vigilanza stretta sulla vita, gli è rimasta una lettera consegnata a mano qualche settimana fa:... viste le condizioni anatomiche del torace, si ritiene l'intervento di altissimo rischio e pertanto si rende necessaria la sospensione definitiva dalla lista attiva per trapianto polmonare . La risposta arriva secca: «Se ne sono accorti soltanto ora delle condizioni anatomiche del mio torace? Si mettano l'anima in pace: non ho intenzione di andarmene, andarmene dentro una cassa da morto, fino a quando non avrò concluso la faccenda». Mauro dice tutto questo dal divano che riempie il salotto-cucina di un minuscolo appartamento del centro storico. Gliel'ha messo a disposizione un'associazione di solidarietà (Emmaus) che affitta a prezzo politico: 400 euro al mese. Ma non è questo il problema: Mauro non ha bisogno di collette («fortuna che non sono nato povero»). Si sente schiacciato da un potere in camice bianco «che mi ha buttato via come si fa con l'immondezza». Si accalora mentre parla, e le parole si fanno però pian piano più lente, insidiate da un affanno che diventa presto fiato corto. «Mio padre faceva il carpentiere. Era bravissimo. Quando è stato il momento, non ha esitato a mollare tutto. Lui e mamma hanno deciso in un paio d'ore. Era il Duemila: a Torino gli avevano spiegato che il mio caso era unico in Italia e che in Italia solo a Pavia avrebbero potuto risolverlo. Mi hanno mandato lì in ambulanza e così mi sono ritrovato davanti a un santo patrono della medicina italiana, il professor Mario Viganò. Visita lunghissima la sua: per la valutazione, dicevano con un tono grave e solenne. La valutazione è fatta da una serie di test per capire quante probabilità hai di uscire vivo da un trapianto. Alla fine mi hanno detto sì, imposto un domicilio coatto e avviate, come dicono loro, le procedure. Col tempo sono diventato quasi parte dell'arredamento del reparto di Pneumologia, dove sono stato ricoverato e assistito decine di volte con grande scrupolo. In fondo, si trattava di conservarmi nelle condizioni migliori in vista dell'appuntamento in sala operatoria. Nel frattempo, ho avuto molte crisi, pensato qualche volta di non farcela, guardato con apprensione i miei familiari. Osservatemi: ho un buon colorito, gestisco bene la mia malattia, vado a passeggio con l'ossigenatore portatile, conto molti amici, mi diverto come un ragazzo qualsiasi. Perché io non sono e non mi sento un invalido. Vorrei solo che si capisse per quale motivo non mi sono mai arreso. Cattolico certo, ma non ho mai chiesto miracoli. E nemmeno al suicidio ho pensato, neppure una volta: vivo quasi serenamente e ho intenzione di continuare a farlo ancora per un po'. Basta che mi rispettino. So bene che per loro io, e tutti gli altri malati del resto, siamo soltanto un numero di letto e una cartella clinica». Il responsabile del Centro trapianti del san Matteo è il professor Maria Andrea Darmini, genero di Viganò. Risponde al telefonino dopo molti squilli: sono in sala operatoria, ci sentiamo più tardi. Più tardi il suo cellulare squillerà a vuoto sei volte. Il giorno successivo non cambia nulla, per un po' il telefono è staccato, per un altro po' non dà risposte. Di pomeriggio, finalmente, la voce di Darmini supera con un sussurro la cornetta: sono in riunione all'università, mi chiami tra un'ora. Dopo un'ora, un'ora e mezzo, due, due e mezzo il telefono resta orfano. Al quinto tentativo, Darmini si fa sentire per un breve messaggio: sono in ospedale, richiamo io dopo le 20. Inutile proporgli un incontro-lampo in ospedale: ah, siete qui a Pavia? No, meglio di no. Mi faccio vivo io tra poco. Da quel momento si sono perse le sue tracce. Darmini, ovvero il chirurgo che ha liquidato Mauro, non può o non vuole farsi sentire. Con un gesto di elegante compostezza e distacco, sceglie il silenzio. Muto, scomparso. «A Porto Torres suonavo la batteria con un gruppo, i Round about. Round about sono le aiuole spartitraffico. Un nome come un altro. Abbiamo una casa e una bella campagna attorno. Eppoi c'è il mare. Sono tornato a vederlo, dopo sette anni, l'altra estate: in acqua fino alla vita, bellissimo; oltre non mi posso spingere perché i polmoni potrebbero non farcela. Questo per dirvi che sono uno come tanti, a parte gli effetti collaterali del cortisone: che ti decalcifica le ossa, ti sbriciola i denti, ti abbassa la vista. Pazienza, ne vale la pena in cambio di un trapianto. La malattia, in ogni caso, fa mancare l'aria ma non aiuta a diventare scemi. Era tutto premeditato, l'ho capito soltanto adesso. Mi avevano classificato come malato terminale, aspettativa di vita massimo due anni. Dunque andavo operato il più presto possibile. Mi chiamano una prima volta nel 2001, corro in ospedale, resto sveglio tutta la notte per sentirmi dire dopo che potevo tornare a casa, non erano gli organi giusti per me. È successo lo stesso l'anno dopo: due volte, sempre a vuoto. Intanto trapiantavano gente in condizioni peggiori delle mie. A un certo punto sono iniziate le pietose bugie, notizie che mi arrivavano sempre di seconda mano: nella lista d'attesa non c'erano più una decina di nomi ma si arrivava addirittura a 500, quindi canta che ti passa. Poi mi hanno raccontato che siccome ho i polmoni diseguali servivano due donatori e non uno. Mi domando: perché tutto queste cose non me le hanno prospettate subito?» Nessun incontro ufficiale per moltissimo tempo col professor Darmini. Il quale ha affidato a uno dei suoi assistenti il compito di consegnare a Mauro la lettera di licenziamento. Interrogativo numero 1: quand'è che il paziente è diventato inoperabile? Soprattutto, perché si è aspettato tanto per comunicarglielo, tenuto conto che questa lunga anticamera gli è costata almeno 150 mila euro? Gli avvocati Antonio Conti e Gabriella Pinna, del foro di Sassari, stanno spulciando le carte per decidere se avviare un'azione legale. Sono stati violati i diritti del malato?, perché non hanno consentito che Mauro si mettesse nelle mani di altri chirurghi? Nella casa di via Digione, un passo dalla chiesa di san Francesco, la rabbia non raggiunge mai toni alti: ma fa male lo stesso. A travolgere tutto e tutti, adesso, è però il desiderio di fuggire, tornare a Porto Torres. Mauro vive solo con la mamma (il padre è morto, due fratelli abitano lontano): c'è un silenzio troppo rumoroso intorno. Nel frattempo si è fatto avanti uno specialista milanese, altre possibilità di salvezza arrivano forse da Parigi. Che fare? «Fosse per loro, dovrei stare a guardare e morire tranquillo. Tanto l'attesa è finita, cos'altro mi resta? So molto bene che mi sto mettendo di traverso, che sto dando noia a clinici potentissimi. Non me ne importa: voglio che tutti conoscano la mia storia, voglio andare a raccontarla in televisione, voglio un risarcimento da dare ai poveri, voglio che vengano sospesi dall'Ordine dei medici, voglio che ammettano di avermi trattato come tanti: malati da buttare. pisano@unionesarda.it ___________________________________________________________ Corriere della Sera 12 feb. ’08 DIVIETO DI FUMO HA FATTO CALARE GLI INFARTI DELL' 11 PER CENTO La studio In Italia i meno colpiti tra i 35 e i 64 anni. prima ricerca del genere, pubblicata sul giornale dell'American Heart Association MII.ANO-La legge antifumo fa bene al cuore. Dopo il divieto di fumare nei luoghi pubblici, introdotto nel 2005, il numero di infarti in Italia è diminuito. Più precisamente: il rischio di malattia si è ridotto dell'i i per cento, per le persone fra i 35 e i 64 anni, e dell'8 per cento per chi ha un'età compresa fra i sessantacinque e i settantaquattro anni. E la prima volta che uno studio (firmato da ricercatori italiani e pubblicato negli Stati Uniti su Circulation, il giornale dell'American Heart Association) dimostra i reali effetti sulla salute pubblica della legge Sirchia, con tanto di percentuali. Ma siamo proprio sicuri che non c'entrino altri fattori a giustificare il calo? «Si - conferma uno degli autori, Francesco Forastiere – perché abbiamo depurato i dati dall'eventuale ruolo che possono avere avuto l'inquinamento, i fattori climatici e la circolazione di virus influenzali dal momento che le polveri sottili Pm10, l'eccessivo caldo o l'eccessivo freddo e le infezioni possono aumentare la probabilità di andare incontro a un attacco di cuore». I ricercatori del Dipartimento di epidemiologia dell’Asl Roma E hanno condotto lo studio, in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità, nell'area della capitale (per una popolazione totale di due milioni e settecentomila persone) e hanno confrontato, grazie ai dati di dimissione dagli ospedali, il numero di infarti registrati nei quattro anni precedenti la legge e nell'anno successivo. «La riduzione del rischio è risultata meno significativa fra i più anziani - aggiunge Giulia Cesaroni - probabilmente perché passano più tempo a casa che sul posto di lavoro o in luoghi pubblici. I benefici maggiori, nel caso dei più giovani, si sono invece registrati fra le persone di livello socioeconomico più basso, probabilmente perché hanno altri fattori dì rischio come obesità, ipertensione, diabete e fumo "attivo"». Lo studio non ha fatto distinzioni fra dipendenti dalla sigaretta e non, e il calo ha riguardato entrambi i gruppi: è quindi probabile che la riduzione del numero di infarti sia da attribuire alla ridotta esposizione al fumo passivo che è dannoso per i non fumatori, ma anche per i fumatori stessi. «Dal momento che la malattia coronarica è la prima causa di morte in Italia - dice ancora Forastiere - la sua riduzione ha un grandissimo impatto sulla salute pubblica. Si tratterà ora di vedere se l'effetto del divieto si manterrà stabile nel tempo». Nell'anno successivo all'introduzione della legge la percentuale di fumatori è calata di più fra gli uomini (dal 35 per cento a quasi il trenta) e di meno nelle donne (dal 20,6 per cento al 20,4 per cento) e il consumo di sigarette del 5,5 per cento. Mentre in Europa altri Paesi, ultima la Francia, si adeguano alla legge italiana, nei Paesi in via di sviluppo cresce l'abitudine al fumo: in India ci si aspetta un milione di morti da fumo ogni anno a partire dal 2010, come ha appena denunciato il New England Journal of Medicine. Adriana Bazzi _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 feb. 08 FUMO ADDIO, GRAZIE ALLE TASSE IL BUSINESS DEL TABACCO LE POLITICHE PUBBLICHE Con prezzi più alti del 70% possibile evitare un milione di decessi INTERVENTO IN TRE MOSSE L'Istituto superiore di Sanità: un pacchetto a cinque euro, farmaci gratuiti per smettere, inserimento dei trattamenti nei livelli garantiti dal Ssn di Marzio Bartoloni e Giuseppe Di Marco Le tasse sui pacchetti di sigarette non faranno certo bene al portafoglio, ma di sicuro possono salvare tante vite. E convengono anche ai bilanci dello Stato. «Se si alzassero i prezzi del 70% - avverte l'Organizzazione mondiale della Sanità nel suo primo rapporto sull'epidemia del tabacco - si eviterebbero almeno il 25% di tutte le morti». Oltre un milione di vite salvate all'anno (le vittime nel mondo sono 5,4 milioni) e molte di più in futuro, se si prendono per buone le previsioni dell'Oms che parlano addirittura di un miliardo di morti nel XXI secolo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. In Francia, dove i prezzi sono saliti alle stelle, il tabacco è diventato quasi un lusso: a Parigi in un anno - tra il 2003 e il 2004, quando ancora si potevano fumare liberamente nei bistrot Gitanes e Gauloises - i consumi sono crollati del 32% dopo un rincaro secco del 42 per cento. Anche in Italia i costi sono schizzati del 40% negli ultimi cinque anni, convincendo oltre 600mila italiani a rinunciare al rito della sigaretta, grazie anche all'impatto della legge Sirchia che dal 2005 ha costretto i fumatori a uscire da bar e ristoranti. Alla resa dei conti, il nemico numero uno degli irriducibili del tabacco è il costo dell'agognato pacchetto di sigarette. Un deterrente più efficace delle immagini shock sugli effetti per la salute o dei divieti più o meno severi sul fumo nei luoghi pubblici introdotti da molti Paesi europei negli ultimi anni. Misure che per l'Oms non bastano: «Nonostante siano stati fatti passi in avanti, nessuno Stato fa ancora abbastanza». Europa in ordine sparso Gli ultimi Paesi Ue ad adottare una legislazione antifumo, che trasforma i luoghi pubblici in aree smokefree, sono stati dal 1° gennaio di quest'anno Germania (in vigore progressivamente nei vari Länder), Portogallo e Francia. Che ha preso come esplicito modello la normativa italiana adottata tre anni fa. Ma i divieti non bastano. Sebbene l'Italia preveda quasi tutte le misure raccomandate dall'Oms, la tassazione sul singolo pacchetto di sigarette è più bassa (58%) rispetto agli altri: in Germania le tasse incidono per il 62%, in Gran Bretagna per il 63%, e in Spagna e Francia del 64 per cento. E se il prezzo di un pacchetto di "bionde" a Roma è superiore rispetto a Madrid, risulta di gran lunga più economico di Berlino, Parigi e Londra (dove un pacchetto costa circa il doppio). Che cosa resta da fare in Italia? Nonostante i progressi, gli interventi possibili sono ancora molti. Il nostro Paese è in ritardo sulla ratifica della Convenzione dell'Oms (approvata finora da 152 Paesi su 168 firmatari) che prevede, tra l'altro, il divieto di vendita ai minori di 18 anni. Un divieto, questo, che per funzionare ha bisogno di adeguati controlli. In Turchia non impedisce all'11% dei bambini tra i 7 gli 11 anni di consumare tabacco. In Germania, invece, i distributori sono dotati di un dispositivo che controlla, tramite una tessera, l'età dell'acquirente. La terapia d'urto dell'Istituto superiore di Sanità per l'Italia suggerisce tre mosse: portare il prezzo dei pacchetti a 5 euro, rendere gratuiti i farmaci per smettere e inserire i trattamenti contro il fumo nei livelli essenziali di assistenza. «La legge era solo il primo passo - avverte il "padre" della norma ed ex ministro della Salute, Girolamo Sirchia -, da allora non è stato fatto più niente». «Avverto un rilassamento generale e i controlli delle forze dell'ordine praticamente non si fanno», spiega Sirchia, che critica anche l'«inerzia totale» sul fronte della prevenzione tra i giovanissimi: «Vanno eliminati i distributori e va contrastata la pubblicità occulta nei film e in tv». Ma il vero colpo di grazia, per l'ex ministro, sarebbe l'aumento dei prezzi, «un pacchetto dovrebbe costare almeno 5-6 euro». Oltre alla garanzia di un'«assistenza gratuita» per chi vuole smettere. Le ricette dell'Oms L'organismo di Ginevra punta su un mix di misure. «Oggi solo quattro Paesi prevedono tasse superiori al 75% del prezzo». E per far crollare i consumi almeno del 4% basterebbe «un aumento del 10%» dei costi dei pacchetti. Oltre a guadagnarci in salute, anche i bilanci degli Stati potrebbero rifiatare: meno costi sanitari, ma anche più introiti fiscali. L'anno scorso il nostro Erario ha incassato 13 miliardi, 420 milioni in più del 2006. L'Oms raccomanda di impiegare meglio i fondi: oggi i Governi del mondo incamerano cifre 500 volte superiori a quelle destinate alla lotta al tabagismo. L'organismo dell'Onu punta il dito anche contro la pubblicità: è vero che i divieti sono stringenti, ma poco è stato fatto per limitare le attività promozionali delle multinazionali. Anche in Italia, dove non esiste nessuna restrizione riguardo a sconti promozionali, sponsorizzazioni o uso del brand per prodotti diversi dal tabacco. L'Oms consiglia di inserire nei pacchetti avvisi e immagini shock (impiegate solo in 15 Paesi) sui danni del tabacco. E di offrire una via d'uscita a chi vuole smettere. Come in Svizzera, dove entro due anni su ogni pacchetto comparirà un numero verde a cui risponderà una "voce amica" per convincere i più irriducibili a spegnere per sempre la sigaretta. marzio.bartoloni@ilsole24ore.com giuseppe.dimarco@ilsole24ore.com Il mercato e l'incidenza delle tasse All'Italia il vizio costa sei miliardi ogni anno di Manuela Perrone All'Italia i fumatori costano quasi sei miliardi di euro l'anno. Perché il prezzo delle sigarette si misura anche in termini di vite umane perse, di ricoveri e spese mediche, di giorni di lavoro andati in fumo. Il tabacco è responsabile di un decesso su dieci tra gli adulti nel mondo. Nel 2005 ha causato 5,4 milioni di morti, di cui 80mila in Italia: in media uno ogni sei secondi. L'Organizzazione mondiale della sanità stima che entro il 2030 i decessi legati al fumo supereranno gli 8 milioni l'anno, l'80% dei quali si concentrerà nei Paesi a basso e medio reddito. «In Europa - spiega Piergiorgio Zuccaro, responsabile dell'Osservatorio fumo, alcol e droga dell'Istituto superiore di sanità - il 20% dei decessi è attribuibile al fumo di sigaretta: il 56% per malattie cardiovascolari, il 35% per tumore e il 9% per altre cause». Nel nostro Paese il tabacco è responsabile del 91% delle morti per cancro al polmone negli uomini e del 55% nelle donne. Come ripete l'Oms, «il fumo è la prima causa di morte facilmente evitabile». Più imprecisi, ma comunque alti, i dati sui costi relativi al ricorso ai servizi sanitari: secondo il rapporto appena sfornato dall'Oms, negli Usa ammontano a 81 miliardi di dollari, in Germania a quasi 7 miliardi. Per l'Italia le ultime informazioni risalgono al 2001: il costo dell'assistenza ospedaliera attribuibile al fumo (1,86 milioni di ricoveri e 11,68 milioni di giornate di degenza) è stato calcolato dall'Iss in 5,7 miliardi. Pari all'8% della spesa sanitaria pubblica e allo 0,47% del Pil. Una cifra cui va sommata la perdita di produttività per le assenze dal lavoro dovute a patologie correlate al fumo, stimata intorno a 135 milioni di euro. In tutto, l'Italia perde 5,8 miliardi ogni anno. «Oggi sono in corso nuove valutazioni per aggiornare i dati - sottolinea Zuccaro - ma niente lascia presumere che queste cifre siano diminuite, anzi». Nei soli Stati Uniti i decessi legati alle sigarette sfociano in una perdita di opportunità economica calcolata in 92 miliardi di dollari all'anno. Tanto più grave, in termini economici, quanto più le morti si verificano nei Paesi in via di sviluppo. Colpendo al cuore la forza lavoro dell'economia globalizzata. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 12 feb. 08 SU INTERNET LISTE D'ATTESA SENZA SPAZIO Mai dire Internet al Servizio sanitario nazionale. Soprattutto quando deve comunicare ai cittadini i dati sui tempi d'attesa delle prestazioni: appena il 22% dei siti web delle strutture pubbliche riporta i dati sui tempi d'attesa per accedere alle prestazioni sanitarie. Ma con le solite differenze: al Nord-Ovest la pubblicità delle liste viene data dal 47% di Asl e ospedali, nel Nord-Est dal 29%, all'11% al Sud e al 10% nelle isole. Insomma, la grande rete non si addice ad Asl e ospedali. A confermarlo è il ministero della Salute in un'indagine, appena pubblicata, svolta tra febbraio e marzo 2007, che segnala ben pochi passa in avanti rispetto a due anni prima. L'indagine ha passato al setaccio 367 siti web (di Regioni, Asl, ospedali-azienda, Ircss e Policlinici) monitorando i dati generali su tempi e liste di attesa, tempi massimi definiti in ambito regionale/aziendale, tempi reali dichiarati sulla base di rilevazioni strutturate e quelli prospettici di attesa all'atto della prenotazione online, nonché il loro aggiornamento. Appena sei Regioni su 21 (Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Basilicata e Trento) riportano nei siti dati su tempi reali e/o massimi d'attesa. Tra le Asl sono in regola il 27% dei siti (50 su 188), contro il 19% delle aziende ospedaliere, il 6% degli Irccs, il 18% dei Policlinici. Rispetto al 2005, osserva il rapporto, è più facile avere informazioni e disporre di dati più aggiornati, anche se non sistematicamente. Ma serve assolutamente omogeneità e tempestività. Altrimenti - aggiungiamo noi - anche la grande Rete resterà un sogno per il Ssn. ___________________________________________________________ Il GIornale 11 feb. ’08 TUTTI I MIRACOLI DELLA PILLOLA BLU Malthlas Pfaender Aiuta gli alpinisti a respirare in alta quota; è usata nella cura dei bimbi prematuri e delle donne in gravidanza. Il Viagra non funziona solo in camera da letto. Ecco le altre applicazioni Nata per aiutare gli uomini affetti da difficoltà molto intime, la celebra pillola blu ha trovato negli anni sempre più applicazioni alternative; del resto, la capacità di reinventarsi all'occorrenza come toccasana per disturbi di diversa natura è insita nell'origine stessa del Viagra: la proprietà principale del farmaco fu infatti scoperta per caso da alcuni scienziati che stavano testando il sildenafil (la molecola alla base del principio attivo) come rimedio contro l'angina. I ricercatori riscontrarono sorpresi che, se contro i dolori al petto la pillola non era molto efficace, in compenso induceva durature erezioni nei pazienti: E così, da un inaspettato effetto collaterale, è scaturito il più grande successo commerciale in campo farmaceutico degli ultimi anni. Un successo che ora «rischia» di moltiplicarsi di pari passo con l'aumentare dei campi di applicazione del farmaco. L'ultimo in ordine di tempo è in ambito militare. Un generale in pensione dell'esercito israeliano ha suggerito infatti di fornire ai piloti dei caccia la pasticca blu per aiutarli a sopportare la carenza d'ossigeno nell'abitacolo. La proposta, benché sia stata smentita da fonti ufficiali dell'esercito israeliano, ha il suo fondamento scientifico in uno studio condotto su alcuni scalatori sul Kilimangiaro. I ricercatori hanno verificato che il Viagra ha aiutato gli escursionisti a sopportare le basse concentrazioni di ossigeno in alta quota. Ma sugli usi alternativi del farmaco gli esempi in fondo si moltiplicano. Il più spettacolare è probabilmente quello riportato dai medici dell'ospedale. inglese di Newcastle, che un anno fa hanno salvato un bebè nato alla 24a settimana e affetto da insufficienza polmonare, proprio grazie alla pillola blu. Il bimbo, segnalò all'epoca la Bbc, fu curato con il sildenafil e riuscì a superare la crisi perché il farmaco fu in grado di espandere i piccoli capillari polmonari. Sempre il sildenafil si è dimostrato utile a superare il jet-lag: secondo uno studio argentino pubblicato dalla rivista Proceedings of the Nationad Academy ofScience una singola dose di farmaco ha ridotto del 50% il tempo che alcune cavie hanno impiegato ad, abituarsi a un cambiamento del ciclo sonno-veglia che simulava un cambio di fuso orario di sei ore. Ora, non contenta di un mercato che solo in Italia vede 1670 pillole acquistate ogni giorno, la Pfizer (colosso farmaceutico che detiene il brevetto del Viagra) lo sta testando sulle donne in gravidanza: i primi, test hanno mostrato che il farmaco potrebbe ridurre i casi di preeclampsia, cioè di pressione alta, una delle più comuni complicanze per le gestanti. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 14 feb. 08 DOPPIO TRAPIANTO DI RENE PER IL MINISTRO MUSSI L' intervento durato sei ore ROMA - Doppio trapianto di rene, martedì pomeriggio, agli Ospedali riuniti di Bergamo, per il ministro dell' Università e della ricerca scientifica e leader di Sinistra Democratica, Fabio Mussi. Sessant' anni compiuti il 22 gennaio, sofferente da tempo, Mussi aspettava il trapianto dall' ottobre scorso e ha ricevuto gli organi da un unico donatore della sua stessa età, in base a una procedura per cui c' è un' apposita lista d' attesa per gli ultrasessantenni cui vengono trapiantati i reni solo da coetanei, generalmente prima di ricorrere alla dialisi. La notizia è stata diffusa ieri dalla Direzione sanitaria. L' intervento, eseguito dall' equipe del dottor Giuseppe Locatelli, è durato sei ore e «il decorso postoperatorio è regolare», tanto che il ministro ha parlato al telefono con i presidenti di Camera e Senato, Bertinotti e Marini, che gli hanno fatto gli auguri di pronta guarigione. «Il ministro Mussi ha scelto un ospedale pubblico e italiano - ha dichiarato il direttore sanitario dei Riuniti Claudio Sileo -. Lui stesso ha voluto rimarcarlo. Per noi è un orgoglio che abbia scelto la nostra struttura, a dimostrazione della qualità del lavoro svolto». Soddisfazione è stata espressa anche dal direttore generale dei Riuniti Carlo Bonometti e da Giuseppe Remuzzi, direttore del Dipartimento di Immunologia clinica dei trapianti. Se il decorso post operatorio non subirà complicanza, il ministro Mussi potrebbe essere dimesso tra sette-dieci giorni. Il primo trapianto doppio di rene in Italia è stato effettuato a Bergamo nel 1997 proprio dall' equipe di Giuseppe Locatelli e ogni anno agli Ospedali Riuniti se ne effettuano una quindicina. Solidarietà e incitamenti a rimettersi presto sono giunti da tutto l' arco delle forze politiche: dalla Lega al Pdci. E dai colleghi di governo. Barbara Pollastrini, ministro per le Pari opportunità, scrive: «Caro Fabio, sono vicina a te e a tua moglie Luana. La politica ha bisogno delle tue idee e della tua passione». Auguri arrivano anche da ex alleati ed avversari politici. Dal Pd, le voci dei capigruppo uscenti di Senato e Camera Anna Finocchiaro e Antonello Soro, il quale sottolinea come «nella prossima stagione abbiamo tutti bisogno della sua intelligenza, passione e ironia per migliorare la qualità della politica». Alla "toscanitudine" (Mussi è nato a Piombino) ha fatto riferimento Leonardo Domenici, sindaco di Firenze: «E' un toscanaccio dalla fibra forte, sono certo che si rimetterà in forma al più presto». Il gruppo della Lega al Senato aggiunge agli auguri anche la considerazione che «un polo d' eccellenza come gli Ospedali Riuniti di Bergamo, dà tranquillità alla famiglia perché conosciamo l' alto valore scientifico e professionale di chi vi lavora». Calabro' Maria Antonietta _____________________________________________________________ Corriere della Sera 10 feb. 08 TUTTE LE MALATTIE CURATE «IN PROFONDITÀ» La stimolazione cerebrale profonda agisce su certe aree del cervello grazie ad elettrocateteri fatti arrivare in profondità attraverso una minuscola apertura del cranio, praticata a paziente sveglio. Gli elettrodi, dopo essere stati posizionati nella zona cerebrale che si vuole stimolare, vengono collegati ad un pacemaker che invia impulsi regolabili, inserito sottocute a livello della clavicola. Morbo di Parkinson. La metodica è letteralmente «esplosa» da quando nel 1993 Alim-Louis Benabid, dell' Università di Grenoble, dimostrò su 80 malati di Parkinson che riesce a curare il tremore tipico della malattia. Una strategia dal crescente successo: dal 1997, quando l' ente federale sanitario americano (Fda) ne autorizzò l' impiego per il Parkinson, ad oggi ben 40.000 malati nel mondo vivono con questi elettrodi impiantati nel cervello, per la precisione al livello del nucleo subtalamico. Ma la tecnica, da allora, ha trovato altre applicazioni. Depressione. Nel 2005 il neurochirurgo Andres Lozano, dell' Università di Toronto, pubblicò il primo esperimento sulla stimolazione cerebrale profonda nella depressione grave (a tutt' oggi ha curato in questo modo 28 persone). L' inserimento dell' elettrodo in questo caso avviene a livello del giro cingolato. La Food and Drug Administration ne ha autorizzato l' impiego nelle forme depressive gravi resistenti ai farmaci. Cefalea a grappolo. In questo tipo di mal di testa talmente intenso da essere chiamato la cefalea «del suicidio», la stimolazione cerebrale profonda sembra dare risultati incoraggianti. In questo caso l' area su cui agisce l' elettrocatetere è a livello dell' ipotalamo posteriore, ma più che stimolare qui si cerca piuttosto di inibire l' iperattività delle cellule nervose responsabili dell' attacco. Sono diversi anche in Italia (il primo al Besta di Milano nel 2000) i «cefalalgici» trattati con buoni risultati. Stati minimi di coscienza. Per ora è un caso isolato, ma così straordinario da far ancora discutere. Nicolas Schiff del Weill Cornell Medical College di New York ha provato a stimolare nel 2005 una regione centrale del cervello, il talamo, in un uomo di 38 anni in stato vegetativo da sei. Il risultato? Grazie agli elettrodi impiantati nel suo cervello, l' uomo ha cominciato a compiere gesti con una finalità, a indicare il nome degli oggetti, ad alimentarsi da solo. Un miracolo? No. È la prova che in queste persone con danni alla corteccia cerebrale tali da averli ridotti a vegetali, restano «isole» del cervello integre sulle quali si può tentare di lavorare per un recupero. Tutta la materia è tuttora in discussione anche per le questioni che solleva: le scelte su questi malati diventano sempre più complesse. F. P. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 10 feb. 08 NON BUTTIAMO VIA I GIOVANI MEDICI Il futuro della nostra salute passa attraverso la capacità e la preparazione dei giovani medici di oggi. L' Università, attraverso i corsi di laurea e le scuole di specializzazione, li introduce alla professione e li consegna agli ordini professionali, che devono garantire i cittadini della bontà delle loro prestazioni. Le società medico-scientifiche forniscono i contenuti per un aggiornamento efficace di conoscenze mediche in continua evoluzione. In questo quadro il giovane medico si muove per apprendere. Si tratta di un giovane motivato, pronto alla vita dura, conscio che gli potranno essere richieste prestazioni pesanti per impegno intellettuale e per durata di orario. Chi vive negli ospedali con un po' di attenzione e di sensibilità ne ha testimonianza continua. Esiste, a vantaggio della salute, una risorsa umana pregiata, selezionata, pronta a servire nel senso nobile della parola. Affossare questi giovani nella quotidianità delle prestazioni, opprimerli con obblighi burocratici e non lasciare loro il tempo per aprirsi la mente alla letteratura internazionale, a studiare e a produrre ricerca, significa oscurare il loro futuro. Offrire loro esempi di una dirigenza marcata non dal merito, ma dal colore politico li demotiva, come li demotivano, altrettanto che il precariato, remunerazioni avvilenti e legate al consumo di quelle ore che andrebbero, in un regime di remunerazioni corrette, utilizzate per una crescita culturale serena. Il loro futuro è il futuro della medicina italiana, della nostra salute. Con un rinnovato rapporto di fiducia tra medici - che forniscono prestazioni di qualità - e cittadini - che ne usufruiscono e le apprezzano - si abbasseranno i contenziosi, che oggi gravano sullo svolgimento della professione medica e condizionano una serie di atti inutili di "medicina difensiva", fatti dal medico per "mettersi al sicuro". Le Federazioni delle Società medico-scientifiche e degli Ordini dei medici si sono incontrate a Roma con lo scopo di costituire un gruppo forte, una casa comune, capace, tra l' altro, di preparare documenti e di promuovere azioni al servizio della salute, da offrire agli organi di governo indipendentemente dall' area politica in cui essi si trovino ad operare. Al di là dei programmi concordati, riguardanti principalmente la sicurezza dei pazienti e l' educazione continua, questo osservatorio induce a riflessioni sulle prospettive della medicina nel Paese e quindi anche sui giovani medici, che sono una nobile risorsa che ha bisogno di buoni esempi e di guide sicure. Non saperla utilizzare è un delitto; demotivarla, invece che incentivarla, è criminoso. Chi ne ha la responsabilità se ne renda conto: premi il merito e lo incentivi distribuendo le responsabilità e le giuste remunerazioni. *Presidente della Federazione delle Società medico-scientifiche italiane Spinelli Pasquale _________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 11 feb. ’08 I DOLCIFICANTI NON FANNO DIMAGRIRE MILANO - Chi spera che usare dolcificanti aiuti ad ottenere una linea invidiabile deve disilludersi. Uno studio Usa del Purdue University's Ingestive Behavior Research Center ha scoperto che l'uso selvaggio dei dolcificanti artificiali rende più difficile controllare le calorie assunte e quindi il peso. I ricercatori hanno fatto esperimenti sui topi: alcuni mangiavano yoghurt addolcito con glucosio (i5 calorie), altri con saccarina (zero calorie): Durante la giornata questi ultimi mangiavano più calorie accumulando quindi più peso. I dolcificanti infatti modificano la capacità del corpo di regolare l'introito calorico interrompendo la connessione tra la sensazione di dolcezza e i cibi ricchi di calorie. ___________________________________________________________ L’Espresso 21 feb. ’08 SIAMO TUTTI STORTI Mal di schiena e di denti. Dolori alle ossa. Cefalee. Talvolta dipendono solo dal modo di camminare o di sedere alla scrivania. Ma ora c'è una scienza che studia e cura questi difetti. Trovando a ciascuno la giusta postura DI AGNESE CODIGNOLA Siamo bipedi barcollanti: ammiccano gli addetti ai lavori quando chiediamo conto dei sempre più frequenti mal di schiena, dolori articolari, problemi odontoiatrici che spunta no dal nulla. Per dire che siamo primati che hanno scelto la posizione eretta per correre più in fretta, portare in braccio i figli e riuscire a sfangarla di fronte ai pericoli ma che, ad alcuni milioni di anni da quella scelta, ancora non hanno completato tutti ì passaggi evolutivi necessari a ottenere la piena stabilità, e sono quindi, tuttora, camminatori imperfetti. Tradotto in magagne dell'homo technologicus, allora, questo significa che parte dei piedi scricchiolanti, delle schiene doloranti, delle mandibole arrugginire, dei mal di testa misteriosi, delle ginocchia sgangherate e chi più ne ha più ne metta può essere dovuta a squilibri nel modo di stare in piedi e di opporsi alla forza di gravità. Cioè alla postura, resa ancora più instabile dal fatto che né scimmie né bipedi barcollanti sono adatti a camminare su superfici piatte come il cemento né, tant omeno, per stare seduti per ore e ore. Oggi però, una buoni notizia c'è: è possibile curare, almeno in parte, malanni di tal genere, a patto che si tratti davvero di questo e non di altre patologie, e quindi di provvedere nel modo più adatto ed efficace in ogni singolo caso. La postura, infatti, secondo le teorie neurofisiologiche più moderne, è determinata da una generica attivazione di muscoli e nervi, che viene poi plasmata, minuto per minuto, da forze che le si oppongono quali la gravità, le condizioni esterne, le reazioni psicologiche di ciascuno e altri fattori. Non esiste perciò una postura ideale perché, per sua natura, essa è e deve essere dinamica, variabile. Spiega Fabio Scoppa, coordinatore scientifico del master post laurea in posturologia dell'Università La Sapienza di Roma, giunto ormai alla decima edizione: •. La postura è regolata da complessi meccanismi neuro fisiologici non consci che agiscono sull'insieme delle strutture neuromuscolari, che noi chiamiamo "sistema tonico-posturale". E questo, a sua volta, che regola l'atteggiamento del corpo nello spazio in base ai segnali provenienti dall'esterno e, in particolare, da recettori posti nei piedi, sulla pelle, nella bocca, nell'orecchio interno, nei visceri e in altri organi e apparati. Non solco, sottolinea ancora Scoppa: «La postura è influenzata dallo stato psicologico della persona: per queste ragioni non è sempre facile capire quale sia la vera causa della perdita di armonia. Per scoprirlo si parte sempre da un colloquio e da un esame clinico; quindi, quando è necessario, si procede con esami strumentali mirati che solitamente sono sempre non invasivi e che consentono di circoscrivere il campo delle possibili cause fisiche della disfunzione». L'iter che porta alla diagnosi ha quindi caratteristiche comuni a qualunque altro percorso diagnostico, ma si caratterizza per il suo aspetto interdisciplinare, non essendo ascrivibile a una singola disciplina specialistica. Ancora Scoppa: «La perdita del giusto equilibrio non è mai provocata soltanto da comportamenti scorretti come, per esempio, il modo di stare seduti davanti a un computer. In questi casi, infatti, sono sufficienti piccoli accorgimenti come l'adozione di sedie e strumenti ergonomici, nonché una regolare attività fisica per far passare i dolori che pure possono insorgere, ma che non determinano un vero disallineamento». Che può invece essere provocato da un danno in uno degli organi che contribuiscono al mantenimento della posizione corretta, ed è su quello che, nel caso, gli esperti intervengono. Non solo, c'è poi anche la possibilità che i dolori dipendano da una specifica patologia locale che modifica l'assetto e altera la postura generale. Insomma, le possibilità sono molte e, per questo, sottolinea ancora Scoppa, «è molto importante considerare sempre rutti i fattori posturali, per poter programmare la terapia. Infatti, gli interventi sono differenziati a seconda della causa dello squilibrio: per esempio, si può valutare e trattare una cicatrice patologica, un trauma cranico anche di vecchia data, dimenticato dal paziente, un appoggio scorretto dei piedi, una difficoltà di masticazione o di occlusione, fino a affrontare eventuali cause psicologiche specifiche. Si pensi, per esempio, agli atteggiamenti posturali delle ragazze anoressiche o bulimiche, o alle tipiche posizioni assunte dai pazienti ansiosi o depressi». II programma terapeutico può, allora, prevedere, oltre a una generale rieducazione postura le, diversi ausili: solette per le scarpe o bite per l'occlusione, manipolazioni osteopatiche per la mobilità di alcuni distretti corporei, sedute di psicoterapia. L'ultima novità è, poi, l’auricoloterapia, basata sulla stimolazione di specifici punti riflessi dell'orecchio. Data la natura transdisciplinare della posturologia, quindi, un buon centro di diagnosi e cura dei disturbi posturali non può prescindere dalla presenza di un team di professionisti che abbiano ricevuto una formazione specifica e che sappiano operare in modo coordinato. Ci vogliono, così, oltre allo specialista in postura, il dentista, il fisioterapista, l’osteopata e lo psicologo. Tuttavia, la posturologia, nonostante annoveri ormai molti cultori e moltissimi affezionati pazienti, non è ancora una disciplina codificata. E proprio per questo si presta a molteplici interpretazioni e sfugge alle sistematizzazioni tipiche della medicina più rigorosa. Il perché lo chiarisce Roberto Iovine, direttore dell'Unità operativa di medicina riabilitativa dell'Ospedale di S. Giovanni in Persiceto (Bologna) e membro di Pedro, il gruppo che studia la riabilitazione all'interno del Cochrane, l'organismo internazionale che valuta le medicine sulla base delle prove di efficacia: « L idea stessa di postura non è ben definita, cambia continuamente ed è molto influenzata da fattori psicologici: basta pensare alla sindrome di Atlante, cioè a quell'atteggiamento tipico di una persona depressa che, sentendo su di sé il peso di grandi difficoltà, si incurva come se stesse sopportando tutti i mali del mondo, o a quello di chi è particolarmente spavaldo e gonfia il petto. Le stesse persone, però, in altri momenti della giornata, possono essere soggette a cambiamenti di umore e quindi di postura». La medesima ambiguità i tecnici di Pedro la riscontrano nei metodi di misurazione, la maggior parte dei quali non hanno parametri univoci, che di fatto non esistono: che cosa significa misurare, per esempio, il passo? Esiste un passo giusto? «La conseguenza è che i risultati sono molto difficili da misurare, annota Iovine. E a ben guardare, nonostante la posrurologia sia dotata di riviste nelle quali vengono pubblicati i risultati delle diverse tecniche, la convalida dei rimedi è spesso assai difficoltosa. «In questi casi, commenta Iovine, il consiglio non pub che essere quello della massima prudenza, soprattutto quanto l'intervento consigliato è invasivo o molto dispendioso. Se per esempio viene prescritto un trattamento di ortodonzia di norma costosissimo) per correggere eventuali squilibri della masticazione, è saggio chiedere un altro parere medico prima di accettare una soluzione che è definitiva, e comunque accertarsi, chiedendolo esplicitamente, dell'esistenza della dimostrazione scientifica dell'efficacia di quel rimedio». Naturalmente esistono singoli rimedi che, in situazioni specifiche, possono essere d'aiuto. Si tratta di terapie per patologie ben note come, per esempio, l'applicazione di ginocchiere o di nastri adesivi (il cosiddetto taping) per limitare l'ipermobilità delle articolazioni, consigliata agli sportivi, o di solette che correggono l'appoggio del piede a terra per aiutare ginocchia vare o valghe o anche per il mal di schiena o, ancora, di protesi speciali per persone con disabilità legate per esempio a un ictus e così via, insomma di terapie che curano patologie che non sono causate da squilibri nella postura ma che possono avere come conseguenza un'alterazione dell'equilibrio. <•11 valore aggiunto della posturologia», aggiunge Iovine, «risiede nella capacità di ascolto del medico, nella presa in carico del paziente che è una pratica purtroppo troppo spesso trascurata dai medici tradizionali: anche per questo la disciplina ha tanto successo. Siamo però ancora in attesa di dimostrazioni di efficacia documentate. C'è di più. Secondo alcuni, tra i quali il celebre neurologo-scrittore Oliver Sacks, la postura è una diretta emanazione della plasticità del sistema nervoso, il quale si adatta continuamente alle diverse esigenze. Per questo è esclusivamente nel cervello che andrebbe ricercata la soluzione per un'eventuale perdita di equilibrio posturale. Per spiegare meglio l'idea, Sacks ha riportato, nell'introduzione di "Un antropologo su Marte" (Adelphi, 1995), un'esperienza personale. In seguito a un intervento alla spalla destra, Sacks racconta di aver iniziato a usare la mano sinistra per tutto e di essere diventato via via sempre più abile. Ma questo ha avuto notevoli conseguenze sulla postura: «Di sicuro, scrive, «in alcuni dei circuiti del mio cervello stanno avvenendo cambiamenti che alterano i pesi, (... ) moltissimi dei quali sono avvenuti inconsciamente, attraverso riprogrammazioni delle quali non so nulla (non più di quanto sappia sul modo in cui cammino normalmente). In queste circostanze, però, la guarigione non è automatica, come accadrebbe nel caso di un semplice processo di cicatrizzazione tissutale: essa comporta tutto un insieme di aggiustamenti muscolari e posturali». In definitiva, dunque, questo fa l'esperto in postura: innesca e accompagna, con specifiche terapie, gli stessi aggiustamenti che secondo Sacks avvengono naturalmente, fino a quando il corpo non raggiunge un assetto ottimale. BIONGEGNERI AL LAVORO Oltre a rieducare i muscoli e le articolazioni, per migliorare la postura si può adattare l'impostazione degli strumenti dì uso quotidiano alle esigenze del corpo. Dì questo si occupa ormai un esercito di bioingegneri, architetti, designer, che ha proposto molte alternative ergonomiche da usare, per esempio, mentre si lavora. Una delle autorità in materia è Alan Hedge, docente di design e analisi ambientale ai CorneWs College of Human Ecology http//ergo.human.cornell.edu, che di recente ha presentato al meeting della Human Factors and Ergonomics Society le sue ultime tre creature per chi passa molte ore al computer. Ecole. Mouse vibrante. Previene i disturbi muscoloscheletrici della mano, del polso e dell'avambraccio, aiutando l'utitizzatore a non tenere la mano fissa sul mouse e impedendo così che si creino pericolose tensioni croniche. Secondo Hedge in questo modo si previene anche la sindrome del tunnel carpale, condizione che tende a cronicizzare, che può richiedere interventi chirurgici e che oggi viene diagnosticata sempre prima, attorno ai vent'anni, mentre fino agli anni Novanta era rarissima prima dei 30-40 anni, Monitor mobili sono appesi su bracci mobili, che permettono di cambiare spesso posizione. Secondo gli studi fatti su volontari, gli schermi mobili sono molto apprezzati, perché consentono maggiore libertà di movimento e facilitano anche le relazioni con i colleghi. Sedie ondulanti possono esercitare un massaggio continuo sui lombi, che previene o allevia il mal di schiena. Su quest'ultimo strumento ha lavorato anche il gruppo diretto da David Rempel, esperto di ergonomìa dell'Università di San Francisco, che ha messo a punto una seggiola basculante per chi lavora nell'industria tessile, e passa anche dieci ore al giorno seduto. In base a quanto riferito sulla rivista "Spine", la sedia è regolabile in altezza, non ha ruote né braccioli, per non interferire con i movimenti, ma è leggermente basculante, per accompagnare le torsioni; in più è ricoperta da tessuti diversi a seconda delle stagioni. Provata su quasi 300 lavoratori e confrontata con altri due modelli di seggiole da lavoro tradizionali, si è rivelata di gran lunga lo strumento più efficace per prevenire il mal di schiena. A tal fine è comunque molto importante stare seduti con la giusta angolazione. Secondo uno studio presentato al recente meeting della Radiological Society of North America da Amir Bashir, dello University of Alberta Hospital, quella giusta non è, come si potrebbe pensare, quella con le gambe a 90 gradi rispetto al torso, ma quella più rilassata, con le gambe che formano un angolo di 135 gradi con il busto, e cioè sono più in basso rispetto alle anche, e la schìena leggermente in avanti. Questa posizione, già sfruttata in molte sedie ergonomiche, si è rivelata la migliore per la schiena in una trentina di volontari nei quali, con la risonanza magnetica, sono state controllate le pressioni esercitare sui dischi e sulle vertebre. ___________________________________________________________ Repubblica 14 feb. ’08 GENE DELL'OBESITÀ DAL DNA DEI SARDI SI chiama FTO (Fat Massand Obesity-associated) il gene che ricercatori del CNR di Cagliari ha associato all'obesità. La scoperta, pubblicata nei mesi scorsi su Plos Genedcs, potrebbe facilitare l'individuazione di soggetti a rischio e contribuire alla creazione di nuovi strumenti per la prevenzione, la diagnosi e la terapia dell'obesità. «La ricerca ha preso in considerazione 4000 persone provenienti dall'Ogliastra, regione orientale della Sardegna», spiega Manuela Uda dell'Istituto di Neurogenetica e Neurofarmacolagia del CNR sardo, «sul loro Dna abbiamo condotto studi di "genome-wide association" (GWA) che prevedono l'analisi del profilo genetico (genotipizzazione) e quindi di un numero elevato di variazioni del Dna distribuite nel genoma umano. In questo modo è possibile ricavare un'associazione tra le variazioni genetiche e le caratteristiche del soggetto (ad esempio l'indice di massa corporea, la pressione arteriosa, il livello di colesterolo etc.). Abbiamo osservato che una certa variazione nel gene FTO è presente con una frequenza motto elevata negli individui (f 46% dei soggetti), e si correla motto bene con l'aumento di tre caratteri tipici dell'obesità: l'indice di massa corporea (BMD, la circonferenza dei fianchi ed il peso corporeo». II risultato è stato replicato nella popolazione nordamericana, di origine sia europea che ispanica. Questo dimostra che la scoperta è estendibile anche ad altre popolazioni. La ricerca sul gene FTO si inserisce nel quadro più ampio dei progetto ProgeNIA (diretto dalla Uda e da Antonio Cao) totalmente finanziato dallo statunitense National lnstitute on Aging del Natiyonal Instlttrte of Healtih «L'obbiettivo è identificare le basi genetiche di diverse condizioni legate all'invecchiamento», spiega la ricercatrice, «partecipano al progetto 6148 volontari, tutti analizzati per 98 tratti fenotipici (38 parametri ematologici, 5 misure antropometriche, 35 aspetti della personalità e 20 tratti cardiovascolari), che costituiscono fattori dì rischio per lo sviluppo di numerose patologie». La scelta del campione sardo non è casuale. È probabile che», conclude la Uda, «il numero di geni coinvolti nell'invecchiamento sia elevato ma che ciascuno di questi geni abbia un effetto modesto sul processo, cosa che rende difficile la loro identificazione. AI fine di ridurre al minimo tale variabilità genetica si è deciso di utilizzare una popolazione come quella de1l’Ogliastra, che è rimasta isolata per millenni, e dunque è caratterizzata da una notevole omogeneità». (carla etzo) _____________________________________________________________ Sardegna 14 feb. 08 I care GENOMICA: CHI FA DELLA SCIENZA UNO SCOOP Analisi genomiche a pagamento per scoprire il proprio futuro; schedature di persone con geni mutati che predispongono a malattie; figli più alti, più belli, più intelligenti, scelti tra manciate di embrioni sviluppati in provetta. È forse l’allucinante scenario del film “Gattaca” con Uma Thurman e Ethan Hawke, che descrive una società dove il sesso è stato eliminato e la prole si programma in un grande supermercato genetico? No, è solo la rappresentazione catastrofica di un prossimo futuro che di solito ci viene propinata dai mezzi di informazione quando si commentano le ricerche di Genetica. Chi non ha sentito parlare almeno una volta di gene dell’omosessualità, cromosoma del crimine o enzima dell’immortalità? Tutte definizioni ad effetto, completamente sballate e fuorvianti, che molti giornalisti si divertono a coniare per colpire la fantasia o meglio la morbosità dei lettori. Mi viene da ridere pensando ai tremendi umanoidi simil-carotoni evocati dai media, quando alcune decine di anni fa vennero realizzati in laboratorio i primi ibridi tra cellule umane e di carota. I commenti fantascientifici si sono sprecati anche sulla recente notizia che nei topi è stato possibile ottenere cellule germinali maschili a partire da cellule staminali di midollo osseo di entrambi i sessi. «Potrebbe essere la fine dell’uomo, teoricamente la terra potrebbe essere popolata solo da donne», è stato scritto, trascurando l’importante prospettiva medica che emerge dalla ricerca, ovvero la possibilità di curare la sterilità maschile. Al contrario, si è preferito esasperare l’idea bizzarra che una donna possa produrre il proprio sperma e riprodursi con una sorta di poco piacevole partenogenesi artificiale. Purtroppo, gli argomenti scientifici seri sono spesso trattati alla stregua di notizie scandalistiche e la scienza si riduce a fenomeno da baraccone. E quanto è facile far perdere la dignità ad uno scienziato, facendolo apparire un moderno alchimista, un novello barone von Frankenstein, accecato dal delirio di onnipotenza, che vuole assimilarsi a Dio. Così i media fanno un pessimo servizio, alimentando la diffidenza verso il mondo scientifico. Perché meravigliarsi, allora, se in Italia la ricerca scientifica è da sempre una maltrattata e trascurata “cenerentola”? Patrizio Dimitri Docente di Genetica all’Università “La Sapienza” ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 14 feb. ’08 OPERAZIONI STRAORDINARIE Seduto a una console il medico opera su un'immagine 3D, in sala operatoria mani meccaniche eseguono l'intervento DI ALESSANDRA VIOLA Sono passati poco più di dieci anni da quando la laparoscopia, capace di operare organi interni attraverso due buchi nella pelle di pochi millimetri grazie a una telecamera e a strumenti miniaturizzati, veniva presentata come l'ultima frontiera della chirurgia. Eppure sembra lo stesso tempo che ci separa dalle sanguisughe, dagli impacchi d'erbe o dalla sega a mano, tanto i nuovi scenari aperti dalla microchirurgia robotica prendono le distanze dalla medicina che conosciamo. Operazioni eseguite da robot, microscopiche mani meccaniche che si fanno strada nel corpo umano attraverso i suoi naturali orifizi per evitare tagli e ricuciture, capsule capaci di operarci "dall'interno" attraverso collegamenti wireless. Giurano che accadrà entro dieci, al massimo quindici anni: non saremo più operati dall'uomo ma da calcolatori potentissimi e super perfezionati, capaci di memorizzare i dati del paziente insieme a quelli relativi a centinaia di operazioni simili a quella da eseguire, per poi lavorare in piena autonomia con l'aiuto di bracci robotici. Pochi anni dopo (ai ritmi con cui procede la miniaturizzazione) verremo operati direttamente dall'interno, inghiottendo una capsula come quelle già in uso a scopo diagnostico, dotata di dispositivi di navigazione intracorporea e microscopiche manine. Non c'è limite alla fantasia, quando il limite della verosimiglianza viene annientato dalla realtà. Sono già storia i primi interventi chirurgici eseguiti senza incisioni cutanee, per via transgastrica o trans-vaginale per mezzo della chirurgia Notes (Natural orifice transluminal endoscopic surgery) al Monaldi di Napoli e in tre ospedali milanesi. Accade anche già che manine robotiche grandi s o 6 millimetri siano inserite nel corpo attraverso un unico minuscolo taglietto, governate da guanti virtuali capaci di angoli di rotazione fisicamente impossibili per le mani umane per operare e poi richiudere il buco con uno o al massimo due punti di sutura. Senza spargimenti di sangue, né danni "collaterali" all'organismo. Il chirurgo siede davanti a una console e opera un'immagine 3d della parte interessata, in cui le riprese "dal vero" sono implementate attraverso la sovrapposizione di immagini diagnostiche provviste da radiografie, ecografie o risonanze magnetiche. In sala operatoria i suoi movimenti sono perfezionati ed eseguiti da mani robotiche. Accade non in chissà quale invidiabile nazione straniera, ma da Milano a Palermo in 29 ospedali italiani dotati del robot Da Vinci, il più avanzato modello disponibile in commercio (realizzato su un prototipo messo a punto dal dipartimento della Difesa statunitense per sostituire l'intervento umano in situazioni di guerra o calamità), anche se molti di questi ospedali non dispongono dei chirurghi e dei tecnici in grado di farli funzionare. C'è proprio l'Italia al secondo posto nel monda dietro agli Stati Uniti per numero di robot Da Vinci, più del doppio dei 13 della Germania e a fronte di un unico robot presente in Francia. Sono italiani anche i primi e i migliori chirurghi al mondo in ambito microinvasivo, e ovviamente ce li rubano. «Finalmente è arrivata la fine della medicina fatta di martelli e scalpelli - afferma Pier Cristoforo Giulianotti, da sei mesi direttore della divisione di Chirurgia robotica dell'Illinois University di Chicago, fondatore dell'unica scuola di chirurgia robotica italiana con sede a Grosseto, oltre che presidente del Mira (Minimally invasive robotic association) -. Niente più fratture, ferite, aderenze, perdite di sangue. È la fine di una secolare sproporzione delle tecniche curative rispetto all'entità del male. Un giorno esisteranno mani robotiche capaci di modificare una singola cellula, ma abbiamo già fatto passi incredibili in materia di miniaturizzazione e procedure. Per esempio con l'introduzione del training virtuale, che consentirà ai chirurghi di fare esperienza non sul corpo umano ma su simulatori estremamente realistici. Con i guanti virtuali ormai è possibile persino il feed-back tattile per sentire la consistenza del tessuto durante gli interventi. Fra non molto, per ogni singolo malato sarà possibile definire una mappatura anatomica incrociando i dati ottenuti dalla diagnostica per immagini, e si potranno anche impostare sui robot dei sistemi di "alert" che impediscano al chirurgo di andare a intaccare zone critiche non visibili. Finora la chirurgia è stata un gesto artistico. Presto diventerà un atto analogico, misurabile, finalmente scientifico». Almeno dove questi costosissimi robot non fanno solo parte dell'arredo ospedaliero, ma sono manovrati da personale in grado di sfruttarne le potenzialità. «La massiccia diffusione della chirurgia robotica in questo momento ha solo due ostacoli: gli alti costi e la scarsa preparazione dei chirurghi - dice Fabio Sbrana, responsabile della Scuola di chirurgia robotica di Grosseto a sua volta ingaggiato dall'Università di Chicago come assistant professor -. I primi caleranno con la cessazione dell'attuale monopolio nella produzione dei robot e degli strumenti chirurgici. Alla seconda cerchiamo di ovviare con i due corsi fanno della scuola di robotica, aperti a dieci chirurghi di ogni parte d'Italia e del mondo. Durano solo quindici giorni, ma bastano per imparare a usare i robot. Negli ospedali italiani ce ne sono moltissimi. Alcuni però sono stati acquistati un po' per moda e mai davvero usati. Un peccato, perché il modello italiano di procedura era all'avanguardia e ora fa scuola nel mondo. Forse però altri prima degli italiani ne godranno i benefici». _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 feb. 08 PSORIASI, LO SPETTRO DELLA VERGOGNA Secondo una stima ufficiosa, ne soffrono tre milioni di italiani Si chiama psoriasi: è una malattia della pelle che colpisce due milioni di italiani. È assediata dai pregiudizi. DAL NOSTRO INVIATO LUCIO SALIS ROMA Luisa ha sedici anni, quando il dermatologo le ha detto che con quelle macchie bianche su mani, gomiti e ginocchia doveva imparare a convivere, ha urlato «mi ammazzo». Mario invece doveva sostenere l'esame di maturità. Quando ha visto la malattia diffondersi sul proprio corpo, è caduto in depressione, si è chiuso in casa, ha saltato l'esame, ha abbandonato gli hobby, gli amici. Per convincerlo a uscire dal lungo isolamento c'è voluto l'intervento di uno psicologo. Due casi emblematici dei disagi causati da una malattia, la psoriasi, che si manifesta inizialmente sulla pelle ma che ha pesanti conseguenze a livello psichico. E non c'è corrispondenza fra l'estensione dei sintomi e l'impatto psicologico. Soprattutto fra i giovani, i più sensibili in un mondo dov'è obbligatorio essere belli, affascinanti. Pena l'emarginazione. Ci sono pazienti con lesioni minime che soffrono profondamente. LO STUDIO È una delle osservazioni emerse dallo studio Psycae (Psoriasis: Survey for the control of anxiety and depression), presentato ieri a Roma, ai margini di un congresso internazionale, condotto nelle Cliniche dermatologiche di 39 università italiane (fra le quali quelle di Cagliari e Sassari) dalla Società italiana di dermatologia medica, in collaborazione con la casa farmaceutica Novartis. Sono stati presi in esame 1580 pazienti, seguiti a intervalli, per un intero anno, con "psoriasi volgare o a placche", la più comune e diffusa. Età media 44 anni, alcuni malati "storici", altri da una data più recente. Tutti sono stati visitati periodicamente per valutare gli effetti della terapia sui sintomi clinici e sugli aspetti psicopatologici. Erano soggetti trattati con medicinali sistemici (quelli che si assumono per bocca o con iniezioni) e topici (pomate). Esclusi invece quelli curati con medicine biologiche, perché nel 2002, quando è partito lo studio, non venivano ancora utilizzate. Sin dall'inizio è emerso che il 46 per cento dei pazienti presentava un disagio psicologico, (il 54 per cento donne, il 40 per cento uomini). L'11 per cento manifestava invece una vera e propria sofferenza psicopatologica, con forme di depressione grave. Anche in questo caso più frequente nelle donne (17 per cento) che negli uomini (7 per cento). Sottoposti a terapie adeguate, i pazienti con disagio psicologico sono diminuiti, dopo sei mesi, dal 46 al 24 per cento e dopo un anno al 17 per cento. Nel trattamento, i farmaci sistemici, e in particolare la ciclosporina, (l'antirigetto che si usa anche nei trapianti) si sono rivelati più efficaci dei farmaci topici. LO PSICHIATRA Secondo Alberto Caputo, psichiatra all'università di Milano, «le conclusioni dello studio dimostrano che vanno curate le manifestazioni cliniche della psoriasi ma anche il disagio psichico, che il paziente vive non solo a causa della malattia, ma anche per l'emarginazione da parte di una società che ancora crede nelle leggenda metropolitana che sia contagiosa». Da qui la raccomandazione che, nei centri di cura, accanto al dermatologo sia sempre presente uno psicologo. Perché dietro il disturbo di grado più lieve è sempre in agguato il pericolo che degeneri in depressione. I PAZIENTI Lo sa bene Marta Maccarone, presidente dell'Adipso (Associazione difesa psoriasici), esponente di quello che ha definito «il pianeta dello stigma» cioè quella cortina di diffidenza, repulsione, ostilità, ignoranza «ma questa malattia attacca?» che provoca nei malati ansia e stress. Quello stress oggetto di studio fra le tante cause, ipotetiche, di questo male, del quale non si conosce l'origine. Un pianeta molto popolato la psoriasi. Secondo lo studio Praxtis, condotto dalla Doxa in collaborazione con l'Istituto Mario Negri, colpisce il 2,7 per cento della popolazione italiana (46.464 casi in Sardegna, ben oltre la media nazionale). Il 10 per cento in forma grave che può richiedere anche il ricovero ospedaliero. Ma c'è chi ritiene questi dati sottostimati. I malati in Italia sarebbero oltre due milioni e mezzo. «E non hanno vita facile, perché sono vittime di una convinzione diffusa quanto falsa: che la psoriasi sia contagiosa» spiega Marta Maccarone. Da qui imbarazzo e umiliazioni: «Quando una madre è avvicinata da una persona con certi segni sulle mani tende istintivamente a proteggere il proprio figlio; se un malato si accosta a un adulto, questo si fa da parte. Immaginate cosa accade nel mondo del lavoro; immaginate cosa accade ai giovani che amano vivere in gruppo; immaginate i bambini a scuola, presi in giro dai compagni. È dura sentirsi respinti. Discriminati». Da un'attuale, atroce, forma di apartheid. La scheda Fattori di rischio fumo e obesità Una malattia della pelle che non è contagiosa ROMA La psoriasi è una malattia infiammatoria, non infettiva, della pelle che in genere colpisce le persone entro i 40 anni. Si manifesta con placche arrossate, rivestite da squame, soggette a sfaldarsi, su mani, ginocchia, dorso e cuoio capelluto. In forme diverse per gravità e sintomi: la più comune, presente nell'80 per cento dei pazienti, è la psoriasi volgare o a placche. Ma esiste anche la psoriasi guttata, più frequente nell'infanzia e nell'adolescenza; la psoriasi pustolosa (colpisce soprattutto le piante dei piedi); eritrodermica, forma grave in cui tutta la cute è coperta da un eritema; ungueale, localizzata nelle unghie; l'artrite psoriasica: un'artrite infiammatoria associata a psoriasi. Le cause della malattia sono ancora sconosciute; gli studiosi propendono per un'origine dovuta a molti fattori di carattere genetico, ambientale, infettivi farmacologici, eventi stressanti e particolari stili di vita (obesità, consumo di alcol e fumo). In pratica, alla base della psoriasi c'è un'abnorme attivazione del sistema immunitario che si traduce in una grande accelerazione del processo di ricambio delle cellule della pelle, sostenuta da fenomeni infiammatori e anomalo sviluppo del sistema vascolare. In buona sostanza, il fenomeno di ricambio delle cellule che, di norma, avviene nel giro di 28 giorni, con la psoriasi si compie in 3 - 4 giorni. Fra i fattori di rischio, che possono influenzare la comparsa e il decorso della malattia, da sottolineare il fumo, l'obesità, i traumi fisici ripetuti, eventi stressanti e, solo per la forma guttata, alcune infezioni. La psoriasi è una malattia con la quale bisogna imparare a convivere, ma a volte scompare all'improvviso com'è arrivata. Viene curata con trattamenti locali a base di pomate e lozioni (terapia topica). La terapia sistemica comprende anche l'esposizione a raggi ultravioletti e farmaci come metrotexate, retinoidi, ciclosporina, e inibitori del TNF-alpha. Dal 2005 esistono anche farmaci biologi, come l'infliximab, somministrato in ospedale, grazie al quale si stanno ottenendo ottimi risultati. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 13 feb. 08 PSICHIATRIA: PROVARE AD APRIRE IL DIALOGO SI PUÒ di Alessandro Montisci* I lettori de L'Unione Sarda attualmente sono bombardati da notizie allarmanti provenienti dal mondo della psichiatria e in particolare dal Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) dell'ospedale Santissima Trinità di Cagliari. La questione del SPDC del Santissima Trinità, per i fatti gravissimi che vi succedono, e anche per la sua funzione simbolica, è assolutamente centrale. Ancora oggi rappresenta la principale istituzione collegata nell'immaginario comune alla malattia mentale. La gente si chiede: ma è vero che in quella struttura ci sono le porte chiuse, sovraffollamento, netta separatezza tra staff e degenti, persone legate, frequenti infortuni del personale e dei ricoverati? Un aiuto per capire come il SPDC, pur non avendone avuto l'intenzione, conservi tuttoggi l'essenza della manicomialità, viene dalla lucida analisi di una sua psichiatra. Questa sofferta testimonianza di Maria Ferri, molto stimata da generazioni di psichiatri (e pazienti) cagliaritani per le sue capacità professionali, la sua umanità e onestà intellettuale, è riportata da pagina 99 a pag 104 del volume degli atti del convegno regionale svoltosi ad Ales nel 1985: «Due costanti accompagnano dal suo esordio lo svolgersi quotidiano del lavoro nel SPDC: la necessità di smaltire molte richieste in breve tempo - quindi la fretta nelle risposte - e l'isolamento entro il quale ciascun operatore lavora...». E ancora: «Si rovescia sul SPDC una grande quantità e varietà di problemi, ai quali il medico di turno può dare solo due risposte, e le deve dare immediatamente: ricovero sì, o ricovero no... su questi fatti il SPDC ha messo in atto un meccanismo difensivo, un po' come un delirio di onnipotenza, trasformandosi da reparto per la crisi, a struttura tuttofare senza scambi, né confronti... La mancanza di apertura al confronto, all'esame dei problemi e dei metodi di intervento ha portato ad una progressiva riduzione della capacità di osservare e di intervenire, rendendo le risposte rigide e stereotipate e ha riprodotto nella attuale struttura ospedaliera aspetti di marca manicomiale... Ci siamo convinti che risposte diverse ai disturbi mentali riducono la cronicità e riducono il numero dei casi impossibili. Dobbiamo stare attenti a rifiutare il potenziamento degli ospedali, perché le possibilità stanno all'esterno, in strutture diverse, con équipe multidisciplinari preparate, e da un diverso punto di osservazione». Sono gli stessi psichiatri sardi in tempi non sospetti a denunciare compatti che «nel vuoto di strutture e di programmi, nell'alternarsi di organismi politici e amministrativi, diversi negli anni, ma uguali nella ottusa indifferenza davanti al disastro dell'assistenza psichiatrica che si veniva configurando» si tradiva il vero spirito della riforma: una profonda e radicale umanizzazione nella pratica dell'assistenza psichiatrica capace di coniugare la effettiva presa in carico della persona sofferente e dei suoi familiari, e la relativa assunzione di responsabilità da parte degli operatori, con metodi d'intervento che non offendano la dignità della persona e che rispettino sempre i suoi diritti. È veramente triste e incomprensibile come la svolta politica presente in Sardegna, unica regione italiana che ha posto la Salute Mentale come una delle cinque priorità del proprio Piano Sanitario Regionale, e che quindi ha deciso di investire nel settore risorse fino ad ora inimmaginabili, abbia potuto innescare un'assurda guerra fratricida tra noi psichiatri. Una guerra fondata su rivendicazioni ideologiche, corporativismi e personalismi spesso finalizzati alla difesa di privilegi quali quello di non dovere rispondere dei risultati del proprio intervento, di non mettere in discussione il proprio potere all'interno del servizio con gli altri operatori e nel rapporto professionale con i pazienti e con i loro familiari. Vogliamo arricchire il dibattito e tranquillizzare i cittadini parlando anche di progetti terapeutici e di percorsi di guarigione di cui, vivaddio, siamo tutti testimoni. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 10 feb. 08 CONTRORDINE SULLO STRETCHING: VIETATO ALLUNGARSI TROPPO Pratica salutare, ma solo rispettando precise regole. Per anni ci hanno detto che lo stretching era indispensabile per uno sportivo, ma questa tecnica è davvero utile? Lo stretching, ovvero l' allungamento muscolare, è fondamentale per prevenire gli infortuni, migliorare le prestazioni e «defatigare» i muscoli. Lo sa anche lo sportivo più dilettante. Ma se non fosse vero niente? Si sono posti la domanda ricercatori della Scuola di fisioterapia dell' Università di Sydney, in Australia, che hanno analizzato tutti i lavori in inglese svolti dal 1966 al 2000 sull' argomento. La ricerca, pubblicata dal British Medical Journal, arriva a una conclusione sorprendente: lo stretching prima di una competizione aumenta il rischio d' infortuni, strappi o contratture muscolari; nella maggior parte dei casi nel pre-gara non migliora la performance e utilizzato a fine prestazione, anziché defaticare, accresce lo stress muscolare. Tra i precedenti studi, giudicati fondamentali per una risposta tanto negativa, quello condotto nel 2000, da Ian Shrier, che per primo ha parlato di «stress tolerance». In pratica, chi fa molto stretching riesce ad allungare fino al 20% in più della media le fibre muscolari, perché ha acquisito una maggior sopportazione del dolore, ma questo si traduce in uno svantaggio perché, non avvertendo dolore, lo sportivo, può più facilmente farsi male. Altri due ricercatori, Klaus Wiemann e Andreas Klee (in uno studio del 1999, ripreso dagli australiani), sottolineano poi come gli stiramenti passivi impongano ai muscoli tensioni talvolta equivalenti a quelle richieste da un lavoro muscolare "pesante", favorendo microtraumi che, nel tempo, aumentano il rischio di lesioni. E non è finita qui. I tendini rispondono allo stretching con un nuovo orientamento delle fibre di collagene, ma il guadagno in allungamento si accompagnerebbe a una ridotta capacità di assorbimento degli stress. Lo stretching statico (il più utilizzato, in cui si assume una posizione lentamente e senza slanci o movimenti rapidi), infine, comprimerebbe i capillari, ostacolando l' afflusso di sangue e questo comporterebbe una diminuzione della rigenerazione proprio in quei muscoli che, a fine prestazione, più necessitano di recupero. Addio stretching, dunque? «No, - risponde Franco Carnelli, primario dell' Unità di ortopedia e traumatologia al Policlinico-Multimedica di Sesto S. Giovanni, Milano - non fosse altro per non perdere ampiezza articolare e elasticità muscolare utili a prevenire e ridurre molte patologie degli atleti. Giusto per citarne alcune: gomito del tennista, pubalgie dei calciatori, ginocchio del saltatore, patologie del tendine d' Achille di chi corre. Tutti gli elementi negativi sottolineati dagli australiani nascono da errori nell' esecuzione dei movimenti: un allungamento eccessivo che può dare danno acuto; una sollecitazione minore, ma troppo ripetuta nel tempo, che può condurre a lesioni da durata. E la riduzione dell' afflusso di sangue durante il defaticamento è transitoria e non annulla quanto di buono lo stretching fa ottenere in termini di elasticità ed "equilibrio" muscolare». Tra i tanti tipi di stretching, qual è il migliore? «Da dimenticare le tecniche balistica e dinamica, che consistono nel fare oscillare ripetutamente e in maniera incontrollata gli arti o il busto. L' unico stretching utile è quello che favorisce il rilassamento muscolare, ma non esiste un "modello umano" codificato e non si può definire lo stretching ideale. Ci sono però due regole fisse: mantenere la posizione fino a che non si è rilassati; cercare il proprio limite d' allungamento non arrivando mai alla soglia del dolore». Mabel Bocchi * * * Respirazione Il ritmo per prendere fiato Ricordiamo che lo stretching è una fase del riscaldamento che va iniziato con almeno 5 minuti d' attività aerobica (jogging, salto della fune, cyclette) e che è fondamentale la respirazione. Si deve inspirare durante l' allungo, espirare quando il muscolo è sotto stretching, mentre si è in posizione. Questo rilassa, aumenta il flusso di sangue e aiuta a eliminare l' acido lattico. Bisogna inspirare lentamente col naso, espandendo l' addome; trattenere un attimo il fiato; poi espirare piano con naso o bocca. Bocchi Mabel