L'INFLAZIONE DI RIFORME NON MIGLIORA L'UNIVERSITÀ - UNIVERSITÀ: MERITO E FINANZIAMENTI - RIFORME, L’UNIVERSITÀ NON PUÒ ATTENDERE - ATENEI «VIRTUOSI», STOP DEI RETTORI - LE UNIVERSITÀ, L'AUTONOMIA E LE ASSUNZIONI - SELEZIONI ANCORA CON VECCHIE REGOLE - A QUALCUNO SPIACE ERASMUS - RICERCATORI, GOVERNO SENZA GIUSTIFICAZIONI - R&S, ITALIA IN RETROGUARDIA - RICERCA: QUELLO CHE I CANDIDATI HANNO DIMENTICATO - FUORI RUOLO, PARTE IL TAGLIO DELLE ORE - E ANCHE GLI ASINI VOLLERO FARSI PROF - IL CIBO DEL FUTURO HA UN «BACKUP» - SEMPRE PIÙ INGEGNERI «SALUTANO» L'ITALIA - GODEL IL GENIO CHE SI LASCIO’ MORIRE DI FAME - COMPUTER, ADDIO AL DESKTOP VA IN SOFFITTA LA SCRIVANIA VIRTUALE - ======================================================= SUI RICOVERI TAGLI PER 2 MILIARDI - TERAPIA DI RIFORME PER IL SSN - TELEMEDICINA SE I SERVIZI FUNZIONANO «TEORICAMENTE» - VECCHI ERRORI, PIÙ BARRIERE: ERRORI IN CALO LISTE INTASATE - ADDIO ALLA CARTA CON LA CARTELLA CLINICA ELETTRONICA - SANITÀ, HARRIS DEVE LASCIARE SASSARI - È SCOMPARSO IERI L’EX RETTORE ANTONIO MILELLA - SSN, PRONTO AL VARO IL NUOVO ELENCO DELLE PRESTAZIONI - CAGLIARI:L'AMBULATORIO SEGRETO DEI CLANDESTINI - PSICHIATRIA: SE IL PROGRESSO DISTURBA IL POTERE - TOMASSINI: DALLA LEGGE BASAGLIA A OGGI - SALUTE MENTALE, SFIDA SUL TERRITORIO - PSICHIATRIA: IL MODELLO SARDEGNA A BILANCIO TRA RIVOLUZIONI E RESISTENZE - QUANDO GLI ANIMALI ANTICIPANO IL MEDICO - INDIVIDUATA, LA SOSTANZA CHIMICA RESPONSABILE DEL PRIAPISMO - I 10 DIFETTI CHE IMBARAZZANO DI PIÙ - VAIOLO: LA MINACCIA È NEL FREEZER - IL MELANOMA E LE NOSTRE DIFESE IMMUNITARIE - II FLOP DEL VACCINO ANTI AIDS «CHI LO PRENDE RISCHIA DI PIÙ» - ======================================================= ___________________________________________________ Il Sole24Ore 16 mar. ’08 L'INFLAZIONE DI RIFORME NON MIGLIORA L'UNIVERSITÀ di Roberto Perotti e Guido Tabellini Da anni, una delle ricette più popolari per rilanciare la crescita e contrastare la concorrenza dei Paesi emergenti è investire di più in ricerca e migliorare l'università. Sebbene gli investimenti in ricerca rimangano bassi, i tentativi di riformare l'università non sono mancati: da più di 15 anni, ogni legislatura ha fatto una riforma. Ma tutti i tentativi sono falliti, e l'università italiana rimane inefficiente come è sempre stata. Anche la prossima legislatura farà una nuova riforma. Ma anche questa fallirà, se non imparerà dagli errori passati. Nel ‘93 fu istituita l'autonomia finanziaria per le università. Ma ancora oggi, a 15 anni di distanza, le università si finanziano prevalentemente con trasferimenti statali basati sulla spesa storica. Nel '98 vi fu il decentramento dei concorsi a livello locale. Ma non è servito a cambiare la qualità del reclutamento, e alla fine della scorsa legislatura il ministro Letizia Moratti ha abolito i concorsi locali per tornare al concorso nazionale. Nel'99 vi fu la riforma degli ordinamenti didattici (il cosiddetto 3+z). Vi sono stati alcuni effetti positivi (minori abbandoni e più iscrizioni), ma anche nuove distorsioni, come la proliferazione di un numero eccessivo di corsi di laurea e di nuove sedi. Nel complesso, la qualità del sistema universitario non è mutata. Nella scorsa legislatura, la riforma Moratti ha introdotto alcuni elementi di flessibilità nel reclutamento e negli stipendi dei docenti e ha completato una valutazione della ricerca prodotta dai singoli atenei. Ma i risultati della valutazione non sono mai stati utilizzati, perché in questa legislatura il ministro Fabio Mussi ha deciso di ricominciare tutto da capo. La controriforma Mussi ha dato una stretta condivisibile alla proliferazione dei corsi di laurea e delle università telematiche e ha proposto una nuova agenzia di valutazione dell'università. Poi il Governo è caduto. Ma l'agenzia di Mussi era già in un limbo prima della crisi. La principale eredità di questi provvedimenti, oltre ad aumentare la burocrazia universitaria, è stata di bloccare i due comitati che l'agenzia avrebbe dovuto sostituire, uno dei quali ha il compito fondamentale di raccogliere i dati sul sistema universitario italiano. Tutte queste riforme sono fallite perché non hanno mai affrontato il nodo cruciale dell'università italiana: come premiare i migliori e come penalizzare i peggiori. A parole, tutti sono d'accordo con l'idea che il merito vada premiato e che le università migliori debbano avere più risorse. Ma ogni tentativo di tradurre in pratica questa idea si scontra con pregiudizi atavici nella politica e nella cultura italiane. Poiché non ci si fida del mercato (e tantomeno in un settore come l'università), si vogliono controllare centralmente criteri e remunerazione di professori e atenei. Ma non è possibile stabilire il vero valore economico di ogni singolo professore in ogni singolo ateneo. Inoltre, premiare il merito significa anche penalizzare il demerito: gli atenei peggiori dovrebbero ricevere meno finanziamenti. Ma per molte sedi; la spesa in personale eccede il 90% dei trasferimenti statali. Se i finanziamenti sono ridotti, il personale deve essere messo in mobilità. Poiché questo è politicamente impossibile, la valutazione non ha conseguenze rilevanti e i trasferimenti statali continuano a inseguire la spesa storica. La lezione delle riforme fallite è questa: se le università si finanziano prevalentemente con trasferimenti statali, il sistema politico non riesce a ripartire le risorse in base a criteri di merito. Per migliorare il sistema, bisogna accettare che le università si finanzino prevalentemente con le rette studentesche, senza tetti imposti dallo Stato. Da un lato, diventerebbe più facile ripartire eventuali trasferimenti statali in base alla qualità della ricerca, perché le università avrebbero più flessibilità per reperire altre risorse. Dall'altro, sarebbero gli studenti a premiare gli atenei migliori e a definanziare quelli peggiori; questi ultimi dovrebbero migliorare o scomparire. Quello che non hanno mai ottenuto decine di riforme possono ottenerlo gli studenti e le loro famiglie. L'obiezione che l'università semigratuita è uno strumento di mobilità sociale è una sciocchezza, perché sono i figli delle classi medio-alte a trarne vantaggio. AL contrario, aumentare le rette è una misura di equità sociale, perché con i risparmi ottenuti consentirebbe di istituire un sistema pubblico di borse di studio per i meno abbienti. Inoltre, l'istruzione universitaria arriva troppo tardi. Vi è ampia evidenza empirica che le opportunità di vita dipendono in modo cruciale da ciò che accade negli anni dell'infanzia. Per aumentare davvero la mobilità sociale, lo Stato dovrebbe prendere i soldi che oggi regala agli studenti universitari ricchi e investirli per migliorare l'asilo e la scuola elementare. Purtroppo, l'idea di finanziare l'università prevalentemente con rette a carico degli studenti non trova spazio nei programmi elettorali dei due principali partiti. Ciò non sorprende. Molti politici sono convinti che l'università gratuita sia un po' come la spesa per pensioni: chi la tocca rischia la morte politica. L'esperienza di altri Paesi non gli dà torto. Domenica scorsa un referendum in Ungheria ha bocciato il tentativo del Governo di aumentare le tasse universitarie, e tentativi simili hanno suscitato forte opposizione anche in Germania. Ma non illudiamoci. Senza affrontare questo tabù, anche la prossima riforma dell'università sarà solo tempo perso. Roberto Perotti Guido Tabellini ======================================================= CORRIERE DELLA SERA 18 mar. ’08 UNIVERSITÀ: MERITO E FINANZIAMENTI 13 università si sono proclamate «serie A» per avere i conti in ordine, invocando una ripartizione delle risorse statali (il Fondo di finanziamento ordinario- Ffo dei ministero dell'Università) con criterio meritocratico ed in modo differenziato tra «atenei di ricerca» e «atenei d'istruzione» (traduzione frettolosa di research university e teaching university). II problema è rilevante e da affrontare. Per i conti la virtuosità dipende anche da come vengono addossati i costi é conteggiati i parametri di calcolo del Ffo. Così nelle università venete o emiliane con facoltà di medicina, infermieri e portantini sono a carico dell'ospedale (e quindi della Regione), mentre per Roma Sapienza e Napoli questo personale è a carico dell'università. Si tratta di ury costo improprio, che grava sulla Sapienza per 62 milioni di euro, pari al 14% del Ffo: ove questo costo fosse sostenuto dall'ospedale il rapporto stipendi/Ffo sarebbe dell'80%, facendola rientrare tra 1e università virtuose. La distinzione tra research university e teaching university, importante ed ovviamente ignota al ministero e al Comitato di valutazione, che se ne è accorto solo per le lauree per le professioni sanitarie, che costituiscono I'80% dell'offerta formativa delle Facoltà mediche italiane, i cui studenti sono conteggiati dal Comitato al 50% ai fini dei contributo ministeriale-Ffo. Eppure ci sono numerose lauree triennali che hanno minore attinenza con la ricerca scientifica e che sono però valutate al 100% come le lauree fortemente connesse con la ricerca (che non è solo quella tecnologica). Si dovrebbe ammettere che la diffusione di strutture accademiche nei territorio ha una sua funzione importante ma che esse devono essere caratterizzate come teaching university, a costi più contenuti, non richiedendo rilevanti infrastrutture di ricerca. Proprio riguardo alle research universities, va però rilevato che il solo Politecnico di Torino figura tra i primi 100 atenei nel mondo (nel settore d'ingegneria ed' informatica), mentre vi sono in classifica anche in più settori le università di Milano Statale, Pisa, Sapienza di Roma, Napoli Federico li. Il problema vero è che da troppo tempo alle dichiarazioni sui finanziamenti pubblici da erogare alle università in base a indicatori meritocratici fa riscontro una desolante politica fatta di mancata analisi dei problemi, d'improvvisazioni, se non di azioni clientelari. Occorre procedere davvero in senso meritocratico, ricorrendo agli indicatori scientimetrici internazionali. Luigi Frati Prorettore vicario, Università Sapienza di Roma ========================================== Unione Sarda 3 mar. ’08 RIFORME, L’UNIVERSITÀ NON PUÒ ATTENDERE Il governo Prodi sarà ricordato come il più avaro di risorse per la didattica e la ricerca universitaria. E questo non certo per mancanza di fondi ma per una precisa scelta politica, visto che la finanziaria 2006 ha consentito alle Università di imbarcare indiscriminatamente e senza alcun concorso nel ruolo tecnico-amministrativo i cosidetti precari. In questo l’Università di Cagliari si è particolarmente distinta. Intendiamoci, non si tratta di una rivendicazione di categoria. Infatti, l’ultima cosa che auspichiamo è che il futuro governo vari un’analoga legge per i docenti universitari, una riedizione di quelle famigerate «ope legis » che, a scadenze regolari, hanno tagliato fuori dall’Università intere generazioni di giovani. I docenti universitari, il cui cuore, si sa, batte prevalentemente a sinistra, facendo proprio il detto «chi è causa del suo mal, pianga se stesso», non si lamentano, anzi, se interpellati, giustificano il trattamento che il governo Prodi ha riservato loro con la necessità di risanare i conti dello Stato, dissestati dal precedente governo. Chi conosce gli universitari sa però che dentro, molto dentro, sono delusi e sognano un’altra università. Quale? Questa domanda è opportuna visto che il programma del Pdl è scarno e quello del Pd a dir poco incerto. Veltroni inizialmente ha parlato di istituire entro il 2010 cento (100) nuovi campus scolastici e universitari diventati poi semplicemente scolastici. Al di là dell’oscura natura dei campus veltroniani, conforta il I sapere che non si tratta di nuove sedi universitarie. Perché non di nuove sedi ha bisogno l’Università ma di migliorare le esistenti attraverso una riforma profonda. Si tratta di porre la ricerca, che nell’Università è la fonte della didattica e l’interfaccia con l’impresa, al centro di un circolo virtuoso che attribuisca ai dipartimenti, i luoghi della ricerca, una quota consistente del finanziamento statale sulla base di una valutazione oggettiva della ricerca prodotta. Questo meccanismo, rendendo i dipartimenti arbitri del proprio destino, conferirebbe loro anche la scelta dei nuovi docenti. Niente più concorsi nazionali governati da lobby di «amici», o doppie idoneità, una per il candidato della sede che bandisce e l’altro per un esterno sostenuto dalla lobby dominante, ma una scelta diretta da parte del dipartimento tra coloro che risponderanno a un bando pubblicato sulle riviste scientifiche del settore. Il dipartimento non potrà permettersi di scegliere i nuovi docenti sulla base dell’appartenenza a un gruppo o una scuola, perché sarà in gioco il suo benessere, se non la sua sopravvivenza. Un meccanismo siffatto, che mette in concorrenza le università tra di loro, va necessariamente accoppiato all’eliminazione del valore legale del titolo di studio. Questa, in nuce, l’università che sommessamente chiedono i docenti universitari, con l’incrollabile fede che supera anche la probabilità, se non la certezza, di rimanere inascoltati. ======================================================= CORRIERE DELLA SERA 21 mar. ’08 ATENEI «VIRTUOSI», STOP DEI RETTORI La riunione della Conferenza ROMA - Per capire l'aria che tira, basta la battuta che girava ieri mattina nella sede della Crui (Conferenza dei rettori): «Che dite, fondiamo pure noi un'associazione?». II riferimento è ad Aquis, il «gruppo di lavoro» per la qualità delle università statali, presentato sabato a Bologna: 12 atenei «virtuosi» che si identificano in precisi criteri di merito e produttività (con un invito «allargato» ad altri 7). Ieri, a Roma, i magnifici si sono ritrovati in assemblea. «C'è stata una discussione franca, indubbiamente dura», ammette Patrizio Bianchi (Ferrara), tra i fondatori di Aquis; «molti interventi, in gran parte di condanna» per Angiolino Stella (Pavia), tra i contrari. E da Aquis si sfilano anche alcuni dei «virtuosi»: «Noi, come Torino, Salerno e Roma Tre - conferma Enrico Decleva (Statale di Milano) - non aderiamo». La critica principale:'i criteri di merito vanno individuati da un ente terzo. «Di questo si occuperà l’Anvun>, taglia corto il presidente Guido Trombetti. «Al governo chiediamo un impegno a incrementare del 5% l’Ffo, per 5 anni». E il ministero annuncia lo «sblocco» di 1000 posti da ricercatore, di fatto messi in standby dal «mille proroghe». ======================================================= CORRIERE DELLA SERA 21 mar. ’08 LE UNIVERSITÀ, L'AUTONOMIA E LE ASSUNZIONI di LUIGI COVATTA Dodici università hanno messo in discussione l'egualitarismo che tuttora presiede all'attribuzione dei fondi statali. Dovrebbe essere una buona notizia. È giusto smettere con la pratica dei finanziamenti automatici, che finora ha moltiplicato piuttosto gli atenei che non laureati e ricercatori. Ma è proprio il caso di cominciare dalla distribuzione dei fondi statali? Non sarebbe più logico esigere. maggiore autonomia sia nella ricerca di fondi che nel reclutamento di docenti e discenti? Il rischio è che anche in questo caso l'esigenza di distribuire meglio le risorse faccia premio sulla necessità di incrementare le risorse stesse. Lo dimostrano alcuni dei criteri individuati per aderire al nuovo club dell'eccellenza. Dove sta scritto, per esempio, che il numero degli iscritti sia di per sé garanzia di qualità ? E come si fa a considerare virtuose pratiche amministrative che risparmiano solo il 10% del fondo di finanziamento ordina rio per spese diverse da quelle per il personale ? E' vero che in regno coecorum monoculus rex, e che solo 19 università su 80 superano la soglia del 10% di risparmio. Ed è ancora più vero che da parte degli atenei qualche parte bisogna pur cominciare reclutamento dei per spezzare la logica corporativa cui si è ispirata fin qui la Conferenza dei Rettori. Ma se strappo deve essere, tanto vale che sia netto, e tale da discriminare davvero gli esamifici dalle università vere e proprie. C'è da augurarsi, quindi, che l'associazione fondata la settimana scorsa dai magnifici dodici non si limiti al lobbing sulla distribuzione dei fondi statali, ma interloquisca a tutto campo col nuovo governo e col nuovo parlamento. Esigendo, per esempio, nuove procedure per l'accesso agli studi superiori. Disboscando la giungla dei 5500 corsi di laurea. Valorizzando le lauree triennali e qualificando quelle quinquennali. Troncando i rapporti incestuosi fra università ed enti pubblici di ricerca. Rivendicando, infine, autonomia nel reclutamento dei docenti e nel loro stato giuridico (l'articolo 18 non è più un tabù per nessuno). Programma vasto, indubbiamente. Ma tutto sommato meno ambizioso dei tanti di cui si discute in questi giorni di campagna elettorale. ___________________________________________________ Italia Oggi 21 mar. ’08 SELEZIONI ANCORA CON VECCHIE REGOLE RICERCATORI/Una nota del mimistoro dell Università Concorsi sbloccati DI BENEDETPA P PACELLI Sbloccati i concorsi per i ricercatori. Dopo l’ultimo stop della Corte dei conti il ministro dell'università Fabio Mussi ha pronta una nota, da indirizzare ai rettori delle università italiane, per chiarire le modalità con cui gli atenei potranno bandire i concorsi. Restano comunque al palo i concorsi coofinanziati dalle università e dal ministero, perché quelli potevano essere banditi solo con le nuove norme. Il chiarimento, fanno sapere dal ministero, si è reso necessario dopo la bocciatura della settimana scorsa, da parte della magistratura contabile, delle nuove regole. La mancata registrazione aveva infatti aperto a un vuoto normativo: in attesa del varo delle disposizioni targate Mussi, il decreto legge mille proroghe ha esteso la validità delle vecchie norme di reclutamento (stabilite dalla legge 3 luglio 1998 n 210) fino al15 marzo. Da quella data in poi, quindi, le università non avevano più una normativa di riferimento per bandire i concorsi. Da qui la necessità di un chiarimento. Dopo la mancata registrazione del testo, spiegano dal ministero, non è applicabile (almeno fino al nuovo regolamento) la previsione contenuta nella Finanziaria del 2007 che stabiliva che non si potevano bandire più i concorsi con le vecchie regole a partire dalla data di emanazione del decreto, avvenuta il 7 dicembre scorso. Ma il decreto è stato solo emanato e non registrato. Quindi, spiegano ancora, la sua validità viene a cadere e automaticamente è in vigore la vecchia legge Berlinguer. Niente di fatto invece per i concorsi cofinanziati dal ministero dell'università e dagli atenei. Quel reclutamento straordinario che avrebbe dovuto assumere oltre 4 mila aspiranti ricercatori. Una parte di questi, circa 1.000, erano già stati accontentati ma per gli altri 3 mila nulla di fatto, con il rischio che i finanziamenti previsti possano andare perduti: la Finanziaria 2007 prevedeva infatti che al fine di consentire il reclutamento straordinario di ricercatori, venivano stabiliti un numero aggiuntivo di posti di ricercatore da assegnare alle università. All'onere derivante si provvede nel limite di 20 milioni di euro per fanno 2007, di 40 milioni di euro per fanno 2008 e di 80 milioni di euro a decorrere dall'anno 2009. Centoventi milioni di euro che potrebbero andare perduti. Una notizia che per Giuseppe Valditara responsabile università di Alleanza nazionale «rappresenta il fallimento di tutta la politica universitaria del ministro Mussi, e invece una grande vittoria politica del centrodestra che aveva sempre dichiarato il decreto illegittimo e inapplicabile». ___________________________________________________ La Stampa 19 mar. ’08 A QUALCUNO SPIACE ERASMUS Le borse nate per favorire la mobilità degli studenti in Europa, sono largamente sotto utilizzate dagli italiani: è l'università che li scoraggia CHIARA SARACENO L’università italiana non penalizza solo chi ha fatto esperienza di ricerca e lavoro all' estero, riconoscendovi scarso o nessun valore rispetto all'essere rimasto pazientemente e servizievolmente in fila e vicino al proprio potenziale sponsor. Spesso scoraggia anche chi vuole recarsi all'estero durante il periodo di studi, per completare la propria formazione, sperimentare diversi modelli formativi e frequentare altre biblioteche. È noto che le borse Erasmus, che dovrebbero facilitare la mobilità degli studenti in Europa, sono largamente sotto utilizzate. In parte è certo un problema economico. Uno studente appartenente a una famiglia di modesti mezzi economici difficilmente può fronteggiare le spese connesse al vivere fuori casa se la borsa Erasmus non è integrata da qualche altro finanziamento. E non c'è dubbio che gli studenti italiani, più dei loro coetanei europei, proprio perché sono abituati a vivere a lungo nella famiglia di origine, hanno spesso forti resistenze a sperimentare l'ebbrezza del vivere un po' senza rete, senza il guscio protettivo e i servizi della famiglia. GLI ESAMI NON RICONOSCIUTI Proprio per questo andrebbero incoraggiati di più a cogliere le occasioni istituzionalmente previste. Invece da parte di molti docenti avviene esattamente il contrario. Troppo spesso sento dire da studenti della mia e altre università che singoli, ma numerosi, docenti della loro facoltà non riconoscono gli esami sostenuti all'estero, entro i programmi Erasmus per i quali pure esistono accordi interuniversitari ufficiali. Le motivazioni sono le più varie e tutte deprimenti: il corso nella università straniera non ha, ovviamente, lo stesso programma; o, ancora peggio, il collega straniero non adotta il fondamentale testo del docente italiano. Non stiamo parlando, che so, di corsi di diritto privato, che hanno specificità non trasferibili da un contesto nazionale all'altro, o di storia della letteratura italiana, ma di diritto internazionale, o sociologia della famiglia, o della cultura, o di economia politica. Di conseguenza molti studenti rinunciano a fruire del programma Erasmus perché di fatto «perderebbero» tempo dal punto di vista del curriculum universitario. BASTA COI PATERE DISCREZIONALE Lo stesso avviene con i dottorati, specie nelle materie umanistiche e sociali. Spesso non si incoraggiano, al contrario, i dottorati in co-tutela con una università straniera, perché non si desidera che il «proprio» dottorando si esponga a influenze di altri studiosi. O forse non si vuole rischiare di confrontarsi con colleghi stranieri. Può persino succedere che non si riescano a spendere i fondi europei ottenuti proprio per far circolare i propri dottorandi, farli partecipare a convegni e corsi all'estero, farli lavorare con docenti di altri istituti in giro per l'Europa, appunto perché qualche docente non accetta che venga persa qualche loro lezione. Sospetto che ciò avvenga più nei dottorati nelle materie umanistiche e sociali che in quelli scientifici. Si parla tanto di internazionalizzazione, ma troppi docenti, oltre a non praticarla neppure per se stessi, la considerano con sospetto nei propri allievi. Occorre togliere loro questo stupido potere discrezionale, introducendo automatismi nei riconoscimenti all'intèrno degli scambi Erasmus (come già avviene in alcune università) e rendendo il più possibile obbligatorio per i dottorandi non solo un periodo all'estero, ma anche la partecipazione a convegni e seminari internazionali. Perché possano, vorrei dire debbano, provarsi e confrontarsi fuori delle pareti della casa madre, senza temere penalizzazioni quando ritornano. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 19 mar. ’08 RICERCATORI, GOVERNO SENZA GIUSTIFICAZIONI La replica del ministero dell'Università alla bocciatura del regolamento sui ricercatori mi pare inconsistente. La Corte dei conti, questa volta in seduta plenaria, ha rifiutato per l’ennesima volta la registrazione di un provvedimento palesemente illegittimo e nella sua prima stesura persino illogico. Ricordo solo quanto fosse contrario al principio di ragionevolezza che un ingegnere potesse valutare un medico. Ma i vizi di legittimità ripetutamente denunciati dalla Corte dei conti erano tanto marchiani che stupisce la superficialità con cui il Governo ha affrontato l'intera vicenda andando incontro al rifiuto di registrazione. Ancora più grave appare il comportamento del Governo in occasione dell'approvazione del Dl Milleproroghe perché, invece di consentire l'utilizzo della legge vigente per tutti i futuri concorsi da ricercatore sino a nuova disciplina, ha voluto forzare la mano limitando l'efficacia della legge del 1998 all'entrata in vigore del decreto Milleproroghe, con il risultato che ora tutti i concorsi futuri sono bloccati in assenza di una normativa di riferimento. Tutto questo alla faccia della tanto sbandierata apertura della ricerca ai giovani. Infine H Ministero non chiarisce con quali tempi verranno distribuiti i fondi Prinaoo7. Sarebbe stato più trasparente chiarire, per esempio, quando termineranno le loro valutazioni i referee. L'impressione è che la ricerca italiana abbia ormai perso un anno di finanziamenti. Quanto alla distribuzione del Ffo, comprenderà da subito anche la quota di fondo straordinario previsto in Finanziaria? Se non sarà così le preoccupazioni sul futuro dei nostri atenei si accrescono ulteriormente. Giuseppe Valditara SenatoreAn ___________________________________________________ Il Sole24Ore 17 mar. ’08 R&S, ITALIA IN RETROGUARDIA Pochi i brevetti presentati - Scarseggiano ricercatori e laureati in scienze e ingegneria Gruppo di lavoro del Cnr: «Priorità ai fondi e all'insegnamento» RICERCA Senza scienziati e ingegneri non c'è futuro. Nel mondo è in atto una rivoluzione: la fiaccola della scienza sta passando in Asia e noi rischiamo di essere emarginati». Le parole del presidente del Consiglio Romano Prodi, intervenuto al convegno «Scienza e cultura», presso il Cnr, riassumono bene i dati presentati per l’occasione dal Gruppo di lavoro per lo sviluppo della cultura scientifica e tecnologica. Dal quadro delineato emerge un Paese in cui mancano soldi per la ricerca, scarseggiano i ricercatori, sono pochissimi i brevetti e ancora meno le esportazioni di prodotti hi tech. In Italia i fondi pubblici per la ricerca sono pari allo 0,5% del Pil, sotto la media europea (0,6%) e decisamente meno rispetto a Francia e Germania (0,7%). I ricercatori italiani sono 70mila contro i 200mila della Francia e i 270mila della Germania. Siamo indietro anche nei rapporto tra ricercatori e occupati: 38,2 su mille contro i 67 del Giappone e i 79 degli Usa. Riguardo al numero di brevetti nel 2005 in Italia ne sono stati registrati 10mila, in Germania 90mila. Le esportazioni di prodotti hi tech sono pari al 12% delle esportazioni in Italia, contro il 60% dell'Irlanda. Infine l’Italia è l'ultima tra i Paesi del G7 per numero di laureati in scienze. e ingegneria. Per stare al passo la ricerca scientifica deve diventare una priorità per il nostro Paese, ha ammonito il presidente del Gruppo di lavoro Luigi Berlinguer, una priorità che «va pagata in curo con un diverso equilibrio del bilancio dello Stato». Inoltre è necessario - secondo il Gruppo - un profondo rinnovamento nel modo in cui la scienza viene insegnata nelle scuole di ogni ordine e grado. Anche nel campo delle competenze nelle materie scientifiche infatti l'Italia è in coda rispetto ai Paesi più avanzati. ========================================== Unione Sarda 19 mar. ’08 RICERCA: QUELLO CHE I CANDIDATI HANNO DIMENTICATO di Gaetano Di Chiara I programmi dei due maggiori partiti, il Pdl e il Pd, hanno, come si sa, molti punti in comune. Ambedue pongono al centro due obiettivi di forte impatto popolare: aumento dei salari e riduzione della pressione fiscale. E’ facile prevedere tuttavia che queste misure porteranno un miglioramento soltanto effimero del benessere degli italiani se non saranno sostenute da un aumento della produttività, cioè dello sviluppo. Quali sono le misure previste dai programmi del Pdl e del Pd per assicurare lo sviluppo ? Per il Pdl, gli incentivi fiscali alle imprese, le grandi opere, il nucleare, la liberalizzazione dei servizi; per il Pd ancora incentivi fiscali e qualche infrastruttura (Tav?). Misure queste che favoriscono lo sviluppo ma che non ne costituiscono il nucleo centrale, il cosidetto ’core’. In ogni paese industrializzato il ’core’ dello sviluppo è la ricerca. Nel programma del Pd e del Pdl l’unico accenno alla ricerca riguarda la selezione dei ricercatori universitari. Per il resto, silenzio totale. Un vero e proprio buco nero. Nel 2000 la conferenza di Lisbona indicava al 3% del Pil l’obiettivo di spesa in ricerca da raggiungere entro il 2010 da parte dei paesi dell’Ue. L’Italia è attestata da molti anni sull’1.1% ed è altamente improbabile che raggiungerà l’obiettivo previsto. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, tuttavia, la nostra ridotta spesa in ricerca non deriva tanto da una carenza di finanziamento pubblico, che in percentuale del Pil è allineato a quello medio dell’Ue, ma da un quasi assente finanziamento privato. L’impresa non investe in ricerca. Come mai? In Italia la ricerca viene cofinanziata prevalentemente attraverso il sistema degli stanziamenti di fondi da parte dei vari ministeri e delle regioni. Questi stanziamenti fissano tempi, modi e contenuti ai quali i progetti di ricerca devono uniformarsi. Questi tempi, modi e contenuti tuttavia non necessariamente coincidono con le reali esigenze produttive e di disponibilità finanziaria delle imprese. Inoltre, questo sistema costringe le imprese a collaborare tra loro secondo criteri imposti dalla politica piuttosto che scelti dall’impresa sulla base delle sue necessità di sviluppo. I progetti di ricerca diventano così veri e propri carrozzoni che finiscono per tradire le vere esigenze della ricerca. Senza contare poi le lungaggini burocratiche dovute alla centralizzazione gestionale, ministeriale o regionale, che ritardano di anni la ricerca, rendendola obsoleta. Più adatta alle esigenze di elasticità, autonomia e competitività delle imprese è invece la defiscalizzazione e agevolazione creditizia degli investimenti in ricerca. In questo modo l’impresa, supportata da un credito illuminato, potrà finanziare una ricerca tagliata su misura per le sue esigenze, magari con l’unico vincolo di coinvolgere come partner un laboratorio di ricerca pubblico. Un meccanismo, questo, che avrebbe un ulteriore vantaggio, quello di contribuire alla riduzione della pressione fiscale. ==================================================== ItaliaOggi 22 Mar. 08 FUORI RUOLO, PARTE IL TAGLIO DELLE ORE Docenti: nota del ministero università DI BENEDETTA P PACELLI Vita dura per i docenti universitari fuori ruolo, che già a partire all'1/1/08 vedranno diminuire gradualmente il periodo di permanenza negli atenei fino a scomparire del tutto. A stabilirlo la norma contenuta nell'articolo 2 comma 434- della Finanziaria per il 2008 che ha introdotto una nuova disciplina per il collocamento fuori ruolo e sul quale una nota dello scorso 18 marzo del ministero dell'università ha specificato modi e tempi. Il dato di partenza è appunto la previsione contenuta nella manovra per i12008 che ha introdotto un meccanismo di riduzione graduale del fuori ruolo (cioè quel docente universitario che, con l'inizio dell'anno accademico successivo a quello in cui compie il 70esimo anno di età, assume tale qualifica), prevedendone la definitiva abolizione a decorrere dall'l/l/08. Cosa che, secondo il ministero dell'università, consentirà agli atenei di risparmiare circa 200 milioni di euro per ciascun anno. Ecco quindi le nuove disposizioni tenendo conto che la legge Moratti 230105 ha eliminato tale figura e che la norma della Finanziaria è invece estesa retroattivamente anche ai docenti già in servizio alla data dell'entrata in vigore della legge. Dal l° gennaio 2008 quindi, il periodo di fuori ruolo passa da tre a due anni. Ovviamente questa disposizione non interessa coloro che, con il l° novembre 2007, hanno iniziato il terzo anno di fuori ruolo. Dal 1° gennaio 2009 invece il fuori ruolo passa da due a un anno; anche in questo caso la norma non interessa coloro che hanno iniziato il secondo anno di fuori ruolo il 1° novembre 2008. Dall'1/1/10 il fuori ruolo è abolito. La norma non interessa coloro che si trovano al primo anno di fuori ruolo alla data dell'1/1/09. Ovviamente il periodo di fuori ruolo viene ridotto e, quindi, soppresso anche per i professori ordinari assunti in seguito a concorsi banditi dopo il 1980. Contraria alla norma l'Unione sindacale professori universitari di ruolo il cui segretario nazionale Antonino Liberatore tiene a precisare innanzitutto che i fuori ruolo hanno gli stessi compiti didattici dei docenti in ruolo. A motivi che inducono a proporne il pensionamento anticipato riguardano solo problemi di natura amministrativa ed economica, perché anche se il professore è in pensione l'università di appartenenza seguiterà a ricevere nel fondo di finanziamento ordinario il suo stipendio lordo». ======================================================= CORRIERE DELLA SERA 20 mar. ’08 E ANCHE GLI ASINI VOLLERO FARSI PROF DI CESARE FIUMI A VENEZIA, RESPINTI 248 CANDIDATI SU 687. EPPURE IL TEST ERA ELEMENTARE e si potevano sbagliare fino a 15 risposte. PER FARE COSA? ISCRIVERSI A Lettere e DIVENTARE DOCENTI Per un po' si sono dati il cambio, con un automatismo quasi perfetto. Sempre nello stesso ordine: prima il fastidio, poi lo stupore, quindi l'orrore che, alla fine, cedeva il testimone alla frustrazione. Una vera staffetta emotiva, impensabile fino a qualche anno fa. Ma non è durata molto questa girandola di sensazioni, ché ci si abitua a tutto, anche al peggio e così l'ha avuta vinta la rassegnazione. E quel dato al netto di qualsiasi sconforto: su 687 che hanno risposto ai quiz, 248 hanno sbagliato f n troppo per essere ammessi. No, non a una trasmissione preserale della tv, dove partecipare nelle vesti di concorrente. E neppure all'esame di pratica per prendere la patente. Magari, in quel caso, i test sarebbero stati anche più selettivi, dal momento che per mandare in video si pretende una miscellanea di cultura generale, dallo sport alla scienza, e per guidare un'auto la soluzione di incroci-groviglio nei quali indicare la precedenza. Questi non erano così complicati, anzi. Come ha detto un esaminatore - uno di quelli che s'è fatto più volte rutta la trafila: fastidio stupore – orrore - frustrazione - si trattava di «quiz di una difficoltà elementare». Dove elementare, visto il livello delle risposte da fornire, va interpretato in senso letterale: un test da scuola primaria. Buono per un bambino di quinta, con una pagella normale. E poi vuoi mettere la manica larga? Già, perché su cinquanta domande proposte, dove dimostrare di poter essere idonei, i candidati potevano sbagliarne fino a quindici: insomma, quasi un terzo di risposte errate era perfino tollerato. E invece salta agli occhi di nuovo quel dato che sa di sconfitta: 248 bocciati su 687 partecipanti. Le domande? Uno spasso. Tipo: riconoscere in una frase quando «e» è una congiunzione; dire se anche «i» pub esserlo o se al contrario è soltanto un articolo. E ancora: nello stesso testo, riconoscere la proposizione principale e le subordinate. E poi determinare se le seguenti parole sono scritte esattamente: “un po, coscenza, essiccare”. Ma non è finita, ché per i partecipanti al test elementare si trattava anche di spiegare il significato di alcune parole, ignote a molti presenti, come flebile, cavillo, ratificare. Che è poi quello che hanno fatto i poveri esaminatori: ratificare quel risultato, inabili all'italiano 248 su 687. E mica in quinta elementare. In terza media? Macché. No, non stiamo parlando neppure delle Superiori, che comunque sono il bollettino di una catastrofe, in fatto di istruzione se, alla fine del primo quadrimestre, la media degli studenti che hanno riportato almeno un'insufficienza - dal Classico al Professionale, dallo Scientifico al Tecnico, dal Linguistico all'Artistico (ché la statistica tiene conto di tutti gli istituti) - è del settanta per cento. No, i 248 che non hanno superato il test, fin qui raccontato, avevano fatto domanda d'iscrizione all'Università di Ca' Foscari a Venezia, facoltà di Lettere: si, una facoltà che laurea gli insegnanti di italiano di domani. Quei 248 sono aspiranti professori, per la maggior parte di provenienza liceale, che scrivono coscienza senza la «i», fanno errori di ortografia, non sanno cosa sia la sintassi e spargono - sul riassunto di un testo di cui non comprendono il senso - un po' (senza l'apostrofo) di punteggiatura a casaccio. );asineria al potere. Ha commentato un docente rassegnato: «Da anni abbiamo scoperto che gli universitari non sanno l'italiano. Ormai le tesi di laurea sembrano remi di terza media». Solo che quest'anno l'ignoranza a Venezia - ma ovunque è lo stesso - ha avuto un sussulto, ché il numero dei respinti è aumentato del 150 per cento. Quasi a chiudere il cerchio su quel dato che vede l'Italia, secondo una ricerca dell'Ocse, al 28° posto tra i trenta Paesi più istruiti (capace di tenere dietro solo il Portogallo e il Messico), con un dottore su cinque che «non sa produrre un testo complesso e corretto». Istruzione italiana ormai al lumicino: solo una luce flebile (se gli aspiranti-prof sapessero cosa vuoi dire) nel buio dell'analfabetismo di ritorno. Quante matricole, capaci di fare solo 14-15 errori, siederanno quest'anno nelle facoltà? Vuoi vedere, per non saper né leggere né scrivere, che alla fine un raglio ci seppellirà? ___________________________________________________ Il Sole24Ore 20 mar. ’08 IL CIBO DEL FUTURO HA UN «BACKUP» Il «Sotterraneo dell'Apocalisse» alle isole Svalbard è stato ideato e realizzato in soli cinque anni.. Non c'era tempo da perdere DA OSLO MARCO MAGRINI La principale fonte di energia che sostiene la civiltà umana è a rischio. No, qui non si parla di petrolio. Ma del grano. Del riso, della soia, del mais. Ovvero quegli ingegnosi - e deliziosi - chicchi di energia compatta e biodisponibile, che hanno accompagnato l'homo sapiens e i suoi antenati lungo quel cammino evolutivo di milioni di anni. Cominciandolo però molto, molto tempo prima. «Se il rischio di perdere questo tesoro di diversità genetiche, venisse calcolato in percentuale, come i rischi assicurativi - dice Cary Fowler - direi che è del zoo%. Stiamo già perdendo pezzi di diversità. Tutti i giorni». Parole che non vengono da un pulpito qualsiasi. Fowler, 58 anni, americano con la residenza in Norvegia, è il direttore del Crop Diversity Trust, un'organizzazione indipendente che si occupa della protezione delle varietà alimentari, che ha sede presso la Fao e quindi a Roma. Ma soprattutto è l'uomo che ha ideato la migliore polizza assicurativa possibile per la protezione del più grande tesoro a disposizione dell'umanità: non l'energia che fa girare le macchine, ma l'energia che fa muovere gli esseri umani stessi. Da poche settimane, in un'isola dell'arcipelago delle SvalUard - territorio norvegese distante appena uri migliaio di chilometri dal Polo Nord - c'è una grotta artificiale che finirà per contenere oltre due miliardi di semi di 4,5 milioni di varietà diverse. Stanno arrivando dalle 1400 banche genetiche sparse in cento Paesi del mondo, i cui gradi di sicurezza sono molto variabili e molto discutibili: basta vedere quella di Abu Grahid, in Iraq, che è stata saccheggiata dopo l'inizio della guerra. «SvalUard è una sorta di backup - sintetizza Fowler - una copia di sicurezza della diversità genetica. I giornali l'hanno subito battezzata Doomsday Vault (il sotterraneo dell'Apocalisse), che è forse eccessivo. Però dice anche una verità: quella grande grotta scavata nella pietra serve proprio a proteggerci da qualsiasi catastrofe: locale, regionale o globale» . Per essere una polizza assicurativa sul più ancestrale tesoro dell'umanità, è costata pochi spiccioli: nove milioni di dollari, interamente sborsati dal governo norvegese. I costi operativi, modesti perché non c'è bisogno di personale a tempo pieno, sono coperti dal Crop Diversity Trust. La storia di Cary Fowler comincia in un preciso momento storico: quando i prezzi delle materie prime sono andati alle stelle e le scorte hanno cominciato a scarseggiare. Sembra cronaca di oggi, invece siamo a metà anni 70. «Stavo scrivendo un libro su quella crisi alimentare, quando scoprii che non c'era una rete di sicurezza. Da li, mi misi in testa di convincere i Governi a fare qualcosa». I quali, qualcosa hanno poi fatto: nel'79, a Roma, è stato firmato il Trattato internazionale sulle risorse genetiche alimentari. Ma la storia di SvalUard comincia appena cinque anni fa, quando Fowler-che in quel momento insegnava all'Università di Oslo insieme ad altri propone alla Norvegia di ospitare la più grande co-. pia di sicurezza della vita (umana) che sia mai stata realizzata. «Mi chiesero allora di dirigere i lavori per uno studio di fattibilità, dall’A alla Z». Alla presentazione dello studio, c'è solo un viceministro delle Finanze. Il quale, alla fine, chiede: «Lei crede che SvalUard sia il miglior posto al mondo per fare tutto questo?». Risposta affermativa: è un arcipelago remoto, senza rischi sismici e già abbastanza gelido da contribuire alla conservazione delle sementi. «AL che - racconta Fowler - replicò: "Allora non vedo come potremmo dire di no"». II Sotterraneo dell'Apocalisse per coloro che sono abituati a certe lungaggini delle grandi opere pubbliche - è stato inaugurato il zG febbraio scorso. Presto, molto presto. Ma sempre troppo tardi. «Dalla fine degli anni 69 a oggi, la diversità è già stata messa a repentaglio: nei Paesi sviluppati, l'agricoltura ha unanimamente adottato varietà uniformi, finendo per erodere la varietà genetica disponibile». Il G1oUal Diversity Trust diretto da Fowler, sta mettendo in piedi una banca dati per censire quel che è rimasto. Secondo le prime informazioni, risulta che esistano tutt'oggi oltre 2oomila tipi di riso, 2oomila varietà di grano, q 7mila di sorgo, 3omila di fagioli e di mais, r5mila di arachidi. «Non esiste la varietà migliore - rammenta Fowler - perché dipende dal luogo e dal tempo. La miglior varietà del 2008 non sarà più la migliore nel 2025 la ricchezza genetica è in continua trasformazione. Da sempre, gli agricoltori incrociano varietà diverse per ottenere il miglior risultato. È un po' come la tavolozza di un pittore: senza tutti i colori a disposizione, ben difficilmente il quadro sarà un capolavoro». Da oggi però, c'è almeno la copia di sicurezza. Perché, se l’energia fossile che bruciamo è bruciata per sempre, l'energia che ha fatto crescere e sostentato l'intero genere umano «è la più meravigliosa risorsa rinnovabile che esista». «Ci meravigliamo davanti alle piramidi o al Colosseo - scherza Fowler- ma se non ci fossero stati il grano o le patate, non esisterebbero neppure loro». I cambiamenti climatici in corso, sono già sufficienti a giustificare un magazzino sotterraneo dell'Apocalisse. E, anche senza scomodare rischi estremi come un conflitto nucleare, l’idea di Svalbard dovrebbe essere accolta da ogni abitante della Terra - un'astronave con a bordo G miliardi e mezzo di bocche da sfamare - con lo stesso atteggiamento di quel viceministro del Regno di Norvegia: «Non vediamo come si potrebbe dirgli di no». ___________________________________________________ Il Sole24Ore 17 mar. ’08 SEMPRE PIÙ INGEGNERI «SALUTANO» L'ITALIA Luigi Dell'Olio La situazione degli ingegneri nel mercato lavoro racchiude in sé tutte le contraddizioni e le potenzialità inespresse del sistema produttivo italiano. Secondo l'ultima indagine Almalaurea, il 76,5% degli ingegneri trova lavoro entro un anno dalla laurea, il 96,5% entro cinque anni: dati che non trovano pari presso le altre classi di studio. Una ricerca della Fondazione Politecnico di Milano offre però una diversa prospettiva: a parità di dimensioni, le nostre aziende assumono in media la metà di ingegneri rispetto a Francia e Germania (14.184 assunzioni in Italia contro le 33.756 della Francia e le 56.379 della Germania). E le distanze sono più ampie se si considerano i comparti tipici del made in Italy (alimentare, bevande e tabacco, industria del legno). Mentre si riducono tra le grandi aziende e quelle dei comparti dell'informatica, elettronica e tlc. Ma proprio il dominio delle pmi (sono il 95% del totale) e la modesta diffusione di aziende hi-tech sono due tratti caratteristici dell'economia italiana. Non meraviglia, allora, l'annotazione di Almalaurea secondo cui 400 ingegneri laureati ne12oo6hanno scelto di trasferirsi all'e stero (entro un anno dal titolo) perchè nei Paesi stranieri si trova un lavoro migliore (è la principale ragione del trasferimento, nel 37% dei casi di tutti i laureati che varcano i confini nazionali).In assoluto, la percentuale di laureati che lavorano all'estero a un anno dal titolo è passata dall’1% degli occupati del 1999 al 4% del 2006. Ma i problemi non riguardano solo il lato della domanda: le aziende, dal loro canto, lamentano i limiti della formazione dei giovani ingegneri italiani, poco focalizzata sulle tematiche di tipo gestionale-organizzativo, il che si traduce spesso nell'incapacità di trasformare le conoscenze in valore aggiunto sul lavoro. Non sorprende allora che il maggior appeal verso le imprese venga registrato dai nuovi settori dell'ingegneria, quelli con un approccio più orientato al mercato. Una ricerca dell'agenzia per il lavoro Page Personnel rivela che una delle professioni più ricercate dalle imprese italiane lo scorso anno è stata l'ingegnere consulente brevettuale, che analizza i prodotti con la prospettiva di identificare soluzioni brevettabili. Un mix di competenze tecniche e legali, che offre ai professionisti stipendi di tutto rispetto: per i neolaureati la retribuzione annua si aggira tra i 25mila e i 28mila curo lordi annui, mentre per figure con un'esperienza da tre a cinque anni si superano i 33mila curo. Lo stesso discorso vale per i programmatori Plc: lo stipendio iniziale in questo caso si aggira intorno ai 2omila-25mila curo, per superare i 33mila dopo cinque anni di esperienza. CHI TROVA LAVORO A un anno da 1 conseguimento del titolo, secondo l'ultima indagine di Almalaurea, lavora il 76,5% degli ingegneri, seguiti da i 75,8% dei laureati in materie relative all’insegnamento e dai preparatori fisici (75,4%) LO STIPENDIO INIZIALE È la retribuzione media annua lorda per un ingegnere consulente brevettuale secondo Page Personnel; un programmatore guadagna da 20mila a 25mila euro fanno, un project engineer dai 24mila ai 28mila euro ___________________________________________________ Libero 16 mar. ’08 GODEL IL GENIO CHE SI LASCIO’ MORIRE DI FAME Con la matematica dimostrò vita nell'aldilà Ipocondriaco, pensava che il cibo fosse veleno ANNALISA BIANCHI Il 14 gennaio 1978 moriva di fame, all'ospedale di Princeton, quello che è considerato il più grande logico dopo Aristotele, il più grande dell'epoca moderna. Si chiamava Kurt Godel, era nato in Moravia nel 1906 e insegnava matematica nell'università della cittadina del New Jersey. un'università secolare, fra le più prestigiose al mondo, dove avevano insegnato alcune fra le menti scientifiche più brillanti. Albert Einstein, per esempio, che col professore, dagli anni Trenta, quando erano entrambi emigrati dall'Europa, faceva lunghe passeggiate ogni giorno. I due si stimavano; e amavano chiacchierare e discutere insieme, nonostante i loro caratteri diametralmente opposti. La scomparsa di Einstein, nel 1955, era stato un colpo per Godel che, gentile e mite, ma anche solitario, diffidente e stravagante, era emarginato dall'ambiente accademico anche a causa della moglie, una ex ballerina di night club. Adele Porkert era divorziata e aveva sei anni più di lui. Lo scienziato l'aveva conosciuta nel 1928, nel locale notturno La Falena, a Vienna, quando era studente di fisica. Era la seconda volta che il ragazzo si innamorava di una donna più anziana di lui, e i suoi genitori misero il veto al matrimonio, che avvenne solo dieci anni più tardi, nel'38. IL "RAGAZZO GAGLIARDO" Eppure la ballerina ignorante, inadeguata ai salotti e sempre più tonda a mano a mano che gli anni passavano, fu l'unica ancora di salvezza per un uomo ipocondriaco fin dalla prima giovinezza, che era sicuro di essere malato di cuore nonostante i medici lo smentissero. Gòdel morì di fame perché da tempo si cibava solo di un uovo e un frutto al giorno. Era convinto che gli alimenti fossero avvelenati: Adele ne assaggiava sempre un po' prima di imboccarlo, per convincerlo che non aveva nulla da temere. Quarant'anni da casalinga lontana dal suo Paese, quarant'anni passati a sostenere materialmente e moralmente il marito, ad accudirlo come un bambino, come un figlio, il figlio che non arrivò mai. Lo chiamava "ragazzo gagliardo". Divise con lui le difficoltà economiche iniziali, senza alcun conforto, anzi sopportando il disprezzo strisciante perla propria povertà intellettuale da parte della comunità accademica, delle mogli degli altri docenti soprattutto. Tutto per amore di un uomo che qualcuno arrivò a ipotizzare che fosse un "alieno", tanto era potente la sua mente, diversa da quella dei suoi contemporanei, completamente svincolata dalle regole e dalle certezze del tempo: Un uomo che nei rapporti interpersonali e nella vita quotidiana era ingenuo e maldestro. Quando Adele si ammalò e dovette essere ricoverata in ospedale, lo scienziato smise di mangiare. Qualche mese dopo mori. Pesava 38 chili. RIVOLUZIONE SCIENTIFICA Eppure, che fosse un genio, è fuori discussione. Informatici, matematici, logici giudicano il suo "principio di incompletezza" e il "principio di indecidibilità" che ne consegue, enunciati negli anni Trenta, una rivoluzione scientifica pari a quella del principio di relatività di Einstein (Energia uguale al quadrato della massa moltiplicata per la velocità della luce: la famosa equazione E=mc**2). In pratica: la logica classica diceva che un'affermazione o è vera o è falsa. Godel afferma invece che, nella matematica ci sono assiomi (cioè affermazioni) veri, la cui veridicità non può essere dimostrata. Perché? Perché la matematica intesa come sistema di assiomi e di regole, è incompleta: quindi ci saranno sempre delle verità matematiche chela matematica non può dimostrare. Però attenzione: queste verità, queste regole esistono. Perché gli oggetti matematici esistono indipendentemente da noi. Che E fosse uguale a mc**2 era vero anche prima che Einstein lo scoprisse. A qualcuno può venire il sospetto che qui non si tratti più soltanto di matematica, ma anche di filosofia. Vero. Ma lui non faceva differenze: per Godel anche la filosofia doveva essere una scienza esatta. La sua passione era la logica, e la logica è un metodo di indagine utile sia alla matematica sia alla filosofia (ma anche alla linguistica, o all'informatica). I LIMITI DEL CERVELLO I matematici del suo tempo reagirono ai suoi due principi sovversivi con un glaciale e spocchioso "ecchissenefrega". Ben diversa fu la risposta del "papà del calcolatore", Alan Turing, che conobbe Godel a Princeton, dove era emigrato dall'Inghilterra per studiare fisica e logica, e che dopo la seconda guerra mondiale si dedicherà agli studi sull'intelligenza artificiale. Perché, sempre più in bilico fra matematica e filosofia, con qualche deviazione nella fisiologia, Godel, coerentemente con i suoi due principi, aveva affermato che la mente, entità capace di intuizioni infinite, non si esaurisce nel cervello, macchina dotata di limiti fisici, la cui espansione, le cui connessioni nervose possono crescere ma fino a un certo punto. Turino voleva costruire una macchina capace di gareggiare con l'uomo nell'esercizio dell'intelligenza. Godel era convinto che, al massimo, una macchina potesse gareggiare con un cervello: «Turing trascura completamente il fatto che la mente, nelle sue manifestazioni, non è statica, ma in continuo sviluppo» dichiarò nel 1972. Lo ricorda Gabriele Lolli, docente di logica matematica all'università di Torino, nel saggio "Sotto il segno di Godel" (il Mulino): raccolta di conferenze da lui tenute nel 2006 organizzate in Italia e all'estero da università, scuole e associazioni per celebrare il centenario della nascita dello scienziato. Fra i temi affrontati, non solo i suoi contributi più strettamente matematici, ma anche la sua filosofia, il suo interesse per la cosmologia, la religione, persino la parapsicologia. Godel, spiega Lolli, non esclude che sia «possibile che esista una macchina che è equivalente all'intuizione, ma noi potremmo non accorgercene, non solo non essere in grado di affermare che tutte le sue affermazioni sono corrette. La mente, almeno per la parte che fa matematica, potrebbe essere una macchina, ma noi potremmo non riconoscere questo fatto, o non essere in grado di provarlo». Uno studioso tanto razionale, tanto logico, credeva in Dio? Si, ci credeva, e credeva anche in una vita nell'aldilà. Era proprio la ragione, diceva, a imporglielo. Primo, perché nessuno è mai riuscito, con la logica, a dimostrare il contrario, a fornire cioè la prova che questa credenza è logicamente contraddittoria. Secondo perché, al contrario, con la logica matematica l'esistenza di Dio si può dimostrare (e lui la dimostrò). E poi perché soltanto la vita dopo la morte può dare un senso a quella che stiamo vivendo: il mondo è organizzato razionalmente (il suo linguaggio universale è la matematica), ma l'uomo non sviluppa, durante la sua esistenza, tutte le potenzialità della sua mente. L'OTTIMISMO RAZIONALESTA Ciò significa che lo farà dopo,nella vita successiva: «Non si capisce altrimenti perchè Dio non abbia fatto le persone in modo che esse comprendessero nel modo giusto la loro condizione fin dall'inizio» scrive in una lettera alla madre. Lo chiamava "il mio ottimismo razionalista". Lo stesso che deve averlo indotto a scegliere per moglie una bella, gaia e saggia ballerina di nightclub. Ma che,contro ogni logica, non é bastato per evitargli di essere infelice, grigio, triste e depresso per quasi tutta la vita. Nato a Brunn, in Moravia, nel 1906 e morto a Princeton nel 1978, Godel è noto soprattutto per i suoi lavori sull’incompletezza delle teorie matematiche ed è considerato il più grande logico dopo Aristotele Nel 1928, quando era studente di fisica, in un locale notturno di Vienna conobbe Adele Porkert, divorziata e di sei anni più vecchia di lui. Si sposarono nel 1938 Ipocondriaco fin da giovane, era convinto che gli alimenti fossero avvelenati. Per questo la moglie li assaggiava sempre prima di darglieli. Ma quando lei fu ricoverata in ospedale, lui smise di mangiare e qualche mese dopo mori li suo "principio di incompletezza" e il "principio di indecidibilità" che ne consegue, enunciati negli anni Trenta, rappresentano una rivoluzione scientifica. Secondo lui la matematica intesa come sistema di assiomi e di regole è incompleta ed esisteranno sempre verità matematiche che la matematica non può dimostrare Per Godel la mente non ha limiti; l'uomo non riesce a svilupparne tutte le potenzialità durante la sua esistenza e ciò significa che lo farà dopo la morte. Non si capisce altrimenti perché Dio ci avrebbe dotato di una mente così potente ___________________________________________________ Repubblica 17 mar. ’08 COMPUTER, ADDIO AL DESKTOP VA IN SOFFITTA LA SCRIVANIA VIRTUALE LE STRATEGIE DELLA CONVERGENZA / Il Web 2.0, il social networking, siti come YouTube, hanno cambiato il modo di operare in Rete. Adesso è arrivato il momento di cambiare anche i terminali. Il vecchio sistema mostra la corda Uno scienziato italiano, Giorgio De Michelis, ha messo in piedi un progetto e un gruppo di ricerca allo scopo di individuare un nuovo sistema di organizzazione dei contenuti nei pc: non solo nuovo software ma anche hardware GIUSEPPE TURANI Milano Quello che voglio fare è una work station completamente nuova. In pratica un nuovo concetto, qualcosa che superi il personal computer attuale». Giorgio De Micbelis,professore di Informatica teorica e Sistemi informativi all'Università di Milano-Bicocca, una delle maggiori autorità internazionali del settore, sorride e aggiunge: «Qualche mio amico dice che sono matto, ma secondo me non è vero. Abbiamo buone probabilità di riuscire nell'impresa». Ma, in pratica, che cosa vuole fare? «Potrei dirle che voglio rovesciare una metafora». Non le sembra un po' poco? «No, perché si tratta della metafora che è alla base di tutti i computer oggi in uso nel mondo». Facciamo un passo indietro per capire bene di che cosa si tratta? «Il computer, oggi, è una metafora della scrivania. La cosa fu messa a punto anni allo Xerox Park e da allora niente è cambiato. In sostanza, il desktop del computer è organizzato esattamente come una scrivania. C'è il cestino per buttare via la cosa che non serve più e ci sono i vari cassetti per mettere dentro le pratiche (i file), e così via. Questa cosa, che ha funzionato bene fino a oggi e che ancora funziona, ha un vantaggio: chiunque può usare un computer senza bisogno di un particolare addestramento perché il suo modo di essere organizzato (la scrivania) è in fondo familiare, conosciuto». Appunto: tutto questo ha funzionato. Perché lei vuole una nuova metafora? «Il desktop del computer ha un difetto grave: enfatizza i difetti della scrivania. Li rende più grandi, più ingombranti. Molti hanno scrivanie disordinate, sulle quali si accumula di tutto e non si trova più niente. Nei computer questo stato di cose peggiora per la semplice ragione che lo schermo è più piccolo della scrivania e perché nel computer c'è molta più roba. Più materiali in meno spazio: è ovvio che tutto peggiori. A tutti noi è capitato di perdere del tempo per cercare un file che non si trova più e che è finito chissà dove». D'accordo, ma nel frattempo un po' tutti hanno inventato motori di ricerca sempre migliori, appunto per trovare le cose che si perdono nelle scrivanie elettroniche. In qualche caso sono addirittura gi incorporati nel sistema operativo del computer. «Certamente. Si stanno spendendo molte energie per potenziare i motori di ricerca, e non nego che siano stati raggiunti dei risultati importanti. Ma io penso che dobbiamo puntare a qualcosa di più. Invece di essere costretti a «cercare» quello che ci serve (in mezzo alla confusione o a migliaia di file); io voglio un computer dove quello che cerco è li, davanti a me, pronto per essere utilizzato, subito». Progetto ambizioso. «Ma possibile. Si tratta appunto di cambiare metafora. Bisogna abbandonare quella della scrivania, che tanto ha già fatto il suo servizio, e di adottarne una nuova». Quale? «La metafora del racconto, della storia». Buio pesto. Che cosa significa? Diventiamo tutti dei piccoli Hemingway? «No, stia tranquillo. La nostra vita, se lei ci pensa, tanto. quella lavorativa che quella privata, è un insieme di storie. Se lei decide che scriverà un libro sui dinosauri, può considerare questo fatta come una storia: la storia del suo libro sui dinosauri, che sarà diversa dalla storia di un libro sulle crociate. Ma lo stesso può dirsi della decisione di un imprenditore di esportare scarpe in Brasile. lo propongo di adottare questa nuova metafora: non più la scrivania, ma l'insieme delle storie». E che cosa cambia? Io,come fanno gli altri, lei compreso, metto i miei file in apposite cartelle tematiche. «Cambia tutto. Oggi lei mette i suoi scritti in apposite cartelle tematiche. Ma poi ha le e-mail relative a quello stesso progetto da un'altra parte e i contributi di eventuali amici e corrispondenti magari da un'altra parte ancora. In realtà, lei, come tutti noi, ha i suoi materiali sparsi dentro il computer, in un relativo disordine». Nel sua nuova metafora invece cambia tutto? «Si. Il sistema sarà costruito in modo che una volta individuata una storia (ad esempio «Libro sui dinosauri» o «Scarpe in Brasile») tutto quello che riguarda quell'argomento e che passa attraverso il computer finisca nello stesso luogo («venue» in inglese). Non solo: tutto quello che parte (esce) dall'interno di una venue richiamerà all'interno della stessa venue (in modo automatico) le risposte. In sostanza, anche dopo mesi di lavoro, tutto quello che riguarda i dinosauri, sarà nella sua venue Dinosauri, in modo automatico e lei potrà trovarlo li, senza azionare motori di ricerca. E, ovviamente, accade la stessa cosa per l’imprenditore che ha deciso di vendere scarpe in Brasile». Spiegato così sembra interessante. «Poi ci sono tante altre cose. Ad esempio, ogni volta che io ho uno scambio epistolare, via computer, il sistema mi chiederà se voglio aprire una nuova venue, una nuova storia; o se voglio utilizzare una di quelle già esistenti. In sostanza, mi chiede dove voglio collocare quel messaggio. Da quel momento tutti i messaggi e tutti i materiali relativi a quell'argomento (a quella storia) andranno in quello stesso luogo (venue)». Sembra una cosa un po' complicata, ma interessante. A chi può servire una cosa del genere? Non certo alla massa di quelli che oggi usano il computer. «No. Questa idea punta a realizzare una work station che servirà a tutti quelli convinti che quello che fanno abbia un valore, e che quindi non vogliono perdere il proprio lavoro». Insomma, un nuovo buon programma da installare accanto a quelli che ognuno di noi ha sul proprio computer. «Sbagliato. Si tratta di una concezione totalmente nuova dell'informatica (che nella sua metafora di base non è cambiata da decenni) e quindi serviranno un sistema operativo nuovo e anche molte modifiche hardware. Insomma, bisogna fare tutto nuovo. Dopo, però, lavorare sarà molto più semplice». Come mai le è venuta l'idea di questa rivoluzione? «Dopo 25 anni passati a lavorare nell'informatica sentivo il bisogno di fare una cosa nuova, di rottura. Sono cose che capitano». A che punto siamo con i lavori per realizzare questo progetto? «A giugno presenteremo una Demo e nel giro di due anni dovrebbe essere tutto pronto, macchina e programma». Come porta avanti queste ricerche? Chi la finanzia, in parole povere? «Un gruppo di amici. Abbiamo una specie di club. Dentro c'è gente del mondo dell'informatica, ma non aziende. Con queste ultime sto prendendo contatti, ma per il momento andiamo avanti privatamente. Fra il gruppo di amici che sta lavorando intorno a questa cosa ci sono anche degli esperti di design. Infatti vogliamo che la cosa sia bella, e nuova, anche nell'aspetto». Avete pensato proprio a tutto. «Anche allo zainetto che dovrà contenere la nuova macchina: sarà bellissimo. C'è anche un nome per questa cosa nuova: ltsme, sono io». Non più cartelle ma 'storie' che riuniscano documenti, e-mail e quant'altro La Bicocca La foto grande a centro pagina è la sala computer dell'università di Milano Bicocca, dove il professor Giorgio De Michelis ha la cattedra di Informatica teorica e Sistemi informativi Un `teorico' esperto di business intelligence GIORGIO De Michelis, 60 anni, è professore di Informatica teorica e Sistemi informativi all'Università di Milano - Bicocca, dove ha diretto il Dipartimento di Informatica, Sistemistica e Comunicazione dal 2002 al2007. Svolge una vasta attività di ricerca principalmente sui modelli dei sistemi distribuiti, su modelli e strumenti per il workgroup computing, i community systems, il knowledge management, la bu siness intelligence e sull'inte raction design per sistemi mo- L'impegno bili e ubiqui. Con il suo gruppo diviso di ricerca ha sviluppato alcuni tra ricerca prototipi di sistemi intelligenti pubblicazioni di coordinamento delle attività g gruppi di ufficio e di gestione della co- di lavoro noscenza e di communityware: Su questi temi ha pubblicato su riviste a volumi collettivi oltre centoquaranta articoli scientifici, prevalentemente in lingua inglese e quattro libri in italiano. Svolge anche ricerche e consulenza sull'innovazione, con particolare riferimento, da una parte, alle imprese italiane eccellenti, al ruolo che in esse possono svolgere le lcté al management di cui hanno bisogno, dall'altra, al cambiamento nella Pubblica Amministrazione, all'e-governmentealla cultura del servizio. E'vice-presidente della Fondazione lrso, un istituto di ricerca che si occupa di sistemi socio-tecnici, innovazione industriale e organizzazione delle pubbliche amministrazioni. Nel 2008 fonda Itsme, una start-up che ha l'obiettivo di progettare e realizzare una workstation di nuova concezione basata su Linux che va oltre la metafora del desktop. ======================================================= ========================================== Il Sole24Ore 20 mar. ’08 SUI RICOVERI TAGLI PER 2 MILIARDI Cura anti-sprechi: 100 interventi solo in ambulatorio con ticket PRIMA DELLE ELEZIONI È l'ultima riunione per varare l'elenco delle prestazioni cui potrebbero aggiungersi gli indirizzi applicativi su legge 194 e salute mentale Roberto Turno ROMA Con un compromesso finale sul filo del rasoio tra i ministeri dell'Economia e della Salute e i governatori, oggi per il Ssn potrebbe arrivare il via libera ai nuovi livelli essenziali di assistenza (Lea). E, insieme, potrebbero vedere la luce il piano vaccini 2008-2010, gli atti d'indirizzo sull'applicazione della legge 194 sull'aborto e sulla salute mentale. Se i tecnici di Tommaso Padoa-Schioppa, ma anche quelli delle Regioni dissidenti (centro-destra in testa), concederanno il via libera al Dpcm sui Lea, le misure sbarcheranno questo pomeriggio al tavolo della Stato-Regioni per il varo definitivo. Altrimenti tutto sarebbe affidato a una Stato-Regioni straordinaria prima delle elezioni di metà aprile, pena il rinvio dell'intero pacchetto al Governo prossimo venturo. La partita si sta giocando intorno ai nuovi Lea, con tanto di diplomazie al lavoro anche nella notte. E sui Lea (si veda «Il Sole-24 Ore» di ieri) Economia e Regioni, ciascuno per la sua parte, vogliono vederci chiaro in termini di ricadute finanziarie (e reciproche responsabilità) delle novità in arrivo. Ecco così che si profila la possibilità di una norma transitoria per prorogare l'entrata in vigore di alcune parti del Dpcm sui Lea alla messa a punto definitiva di capitoli che richiedono approfondimenti di tipo finanziario: in primissimo piano sono i nuovi nomenclatori delle prestazioni per l'assistenza specialistica e delle protesi, in attesa di una successiva intesa sulle tariffe (non indicate negli allegati). All'esame dell'Economia è intanto la relazione sui profili economico-finanziari dei nuovi Lea predisposta dalla Salute. Che soltanto dagli interventi per l'appropriatezza sull'assistenza ospedaliera, valuta un potenziale risparmio per 1,961 miliardi di euro, di cui 861 milioni per il pagamento di ticket (36,5 euro) a carico dei non esenti (il 50% della platea potenzialmente interessata) per quelle prestazioni che diventeranno erogabili soltanto in regime ambulatoriale, e non più in ospedale. I Drg ospedalieri inappropriati - frutto di sprechi, cattiva gestione, scelte operative superate anche in molte Regioni - erogabili solo in day hospital, e non più con ricovero, passerebbero dagli attuali 43 a 108: dagli interventi alle articolazioni all'Hiv, da quelli sulle vie urinarie alla dialisi fino alla calcolosi agli interventi sui genitali maschili e femminili. Saranno poi erogabili solo ambulatorialmente, e non più in day surgery, altre 24 prestazioni: la cataratta, l'ernia, l'artroscopia, vari tipi di ernia, la litotripsia per distruggere i calcoli con gli ultrasuoni. Immaginabili le proteste che potrebbero levarsi davanti a questa cura di «appropriatezza» imposta da economia e scienza medica per tenere in regola i conti del Ssn. D'altra parte, non mancano aperture di credito come le 109 nuove malattie rare che daranno diritto all'esenzione, l'aggiornamento delle malattie croniche invalidanti (Bpco, malattie croniche renali in testa). Gli stessi nomenclatori tariffari. Gli effetti finanziari di molte di queste misure aggiuntive, però, non sono quantificabili, ammette la Salute. Che però giura: la cura di «appropriatezza» darà effetti a medio termine. Intanto il «tutto gratis» e tanti sprechi diminuiranno ancora. ========================================== Il Sole24Ore 20 mar. ’08 TERAPIA DI RIFORME PER IL SSN Le Priorità Del Sistema/ Una Profonda Revisione Per Evitare Il Collasso Del Servizio I nodi: scelta dei Dg, controlli, concorsi e ruolo di enti locali e cittadini Le riforme avviate nel 1992 (Dlgs n. 502) si riproponevano di incrementare l'efficienza gestionale con l'aziendalizzazione delle Usl e l'istituzione del direttore generale e di migliorare la qualità introducendo con il pagamento a prestazione meccanismi di quasi-mercati tra gli erogatori. A questo si aggiungeva privatizzazione del rapporto di lavoro e ruolo dirigenziale per i sanitari. Il conferimento degli incarichi, a tempo e sottoposti a verifica, veniva basato di fatto su intuitus personae da parte del Dg. A distanza di 15 anni quel mix di mercato e deregolamentazione è sostanzialmente fallito. La collocazione del nostro Ssn al 2 posto in graduatoria di merito per qualità è stato frutto di un bias riconosciuto dalla stessa Oms. Una stima fatta da "Health Consumer powerhouse" in "Euro health consumer index" del 2007 ci colloca molto più in basso: 18 posto tra i 27 Paesi europei considerati. Simile il giudizio del "Secondo Barometro annuale della salute" (EuropAssistence e Csa di Parigi, 2008) che, nel confronto con Germania, Francia, Gran Bretagna, Svezia ci colloca all'ultimo posto per gradimento dei cittadini. Disuguaglianze. C'è poi il problema delle crescenti disuguaglianze di salute che porta l'Istat (1997) a evidenziare un gradiente negativo Nord-Sud. La prevalenza nel Sud delle patologie croniche è al 14,3% (12,4% nel Nord), e quella della disabilità è al 6,2% nelle Isole e al 5,8 nel Sud (4% del Nord). Un dato confermato dal ministero della Salute nell'ultimo Rapporto sul monitoraggio dei Lea (2007). Stesso risultato per l'attesa di vita che segnala un dato fortemente negativo per Campania, Sardegna, Sicilia e Basilicata (Istat 2008). Allarmanti i casi di malasanità: con la Calabria che, in preda alle cosche, chiede aiuto allo stato nella riorganizzazione della Sanità e con la Campania e Sicilia dove strettissimi sono i rapporti tra imprenditoria sanitaria privata e potere criminale (Corte dei conti). FINANZIAMENTO&SPESA. In termini di finanziamento, l'Italia con l'8,9% sul Pil si colloca al 18 posto nella classifica Ocse e al 10 nell'ambito Ue. Tra il 1990 e il 2005 l'incremento della nostra spesa è stato di 1,2 punti di Pil con una riduzione di 2,9 punti per la quota pubblica. Un processo che l'Istat ha definito di strisciante privatizzazione considerato che l'83% della spesa privata è out-of-pocket a totale carico del cittadino. Il 57% delle visite ambulatoriali è interamente pagato dai cittadini. Nonostante l'aumento del finanziamento una crescita speculare ha avuto l'indebitamento delle Regioni, specie del Centro-Sud. Nel periodo 2001-2006 lo squilibrio è stato di circa 9,5 miliardi per il primo triennio e di 16 miliardi per il successivo. Lazio, Campania e Sicilia mostrano una esposizione debitoria negli ultimi tre anni superiore a 5.018, 3.628 e 2.231 milioni. E per il 2006 i loro 1.616 , 658 e 909 milioni rappresentano oltre il 75% del disavanzo nazionale complessivo (Corte dei conti 2007). Al 31 dicembre 2005 il quadro debitorio delle Regioni che hanno sottoscritto i Piani di rientro dal deficit ammontava a oltre 20 miliardi ed era così ripartito: Liguria: 211.000; Lazio: 9.900.000; Abruzzo 1.760.000; Molise 397.000; Campania 6.900.000 e Sicilia 1.702.000. Un baratro che rende problematico il pareggio di bilancio entro il 2010 e che rende probabile un aumento esponenziale della tassazione. L'adozione da parte delle Asl di uno "statuto" da privato datore di lavoro avrebbe dovuto garantire il controllo sulla gestione e la trasparenza degli atti. Il risultato è stato l'opposto. Il direttore generale si è spesso rivelato un funzionario alle dipendenze del decisore politico, privo oltretutto di efficienti controlli da parte di organismi di garanzia. Inutile il collegio dei revisori contro le ruberie perpetrate in abbondanza. Gravissimo il caso del Lazio dove per un triennio non sono stati presentati i bilanci delle Asl. E ancora bassa efficienza nell'assistenza ospedaliera (48% della spesa sanitaria). INAPPROPRIATEZZA. Elevata la percentuale di ricoveri inappropriati in Sicilia (24,84%) e in Sardegna e Calabria (23%); indice di case-mix e peso medio di basso valore nelle Regioni centro-meridionali; mancato rispetto dei requisiti igienico-sanitari in 417 ospedali pubblici sugli 854 ispezionati dai Nas nel 2007 con percentuali allarmanti in Calabria (92%), in Sicilia (82%), in Abruzzo (100%) e in Campania (80,6%). Le funzioni. La riforma della Pa si riproponeva la separazione tra le funzioni di indirizzo riservate alla politica e quelle gestionali proprie dei dirigenti. Anche questo è un obiettivo mancato. I direttori delle strutture nelle Asl e Ao hanno continuato a essere nominati per criteri di appartenenza. Nulla è stato fatto per evitarlo. E la proposta di affidare ai medici la scelta è insensata come dimostrano le feroci lottizzazioni e lo scandaloso nepotismo nelle facoltà di medicina. Unica soluzione un'authority indipendente per la valutazione dei candidati e l'elaborazione una graduatoria di merito. La normativa concorsuale dovrebbe essere radicalmente rivista. Solvibilità in crisi. La Sanità è in una crisi finanziaria, appena sollevata dal miglioramento dei conti 2007 (+0,8% a fronte del 6,3% annuo ultimo quinquennio). Rimane il problema della solvibilità delle Regioni, specie quelle impegnate nei Piani di rientro e quello ancora più grave della corruzione e della colonizzazione politica delle Asl. Fallimentare è l'attuale modello aziendalistico. Si impone dunque una radicale revisione su: criteri di scelta dei Dg, organi di controllo, procedure concorsuali e ruolo degli Enti locali e della partecipazione dei cittadini. Una sfida da cui non ci si potrà sottrarre pena il collasso del sistema. Roberto Polillo Esperto in Sanità pubblica ========================================== Il Sole24Ore 20 mar. ’08 TELEMEDICINA SE I SERVIZI FUNZIONANO «TEORICAMENTE» MICHELANGELO BARTOLO DI MICHELANGELO BARTOLO * Negli ultimi tempi si fa un gran parlare di telemedicina. Il termine è di per sé molto vasto e si presta a differenti definizioni. Attraverso tecniche di telemedicina è teoricamente possibile effettuare una serie di esami strumentali a distanza, seguire pazienti a domicilio, creare - per pazienti selezionati - una alternativa al ricovero. Con la telemedicina è teoricamente possibile diminuire le giornate di ricovero per alcune patologie. Con la telemedicina è teoricamente possibile creare un modello di medicina che sia accanto ai bisogni di pazienti anziani senza rinunciare all'accuratezza della diagnostica e a minor costi. Tutto questo è finora "teoricamente" possibile. Il "teoricamente", volutamente ripetuto, non è dettato da impossibilità di tipo tecnico ma dall'amara considerazione di chi lavora da anni in questo campo, che di fatto la telemedicina per alcune Regioni o per il ministero della Sanità è ancora soltanto uno slogan. La difficoltà della messa a regime di tali prestazioni sta nel fatto che finora, eccezion fatta per la Regione Lombardia, non è riconosciuto nessun tipo di rimborso per le prestazioni di telemedicina. Come è noto ogni tipo di prestazione sanitaria ha un tariffario (Drg nel caso di ricovero) che stabilisce il valore economico alla prestazione eseguita. Di conseguenza le Regioni rimborsano gli enti erogatori in base al tipo e al numero di prestazioni eseguite. Bene, per le prestazioni in telemedicina non esiste niente di tutto ciò. La Società italiana di telemedicina ha ripetutamente tentato di sensibilizzare il ministero della Sanità su tali problematiche ma, nonostante documenti e missive indirizzate ai vari direttori generali e allo stesso ministro, non si è avuta nessuna risposta. Anzi, proprio qualche mese fa il ministero ha volutamente escluso le prestazioni di telemedicina dai Lea. La telemedicina è stata esclusa perché era ritenuta «solo una metodica particolare con cui si eseguono prestazioni sanitarie già inserite nei Lea». Peccato che un servizio di telemedicina serio per funzionare deve prevedere tutta una serie di figure professionali e di attività che hanno chiaramente un costo. Chi formerà il paziente sull'uso delle nuove apparecchiature? Quale sarà lo specialista che controllerà quotidianamente i dati che il paziente invierà? Chi continuerà ad avere contatti quotidiani con il paziente o i suoi familiari? Chi curerà la manutenzione di tutte le apparecchiature? Chi farà da servizio di help desk per i pazienti? Chi sarà il responsabile della corretta trasmissione dei dati? Chi sarà il responsabile della cartella clinica informatica? Chi comunicherà al paziente eventuali problemi di trasmissione? Chi si accerterà (anche quotidianamente) che il paziente stia assumendo correttamente la terapia prescritta o modificata in corso di monitorizzazione? A chi si rivolgerà il medico per eventuali problematiche tecniche? Chi si assumerà la responsabilità medico-legale del servizio? Si potrebbe continuare anche a lungo ma è ovvio che per realizzare un servizio di telemedicina c'è bisogno di qualcuno che lavori per garantirne il funzionamento. Ma se le Regioni non finanziano tali prestazioni come faranno gli ospedali o le Asl a far funzionare stabilmente tali servizi? Attualmente quasi tutti i servizi di telemedicina esistenti sono in vita grazie a progetti sperimentali che iniziano e finiscono non appena terminano i fondi dedicati. Dove ci sono progetti di telemedicina funzionanti (perché fortunatamente ce ne sono) c'è sempre un centro servizi di telemedicina composto da medici, tecnici, infermieri che si fanno carico di tutte le domande precedentemente elencate. Per realizzare un servizio di telemedicina può sembrare scontato sottolinearlo - c'è bisogno di creare una struttura di telemedicina. Le tecnologie oggi ci sono, inviare un elettrocardiogramma da una parte all'altra della città è ormai diventato alquanto banale. Meno banale è pensare a un modello di Sanità diversa, a dei percorsi assistenziali che includano la telemedicina. Oggi è possibile curare pazienti selezionati al loro domicilio senza rinunciare all'accuratezza e all'appropriatezza dei trattamenti sanitari che grazie alla telemedicina potranno costare di meno al sistema sanitario nazionale. C'è bisogno di creare un modello sanitario che garantisca davvero una continuità assistenziale tra ospedale e territorio, ma per far questo non basta la buona volontà di singoli, c'è bisogno di un pensiero nuovo sulla Sanità e di risorse umane dedicate. C'è bisogno di progettare una Sanità che oggi, più di ieri, possa offrire un servizio che risponda all'aumento di patologie croniche legato all'incremento della popolazione anziana. Se non si risolveranno, o almeno affronteranno, tali problematiche la telemedicina continuerà il suo sviluppo, ma diventerà come già sta accadendo, di competenza di alcune industrie private che giustamente stanno investendo in tecnologie e in risorse umane e che non si faranno sfuggire questa chance di sviluppo e di mercato in cui le richieste sono sicuramente tante e le offerte ancora troppo limitate e frammentate. C'è bisogno di un pensiero nuovo sulla Sanità, un pensiero che non sia solo quello dei tagli e dei risparmi ma che sappia progettare un'alternativa valida che risponda ai bisogni dei tanti anziani che convivono per anni con patologie croniche. Siamo in piena campagna elettorale e qualcuno ha messo la telemedicina tra le priorità del suo programma. Ne siamo contenti. Indipendentemente dall'esito delle elezioni e del colore del prossimo Governo speriamo vivamente che la telemedicina non rimanga solo uno slogan. È una chance che non possiamo lasciarci sfuggire. È finito il tempo delle sperimentazioni, dei progetti prototipali e dei progetti pilota. Vorremmo iniziare il tempo della messa a regime dei servizi di telemedicina perché siano veramente al servizio dei cittadini. Speriamo che la telemedicina trovi una maggiore attenzione da parte del prossimo ministro della Salute. Una cosa è sicura: non potremo incontrarne di meno. * Responsabile telemedicina azienda ospedaliera San Giovanni Addolorata – Roma ====================================================== Il Sole24Ore 20 mar. ’08 VECCHI ERRORI, PIÙ BARRIERE: ERRORI IN CALO - LISTE INTASATE - INFORMAZIONI SCARSE – PIT SALUTE 2007/ Pronto il report annuale Cittadinanzattiva-Tdm sui disservizi in corsia Vince l'intramoenia Qualche errore in meno (18% delle segnalazioni; -2% sul 2006); qualche barriera burocratica in più (17%; +1,2%), ancora tante migrazioni forzate per far valere il diritto alle cure (8%). E poi le liste d'attesa che non s'accorciano mai (5,5%; +0,9% sul 2006); la riabilitazione e l'assistenza ai disabili che sono il buco nero dell'assistenza (4,4%; +0,6%); le malattie rare che non trovano asilo (1,8%; +0,2%) o il medico di medicina generale che non si trova o non fa visite a domicilio (4,5%; +7%). Concludendo con l'intramoenia che - al di là di tutti i tentativi e di tutte le strategie - rappresenta ancora per troppi malati un rebus tanto offensivo quanto irrisolto (1,3%; +0,4%). In tutto fanno 22.380 segnalazioni da gennaio a dicembre 2007. Segno che in quei dodici mesi ci sono stati almeno 22.380 malati che si sono sentiti abbandonati o traditi dal Ssn e hanno scelto di sfogarsi con il Tribunale per i diritti del malato, che come ogni anno ha raccolto nel «Rapporto Pit 2007» - per presentarle questa settimana a Roma - le domande inevase del pianeta salute. Una carrellata ricchissima dei vizi che ancora affliggono il sistema pubblico, con una notazione che forse ha il suo peso: diminuiscono i contatti con la sede nazionale (5.380 contro i 5.824 del 2006) e aumentano in modo significativo quelli con le sedi territoriali (17mila, contro 13.952). Forse perché i cittadini sono sempre meno pazienti e sono sempre più alla ricerca dell'arma giusta per far valere il proprio fondamentale diritto alla buona assistenza vicino a casa propria. Ecco in estrema sintesi i dati principali della rilevazione, a partire dalla malpractice che si conferma anche per il 2007 uno dei principali temi di scontro tra il cittadino e la Sanità italiana, raccogliendo il 18% delle segnalazioni complessive, pur con una contrazione del 2% rispetto al 2006. Malpractice: sbagliano chirurghi e cardiologi. Il trend discendente non basta a compensare il dubbio che non si sia fatto ancora abbastanza per eliminare gli errori di procedura che la gran parte delle volte sono alla base degli errori. Il dato di fatto è che si continua a sbagliare soprattutto durante i ricoveri (91% delle segnalazioni), e principalmente durante gli interventi chirurgici (66%) piuttosto che sulle diagnosi (28%). Inalterata la classifica per specialità: al top ortopedia (18%), oncologia (12%), chirurgia generale (9%), ginecologia-ostetricia (7%), odontoiatria e oculistica (5% ciascuno). Nella generale diminuzione registrata in tutte le aree specialistiche risultano in controtendenza soprattutto cardiologia (+2% sul 2006) e chirurgia generale (+1%). Dalla hit della casistica per specialità, risulta infine che la bestia nera per gli ortopedici - che hanno un primato a sé per l'errata lettura delle lastre (38%) - sono gli interventi d'anca (15% delle segnalazioni); il tallone d'Achille dei ginecologi gli interventi non riusciti (40% di segnalazioni) e l'aumento delle complicanze a essi connesse (+14%). Ma prima di lamentarsi degli errori bisogna creare l'occasione perché essi possano verificarsi. E il percorso non è facile come ben sanno i pazienti alle prese con la burocrazia delle cure e le liste d'attesa. Burocrazia bendata e avara di informazioni. Procurarsi le informazioni di base sul Ssn sembra diventare sempre più difficile, come emerge dal 13% di segnalazioni giunte al Pit: per molti cittadini è ancora difficile capire come accedere ai servizi sanitari e come orientarsi nelle scelte (rispettivamente 26% e 22%). Altrettanto difficile risulta accedere alla propria documentazione medica (4% delle segnalazioni totali) o visionare la propria cartella clinica (21%). Alla faccia della trasparenza. Così come - alla faccia delle nuove regole sull'intramoenia (cfr. pag. 15) - ben il 5,5% delle segnalazioni complessive continua a riguardare le liste d'attesa, che il report del Pit segnala da cinque anni in preoccupante aumento. Liste d'attesa: vizi invincibili. Nella classifica delle voglie di cura inevase è la diagnostica a farla da padrona, con il 58% delle segnalazioni, seguita dalla specialistica (31%) e dagli interventi chirurgici (9%). La maggioranza delle segnalazioni si riferisce al territorio della Asl di residenza (49%), segue con uno scarto minimo l'ospedale (47%), e a grande distanza (4%) la clinica convenzionata. Alla faccia dell'accelerata sugli screening, le attese più lunghe si registrano per la mammografia (540 giorni di attesa; +140 giorni sul 2006); l'ecocolordoppler (420 gg. +240); la colonscopia con anestesia (300 gg. +60); la risonanza magnetica (270 gg. +90). Mentre bisogna ripassare dopo quasi due anni per farsi vedere dall'oculista (630 giorni di attesa) e servono fino a 480 giorni per farsi applicare una protesi al ginocchio. Piaga intramoenia. Segnalazioni nuovamente in crescita, infine, per le cure liberoprofessionali tra pareti pubbliche: nel 91% dei casi la scelta è guidata: proposta dall'operatore in modo esplicito (73%) piuttosto che velato: "sarebbe meglio non tardare" (18%). Un invito cui è quasi impossibile resistere. Vale per chi ha bisogno di una Rmn (300 euro in intramoenia) e vale - a maggior ragione - per una fecondazione assistita (5mila euro) o per un intervento oncologico. La spesa in questo caso varia da 12mila a 30mila euro. Ma son soldi (per ora; purtroppo) spesi bene. S.Tod. Vecchi errori, più barriere Malpractice, liste d'attesa, intramoenia: le segnalazioni del «Pit Salute 2007» ? ? ? 28 2 66 4 1 2 6 91 69 13 10 4 3 58 31 9 2 49 13 35 29 18 18 33 30 13 24 73 18 9 15 10 3 3 1 1 1 1 41 37 11 7 80 Asl 2007 (%) 2006 (%) 2007 (gg) 100 100 2005 (%) 100 100 2006 (gg) 17,9 12,1 9,5 6,9 5,5 5,4 4,0 4,0 3,3 2,3 1,6 23,9 2007 (gg) 2007 (gg) 2008 (gg) 2006 (gg) 100 100 100 400 300 Totale Totale Totale Totale Totale Altro Altro 100,0 Totale Totale Totale Euro Giorni 5.000 12.500 15.000 30.000 95-92 Diagnosi Ricovero Ospedale Domicilio Oculistica Oculistica Ortopedia Oncologia Ortopedia Oncologia Neurologia Neurologia Scintigrafia Ecografia Intervento 90 240 75 - 60 - 55 150 90 35 90 390 75 90 Cardiologia Diagnostica Cardiologia Emergenza Diagnostica Breath test Specialistica Ambulatorio Odontoiatria Gastroscopia Riabilitazione Riabilitazione Mammografia Clinica privata Polisonnografia 540 400 420 180 365 - 270 - 240 170 220 120 210 - 180 240 Diagnostica Colonscopia Colonscopia Irreperibilità Altre patologie Coronarografia Costi segnalati 150 200 300 - Cardiochirurgia Pronto soccorso Ecocolordoppler Ecografia tiroidea Chirurgia generale Ecocardiogramma Otorinolaringoiatria Interventi chirurgici MALPRACTICE 5,4 5,2 7,1 4,0 2,1 1,4 4,0 3,7 0,4 3,6 5,7 4,9 Holter cardiaco Holter cardiaco Elettromiografia Ecocolordoppler Ecografia tiroide Estrazione dente Visita a domicilio Visite di controllo Visita in struttura Visite specialistiche Scelta del cittadino Problemi oncologici Esofagogastroscopia Visita pneumologica Tempi segnalati Intervento chirurgico Strutture riabilitative Ginecologia-ostetricia Terapia farmacologica Clinica accreditata Ssn Strutture psichiatriche 17,9 18,7 18,1 12,1 13,6 13,1 Risonanza magnetica Risonanza magnetica Problemi di ortopedia Intervento oncologico Visita endocrinologica Intervento oncologico Fecondazione assistita Visita non approfondita Proposta dell'operatore Visita gastroenterologica Intervento al setto nasale per tumore della pelle Visita specialistica tiroide Comparazione dati principali aree specialistiche interessate (ultimi 3 anni) Visita con ecografia tiroide Adenomectomia prostatica transvescicale Esami e visite ginecologiche Sarebbe meglio non tardare Tempi massimi segnalati per alcuni interventi chirurgici Tempi massimi segnalati per alcune prestazioni diagnostiche Tempi massimi segnalati per alcune prestazioni diagnostiche (segue) di alcune prestazioni in intramoenia di alcune prestazioni in intramoenia Tipologia presunti errori segnalati % Dove avviene l'errore % Tipologie strutture interessate % Scelta dell'intramoenia % MEDICINA GENERALE Mmg indisponibilità e reperibilità % Tipologia struttura sanitaria interessata % Densitometria ossea a ultrasuoni 515 - Colonscopia con anestesia 300 240 Risonanza magnetica 270 180 Ecodoppler vasi epiaortici 270 - Ecografia addominale 270 - Ospedale- Azienda ospedaliera 47 Fisioterapia (giorni attesa 600) 33 Logopedia (giorni di attesa tra i 300-730) 31 Fisiochinesiterapia (giorni di attesa 250) 23 Chirurgia generale 9,5 8,5 12,5 Ginecologia e ostetricia 6,9 8,8 13,0 Odontoiatria 5,5 5,1 6,6 Cardiochirurgia 3,3 3,0 1,9 LISTE D'ATTESA Liste attesa ambiti delle segnalazioni % Emergenza-urgenza (118 - Pronto soccorso) 3,6 Prestazioni per le quali si ricorre all'intramoenia % Ecografia mammaria 150 - Ecografia prostatica transrettale 136 - Elettrocardiogramma 120 - Ecografia (anche, braccio) 120 - Ecocolordoppler tronchi sovra aortici 100 - Ecografia morfologica 90 - Ecografia transvaginale 90 - Dentascan arcate superiori 60 - Intervento di protesi al ginocchio 480 - Intervento per legamento al ginocchio 270 - Intervento di cataratta 240 180 Intervento alla tiroide 150 300 Intervento di protesi d'anca 138 180 Estrazione cisti dente 120 - Intervento per frattura caviglia 45 PRESTAZIONI IN INTRAMOENIA Accesso al canale dell'intramoenia - Ambiti % Semplice intervento di chirurgia 2.500 Strutt. post acuzie (Rsa e lungodeg. hospice) 1 Totale 100 Aree specialistiche interessate dall'errore % Clinica privata convenzionata/accreditata 4 Totale 100 Prestazioni riabilitative segnalate % Visita a domicilio di pazienti fragili 4 Totale 100 Malpractice e sospetti errori % Errore diagnostico 56 Errore terapeutico 38 Errore prescrizione 6 Totale 100 Fonte: Cittadinanzattiva - Tribunale per i diritti del malato, 2007 ========================================== La Nuova Sardegna 20 mar. ’08 ADDIO ALLA CARTA CON LA CARTELLA CLINICA ELETTRONICA Un'attenta analisi costi-rischi-benefici consente di avere la visione delle reali opportunità di miglioramento che possono derivare per cure e bilanci Assistenza in tempi più rapidi evitando l'errore umano di trascrizione che può compromettere anche le terapie Lo scopo della serie di articoli che vi proporremo è di trovare un percorso all'interno del panorama normativo attuale che ci conduca a concludere se è possibile (e necessario) la completa sostituzione della cartella clinica cartacea. Vedremo norme, prodotti, capitolati d'appalto, strumenti che ci consentano di giungere alle risposte ai quesiti che in molti si pongono: è possibile sostituire la cartella clinica cartacea? Se sì come? Sono passati due anni (1° gennaio 2006) da quando è entrato in vigore il Codice dell'amministrazione digitale che ha reso potenzialmente possibile la sostituzione totale della carta nella pratica clinica. Perché non è ancora successo? Certamente non è a tutti chiaro se la cartella clinica completamente elettronica è utile o addirittura è pericolosa. Poniamoci l'obbiettivo di dimostrare al «nostro direttore generale» che è arrivato il momento di sostituire la carta con una cartella clinica informatica. Perché la carta non è più necessaria in molte attività umane? Un magazzino di farmaci o una banca da anni non sono gestiti più con la sola carta. Il motivo risiede nel fatto che i computer non sono solo più efficienti dell'operatore umano, quando si tratta di scrittura e analisi di ingenti moli di dati, ma sono anche più affidabili. Chiunque preferirebbe affidare la prenotazione di un farmaco importante alla memoria di un computer, piuttosto che a un foglietto sulla scrivania di un impiegato che si annota su un'agenda l'ordine. Nessuno si sentirebbe più sicuro con una banca che gestisse i risparmi di una vita con migliaia di libri mastri cartacei e non con i computer. La verità è che la carta non è solo inutile è spesso anche pericolosa. La carta porta con sé numerosi errori: errori di trascrizione, errori di interpretazione, errori dovuti al supporto, errori conseguenti a chi la usa, all'ambiente circostante e legati al fatto che nessun controllo automatico è possibile (è tutto delegato alla sola memoria umana). Alla fine di questo primo tratto di «strada » (probabilmente) siamo riusciti a dimostrare al «nostro direttore generale» che la cartella clinica cartacea con tutta probabilità è inutile e qualche volta anche dannosa. Quali sono i passi successivi? È necessario affrontare tutti gli aspetti tecnico- normativi, passo indispensabile per scrivere le specifiche del prodotto e redigere il capitolato. Questo sarà l'argomento dei prossimi articoli, intanto, chi fosse interessato a dei chiarimenti su questa parte, può scrivermi (paperless) utilizzando la mia e-mail (antonio@bartolozzi.it). a cura di Antonio Bartolozzi Direttore ricerca e sviluppo 7Consulting Srl Se gli errori sono in agguato per chi usa la carta per farmaci e banche, nel caso ospedaliero c'è persino di più. La maggior parte dei dispositivi di supporto alle decisioni cliniche all'interno degli ospedali sono elettronici e hanno sia l'ingresso dei dati che la loro uscita in formato elettronico. Si è obbligati alla trascrizione dei dati "da e per" i dispositivimedici o a effettuare calcoli su dati trascritti. Il risultato sono numerosi errori di trascrizione. La cronaca ne è piena. Basta ricordare un caso che recentemente ha fatto molto scalpore: diversi pazienti infettati da trasfusioni contaminate da un virus. Fino a qui, purtroppo, nulla di nuovo, ma nel caso specifico il laboratorio aveva correttamente eseguito le analisi e la macchina aveva correttamente riportato la presenza del virus; l'errore stavolta è stato di trascrizione. I flaconi infetti sono stati usati perché l'operatore aveva sbagliato a trascrivere l'informazione sui flaconi. È importante valutare una tecnologia in due sensi, sia per gli errori durante l'uso che per i problemi derivanti dal mancato uso: quanti errori sono presenti nel mio ospedale, in questo momento, dovuti al fatto che non ho una cartella clinica elettronica completa? Sicuramente molti, di cui una buona parte, neanche identificabili a posteriori perché residenti in dati non più recuperabili e non verificabili: si pensi alla misura della temperatura corporea. Il dato della temperatura è sul termometro solo il tempo della misura, dopodiché il dato viene trascritto sulla cartella clinica cartacea e perso per sempre. Se l'infermiera trascrive il dato con un errore (anche semplicemente di calligrafia) le conseguenze possono essere molto gravi. Quanti errori si commettono con una semplice operazione di trascrizione? I pericoli non sono solo nell'uso della tecnologia, ma anche nel mancato uso della derivanti dalla tecnologia stessa sono tollerabili. Facciamo l'esempio del settore bancario. È chiaro che l'uso dei computer in banca ha portato alla comparsa di errori e reati inesistenti prima del loro avvento. Le frodi informatiche, i furti d'identità, gli errori dovuti a bug nel software. Questo è un buon motivo per non usarli? No, perché il rischio di perdite finanziare derivante da questi nuovi pericoli è trascurabile di fronte al pericolo derivante da miliardi di trascrizioni effettuate sul cartaceo, ai vantaggi economici di poter effettuare transazioni in qualunque momento (festivi compresi), il tutto quasi alla velocità della luce (velocità a cui si spostano gli elettroni all'interno dei circuiti elettronici e fibre ottiche). Il momento storico attuale è importante per la cartella clinica elettronica, siamo vicini al punto in cui la cartella cartacea sarà sostituita completamente dalla cartella clinica informatica. Come si fa per capire quando arriva il momento giusto? Semplice, si effettua un'analisi dei rischi. L'analisi dei rischi È una procedura sistematica per l'identificazione, la valutazione e la prevenzione dei rischi. Esistono numerosi metodi accettati internazionalmente per la conduzione di una fase formale di analisi dei rischi. È una pratica poco diffusa nelle strutture cliniche ma andrebbe condotta sistematicamente prima di determinare cosa acquistare o cosa sostituire. Il metodo a grandi linee è il seguente. Si prendono in considerazione i danni al paziente che potrebbero derivare a esempio dalla errata trascrizione di parametri clinici (come la morte derivante dal mancato rilevamento di uno stato fisiologico). Si calcolano quante trascrizioni di questi dati clinici si effettuano all'anno. Si recupera dalla letteratura quante volte sbaglia un operatore trascrivendo lo specifico tipo di dato nelle condizioni di lavoro note (gli errori cambiano a seconda dello stress dell'operatore). A questo punto possiamo stabilire la probabilità dell'errore di trascrizione e quindi il rischio: questo calcolo deve essere fatto per tutti i pericoli noti (non solo gli errori derivanti da errata trascrizione). Si combinano i risultati, e si ottiene (con qualche calcolo) il rischio totale, a esempio espresso in numero di morti/anno oppure nel valore economico del risarcimento. Si ripete la stessa operazione per gli errori che introduce la cartella clinica informatizzata. Si confrontano i risultati con i precedenti e si verifica che i danni causati dalla cartella clinica informatica sono inferiori rispetto alla cartacea. La procedura non è semplice, ma è anche vero che un esperto del settore impiega pochi giorni per effettuare un'analisi di questo tipo. Questo metodo ha un vantaggio indiscutibile: è internazionalmente accettato ed è pressoché inattaccabile e sostenibile anche davanti ad autorità giudiziarie. Altri tipi di valutazioni sono poco oggettive e si espongono facilmente a essere criticate. Il consiglio è di fare questo lavoro ogni volta che si sta per investire una cifra importante per il bilancio della struttura o prendere una decisione fondamentale: consentirà di porre davanti a tutti risultati oggettivi e investire nei settori realmente più necessari. Il metodo è lo stesso usato in aeronautica per la prevenzione degli incidenti ed è uno dei motivi che fa sì che l'aereo sia il mezzo più di trasporto più sicuro: la valutazione sistematica dei rischi porta a migliorare l'affidabilità del servizio. Una volta deciso che la cartella clinica informatica fa risparmiare danni sui pazienti occorre anche dimostrare che non esistono investimenti più necessari. La domanda da porsi è: si riesce a salvare altrettante vite spendendo questa cifra in altri settori? Se l'ospedale è veramente mal messo, a esempio, non dotato delle apparecchiature di base questo è forse possibile. In tutti gli altri casi è molto improbabile: le spese in tecnologie informatiche sono tra quelle con il più alto ritorno di investimento. Un investimento in edilizia ospedaliera richiede spese enormi per la creazione di un singolo posto letto e per il suo mantenimento. Si pensi che nella struttura più efficiente in Italia la manutenzione di un posto letto costa oltre 100mila euro l'anno, mentre la manutenzione di tecnologie informatiche costa pochissimo anzi spesso è un guadagno netto (se si considerano i risparmi sulle spese del personale, lo spazio necessario per conservare le cartelle cliniche cartacee, il costo dei trasferimenti fisici, i tempi di interpretazione ecc.). Si deve anche considerare che non automaticamente un posto letto fa risparmiare vite umane: per far sì che questo avvenga si deve gestire bene, avere sufficienti risorse, sufficiente personale e tenerlo sempre in uso. Questi problemi non ci sono per i prodotti informatici che in genere fanno risparmiare risorse umane, tempo e costi vivi. C'è un altro aspetto da considerare. Il giorno che un paziente subirà un danno dovuto alla trascrizione di un dato da parte del personale medico, come si potrà giustificare la struttura di fronte a un giudice? Sicuramente il perito di parte farà notare che l'errore si poteva evitare se fosse stato usato un moderno sistema di acquisizione dati e illustrerà una lunga lista di strutture che hanno già attivo il sistema con vantaggi evidenti. In genere ci si giustifica davanti al giudice dicendo che la struttura non aveva i mezzi finanziari, ma se l'investimento in strutture informatiche invece di essere una spesa è un guadagno netto? E se per caso ci fossero nel budget dell'ospedale spese ben più ingiustificabili e addirittura superiori al costo della cartella clinica per quel reparto? Il consiglio è predisporre un'analisi di rischio su tutte le spese importanti presenti nel budget. Un argomento convincente è sostenere che i finanziamenti non sono disponibili perché da un calcolo dei rischi connessi alla struttura sanitaria risultavano più produttivi investimenti alternativi. Ma questo va dimostrato. Cos'è successo nel frattempo alla nostra banca che utilizza il cartaceo? È scomparsa, non ne esiste traccia, anzi nascono in continuazione banche e assicurazioni completamente elettroniche (virtuali) che non hanno più neanche lo sportello al cliente. Evidentemente il momento è buono. Il problema culturale è analogo: sia nel caso della banca virtuale che della cartella clinica elettronica, non si ha più la "fisicità" dei dati e dei luoghi che è molto rassicurante per l'operatore, ma agli effetti del rischio produce più danni che vantaggi. Se effettuo un bonifico bancario a un cliente lo pago 2 euro in filiale e 0,5 euro su Internet e il motivo è chiaro: la fisicità dei dati e dei luoghi ha un costo, ma non porta benefici perché l'operazione è identica anche se manca la carta. Una considerazione analoga vale per le cartelle cliniche: il fatto che le attività siano trascritte su carta, ha come conseguenza costi alti in termini economici e non ha nessun vantaggio clinico, ma anzi (a differenza del bonifico bancario) comporta spesso degli svantaggi clinici, se non altro in termini di ritardi alla terapia. È evidente che non è tutto semplice e immediato: adottare una cartella clinica elettronica, come aprire una banca virtuale, è complesso. Semplicemente non c'è scelta: il futuro è questo ed è già qui ad aspettarci. Attendere significa pagare uno scotto in termini umani ed economici. I parametri per l'esame preliminare dei rischi Causa del danno al paziente Causa del danno al paziente Livello di danno al paziente Livello di danno al paziente Probabilità di danno Probabilità di danno Cartella clinica cartacea Cartella clinica elettronica Cartella clinica cartacea Cartella clinica elettronica Indisponibilità della cartella Ritardo della terapia o della diagnosi Originale e copia esistono solo dove sono conservate. Se si perde o si distrugge l'originale è impossibile avere una copia equivalente agli originali. Probabilità di indisponibilità medio bassa. Sono disponibili numerose copie in sola lettura. È vere numerose copie tutte ugualmente certificate della stessa cartella. Non è possibile alterare il contenuto. Facile effettuare backup multipli sicuri. Probabilità bassa. Inaccessibilità Ritardo della terapia o della diagnosi È fisicamente presente nel punto in cui viene usata. Non può essere usata più che da una persona. Non è possibile sapere se è stata consultata da chi e quando. Probabilità medio alta. È possibile accedervi da qualunque punto della rete ospedaliera. È possibile sapere chi ha letto la cartella e quando. Probabilità bassa. Problema nell'ergonomia dello strumento Ritardo della terapia o della diagnosi Esistono molte varietà: la cartella cartacea si adatta all'esigenze dell'utilizzatore. Probabilità bassa. La cartelle elettronica moderna può essere adattata facilmente a tutti i flussi ospedalieri usati. L'adattamento però richiede tempi e costi. Probabilità medio bassa. Manutenzione, conservazione errata Ritardo della terapia o della diagnosi Non richiede una particolare manutenzione. La custodia, l'archiviazione e la sicurezza sono invece dei grossi problemi che comportano attività di manutenzione e sorveglianza. Probabilità medio bassa. Ha necessità di manutenzione tecnica, aggiornamenti software e hardware, richiede del personale specializzato e una buona organizzazione. Probabilità medio bassa. Mancato addestramento Ritardo della terapia o della diagnosi L'uso della cartella clinica è istitutivo trasmesso attraverso la didattica e la pratica "normale ospedaliera". Probabilità bassa. Non è usabile senza una formazione specifica. Ormai tutti o quasi tutti gli utenti infermieri emedici riescono a usare i programmi per computer. Probabilità medio bassa. Identificazione del paziente errata Morte o danno rilevante La cartella clinica non aiuta nell'identificazione se non con i dati anagrafici. Si possono confondere esami, risultati di laboratorio, prescrizioni. La cartella non può dare nessun supporto attivo. Probabilità medio alta. Il sistema elettronico rende più difficile gli scambi degli esami e delle cartelle. È possibile un supporto attivo all'identificazione degli errori. Probabilità medio bassa. Problemi derivanti da accessi indesiderati Danno sociale e umano derivante da violazione della privacy. Può essere consultata solo nel luogo fisico dove si trova. Non evidenzia gli accessi di semplice consultazione. La sicurezza è legata al rispetto delle procedure. Probabilità medio alta. Se si rispettano le norme, la sicurezza è superiore a quella cartacea, perché si possono evidenziare anche i tentativi di accesso, le sole letture, le manomissioni ecc. Se le procedure non sono rispettate c'è la potentenzialità di danni multipli a numerosi pazienti sia in termini di privacy che in termini di dati. Procedure medio bassa. Errori da immissione dei dati clinici Morte o danno rilevante L'immissione dei dati è semplice, ma ci sono numerose possibilità di errore in trascrizione di dati clinici da apparecchiature. Probabilità medio alta. I dati possono essere inseriti con facilità (previo corso) e strutturati in maniera da essere facilmente compresi e recuperati. È possibile l'introduzione automatica dei dati da apparecchiature diminuendo di molto la possibilità dell'errore. L'operatore si deve solo limitare a convalidare i dati stessi. Probabilità medio bassa Errori di consultazione o elaborazione dei dati Morte o danno rilevante Il recupero dei dati è difficoltoso, possono non essere compresi a causa di errori ortografici o calligrafici, non sono possibili elaborazioni né verifiche. Probabilità medio alta. Il recupero dei dati è agevole, è possibile oltre alla semplice consultazione, anche confrontare, analizzare ed elaborare grosse moli di dati. È possibile avere più viste sugli stessi dati, allarmi, verifiche automatiche, ricordare eventi, supportare le decisioni. Probabilità bassa. Errore di interpretazione dei dati terapeutici Morte o danno rilevante L'interpretazione è legata sia all'abilità del lettore che dell'autore nell'esplicare il dato clinico, sia in termini di chiarezza (ortografia, calligrafia, uso di abbreviazioni). Ci sono molte possibilità di errore e nessuna possibilità di correzione automatica Probabilità medio alta. L'interpretazione dei dati può essere agevolata in molte maniere anche se costringe l'utente a qualche sacrifico in immissione dei dati stessi. È possibile dare ausili all'interpretazione. Probabilità bassa. Bug software Ritardo della terapia o della diagnosi Nessuno Problema potenzialmente grave va affrontato con una corretta selezione dei prodotti e costante verifica. Probabilità medio bassa. Accuratezza dei dati Morte o danno rilevante L'accuratezza dipende totalmente dal fattore umano, quindi è soggetta a tutti gli errori dovuti a distrazioni, problemi fisici e mentali, scarsa prepazione, stress ecc. Probabilità medio alta. Le cartelle elettroniche possono raccogliere e verificare i dati in automatico con alto grado di accuratezza (l'utente ha compiti minimi). Anche i dati immessi manualmente possono essere verificati e si può segnalare tempestivamente all'utente le incongruenze. Probabilità bassa. 1. Supporta una lista di problemi 2. Tiene traccia dello stato di salute e dei livelli funzionali 3. Documenta il ragionamento clinico e il processo logico 4. Fornisce collegamenti dinamici ad altre cartelle cliniche 5. Garantisce confidenzialità, privacy e tracciabilità dei processi cIinici 6. Offre accesso continuato agli utenti autorizzati 7. Supporta visite in contemporanea da più utenti 8. Supporta l'accesso puntuale a risorse locali e remote di informazioni 9. Facilita il problem solving clinico 10. Supporta l'immissione diretta di dati da parte degli utenti 11. Supporta i medici specialisti nel contenere i costi emigliorare la qualità 12. Supporta i bisogni esistenti e in evoluzione delle specialità cliniche Le finalità e gli obiettivi ===================================================== Unione Sarda 20 mar. ’08 SANITÀ, HARRIS DEVE LASCIARE SASSARI Negativo il parere del ministero della Salute sulla nomina del manager anglo- americano È illegittimo il decreto del presidente della Regione con il quale è stato nominato David Harris direttore generale della nuova Azienda ospedaliero- universitaria di Sassari. La nomina, del 4 febbraio, dovrà essere revocata. Il motivo: Harris è privo del requisito necessario per poter ricoprire quell’incarico, in quanto non è cittadino italiano. Questo, in sintesi, il contenuto del parere recapitato il 6 marzo all’assessorato regionale della Sanità dall’ufficio legale del ministero della Salute. Parere che smentisce, di fatto, quanto sostenevano gli avvocati della Regione. Secondo i quali l’assenza del requisito della cittadinanza italiana non poteva rappresentare un ostacolo alla nomina di Harris a direttore generale dell’Azienda mista. Il ministero della Salute ha bacchettato la Regione, sottolineando che Harris potrà essere eventualmente nominato solo dopo che avrà conseguito la cittadinanza italiana e dopo che gli sarà riconosciuto il titolo di studio non ottenuto in Italia. LA VICENDA La scelta di affidare a Harris la poltrona più importante dell’Azienda mista di Sassari da parte della Giunta risale a poco più di un mese fa ed era stata adottata per sostituire il precedente manager, Gianni Cherchi, deceduto alla fine del 2007. Harris, che ha la doppia cittadinanza americana e inglese, svolgeva già l’incarico di direttore amministrativo dell’Azienda mista. LA LEGGE Una norma del decreto legislativo 165 del 2001, in materia di accesso ai posti pubblici "dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea", stabilisce che questi "possono accedere ai posti presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell’interesse nazionale". Una disposizione analoga è contenuta in un decreto del presidente del Consiglio del 1994, norma che riserva ai soli cittadini italiani i posti nelle pubbliche amministrazioni che presuppongono l’esercizio di pubblici poteri. E poiché l’essere direttore generale di un’Azienda mista comporta, appunto, lo svolgimento di funzioni pubbliche, non essendo Harris un cittadino italiano, di conseguenza non poteva essere nominato. La circostanza che risieda in Italia e sia sposato con una sarda non comporta l’acquisizione automatica della cittadinanza, poiché è necessario un provvedimento formale del ministero dell’Interno. LA REGIONE La tesi espressa dal pool legale di viale Trento dopo la nomina, era stata di segno opposto: ovvero, che il possesso della cittadinanza italiana non era requisito necessario per ottenere la nomina, perché - sempre secondo i legali della Regione - le norme che vietano il conferimento di quegli incarichi a cittadini non italiani non potevano trovare applicazione per l’Azienda mista. Il ministero della Salute è stato di opposto avviso. LE CONSEGUENZE La Regione si trova costretta, dopo il perentorio parere del ministero, ad avviare il procedimento per l’annullamento, in via di autotutela, del decreto di nomina di David Harris. Revoca che, però, non potrà sanare l’illegittimità degli atti adottati dal direttore generale dal giorno della sua nomina fino a oggi. Atti che potrebbero essere impugnati da chiunque possa averne interesse, in quanto illegittimi. E. P. ========================================== La Nuova Sardegna 20 mar. ’08 È SCOMPARSO IERI L’EX RETTORE ANTONIO MILELLA Aveva 83 anni, la camera ardente allestita nell’aula magna del «suo» ateneo SASSARI. Ha affrontato la malattia con lo stesso coraggio, la grinta che l’avevano sempre contraddistinto nella vita e sul lavoro. Ha sofferto in silenzio, cercando di non far pesare sulla moglie e sui figli la sua malattia. Il professor Antonio Milella, 83 anni, rettore dell’università di Sassari dal 1973 al 1991, è morto poco dopo mezzogiorno in rianimazione delle cliniche universitarie. «Il professor Antonio Milella è stato il rettore della modernizzazione - ha ricordato con commozione il rettore Alessandro Maida, che appena rientrato da Roma ha convocato il Senato accademico -. È stato il rettore che ha fatto uscire l’università di Sassari dai confini della Sardegna, proiettandola verso l’Europa e il Mediterraneo. Un uomo che vedeva lontano, che aveva capito con grande anticipo l’importanza della collaborazione tra l’ateneo e le strutture di ricerca esterne. E poi, un grande maestro, che ha lasciato una traccia indelebile del suo passaggio nella facoltà di Agraria». Piero Deidda, professore di Arboricoltura, allievo del professor Milella con il quale aveva cominciato a lavorare nel 1963, nasconde le lacrime dietro sorrisi legati ai ricordi più belli. «Era uno che delegava, il professor Milella - ha sottolineato il docente universitario -. E faceva crescere chi gli stava intorno. Erano altri tempi, ma che bei tempi. Credeva sempre in quel faceva e aveva il coraggio di portare avanti le sue idee sempre e comunque, contro tutto e contro tutti e alla fine i fatti gli hanno dato ragione. Negli anni in cui è stato rettore - ha continuato il professor Deidda - ha trainato risorse impensabili, contribuendo a far crescere non solo la facoltà di Agraria ma tutta l’università. Aveva precorso i tempi, forse anche troppo: il Corisa all’epoca era sembrata un’avventura, ora sarebbe normalità. Così come i rapporti col Cnr. E fino all’ultimo - ha concluso - ha pensato alla sua università, tanto che in quei pochi giorni che era rimasto in Pneumologia, prima di rientrare in rianimazione, mi aveva raccomandato di dire al rettore Maida che il personale infermieristico del reparto era carente e occorreva rinforzare gli organici. Era fatto così». «Ero stato suo pro rettore e poi il suo successore - ha ricordato il professor Vanni Palmieri, ora vicepresidente della Banca di Sassari -. E arrivare dopo di lui non era stato facile perché aveva fatto crescere, facendola diventare grande, la nostra università e aveva avuto l’intuito eccezionale di posizionarla con un profilo europeo. Stargli vicino nei primi anni del suo rettorato mi era servito per imparare che cosa volesse dire governare l’università. Aveva un grande carisma - ha concluso il professor Palmieri - e godeva di una stima indiscussa a livello nazionale. Potrei continuare a esaltare le sua qualità a lungo, ma correrei il rischio di cadere nella retorica e lui questo non l’avrebbe voluto. Ma l’università di Sassari gli deve moltissimo». Il professor Antonio Milella era ricoverato da poco prima di Natale e aveva festeggiato gli 83 anni in ospedale. «Le sue condizioni sono precipitate negli ultimi giorni e il fisico provato dalla malattia non è riuscito a superare una crisi respiratoria - hanno spiegato i figli Giangi e Isa, che si sono stretti alla mamma Maria Augusta Crovetti, la stessa età del marito, fortemente provata dal dolore dopo tante sofferenze e speranze -. Ma in questi mesi, babbo ha trovato tanti altri figli perchè è stato grande e stupendo l’affetto, l’umanità e la professionalità di tutto il personale della Rianimazione delle cliniche universitarie». La camera ardente è stata allestita nell’aula magna dell’università centrale dove oggi a mezzogiorno si svolgerà una commemorazione del Senato accademico, ma senza toghe perché a lui, uomo semplice e amante della campagna, poco piacevano queste cerimonie eccessivamente solenni. La camera ardente resterà aperta tutto il giorno dalle 9 alle 20. Domani alle 10,30, la benedizione (durante la settimana santa non vengono celebrati funerali) nella chiesa di Cappuccini, mentre la messa sarà celebrata martedì alle 11 nella stessa chiesa. torna su Pagina 21 - Sassari Era un «figlio» del Sessantotto con l’agricoltura nel cuore NEL 1973 si era appena usciti dagli anni agitati delle proteste e delle occupazioni. Alla boa del 1970 il rettore Bo era stato costretto a scegliere fra concedere l’aula magna a una associazione universitaria di destra o ascoltare una specie di ultimatum di quello che si chiamava il Comitato dei docenti democratici. A mezzanotte fece un telegramma al ministro, e si dimise. La reazione fu rapida e dura: con una votazione contestata (alcuni professori furono lasciati fuori dei cancelli del Palazzo dell’Università) fu eletto Antonio Manunta, studioso di buona fama e uomo molto deciso nel deliberare. Nel 1973 i “progressisti” progettarono il cambio di guardia. Ci fu una sorta di anticipazione sassarese del compromesso storico: un uomo forte dei cattolici e un alto rappresentante del Pci si incontrarono per scegliere un candidato comune. Fu proposto Milella, vicino ai cattolici anche perché la sua specializzazione in Agraria lo aveva portato spesso a occuparsi direttamente dei problemi dell’agricoltura isolana: Paolo Dettori, uno dei leader dei “Giovani turchi”, era stato uno dei più apprezzati assessori regionali al settore. La battaglia elettorale si svolse sottovoce: anzi, nel silenzio più assoluto. Quando si andò al verdetto delle urne, si scoprì che, quasi a insaputa dell’unico competitore, che era il rettore uscente, Milella aveva avuto una manciata di voti in più (qualcuno si ricorda che era addirittura uno solo). Da quel momento il professore di Coltivazioni arboree governò l’Università per diciotto anni, il rettorato più lungo di questo dopoguerra. Garantì la pace fra le fazioni (per quel tanto che si può fare in una istituzione dove tutti credono di avere nello zaino il bastone di maresciallo), promosse la ricerca, cominciò a dare un’impronta di azienda moderna, l’amministrò con guanto di velluto. Ma Milella è stato anche figlio di Sassari. Come càpita ogni tanto a qualche professore “continentale”, lui, nato a Lecce ma arrivato a Sassari all’inizio della carriera, ha finito per compierla tutta qui, mettendo qui le radici di una scuola e della famiglia (è lo stesso cammino, in fondo, che sta percorrendo Alessandro Maida). Suoi allievi si sono diramati in diverse Università della penisola, lui stesso ha fatto parte di numerose istituzioni scientifiche del nostro Paese. E’ stata questa sua vicinanza alla città, non solo da professore ma anche da “parente” (sua moglie appartiene a una delle famiglie più in vista della città, il suocero, l’ingegner Giacomo Crovetti, era stato podestà di Sassari sul finire degli anni Trenta), a integrarlo in un tessuto cittadino che peraltro, ad onta del mito popolare dell’avversione agli “accudiddi”, ha sempre aperto braccia e porte a chi viene da fuori in onestà e in sapere, portando le sue doti al tesoretto delle risorse cittadine. Non per nulla una delle specializzazioni scientifiche di Milella fu l’olivicoltura, alla quale seppe offrire un intero patrimonio di tecniche più razionali e di strumenti pratici nel momento in cui, forse, la storica tradizione dell’allevamento e della trasformazione del prodotto si andava spegnendo, e l’ingordigia della speculazione edilizia si mangiava i bordi argentei della città. Sassarese e anche sardo: sarà stata una parentesi brevissima, ma va ricordato che in una delle crisi degli anni Ottanta-Novanta fu anche chiamato, da tecnico, a fare l’assessore regionale proprio all’Agricoltura. Sotto di lui la Facoltà di Agraria, che praticamente aveva visto nascere all’inizio degli anni Cinquanta, è diventata una sede scientifica apprezzata e riconosciuta negli ambienti accademici di mezzo mondo. Uno dei punti d’arrivo fu la costruzione del grande Palazzo della Facoltà, disegnato da Fernando Clemente (un altro grande sassarese imprestato all’Università italiana): quell’edificio fortemente razionale, acquartierato in un’area in cui l’Università avrebbe continuato a espandere le sue strutture, portato a confondersi col paesaggio ma, visto da vicino, dotato di una sua calma robustezza, un po’ gli somigliava. Manlio Brigaglia ========================================== Il Sole24Ore 19 mar. ’08 SSN, PRONTO AL VARO IL NUOVO ELENCO DELLE PRESTAZIONI Sanità. Oggi decisione sul decreto LE DIFFICOLTÀ Tra i problemi da superare i costi dei vaccini e le perplessità dei medici di famiglia sui vincoli burocratici Roberto Turno ROMA Ore decisive per il varo dei nuovi Lea (livelli essenziali di assistenza) sanitari, ovvero la summa delle prestazioni concedibili dal Ssn. Prima in un vertice tra gli assessori, poi in un incontro col ministro della Salute, Livia Turco, si decideranno oggi le sorti della modifica, quasi sette anni dopo, del Dpcm del novembre 2001. Se ci sarà disco verde, il nuovo provvedimento sarà inserito all'ordine del giorno della Conferenza Stato-Regioni di domani. In caso contrario, le ipotesi alternative al momento sono due: una (meno probabile) Stato-Regioni straordinaria subito dopo Pasqua, ma prima delle elezioni del 13-14 aprile, oppure il rinvio del nuovo Dpcm alle calende greche, comunque dopo la formazione del Governo che verrà dopo la tornata elettorale. Gli imbarazzi principali per gli effetti dei 56 articoli (e ponderosissimi allegati) del decreto, sul quale manca il sigillo finale e ufficiale di Tommaso Padoa-Schioppa, sarebbero di natura economica. In particolare, ma non solo, quelli legati ai costi dei vaccini (che peraltro viaggiano col nuovo Piano vaccinale, pure in stand by, con l'Hpv già finanziariamente coperto dalla manovra 2008). A sollevare dubbi sarebbe soprattutto la Lombardia. Mentre non mancano perplessità avanzate in questi giorni da alcune categorie: come i medici di famiglia Fimmg, che lamentano burocrazia e vincoli alle prescrizioni di indagini diagnostiche e altre contestazioni sul nuovo nomenclatore delle protesi per i disabili. Ma la relazione tecnica allegata, ora sotto esame e su cui l'Economia chiede una condivisione «forte» delle Regioni, al momento esclude costi aggiuntivi. Sono del resto materia incandescente le novità predisposte in lunghi mesi di lavoro gomito a gomito tra Governo e Regioni. Con scremature di prestazioni, appropriatezza di cure, aggiustamenti. Ma anche con aperture di credito agli assistiti in un aggiornamento della lista di prestazioni concedibili e non dal Ssn. Ecco così che i Drg ospedalieri a rischio di inappropriatezza aumentano da 43 a 108, da concedere non più in regime di ricovero ma in day hospital: dagli interventi sulle articolazioni all'Hiv. A questi se ne aggiungono altri 24 di day surgery, erogabili solo in ambulatorio, dunque sottoposti a ticket: dalla cataratta all'ernia. Arrivano, oltre dieci anni dopo, il nuovo nomenclatore delle prestazioni specialistiche ambulatoriali e anche quello dell'assistenza protesica, che diventa più hi-tech. Ed ecco, ancora, il nuovo elenco delle malattie rare, con 109 nuove inserimenti che daranno diritto alle esenzioni dai ticket. Ma arriva anche l'aggiornamento delle malattie croniche, pure degne di esenzione, con sei nuove patologie gravi (dalla Bpco alle malattie renali croniche) ma anche con tagli di prestazioni oggi esenti e l'esclusione totale di altre (come l'ipertensione lieve senza danni d'organo). ========================================== Unione Sarda 17 mar. ’08 CAGLIARI:L'AMBULATORIO SEGRETO DEI CLANDESTINI Nell'ospedale di Cagliari dove ticket e documenti sono inutili Un ambulatorio garantisce il diritto alle cure mediche anche ai pazienti stranieri senza permesso di soggiorno. di PAOLO PAOLINI Giuro di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica . Il martedì e il giovedì arrivano alla spicciolata, dalle 15 alle 18. Nella sala d'attesa cieca parlano russo, marocchino, pachistano e una miriade di lingue dei quattro angoli del pianeta. L'ambulatorio (Asl 8) di viale Trieste, a Cagliari, è zona franca, si viene curati senza pagare il ticket e nessuno chiede i documenti. La trasposizione del giuramento di Ippocrate in quattro stanze e un bagno. «Visitiamo chiunque, soprattutto clandestini, che altrimenti non saprebbero come fare», spiega la responsabile Silvana Tilocca. Tra qualche giorno si festeggia il terzo compleanno. In principio l'unico, attesissimo appuntamento settimanale era di giovedì. «Il giorno libero delle ucraine che assistono gli anziani. L'inizio è stato in sordina, il nostro obiettivo era conquistare la fiducia dei pazienti». Per un paziente senza permesso di soggiorno non c'è nulla di più pericoloso degli ospedali, dove ti chiedono nome, cognome e tutto il resto. «Abbiamo stampato piccoli foglietti colorati per distribuirli nelle piazze, in maniera quasi clandestina, in inglese, francese, arabo e russo» - racconta la direttrice - «Abbiamo rassicurato i clandestini, poco per volta hanno capito che una visita medica non si sarebbe conclusa con l'espulsione. I medici sono legati al segreto professionale, quindi i pazienti sono tranquilli, non rintracciabili». Il meccanismo è semplice: «Predisponiamo un libretto col cosiddetto codice straniero temporaneamente presente . Vale sei mesi e dà diritto all'assistenza, il nome non è fondamentale, neppure la residenza, la provenienza sì, quella ci dev'essere. Un altro piccolo servizio che si è rivelato molto utile è la prenotazione delle visite specialistiche. Per quelle pagano il ticket ma stiamo affrontando il problema, perché molti non hanno i soldi. Un messaggio importante per i clandestini: vi inseriamo nel sistema sanitario pubblico. In questo modo si decongestiona il pronto soccorso». Qui non vedrete medici annoiati e infermieri che patiscono l'orario di lavoro: «C'è la grandissima disponibilità di alcuni dipendenti dell'Asl che offrono collaborazione al poliambulatorio. Lo fanno per scelta. E per fortuna ci aiutano i mediatori culturali mandati dalla Provincia. Il problema della lingua ha creato una solidarietà unica. La prima ad aiutarci è stata una ragazza ucraina. Ho visitato un ragazzo del Senegal e contemporaneamente parlavo col traduttore, in questo modo sono riuscita a capire quale fosse il problema di salute». Ora, la fiducia dei clandestini nei medici è un dato di fatto, ma tutto ha un limite. Netto, preciso e ben visibile nel momento in cui un giornalista tenta di scambiare quattro chiacchiere per raccogliere impressioni, fosse pure col ricorso a gesti e sorrisi. Meglio evitare per non intaccare la loro sensazione di sicurezza. «Le persone che scelgono di emigrare clandestinamente non sono gli scarti di un Paese, ma spesso i migliori che fuggono da una realtà complicatissima», è la convinzione di Silvana Tilocca, «Sono forti, direi leader, che hanno un progetto migratorio preciso, magari perché sono l'unica fonte di sostentamento della famiglia». I cinesi, pochi, ma si vedono. «Gran parte di loro è regolare, quelli venuti da noi sono persone splendide». A ranghi completi l'esercito delle badanti: «Le donne ucraine hanno per lo più problemi della sfera ginecologica, età tra i quaranta e cinquanta, ad alcune abbiamo salvato la pelle; problemi cardiologici e gastrici, anche respiratori. Stanno emergendo anche casi di diabete». Va da sé che in quella sala d'attesa capitano spesso le ragazze dell'Est: «Stanno arrivando anche le prostitute, com'è intuibile molte hanno malattie che si trasmettono sessualmente». Davanti al medico, si sa, è frequente parlare di tante cose: «Non chiediamo mai come sono arrivati in Sardegna, rischieremmo di compromettere il nostro lavoro». A parlare sono spesso i rifugiati politici ospitati da don Ettore Cannavera, uomini e donne che si fanno curare nel poliambulatorio di viale Trieste: «Non abbiamo mai mandato via un paziente». La direttrice stima all'ingrosso qualche migliaio di clandestini solo a Cagliari, invisibili che fanno della diffidenza l'unica arma per sopravvivere: «Alcuni sono venuti a farsi visitare quando erano allo stremo, in condizioni terribili». Detto questo, qualche paletto delimita il confine tra solidarietà e connivenza: «Se sospettiamo violenze o cose del genere abbiamo l'obbligo di fare il referto». Qui dentro le forze dell'ordine non mettono il naso: «Ci rispettano e noi rispettiamo il loro ruolo». ================================================= La Nuova Sardegna 20 mar. ’08 PSICHIATRIA: SE IL PROGRESSO DISTURBA IL POTERE M. GRAZIA GIANNICHEDDA* E' davvero sconcertante l a pagina a fondo nero ospitata a pagamento sull'Unione Sarda il 16 marzo. Si tratta di una protesta, firmata tra gli altri dall'Ordine dei Medici di Cagliari e di Oristano, dalla sezione sarda della Società Italiana di Psichiatria e da diverse sigle sindacali, contro la sospensione dal servizio dello psichiatra Gianpaolo Turri, primario del SS. Trinità di Cagliari, "reo - scrive il manifesto - di essere non allineato con gli amministratori aziendali e regionali della sanità". Amministratori che, con questa sospensione, avrebbero "scritto una pagina nera nella storia della Sanità Sarda". Di qui la prima ragione di sconcerto. Gli autori del manifesto omettono il seguente "particolare": Turri è stato sospeso a seguito del rinvio a giudizio per omicidio colposo, in relazione a una vicenda che è doveroso riassumere. Il 15 giugno 2006 Giuseppe Casu, 61 anni, ambulante di Quartu, viene portato al servizio psichiatrico dopo un alterco con i vigili a proposito della sua bancarella. Casu è in stato di agitazione psicomotoria e rifiuta i farmaci. I medici decidono il trattamento sanitario obbligatorio, lo legano al letto con fasce ai polsi e alle caviglie e con una fascia più larga al torace, gli somministrano psicofarmaci. Sette giorni dopo, il 22 giugno, Casu muore di tromboembolia all'arteria polmonare. La Asl apre una verifica sull'adeguatezza dell'assistenza e i medici ispettori accertano che "la contenzione fisica è stata effettuata per un periodo eccezionalmente lungo, ossia dalla data del ricovero a quella del decesso, senza soluzione di continuità", ovvero che il signor Casu non è stato slegato neppure per i bisogni corporali. Anche il magistrato apre un'inchiesta, per capire se vi sia un nesso causale tra la morte e la contenzione protratta. L'inchiesta si conclude col rinvio a giudizio per omicidio colposo del direttore Turri e della psichiatra Maria Cantone responsabile del paziente. A margine, la Procura apre un'altra inchiesta, a carico di ignoti, per frode processuale, quando gli esperti incaricati di studiare le cause della morte del paziente realizzano che le parti anatomiche acquisite non sono quelle di Casu ma di un' altra persona, morta di tromboembolia dell'arteria polmonare ma a causa di un tumore. Gli inquirenti scoprono che le parti del corpo di Casu sono scomparse dall'Istituto di Anatomia Patologica del SS. Trinità. Questa è senza dubbio una pagina nera della sanità sarda, scritta però non dagli amministratori ma dai medici, compresi quelli che oggi firmano un testo che rappresenta come vittima il primario. In attesa del giudizio del magistrato, un dato è incontrovertibile: una persona sofferente è stata legata al letto ininterrottamente per sette lunghi giorni e notti, e per di più sedata. Che su questo il manifesto taccia è verosimilmente dovuto anche a carenza di argomenti: come può infatti definirsi atto medico il trattamento inumano e degradante a cui è stato sottoposto il signor Casu? Allora si allude alla persecuzione, con un tratto caricaturale: lo slogan del manifesto - obbedire non è più una virtù - è infatti una frase di don Milani, uomo assai lontano dalla cultura che informa questa protesta e i fatti che essa tace. Dubito molto che gli aderenti alle organizzazioni firmatarie la pensino tutti come i promotori del manifesto di domenica. Il processo di trasformazione dei servizi e delle politiche di salute mentale che si è messo in moto in Sardegna negli ultimi anni ha infatti coinvolto tantissimi operatori pubblici, che finalmente respirano perché cominciano a vedere premiato e non ostacolato l'impegno a costruire servizi accoglienti e ad aprire con utenti e familiari un rapporto di dialogo e cooperazione. Certo, questo disturba alcuni piccoli potentati cresciuti in decenni di politiche assenti o sbagliate. Nel caso particolare poi, c'è anche un riflesso insieme di paura e di lesa maestà poiché un medico dirigente viene fatto responsabile, come è doveroso accada in un paese civile, delle cattive pratiche e degli eventuali danni che possono derivarne ai pazienti. Ma questo sorprende Raimondo Ibba, presidente dell'ordine dei medici di Cagliari, abituato ad Asl che, come ha dichiarato qualche giorno fa, "solitamente si muovono solo per corruzione o truffa", cioè in quanto siano minacciati interessi di bottega. Invece questa volta una Asl sarda si è mossa in nome della salute e dei diritti dei cittadini per i quali essa è costituita. Anche questo è un buon segno del cambiamento in corso. Maria Grazia Giannichedda Docente di Sociologia politica della facoltà di Scienze politiche dell'Università di Sassari ======================================================== Libero 20 mar. ’08 TOMASSINI: DALLA LEGGE BASAGLIA A OGGI Psichiatria, perdura la fragilità del Servizio sanitario nazionale ANTONIO TOMASSINI* È sufficiente consultare ogni giorno le pagine dei giornali per rendersi conto di quanto urgente e indilazionabile sia il problema. Molti fatti di cronaca hanno profondamente colpito la sensibilità delle famiglie dei cittadini: tutto quanto concerne i problemi della psichiatria infantile e adolescenziale, il caso di Cogne, quello di Novi Ligure, poi quelli di Vigevano, Perugia e molti altri assimilabili, hanno fatto suonare un campanello di allarme. È vero, di psichiatria se ne parla molto, ma purtroppo si fa poco. Quando sul finire degli anni '70 il prof. Basaglia espose le sue teorie riguardo ad un approccio più moderno e più umano della psichiatria convinse e affascinò sia i cittadini sia gli addetti ai lavori. Il fatto di aprire i manicomi e attuare un piano di forte reinserimento sociale di quegli ammalati era gesto nobile e solidale facilmente condivisibile. Fu così che si pensò ai centri di prevenzione psico sociale rinviando pochi casi al trattamento sanitario obbligatorio; si ridimensionarono i posti letto dei centri specialistici di diagnosi e cura; si avviarono le cosiddette residenze protette. A questi interventi si accompagnò una evoluzione straordinaria dei trattamenti farmacologici, che cambiarono il destino degli ammalati. Come sempre, dalle buone intenzioni ai risultati possono passare svariati chilometri: per molte Regioni, ma soprattutto, data la natura sociale del fenomeno, per molte amministrazioni comunali e provinciali è stato più facile affermare che le malattie psichiatriche erano debellate, piuttosto che continuare ad investire denari in questa direzione. L'apice fu toccato nella XIII legislatura quando l'allora ministro della Sanità pensò di cancellare i cosiddetti residui manicomiali. Eppure un'importante indagine conoscitiva, fatta dalla Commissione sanità del Senato, aveva evidenziato come fosse diverso il panorama nazionale: si andava da luoghi e regioni che avevano realizzato tutti gli obiettivi della legge, ad altre in cui i manicomi erano formalmente chiusi, ma gli ammalati psichiatrici erano rinchiusi in lager, privati del rispetto dei loro diritti. Una tendenza diffusa sul territorio nazionale ha sovradimensionato le pertinenze parapsicologiche e fatto diminuire l'approccio terapeutico tradizionale; l'insufficienza della prevenzione e dei luoghi di cura era ed è diffusamente palese; non vi è progettualità per la nuova cronicità; molti casi psichiatrici finiscono impropriamente nel circuito di cura delle dipendenze o assimilati ai normali criminali associati alle carceri. Ora quindi va urgentemente rivista la legge 180 e vanno portati quei rimedi che diano sollievo alle famiglie che sopportano con pochissimo aiuto tutti gli oneri psicologici ed economici di questa assistenza. Fotografando la situazione del Paese i 78.000 posti letto dell'inizio della riforma sono ora 26.000; il sistema privato assorbe oltre il 45% delle strutture; le residenze protette, peraltro contate includendo quelle che dovrebbero essere destinate agli anziani, offrono 45.000 posti letto verso i 145.000 necessari; solo sei Regioni stanziano modesti assegni per le famiglie. In realtà un cittadino su cinque ha bisogno almeno una volta nella vita di consultare uno psichiatra: di questi solo il 10% riesce ad avere un consulto psichiatrico. Di tutti i malati di mente oltre il 10% sono bambini o adolescenti; gli schizofrenici sono 250 mila che associati ai 2.200.000 depressi costituiscono una massa critica potenzialmente molto pericolosa per l'assistenza. Vanno quindi varate urgentemente le nuove norme che debbono affrontare questi aspetti. - La formazione deve aggiornare la conoscenza degli operatori in maniera moderna soprattutto riguardo all'uso dei farmaci; migliorare la capacità di valutare e discriminare le diverse casistiche; stimolare lo sviluppo di riabilitazione dedicata. - La psicoterapia può essere un corretto ammortizzatore socio assistenziale e va estesa: non può però soffocare o far diminuire oltre il tollerabile l'approccio terapeutico. Va avviata una reale rete integrata di servizi con sufficienti centri di salute mentale che siano in grado di effettuare prevenzione attiva; i centri di diagnosi e cura devono essere portati ad un numero sufficiente rispetto ai casi; la riabilitazione deve trovare un posto adeguato e distinto nei livelli essenziali di assistenza; va rapidamente colmato il vuoto delle residenze sanitarie assistite, particolarmente carente nelle regioni del centro-sud. - Le tossicodipendenze vanno coordinate con i servizi psichiatrici e deve cessare la separazione fra questi settori. - I servizi specializzati devono avere una particolare dedicazione alla infanzia e alla adolescenza. È fondamentale revisionare le norme del trattamento sanitario obbligatorio che appare oggi un insufficiente elemento di pronto soccorso. Purtroppo le Regioni non riescono a governare la spesa e quindi non hanno mai il minimo necessario da investire in questo settore. Viceversa si potrebbero trovare sufficienti e utili risposte finanziarie ricorrendo anche al sistema dei fondi integrativi. Nessuno vagheggia un ritorno ai manicomi del passato. Non possiamo tuttavia rimanere sordi al grido delle famiglie e di tanti cittadini. Non possiamo fare la politica dello struzzo ignorando ed omettendo né fare affermazioni di solidarietà vuote di contenuto. Ciascuno di noi, politici, operatori, cittadini deve fare la propria parte perché in questo settore si concretizzi una realtà di strutture e mezzi più adeguata alle necessità e si ripristini il rispetto di tutela della persona e della dignità umana. Il popolo della libertà riconosce nella riforma della psichiatria una delle priorità assolute del SSN e si impegna per una urgente soluzione. *Senatore di Forza Italia ========================================== Il Sole24Ore 20 mar. ’08 SALUTE MENTALE, SFIDA SUL TERRITORIO A trent'anni dalla legge Basaglia le linee d'indirizzo della Turco: ai dipartimenti la regia dei servizi Il percorso: strategie locali e modelli individuali - Piano oncologico: si punta sui network La salute mentale deve ripartire dal territorio. A chiederlo sono le linee di indirizzo che il ministro Turco è pronta a presentare in Conferenza Stato-Regioni a 30 anni esatti dalla legge Basaglia. La ricetta è semplice: affidare ai dipartimenti il ruolo di vero regista dell'assistenza fuori e dentro l'ospedale, fino al tanto agognato "territorio" dove non solo bisogna erogare le cure, ma anche garantire un vero reinserimento dei pazienti attraverso il sostegno domiciliare e il lavoro. Con progetti «personalizzati», da scrivere nei Lea, nel segno della continuità dell'assistenza in grado di accompagnare per mano i pazienti, dall'inizio alla fine, in tutto il loro percorso di recupero. Un'attenzione "globale" al malato è richiesta anche nel nuovo Piano oncologico nazionale 2008-2010, messo a punto dalla Commissione guidata da Umberto Veronesi. Che aggiorna la bozza predisposta nel 2006 dagli esperti nominati dall'ex ministro Sirchia e ammonisce: l'assistenza va ripensata. Come? Istituendo network anti-cancro in tutte le Regioni. Sul modello toscano, piemontese, lombardo e valdostano. PSICHIATRIA/ Pronte per lo sbarco in Stato- Regioni le linee di indirizzo del ministero per superare le differenze nell'offerta e favorire l'integrazione dei servizi Salute mentale, i dipartimenti al timone del territorio Ai Dsm la regìa dell'assistenza, obiettivi e scelte nei piani di azione locale Per i pazienti progetti personalizzati anche su lavoro e casa. A trent'anni esatti dalla legge Basaglia il ministero della Salute prepara il "tagliando": «Malgrado ritardi e disomogeneità una grande epocale trasformazione si è conclusa nel nostro Paese e nulla potrà più essere come prima», recita con orgoglio l'introduzione delle nuovissime linee di indirizzo nazionali per la salute mentale pronte a sbarcare, già questa settimana, in Stato-Regioni. Ma dopo tre decenni, nonostante la filosofia di quella legge (180/1978) che chiuse a chiave per sempre i manicomi sia da difendere, c'è tanto da migliorare, aggiustare e modificare: a cominciare dalla tante e troppe «disomogeneità» e «differenze» nell'offerta di cure tra le Regioni e anche all'interno delle stesse Regioni. La ricetta è piuttosto semplice - a dirsi, ma non a farsi perché assegna al dipartimento di Salute mentale il ruolo di vero regista dell'assistenza fuori e dentro l'ospedale, fino al tanto agognato "territorio" dove non solo bisogna erogare le cure, ma anche garantire un vero reinserimento dei malati mentali attraverso il sostegno domiciliare e il lavoro. Con progetti «personalizzati», da scrivere nei Lea, nel segno della continuità dell'assistenza in grado di accompagnare per mano i pazienti, dall'inizio alla fine, in tutto il loro percorso di recupero. Perso per strada il nome molto più altisonante di «Piano strategico», le linee di indirizzo sulla salute mentale - una trentina di paginette pressoché prive di dati e senza alcuna indicazione di nuove risorse o fondi disponibili - non sembrano però un documento capace di dare una sterzata alla psichiatria nel Ssn, piuttosto fotografano i ritardi indicando alcune strategie generali a cui le Regioni potranno attenersi (se ne avranno voglia?). Troppe differenze, nuovi Lea. I dipartimenti sono stati in questi anni lo «strumento operativo che ha consentito i processi di deistituzionalizzazione prima e lo sviluppo della rete territoriale poi». Ma i cambiamenti - avvertono le linee d'indirizzo non sono stati ovunque gli stessi: la composizione dei Dsm è «notevolmente eterogenea» e i Centri di salute mentale sono «diversamente accessibili quanto a orari di apertura» e con «modalità operative» e «finalità» troppo spesso «radicalmente differenti» tanto da non riuscire molte volte a garantire la «presa in carico globale» del paziente. Anche i servizi psichiatrici di diagnosi e cura «risentono ancora di gravi carenze strutturali e logistiche» con il Sud e molte Regioni del Centro praticamente nelle mani del privato convenzionato. Da qui l'«esigenza di rivedere i Lea» per garantire «accesso», «continuità delle cure» e «personalizzazione del progetto»: va superata, infatti, la «logica prestazionale» che si basa su «strutture separate per funzione» per puntare sull'«integrazione e su programmi e servizi offerti al cittadino». Non bastano, dunque, standard classici di offerta (posti letto, rette, Drg), ma un «approccio centrato sulle persone» secondo «programmi terapeutico-riabilitativi individuali» costruiti su misura e con «risorse adeguate». La regìa ai dipartimenti. È il vero «perno» e «garante del governo clinico della salute mentale di un determinato territorio» e deve gestire e coordinare le azioni dei servizi pubblici e privati (sociali o imprenditoriali che siano) e di tutti gli interventi anche «prestati all'esterno» del dipartimento stesso, integrandosi con i servzi sociali e con gli enti locali. Il suo primo obiettivo è quello di costruire un «progetto terapeutico individuale, personalizzato e condiviso» aprendosi al «territorio» dove deve prevedere anche la presenza diffusa di «servizi a bassa soglia». Ogni dipartimento - avverte il documento del ministero - deve promuovere l'attivazione di un «tavolo di concertazione locale» a cui spetterà il compito di individuare gli «obiettivi prioritari di salute» e l'Asl di riferimento dovrà dotarsi, in questo senso, di un proprio «Piano di azione locale per la salute mentale» frutto di «pratiche di concertazione» con tutti i protagonisti del territorio (di-stretti, enti locali, impresa sociale e imprenditoriale, associazioni, sindacati, volontari ecc.). Il reinserimento: dalla casa al lavoro. Nel «progetto personalizzato» tagliato su misura del paziente deve essere incentivato il «sostegno abitativo domiciliare» e il ricorso a «case di piccole dimensioni» con il supporto dresidenze. Un «sostegno abitativo» in varie «forme» che deve essere sostenuto dai dipartimenti di salute mentale, valorizzando esperienze positive come i «gruppi- appartamento» e le «case famiglia», meglio se ubicate nel «cuore degli insediamenti abitativi». E con tre-cinque componenti, il numero giusto per sviluppare le risorse relazionali. Ma il percorso di reinserimento non si ferma qui. E deve arrivare anche all'«inclusione sociale e lavorativa». Per questo, ancora una volta, è il Dsm che deve operare «perché il diritto al lavoro trovi concreta realizzazione per tutti i fruitori dei propri servizi». Come? Con «percorsi di formazione e addestramento professionale e collaborando con le cooperative sociali del territorio. Ma anche contribuendo alla realizzazione di «vere e proprie imprese sociali», attivando «gruppi di autopromozione delle capacità imprenditoriali e cooperativistiche degli utenti». Infanzia, carcere e multiculturalità. Sono tre le "aree" più delicate che linee di indirizzo del ministero decidono di affrontare con specifici capitoli e con tanto di strategie e indirizzi «operativi». A cominciare dall'assistenza ai giovanissimi: per l'infanzia e l'adoloscenza sono ancora di più, se possibile, le difformità e le carenze dei servizi di salute mentale. E questo nonostante la domanda di cure sia cresciuta vertiginosamente. Da qui l'idea di un riordino che deve passare per la diffusione e il consolidamento dei servizi di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza, senza più confusione di competenze con i servizi materno- infantili. E con una dose massiccia di integrazione con il territorio che significa sinergie con enti locali, scuole, ma anche Sert per la piaga delle tossicodipendenze. Ma c'è spazio e attenzione anche per la sfida alla «multiculturalità» che significa cure su misura e con tanto di mediatori linguistici e culturali per gli immigrati. E infine il capitolo delle carceri, dove la prevalenza dei disturbi mentali sfiora il 16%: sorveglianza e collaborazione con le strutture territoriali sono d'obbligo. Un occhio di riguardo è riservato agli ospedali psichiatrici giudiziari: le Asl interessate, attraverso i Dsm, dovranno muoversi. Mettendo a punto programmi operativi specifici per la presa in carico degli internati e cure personalizzate. Con un obiettivo: il recupero sociale. Marzio Bartoloni Foto: René Magritte - Les amants (1928) IL SOSTEGNO ABITATIVO 1)Va riconosciuto come strategico il ricorso al sostegno abitativo di tipo domiciliare con presenza a fascia oraria di personale specializzato negli abituali contesti abitativi e sociali frequentati dall'utente, al fine di prevenire e ridurre il ricorso frequente alla residenzialità e favorire le dimissioni di quei pazienti che hanno riacquistato le capacità relazionali e di autonomia personale necessarie a vivere nella comunità locale 2) Il Dipartimento di salute mentale deve promuovere diverse forme di sostegno abitativo in integrazione con i piani di zona, in raccordo con gli enti locali, l'impresa sociale, le reti associative 3)Vanno riconosciute, valorizzate e promosse tutte quelle esperienze che si possono indicare come sostegno abitativo, ovvero gruppi-appartamento e case famiglia, che rispondono ai bisogni di inclusione sociale con una attenzione al reinserimento lavorativo 4) Vanno valorizzate le risorse (anche relazionali) messe a disposizione dall'utente nella convivenza (da tre a cinque componenti), tese a riguadagnare la propria autonomia e la propria autodeterminazione 5) Va privilegiata la presenza di operatori qualificati a fascia oraria, flessibile e finalizzata ai bisogni individuali degli utenti L'INCLUSIONE SOCIALE E LAVORATIVA 1) Attivare percorsi di formazione, di ricerca di opportunità lavorative e di sostegno nei percorsi di inserimento, allo scopo di promuovere una reale autonomia degli utenti 2) Riconoscere il valore espresso dalle cooperative sociali attive nella comunità locale 3) Contribuire alla realizzazione di vere e proprie imprese sociali che, attente al valore delle persone e alla fondamentale importanza, per la loro identità, di essere attivi protagonisti della propria vita, costruiscono progetti lavorativi che coniugano il diritto al lavoro con i princìpi di mutualità, solidarietà, sviluppo dell'individuo e del contesto sociale 4Attivare gruppi di auto- promozione delle capacità imprenditoriali e cooperativistiche degli utenti attraverso il ricorso alla metodologia e alla progettazione di esperienze di microcredito COME DEVONO FUNZIONARE I DSM Integrare le discipline che si occupano della salute mentale della popolazione (psichiatria, neuropsichiatria infantile, farmacologia clinica, tossicologia, psicologia clinica e altre): il Dipartimento si deve porre come il garante del governo clinico della salute mentale di un determinato territorio Gestire e coordinare le azioni dei servizi pubblici e privati (privato sociale e privato imprenditoriale) presenti nel territorio di competenza secondo comuni scopi e obiettivi Garantire risposte a tutta la cittadinanza, attivando specifici programmi per aree critiche della popolazione, per età (adolescenza e anziani), per marginalità sociale (carceri, senza fissa dimora, minoranze etniche), per problematicità psicopatologica (internati in Opg, non collaboranti, rischio suicidario) Operare valorizzando la professionalità di tutti gli operatori, favorendo processi diffusi di responsabilizzazione (case management) Ricercare il miglior livello di appropriatezza delle risposte fornite Partecipare ad azioni integrate tra servizi socio-sanitari ed enti locali all'interno dei piani di zona e dei piani per la salute Coordinare le agenzie che a vario titolo formale e informale sono protagonisti locali della salute mentale: Asl, ente locale, cooperazione sociale, associazioni degli utenti e dei familiari, mondo sindacale e imprenditoriale, associazioni culturali e ricreative Riconoscere come proprie risorse, non solo quelle assegnate dal Servizio sanitario, ma anche quelle derivanti dall'attivo coin- volgimento dei cittadini nei percorsi di cura attraverso processi di responsabilizzazione e decentramento (empowerment) Esercitare un'opera di promozione affinché tutte le agenzie locali competenti operino per dare concreta realizzazione al diritto al lavoro per tutti i fruitori dei propri servizi. A tal fine è necessario costruire percorsi di formazione, di ricerca di opportunità lavorative, di sostegno nei percorsi di inserimento, per tendere a forme sempre più accentuate di autonomia NON C'È BISOGNO DI RIABILITARE L'ELETTROSHOCK Il determinismo biologico non paga Abbiamo 9 «Tec» e senza liste d'attesa Peppe Dell'acqua L'elettroshock è efficace nei casi di depressione farmacoresistente, nelle situazioni in cui il rischio di suicidio, ma anche nei casi di grave depressione post-partum o in corso di gravidanza, così come nella depressione degli anziani. Lo hanno affermato gli esperti riuniti a Roma a fine febbraio per il XII Congresso della Società italiana di psicopatologia (Sopsi), che hanno firmato una petizione per chiedere al ministro della Salute Livia Turco di aprire in tutte le Regioni almeno un servizio per ogni milione di abitanti di terapia elettroconvulsivante (Tec), cioè l'elettroschock. Si riaccende quindi l'attenzione su una pratica terapeutica che in Italia, secondo i firmatari della petizione, è ancora «oggetto di pesanti pregiudizi, il più delle volte immotivati». In Italia, ha commentato Athanasios Koukopoulos, presidente della Società italiana di terapia elettroconvulsiva (Aitec), «pesano i pregiudizi ideologici, le interferenze politiche e una diffusa ignoranza sugli effetti di questo trattamento, e la conseguenza è una enorme sofferenza per i pazienti e le loro famiglie». La petizione di 10 psichiatri che hanno chiesto nelle scorse settimane al ministro della Salute di "permettere" in Italia l'elettroshock (Tec), ancora una volta ci costringe a ricordare quanto inutile sia questo trattamento e quanto anacronistica e insensata sia la sua riproposizione. Chi la firma sostiene che nel nostro Paese - il primo a sperimentare sull'uomo l'elettroshock la chiusura dei manicomi e le ideologie abbiano determinato l'oscurantismo scientifico, l'abbandono della Tec, l'impossibilità dei cittadini a ricevere cure efficaci. Tanto per chiarezza, la Tec in Italia mai è stata vietata. Il Comitato nazionale di bioetica la ritenne lecita, se pure con alcune considerazioni relative alla scarsa evidenza dell'efficacia, al rischio, alla necessità del consenso informato. La circolare ministeriale del 1999 ne limitava l'applicazione a persone con diagnosi molto severe e in condizioni fisiche tali da impedire un'adeguata terapia farmacologica. Di fatto, in Italia oggi ci sono 9 centri dove la Tec si pratica, 6 pubblici e 3 privati. I pubblici distribuiti tra Sardegna (2), Alto Adige (2), Brescia e Pisa; i privati tra Bologna, Verona e Roma. Ma a parte la singolarità di tale distribuzione, a cominciare dalla Sardegna e l'Alto Adige dove il sistema di salute mentale era fino a qualche anno fa drammaticamente improntato al modello clinico-biologico, nessuno di questi centri - dicono le statistiche - soffre di affollamento o di liste di attesa. Se qualcosa va chiesto al ministro, non è certo più Tec, ma semmai come fare per rendere omogenee le cure in Italia, promuovere i programmi di salute mentale comunitari garantendo e sostenendo servizi territoriali, Centri di salute mentale 24h, opportunità riabilitative, integrazione, famiglie e reti sociali. Per altro in Italia è impensabile che il ministero della Salute possa determinare scelte regionali. «Strana maniera di trattare un uomo, cominciando con l'assassinarlo. E io dico che mi occorreranno ora quanti triliardi di anni per riprendere tutto ciò che l'elettroshock mi ha tolto»: È fin troppo facile citare Antonin Artaud o Alda Merini o le tragiche testimonianze di tanti e tanti come loro, più o meno noti o anonimi, che hanno vissuto sulla propria pelle la Tec. Sta di fatto che, a partire dagli anni '70, le terapie di shock (elettroshock, insulina, cardiazolo, acetilcolina, febbri), che si affermarono nell'orrore dei manicomi, hanno perduto le loro assolute certezze. Molte sono state le evidenze che le hanno messe in dubbio e, alla fine, abolite. Soltanto l'elettroshock sopravvive. A Trieste, con la chiusura del manicomio, è stato definitivamente bandito. In 35 anni di lavoro chi scrive non lo ha mai usato, non l'ha mai visto fare e lo ritiene inefficace e inutilmente rischioso. I risultati, benché enfaticamente dichiarati da gruppi di psichiatri e dalle potenti lobby di alcuni Paesi, Usa in testa, sono in realtà assai evanescenti. Vengono descritte positive risposte a breve. Mancano, perché negative, verifiche nel lungo periodo. E si sa che dopo un breve lasso di tempo gli effetti utili scompaiono, persistono quelli indesiderati come l'amnesia. Le evidenze invocate da chi usa la Tec sono molto autoreferenziali e benché la letteratura riporti studi numerosissimi non è possibile esprimere un giudizio incontrovertibilmente positivo. Il declino in Italia di questo trattamento, lamentato dalla petizione, va imputato allora non tanto alle ideologie quanto all'inefficacia, al rischio di effetti collaterali e ai moltissimi incidenti mortali insorti in passato durante i trattamento. Queste pratiche provocavano inoltre irrimediabili DI PEPPE DELL'ACQUA * danni cerebrali e un progressivo impoverimento intellettivo e affettivo. Tutte le persone che hanno fatto questa esperienza raccontano della paura, di angosce, dell'apatia, della perdita di memoria e della creatività. Garanzie democratiche più ampie e maggiore attenzione al diritto delle persone, al consenso, all'inviolabilità del corpo hanno reso in Italia quasi impensabile l'adozione di tali strumenti. Tuttavia il declino della Tec non è soltanto conseguenza dei rischi della cancellazione della memoria. I trattamenti in psichiatria (la loro "scientificità") paiono assumere spessore e dignità soltanto quando si presentano con i modi del determinismo biologico. In verità, più procede la ricerca più diventa evidente l'abisso che divide le acquisizioni delle neuroscienze dai modi di manifestarsi della malattia. E paradossalmente, si moltiplicano i tentativi di spiegare riducendo emozioni, sentimenti, passioni a molecole, a neuroni. E tuttavia per la forza della ricerca farmacologica, delle lobby e delle accademie che la sostengono e delle società assicurative che ne traggono profitto, questi modelli finiscono per assumere un valore totalizzante nel lavoro psichiatrico. La scelta del lavoro terapeutico riabilitativo e comunitario, che di fatto i sostenitori della Tec non possono neanche immaginare, il lavoro che incontra le persone e i loro contesti, dimostra quanto riduttivo sia l'intervento centrato su scelte monoculturali e riduttive che invece oscurano, cancellano la vita delle persone, i sentimenti, gli affetti, la singolarità. Se la psichiatria continuerà con le sue petizioni a non riflettere su questo dato si costringerà sempre più a modelli di estrema povertà. Occuparsi con respiro della salute dei cittadini, progettare servizi a loro misura, accoglienti, prossimi, significa conoscere problemi e bisogni, interessi e poteri, risorse e miserie, e operare una scelta di campo. Come ha fatto la 180 che, chiudendo i manicomi e costruendo servizi intorno alle persone, ha configurato un nuovo scenario che è in primo luogo uno scenario etico. Credo che bisogna ricominciare da qui, da questa scelta. Grazie alla quale noi oggi in Italia possiamo (e dobbiamo) dirci felici di avere "soltanto" 9 centri dove si pratica l'elettroshock uno per ogni 7 milioni di abitanti, anziché uno ogni 350mila, come accade in altri Paesi europei dove persistono gli ospedali psichiatrici, i reparti di massima sicurezza, un elevato tasso di suicidi e dove si continuano a sottrarre diritti, speranza e possibilità alle persone. * Direttore del Dipartimento di salute mentale di Trieste ============================================================================= ========================================== Il Sole24Ore 20 mar. ’08 PSICHIATRIA: IL MODELLO SARDEGNA A BILANCIO TRA RIVOLUZIONI E RESISTENZE M.Per. Operatori cresciuti del 12% dal 2001 al 2007. Tasso di ricovero nei reparti psichiatrici abbattuto da 24,5 per mille abitanti del 2001 a 20,6 per mille del 2006. Tso ripetuti "tagliati" del 27 per cento. Ricoveri fuori Regione o nelle strutture private ridotti dell'8 per cento. Pazienti ricoverati negli ospedali psichiatrici giudiziari dell'Isola calati drasticamente, dai 74 del 2002 ai 55 del 2006. Centri di salute mentale aperti 12 ore al giorno, sette giorni su sette. Quasi 200 piani personalizzati finanziati nel 2007 e 332 attività di gruppo. Con una spesa che l'anno scorso ha raggiunto i 51,7 milioni di euro. Non si può dire, numeri alla mano, che la Sardegna non abbia compiuto passi avanti sul fronte della salute mentale. L'assessore regionale alla Sanità, Nerina Dirindin , ce l'ha messa tutta, sin dal suo insediamento. Avvalendosi della consulenza di Peppe Dell'Acqua , direttore del dipartimento di Salute mentale di Trieste. Un "apparentamento" - e una rivoluzione nei modelli e nei metodi che qualcuno non ha gradito. A partire dalla Società italiana di psichiatria, che da mesi contesta l'operato della Giunta, criticando la demonizzazione «ideologica» dei farmaci e della contenzione, ma anche l'insistenza sulla psichiatria sociale e di comunità. Lamentando, insomma, come ha scritto Gian Paolo Turri , del direttivo Sip Sardegna, che «nella ricetta che arriva da Trieste tutta l'enfasi viene posta sui pur importantissimi interventi "sociali", mentre si guarda con malcelata ostilità a quelli biologici e psicoterapeutici». L'8 marzo l'assessore Dirindin, insieme con lo stesso Dell'Acqua, con il responsabile del Servizio di integrazione sociosanitaria della Regione, Pier Paolo Pani , e con la presidente dell'Unasam, Gisella Trincas , ha dunque pensato di offrire un bilancio dell'attività svolta «per evitare che si creino allarmi e preoccupazioni tra i cittadini». Difendendo i servizi di salute mentale nell'Isola. «Non sono allo sfascio né nel caos», ha detto Dirindin, sottolineando che si stanno ottenendo «buoni risultati» anche se «permangono alcune criticità». In risposta agli attacchi, gli esperti hanno ribadito la centralità degli interventi diagnostici e terapeutici, precisando però la necessità di accompagnarli con programmi di inclusione sociale ampi e articolati. Di «straordinario processo di cambiamento» e di «alleanza con l'assessorato basata sulle buone pratiche» ha parlato Trincas, a nome delle associazioni dei familiari che l'Unasam rappresenta. Un processo che non ha intenzione di fermarsi: entro il 2008 la Regione ha in programma altre iniziative: lo sdoppiamento del reparto psichiatrico dell'Ospedale Santissima Trinità di Cagliari, oggetto di numerose polemiche e protagonista di casi che hanno fatto discutere (aggressioni, morti sospette, tentativi di suicidio); l'attivazione di nuovi Csm nelle Asl di Sassari, Nuoro, Cagliari (due) e Carbonia; la nascita entro aprile del Servizio psichiatrico di diagnosi e cura di Olbia. ___________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 15 mar. ’08 QUANDO GLI ANIMALI ANTICIPANO IL MEDICO Una scoperta in Africa potrebbe aiutare la creazione di un farmaco per combattere la terribile malattia Così gli scimpanzé curano la malaria Sono molte le specie in grado di curarsi utilizzando elementi naturali. C'è chi ingurgita intere piante e chi, come una particolare scimmia brasiliana, riesce a regolare le nascite mangiando foglie e frutti particolari Che gli animali sappiano cavarsela da soli in fatto di medicinali è un fatto oramai assodato. L'etologa Cindy Engel ha raccolto qualche anno fa nel libro «Wild-Health» le testimonianze e le osservazioni sue e di diversi altri scienziati, sulla capacità della fauna di auto curarsi. COLOBO ROSSO - A Zanzibar, in Tanzania, l'antropologo Thomas Struhsaker ha studiato per sei anni la singolare alimentazione del colobo rosso. Particolare oggetto del desiderio delle dieta di questa scimmia è il carbone nelle sue varie forme: tronchi o rami bruciati o sottratto anche dalle cucine dei locali. Analisi di laboratorio hanno spiegato il perché di questa predilezione alimentare. Le foglie di piante di mango e di mandorlo indiano, di cui sono particolarmente ghiotti questi primati, sono però particolarmente ricche di fenoli, sostanze che interferiscono con la digestione degli animali. II carbone annulla così l'effetto indesiderato di queste molecole, permettendo invece l'assorbimento delle preziose proteine delle foglie da parte dell'organismo. BONOBO E GORILLA - In Africa sono circa 30 le piante utilizzate da bonobo, gorilla e scimpanzé, per liberarsi dei fastidiosi parassiti intestinali. Quelle del genere Aspilia vengono ingerite intere; una volta nell'intestino agiscono probabilmente come un velcro, strappando quindi con un'azione meccanica i parassiti, indeboliti dalla tiarubrina A, una molecola contenuta nel vegetale. L'aspetto curioso è che le popolazioni locali fanno ricorso alle stesse piante, utilizzate dai gorilla e dai loro cugini, per trattare altre diverse patologie come la dissenteria, ulcere, febbri. I gorilla di montagna, che vivono in Uganda sulla catena dei monti Virunga, mangiano la cenere vulcanica per procurarsi i minerali, come il calcio e il potassio, indispensabili per mantenersi in salute. ELEFANTI - Le caverne alle pendici del monte Elgon, in Kenia, sono frequentate invece da bufali e elefanti, che si procurano così preziosi sali minerali contenuti nelle rocce per integrare la loro dieta, povera di queste sostanze. Gli animali ricorrono alle piante anche per questioni "ginecologiche". Le femmine di muriqui, una scimmia che vive in Brasile, si nutre delle foglie di Apuleia leiocarpa e di Platypodium elegans che contengono isoflanoidi, per evitare sgradite gravidanze e, all'opposto, dei frutti di Enterlobium contortiliquim per rimanere incinte. Alcune piante della famiglia delle Boraginaceae faciliterebbero invece il parto degli elefanti. CEBI CAPPUCCINI - Lo storno costruisce il proprio nido inserendo parti di alcune piante, come la carota selvatica (Dauscus carota) che contiene il B-sitosterolo, uno steroide che agisce come repellente e protegge quindi i piccoli dalla sgradita presenza di acari e di altri parassiti. In Costa Rica i cebi cappuccini impastano con la saliva steli, foglie e semi di piante appartenenti ai generi Citrus, Clematis e Iiper. Il prodotto così ottenuto viene spalmato poi sul pelo per trattare le irritazione della pelle o per tenere a bada gli insetti. Non tutti gli animali, poi, scelgono e mangiano certe piante per stare in salute: l'orso labiato mastica i fiori fermentati delle saponacee per provare un piacevole stato di ebbrezza. R.F. ORSO LABIATO Mastica i fiori fermentati delle saponacee per provare uno stato di ebbrezza. Usano allucinogeni anche renne, scimmie ed elefanti. BUFALO Va in cerca di caverne per procurarsi (leccando) sali minerali contenuti nelle rocce per integrare la sua dieta, povera di queste sostanze. STORNO Lo storno costruisce il proprio nido inserendo parti di alcune piante, come la carota selvatica che protegge piccoli dai parassiti LA TRICHILIA RUBESCENS è una pianta tropicale delle proprietà antimalariche ma cura altre patologie: dai problemi polmonari, ' alle malattie veneree ` ___________________________________________________ Libero 16 mar. ’08 INDIVIDUATA, LA SOSTANZA CHIMICA RESPONSABILE DEL PRIAPISMO Il priapismo, disturbo che si manifesta nell'uomo con un'erezione perenne, non ha più segreti. Ne sono convinti i ricercatori della scuola di medicina dell'università del Texas, certi di averne svelato i meccanismi biochimici. «All'origine del disturbo -spiegano gli scienziati -ci sono i livelli troppo alti di adenosina, sostanza chimica che regola la dilatazione dei vasi sanguigni. E che dunque fa aumentare l'afflusso di sangue nei corpi cavernosi del pene determinandone l'erezione». Gli scienziati puntano ora a mettere a punto una terapia capace di contrastare i livelli della sostanza alla base del priapismo che, tral'altro, può provocare danni alla salute, come ad esempio disfunzioni erettili permanenti. ___________________________________________________ Libero 18 mar. ’08 I 10 DIFETTI CHE IMBARAZZANO DI PIÙ Russare, sudare troppo, disfunzione erettile, irsutismo danneggiano le relazioni sociali GIANLUCA GROSSI Immaginiamo una persona che soffre di una grave forma di incontinenza urinaria. Si trova nel pieno di una riunione di lavoro e si deve alzare ogni dieci minuti per andare a fare pipì; il problema può essere dovuto a fattori di stress o a una debolezza congenita dei muscoli pelvici e può essere risolto con esercizi ginnici e psicoterapia. Al di là del problema in sé, si tratta anche di una situazione imbarazzante. E questo è solo uno dei tanti esempi di disagi dovuti a problemi di salute difficili da gestire quando si è in presenza di altre persone. Il quotidiano londinese The Times ha stilato una curiosa classifica, una top ten, relativa ai disagi fisici che compromettono di più le relazioni sociali. Partiamo dal russare. In gergo medico si parla di roncopatia. Un disturbo che gli esperti classifica- : no come altamente imbarazzante. Le cause alla base di questo problema possono essere molteplici: dalla presenza di polipi nella cavità nasale, a disturbi più complessi come le apnee notturne, legate a una scarsa ossigenazione del cervello. Fra i rimedi consigliati c'è quello di ridurre drasticamente il consuma di alcolici, perdere peso e sottoporsi a trattamenti per agevolare la respirazione nasale. Le flatulenze sono tra i disturbi più paralizzanti: il livello di imbarazzo è altissimo. Le cause del problema possono essere ricondotte all'assunzione smodata di bibite effervescenti, chewing gum, fagioli e broccoli: Oppure al fatto di mangiare troppo velocemente o a disturbi gastrici di varia_ natura. In ogni caso il rimedio ideale è quello di attenersi a una dieta regolare e priva degli alimenti citati; sono consigliate per esempio verdure come i finocchi o piante officinali come lamenta. Il ciclo mestruale doloroso ha un impatto sociale giudicato moderato. Per alcune donne può essere comunque molto debilitante. In tal caso il motivo del disturbo può essere ricondotto a endometriosi o a infezioni. L'utilizzo di farmaci specifici può però alleggerire il dolore e ridurre il sanguinamento. Anche la pillola anticoncezionale può essere altrettanto valida per stabilizzare il ciclo mestruale. L'eccessiva sudorazione (o iperidrosi) può essere provocata da disturbi tiroidei come l'ipertiroidismo, 0l’emotività. Anche in questo caso l'imbarazzo è giudicato moderato. In genere se il problema deriva da un eccessivo funzionamento della tiroide si interviene farmacologicamente; se il disagio è invece di natura psicologica può essere controllato con la psicoterapia o il training autogeno. Basso l'imbarazzo legato alla disfunzione erettile. Problema tipicamente maschile, è oggi facilmente arginabile con farmaci anti - impotenza. La malattia può essere la conseguenza di depressione, problemi cardiocircolatori, diabete o consumo eccessivo di droghe e alcolici. A seconda quindi della causa si procede con interventi specifici. In ogni caso l'esercizio fisico è sempre raccomandato. Viene invece giudicato altamente imbarazzante il prurito nella regione anale, che può esse- . re provocato da eczemi, alimentazione pesante, infezioni genitali. Per fronteggiare il problema è bene mantenere costantemente pulita l'area anatomica in questione o nei casi più gravi affidarsi a creme apposite. L'eccessiva peluria, soprattutto per le donne, è ritenuto un disagio notevolmente imbarazzante. Certe donne annullano addirittura i rapporti con gli uomini à causa di questo problema. Purtroppo la situazione è molto spesso legata all'ereditarietà (raramente a deficit ormonali) ed è quindi un fattore congenito difficilmente arginabile. In ogni caso si può intervenire efficacemente con la depilazione. È giudicato poi altamente imbarazzante il problema dei piedi maleodoranti. La situazione è spesso dovuta alla eccessiva sudorazione di quest'area anatomica. Occasionalmente infezioni provocate da funghi o batteri possono aggravare la situazione. Rimedi? Lavarsi spesso i piedi e cambiare frequentemente le scarpe. Se il disagio è più serio si interviene invece con antibiotici. Infine è giudicato alto anche l'imbarazzo derivante dalla calvizie, generalmente dovuta a fattori genetici. In questo caso è opportuno curarsi con medicinali appositi contro l'alopecia. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 20 mar. ’08 VAIOLO: LA MINACCIA È NEL FREEZER Dichiarato morto nel 1977, il vaiolo è conservato ufficialmente in due laboratori DI UMBERTO RAPETTO Qualche anno fa Richard Preston pubblicò il libro «The Demon in the Freezer», il cui titolo denunciava l'ibernazione di uno scomparso eccellente: il vaiolo. Era il 2002 e il mondo del web era già forte da diffondere e perpetuare una simile informazione. Se qualcuno aveva pensato di regalare una pur inerte immortalità al ferale virus, qualcun altro ha simultaneamente ritenuto di cristallizzare un insieme di dati che rimarcassero la pericolosità di certi "giochi" con ordigni naturali come il "variola maior". Scomparso ufficialmente nel 1977, "ucciso" dagli studi del dottor Donald Ainslie Henderson e del suo team di ricercatori, il vaiolo è destinato a rappresentare comunque una minaccia. La sua conservazione - motivata da esigenze scientifiche e proiettata alla salvaguardia di una entità altrimenti relegata nelle più dolorose pagine di storia-tiene il mondo con il fiato sospeso: la pietra tombale su cui si leggeva 27 ottobre 1977 (giorno in cui è stato registrato l'ultimo caso di infezione naturale in Somalia, vittima il signor Ali Maow Maalin) è pericolosamente scoperchiata. Quel micidiale virus è tenuto in vita nei laboratori chimici di Atlanta e Kolzovo, dove - oggetto di numerosi esperimenti -sarebbe addirittura stato potenziato artificialmente. La ragione di tali iniziative risiede, secondo tanti microbiologi, nell'esigenza di continuare a studiarlo in prospettiva di una sua eventuale ricomparsa: l'incubo del bioterrorismo incombe e non ci si può far trovare impreparati in caso di aggressione. Accanto a questo timore, a indirizzare a non distruggere tecnicamente il vaiolo, c'è che questo conserva nel proprio patrimonio genetico la chiave di una morbo mortale e, in futuro, potrebbe contribuire a sconfiggere altre malattie tra cui l’Aids. Oltre a "tramandare" agenti patogeni, il mondo della ricerca scientifica e quello delle istituzioni preposte alla salvaguardia collettiva hanno predisposto piani di informazione estremamente dettagliati, con l'obiettivo di lasciare in eredità - costantemente fruibile -un patrimonio di conoscenze e di esperienze che non può e non deve andare perduto. Negli Stati Uniti, ad esempio, il Center of Diseases Control and Preventioti (www.cdc.gov) e la Federal Emergency Management Agency (www.fema.gov) hanno creato imponenti archivi documentali, parte dei quali - almeno per la porzione divulgabile - sono addirittura consultabili via internet Senza andare poi tanto lontano, anche in Italia ci sono organizzazioni che studiano questi temi come a Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute, istituito presso l'Istituto superiore di sanità (www.epicerltro.iss.it), che custodisce la memoria storica di certi fenomeni e conserva i risultati di ricerche e approfondimenti in materia. Mentre i laboratori sono presidiati con tanto di vigilanza armata e sofisticate misure di sicurezza,c'è chi teme che non siano altrettanto blindati i sistemi informatici in cui sono stoccate informazioni segrete e qualcun altro ha paura che internet possa consentire terribili sperimentazioni "fai-da-te". Nel 2006 il quotidiano britannico «The guardiarv> ha dimostrato con un'inchiesta giornalistica la possibilità di ordinare via web le sequenze di Dna di affezioni mortali: 33 sterline, 7 di spese di recapito, un nominativo fasullo, un indirizzo di comodo sono bastati per entrare in possesso di una ricetta letale tramite la VH Bio Ltd. Quel pacco portato a domicilio dalla Royal Mail e quella minuscola fiala di gel bianco hanno dimostrato la fragilità del sistema. La lezione si spera sia servita. In caso diverso il problema di eternare qualcosa potrebbe non sussistere per mancanza di eredi... umberto@rapetto.it ___________________________________________________ Il Giornale 22 mar. ’08 IL MELANOMA E LE NOSTRE DIFESE IMMUNITARIE GLORIA SACCANI Le cellule staminali tumorali del melanoma forniscono le stesse informazioni di tutte le altre cellule neoplastiche, poiché esprimono i medesimi antigeni, ovvero quelle molecole in grado di indurre una risposta da parte del nostro sistema immunitario, risposta utile per lo sviluppo di una vaccinazione anti tumorale. Questi i risultati di uno studio pubblicato recentemente sulla rivista Journal Cellular Physiology, frutto della collaborazione internazionale tra il Laboratorio di Immunologia dell'Istituto nazionale tumori Regina Elena di Roma, diretto dal professor Pier Giorgio Natali, il Centro di immunoterapia dell'università di Siena guidato dal dottor Michele Maio e il Wistar Institute di Filadelfia dove il dottor Meenhard Herlyn è leader del Molecúlar and cellular oncogenesis program. Le cellule staminali tumorali sono quella esigua popolazione cellulare che alimenta continuamente la crescita del tumore e che potremmo paragonare ad un serbatoio dal quale il cancro si rifornisce, rappresentando, per questa loro proprietà, un bersaglio terapeutico di grande interesse per la lotta alla malattia. Anche nel melanoma cutaneo, come in altre neoplasie, sono state descritte le cellule staminali, ma non si conosceva se tali staminali esprimessero gli antigeni bersaglio oggetto di numerosi protocolli di immunoterapia in corso a livello internazionale. È facile comprendere quanto la risposta a questo interrogativo sia importante per lo sviluppo di più efficaci vaccini. Lo studio pubblicato ha evidenziato il ruolo delle cellule staminali tumorali ed ha fornito indicazioni sugli antigeni i «Cancer Testis Antigens» (CTA), ca.= paci di indurre una risposta immunitaria. ======================================================= CORRIERE DELLA SERA 22 mar. ’08 II FLOP DEL VACCINO ANTI AIDS «CHI LO PRENDE RISCHIA DI PIÙ» Ricerca L'immunologo Gallo: un disastro, come il Challenger per la Nasa Due decenni di studi, spesi 500 milioni di dollari l'anno Il genetista Desrosiers: oggi non abbiamo la minima idea- di come mettere a punto un vaccino efficace Un flop da diversi milioni di dollari. Se si considera che solo quest'anno i fondi pubblici americani dedicati alla ricerca contro l’Aids sono stati. quasi 50o milioni (circa 350 milioni di euro). E sono quasi Zo anni che somme a sei zeri, via via ,cresciute, sono state erogate dal governo federale. «Un flop paragonabile al disastro dello shuttle Challenger per la Nasa», dice l'immunologo Robert Gallo, co-scopritore (insieme al francese Luc Montagnier) del virus dell'Aids, che guida l'Istituto di virologia umana di Baltimora. Un flop con implicazioni non da poco per le future strategie mondiali (che poi sono quelle statunitensi) anti-Aids. Con implicazioni anche politiche, visto che George Bush ha investito anche di suo in questa sfida. Il flop riguarderebbe i risultati parziali, ma chiaramente negativi, delle prime due sperimentazioni di vaccini anti-Hiv. Test in fase conclusiva. Quasi vent'anni di ricerche che rischiano di andare in fumo. o, comunque, tali da allertare chi da anni studia questa malattia con «vantaggi» non indifferenti per i laboratori impegnati. Due esperimenti che addirittura lasciano a bocca aperta gli scienziati: «E' accaduto il contrario di quanto previsto - dicono al quotidiano americano Washington Post i virologi dell'università di Harvard a Boston - chi è stato vaccinato rischia due volte di più di infettarsi di chi ha ricevuto il placebo». I risultati sono stati presentati lo scorso settembre. E Step e Phambili (cosi si chiamano le due avventure vaccinali partite sull'uomo nel 1998) hanno ricevuto un secco stop. Così come altri sette trial parti-, ti in seguito e progettati con gli stessi crismi dei primi due. Entrambi dovevano arrivare a 3.000 volontari. Lo Step (prevalentemente destinato agli omosessuali) in Sud America, nei Caraibi e in Australia (si era appena arrivati a completare l’arruolamento); il Phambili (che in lingua Xhosa, uno degli idiomi sudafricani, significa «muoversi in avanti») in Sudafrica dove già era stato avviato su 8oi persone. Solo per questi due esperimenti fermati sarebbero stati bruciati 35-4o milioni di dollari, esclusa la ricerca. Degli altri sette test vaccinali nemmeno si parla. L'ipotesi di questo tipo di vaccino, sviluppato dal colosso, farmaceutico Merck, è stata quella di agganciare su un ceppo del virus del raffreddore (l’adenovirus tipo 5) disattivato un antigene del virus dell'Aids. I vaccinati avrebbero dovuto sviluppare difese specifiche contro l'Hiv in modo da bloccarlo subito. Che cosa sarebbe successo nella realtà? Per Ronald Desrosiers, genetista molecolare di Harvard, il vaccino avrebbe si stimolato le difese, aumentando quelle cellule deputate a distruggere i nemici. Peccato che «queste cellule sono anche il bersaglio ottimale per l'Hiv». Ecco allora che il «micidiale» virus avrebbe trovato, nei vaccinati, pane per i suoi denti. Cioè un «pascolo» addirittura più ricco. Quindi? Dice Desrosiers sconsolato: «A questo punto non sappiamo come preparare un vaccino efflcace». Occorre vedere che cosa accadrà ora nei vaccinati. La stranezza è che i test sulle scimmie avevano funzionato: gli esperimenti però sono stati effettuati su pochi esemplari essendo i primati cavie molto costose. E, forse, l'Hiv scimmiesco non reagisce allo stesso modo di quello umano. La prossima settimana un vertice di scienziati esaminerà il problema. E l’Nih (gli Istituti di salute pubblica americani) di Baltimora già parla di rivedere le strategie: i. 497 milioni di dollari previsti quest'anno per la ricerca sui vaccini potrebbero cambiare destinazione. Nel mondo si stanno portando avanti almeno altre 3o sperimentazioni con vaccini, uno italiano, alcuni impostati in modo diverso da quelli statunitensi. .. Quanto accaduto, però, offre osservazioni interessanti. Questo è, per esempio, il parere dei ricercatori della Merck. Ed è anche il parere di Anthony Fauci, capo dell'Istituto per le malattie infettive dell'Nih: «Bisogna continuare nei test, facendo ovviamente tesoro di quanto emerso da Step e Phambili». Mario Pappagallo LA SCHEDA I VACCINI Ci Sono due le sperimentazioni di vaccini anti-Aids arrivate alla cosiddetta fase 3, quella condotta su molti soggetti GLI STUDI Quelli su vasta scala sono due: II primo in Thailandia (2.500 soggetti), il secondo in Usa, Canada, Portorico e Olanda (4.500) Il SISTEMA Si basa sull'inoculazione di porzioni della proteina Gp120 nell'involucro del virus. Previste 7 iniezioni in 3 anni I RISULTATI Non sono buoni. In uno dei due esperimenti, chi é stato vaccinato rischia due volte di più di infettarsi di chi ha ricevuto il placebo