ATENEI, CIRCA 2.000 I CORSI PROPOSTI - SCUOLA E UNIVERSITÀ: LA BUONA PRATICA E LA CATTIVA POLITICA - ISTRUZIONE DECALOGO CONFINDUSTRIA - TROPPI CORSI, MA LAUREE INUTILI - CACCIA DI PROFESSORI AL MERCATO DEI CERVELLI - MUSSI: BLOCCATO DA DOCENTI CONSERVATORI - I PROF «DELUSI DA MUSSI NON HA RISCHIATO» - RICERCA: LE AMBIGUITÀ DI CONFINDUSTRIA - LA SCUOLA DEL MERITO E LE REGOLE DA ACCETTARE - GUARINI: ATENEI, LE SPACCATURE NON SERVONO - GLI ESAMI TRUCCATI ALLA SAPIENZA - IL MERCATO NON SALVERÀ LA TERRA - COSI’ IL WEB RISCALDA LA TERRA - LA CENSURA WEB IN FORTE CRESCITA" - UN SOFTWARE SCOPRE LE FALSE RICERCHE - GLI ULTIMI MOHICANI DELL'ATOMO TRICOLORE - LA MATEMATICA DELLE OTTAVE - UNA FOTO TRASFORMA IL VINILE IN DIGITALE - PORTE CHIUSE AGLI STUDENTI CANAGLIA - DISCORSO SUL METODO: PENSO DUNQUE IDEO - CHI SCOMMETTE SULL'IT - L’ACCADEMIA DEL VALORE - CAGLIARI: UNIVERSITÀ, LE CATTEDRE DEL TERRORE - MISTRETTA:DALLE SUPERIORI STUDENTI CON MOLTE LACUNE - L'ALLIEVO IMPREPARATO CAUSA DANNI IRREPARABILI - GLI SPRECHI DELLO SCIENTISMO - CHICCO TESTA: IL NUCLEARE? E' VERDE - ======================================================= IN OSPEDALE ARRIVANO I CRITERI DI APPROPRIATEZZA - SANITÀ, DECISIONI IN STAND BY - INTRAMOENIA, MEZZA ITALIA IN RITARDO - EFFETTO LEA: RAZIONALIZZAZIONE E APPROPRIATEZZA - NUOVO NOMENCLATORE PER GLI SPECIALISTI ASL - RICOVERI, SCATTANO I CONTROLLI - TRONCI: PER I PROBLEMI DELLA SALUTE MENTALE NON SERVONO FORMULE IDEOLOGICHE - VALERIA MERICO:NELL'ARCHITETTURA DELLA CELLULA - SEMPRE MENO SANGUE IN SALA OPERATORIA - DOVE IL BISTURI PIÙ RISPETTOSO DIVENTA UNA NECESSITÀ - AIDS, TEST SULL' UOMO DEL VACCINO-FARMACO - LA NUOVA «FOTOGRAFIA» DELLA MALARIA - IL VALORE PREDITTIVO DEI TEST GENETICI - LA DIETA FA INGRASSARE - ======================================================= _____________________________________________________ ItaliaOggi 26 mar. ’08 ATENEI, CIRCA 2.000 I CORSI PROPOSTI Nuovi ordinamenti 08/09 al vaglio del Cun DI BENEDETTA P PACELLI I nuovi ordinamenti didattici universitari al vaglio del Consiglio universitario nazionale. Che, entro la fine del mese di aprile, dovrà dare un parere sui circa 1.800 corsi di laurea che sono arrivati dai singoli atenei e che ridisegnano in toto l'offerta formativa. Il tutto dovrà consentire alle università di rispondere in tempo utile alla programmazione didattica e qualora il parere fosse negativo di adeguarsi alle eventuali richieste. Secondo le nuovi classi di laurea (dm 270 del 2004) e le linee guida di accompagnamento, infatti, le università dovranno ridefinire i propri ordinamenti didattici già dal prossimo anno accademico 2008-2009, e non oltre il 2009-2010. Questo vuol dire, in sostanza, meno corsi di laurea e un numero di docenti adeguato per corso. Un cambiamento che ha portato lo stesso consiglio presieduto da Andrea Lenzi ad approvare alcune mozioni per chiarire il lavoro di revisione. Prima fra tutte prevedere che l'istituzione di uno o più corsi di studio di un ateneo appartenenti a una determinata classe relativamente al dm 270/04 non deve comportare necessariamente la contestuale disattivazione dei corsi appartenenti alla classe corrispondente (indicata nell'Allegato 2 del dm 26 luglio 2007, n. 386, ai sensi dell'art. 1, comma 7 dei dd.mm. del 16 marzo 2007). Viceversa l'attivazione di uno o più corsi di studio appartenenti a una determinata classe relativamente al dm 270/04 deve comportare la contestuale disattivazione di tutti i corsi appartenenti alla classe corrispondente (secondo la tabella di corrispondenza tra le classi riportata in Allegato 2 al dm 26 luglio, fatto salvo quanto disposto nella nota del direttore generale del 20 dicembre 2007 per i corsi di studio per i quali «le relative proposte di adeguamento non abbiano ottenuto il prescritto parere favorevole del Cun»). Inoltre; in relazione all'istituzione di corsi replicati il Cun ritiene che, nel momento dell'immissione di un ordinamento nella banca dati Rad (regolamento didattico di ateneo) alle università debba essere data la possibilità di dichiarare se esso costituisca ordinamento replicato di altro ordinamento già inserito dall'ateneo. In tal caso l'intero ordinamento sarà automaticamente duplicato, senza possibilità di apportare modifiche e il relativo corso sarà considerato replicato. _____________________________________________________ Il Sole24Ore 27 mar. ’08 SCUOLA E UNIVERSITÀ: LA BUONA PRATICA E LA CATTIVA POLITICA di Alessandro Schiesaro Sulla carta, tre quarti del prossimo Parlamento si stanno impegnando in campagna elettorale a misure di razionalizzazione e liberalizzazione del sistema scolastico, universitario e della ricerca finora quasi impensabili. Il decalogo proposto ieri da Confindustria, raccogliendo i punti più significativi di convergenza programmatica tra i due partiti che si candidano alla guida del Paese, è altre proposte e progetti da tempo sul tappeto, chiamano a un futuro impegno comune nel nome della buona pratica anziché della cattiva politica. Se anche non si arrivasse ad imitare il modello della Svezia, dove le leggi su istruzione e ricerca devono raccogliere una maggioranza qualificata, sarebbe comunque un bene sottrarre almeno alcuni provvedimenti cardine alla virulenza della contrapposizione partitica a tutti i costi. I programmi dei partiti riservano attenzione al settore: non manca mai un capitolo ad hoc, ovviamente, ma, per limitarsi ai maggiori, né Pd né Pdl mettono al centro l’innovazione intesa nei termini dell'Agenda di Lisbona, né offrono una visione compiutamente nuova verso cui traghettare un sistema in grande affanno. Non era facile farlo, soprattutto perché alla sete di libertà, responsabilità e autonomia che proviene dal mondo dei saperi non hanno dato risposte convincenti né il Governo di centro-destra prima né quello di centro-sinistra poi. La Legge Moratti che a fine 2005 voleva rîdisegnare la mappa dell'università italiana riformando almeno il reclutamento dei docenti trasuda di incentivi che premiano l'anzianità e non il merito. E nella legislatura appena conclusa la dannosa oscillazione tra una linea più conservatrice e una fortemente riformista ha fatto da sfondo a un'azione in sostanza fallimentare. LE proposte raccolte nel decalogo prefigurano nel loro complesso scuole e università dotate di ampia autonomia gestionale e finanziaria, ma all'interno di un sistema incentrato sulla valutazione. A istituti liberati almeno in parte dalla selva di leggi è regolamenti oggi in vigore, e messi in grado di adottare gli schemi di governance e le modalità operative tipici della migliore prassi internazionale, dovrebbero corrispondere studenti finalmente in grado di scegliere il proprio destino grazie a un incremento massiccio delle borse di studio e delle strutture residenziali, per non dire di test di ammissione alle facoltà validi in tutto il Paese. Gli spazi di manovra esistono, anche nell'immediato. Per quanto riguarda l'università basta ricordare che il famoso accordo dell'estate scorsa tra Tesoro e ministero dell'Università e Ricerca prevedeva di destinare 35o milioni di finanziamento alle università su base premiale, una misura che si è poi persa per strada e che potrebbe agevolmente essere ripristinata. Un'agenzia di valutazione della scuola, l'Invalsi, esiste da tempo, basterebbe chiarirne i compiti e rafforzarne fazione; quella per l'università (Anvur) è rimasta ferma a un passo dal varò definitivo. Si potrebbe continuare. È difficile capire se la politica italiana è davvero pronta per mettere in pratica quello che sembra ora disposta a promettere a parole. Ma sono invece chiarissimi i segnali di disagio e le richieste di cambiamento. Un gruppo di scienziati autorevoli ha nuovamente ribadito la necessità di rendere sistematico, nell'assegnazione dei fondi di ricerca, il ricorso alla valutazione tra pari condotta secondo gli standard internazionali. È di ieri un appello perché anche nella scuola il merito ritorni al centro dell'attenzione. Alcuni rettori autorevoli hanno posto con forza il problema di come distinguere; pur all'interno di un sistema nazionale, le esigenze e le aspettative di università che non si riconoscono nello stereotipo di carrozzoni mal gestiti. Si può discutere sui parametri adottati, ma resta il fatto che una politica come quella della Conferenza dei rettori (Crui), tutta tesa a difendere l'intangibilità della spesa storica quale che sia, non rende giustizia agli atenei che si sforzano di migliorare. Sarà pur vero, come sostiene la Crui, che le risorse dedicate all'università non bastano, ma stupisce che non si ammetta mai l'esistenza di inefficienze e diseconomie peraltro palmari. Si vedrà nei prossimi mesi se il nuovo Governo e le nuove Camere avranno la forza e soprattutto la volontà di avviare una liberalizzazione profonda del sistema dell'università e della ricerca, resistendo alle sirene corporative che tendono normalmente ad avere la meglio. I segnali non sono per ora incoraggianti, se è vero che la legislatura si è chiusa con l'acclamazione bipartisan per una norma irrazionale e costosa come la reintroduzione del doppio idoneo. Ma in questo caso sperare, oltre che lecito, è doveroso, perché senza un drastico cambiamento di rotta il destino delle nostre scuole e dei nostri atenei è davvero segnato. Atessandro schiesaro Tutti d'accordo su merito, autonomia, valutazioni; borse di studio e test, ma le speranze sull'azione del futuro Governo sono poche _____________________________________________________ Il Sole24Ore 27 mar. ’08 ISTRUZIONE DECALOGO CONFINDUSTRIA Scuola e università più competitive: l0 azioni condivise dai programmi Pd e Pdl ROMA Decalogo bipartisan per scuola e università indirizzato a Pdl e Pd. È la mossa con la quale Confindustria chiede di mettere al centro del dibattito politico i temi dell'istruzione e della ricerca, finora lasciati quasi nell'ombra. Viale dell'Astronomia ha setacciato i programmi a caccia dei punti in comune, per offrire proposte di sintesi realizzabili da chiunque si ritroverà a Palazzo Chigi. Dieci gli interventi operativi individuati e classificati come "azioni": 6 per la scuola e 4 per l'università. Con l'obiettivo di esaltare le affinità più che rimarcare le distanze. Tra gli intenti primari quello di far risalire l'Italia dal fondo delle classifiche internazionali (Ocse-Pisa) di valutazione sugli apprendimenti dei quindicenni in matematica, , scienze e capacità di lettura. La ferita più bruciante per la scuola italiana. «Scuola, università e ricerca sono le chiavi di volta del benessere e dello sviluppo - è scritto nel documento di Confindustria - in questi settori c'è bisogno di continuità. Le riforme necessarie devono essere applicate in tempi che non sono quelli della politica. La campagna elettorale può essere un'occasione di discussione e di condivisione. Confindustria ha condensato in io azioni, da adottare in tempi stretti da parte del prossimo Governo, le principali proposte condivise nei programmi del Pd e del Pdl». Scuola Il primo elemento in comune tra i programmi elettorali e la ricette di Confindustria è l'autonomia. Il Pd annuncia «scuole più libere, con flessibilità nell'orario e nella gestione degli organici», mentre il Pdl punterà «a rafforzare l’autonomia secondo il principio di sussidiarietà». Confindustria propone di portare a compimento l'autonomia e di introdurre quella finanziaria. Per il personale Viale dell'Astronomia chiede di sviluppare il riconoscimento del merito, il Pdl garantisce la «commisurazione degli aumenti retributivi a criteri meritocratici» con riconoscimenti agli insegnanti più preparati. Il Pd introdurrà la«carriera professionale degli, insegnanti». Altro tema è la libertà di scelta delle famiglie, che Confindustria propone di accrescere. Il Pdl prevede sostegno alle famiglie «per una effettiva libertà di scelta educativa» tra scuole statali e non statali. Il Pd parla di «possibilità effettiva dei genitori di scegliere sul territorio la scuola cui iscrivere i figli». Anche la valutazione è terreno di intervento per i due schieramenti. Confindustria chiede di rilanciare istruzione tecnica e cultura scientifica: E il Pdl prevede di «potenziare l'istruzione tecnica e ridare ruolo all'istruzione e formazione professionale di competenza delle Regioni». Per il Pd occorre «proseguire nell'azione per ridare peso e valore agli istituti tecnici e professionali». Università Una nuova governance università con più autonomia e qualità, nelle proposte di Confindustria. Riduzione del numero di sedi universitarie e promozione della loro specializzazione in poche discipline, per raggiungere livelli di eccellenza nel programma Pd. Il Pdl favorirà una «libera, graduale e progressiva trasformazione delle università in fondazioni associative, aperte ai contributi dei territori, della società civile e delle imprese, garantendo a tutti il diritto allo studio». Il Pd prefigura «autonomia finanziaria, introducendo forme sistematiche di valutazione efficace dell'utilizzo di risorse, incentivi e disincentivi, aumentando la competizione tra gli atenei». Il PdI rafforzerà la competizione e premierà qualità e risultati. Per quanto riguarda i professori, Confindustria chiede di innovare la selezione delle docenze (anche internazionale). Secondo il Pd «ciascun ateneo è libero di assumere personale docente italiano o straniero, di darsi il sistema di governo che ritiene più adeguato, di stabilire le norme per l'ammissione degli studenti e fissare liberamente le rette». Il Pdl prevede di introdurre criteri meritocratici nel reclutamento dei docenti. Gli industriali: bisogna sottrarre il tema al conflitto partitico Il prossimo Governo metta in campo le riforme in tempi stretti Autonomia finanziaria degli istituti e riconoscimento del merito Per gli atenei fondi in base alla valutazione e libertà di assunzione LE PRIORITÀ DEGLI IMPRENDITORI Rafforzare La capacità competitiva della scuola pubblica: più autonomia AZIONE 1 Nell'arco di tre anni assegnare alte scuole la gestione di tutti i fondi pubblici relativi a supplenze (sia brevi che annuali), assunzione di docenti a contratto, tecnici di laboratorio, docenti delle discipline specifiche del curricolo autonomo, nel rispetto dei vincoli di bilancio, nell'ambito di un processo indirizzato ad attribuire direttamente alle scuole la gestione degli organici ei riconoscimenti retributivi agli insegnanti che ottengono i migliori risultati AZIONE 2 Rinunciare nella prossima legislatura a ogni legge di sanatoria per l'accesso all'insegnamento ed eliminare ogni riserva di posti nei concorsi per l'accesso alla dirigenza scolastica, per realizzare un effettivo ringiovanimento e accrescere (a qualità del corpo docente e dei dirigenti, con selezioni rigorose secondo gli standard internazionali AZIONE3 Attribuire all'Istituto nazionale di valutazione la definizione di standard minimi nazionali di apprendimento per studenti di anni 14,16 e 18 in italiano, inglese, matematica, scienze e la loro misurazione periodica attraverso test centralizzati su campioni rappresentativi di studenti sul modello del Programma Ocse-Pisa, adottando precise strategie di miglioramento AZIONE 4 Sperimentare in treanni almeno nel 10% delle scuole l'insegnamento di una disciplina curriculare in inglese AZIONE 5 Adottare un piano straordinario peri[ reclutamento, la formazione e l’incentivazione degli insegnanti delle discipline tecnico-scientifiche nell’ambitodi un profondo rinnovamento dei curricula, della riduzione dell'orario settimanale di insegnamento e della diffusione della pratica speri mentale in laboratorio AZIONE 6 Promuovere la competizione e l'emulazione tra le scuote, sia stata (i che paritarie; premiandole offerte migliori e dando alle famiglie la possibilità di scegliere sul territorio la scuola in cui iscrivere i figli AZIONE 7 Attuare subitole misure previste dal Patto per l'università del 3 agosto 2007 e destinare 350 milioni di euro al finanziamento premiate delle università sottofinanziate. Entro tre anni far si che una quota crescente del Fondo definanziamento ordinario, fino ad arrivare almenoal30%, sia trasferita agli Atenei tramite valutazione, avvalendosi dell'Agenzia nazionale della valutazione dell’Università e della ricerca,aumentando la competizione tra gli atenei AZIONE 8 Consentire a ciascun Ateneo la libertà di assumere personale docente italiano e straniero, nel quadro di una progressiva privatizzazione del rapporto di lavoro, delegificando assunzione e promozione dei docenti, nell'ambito di un rigoroso controllo sulla qualità da parte di precise agenzie esterne, in linea con gli standard europei AZIONE 9 Raddoppiare il finanziamento previsto perle borse di studio destinate ai capaci e meritevoli, adeguandolo in tre anni alla media Ocse, per offrire una reale possibilità di scelta e di crescita agli studenti AZIONE 10 Differenziare le date di somministrazione dei test di ammissione in modo da consentire agli studenti di sostenerne più di uno e poter scegliere fra le università in cui si é superato il test _____________________________________________________ Il Sole24Ore 26 mar. ’08 TROPPI CORSI, MA LAUREE INUTILI Nel settore alta la richiesta soprattutto di manodopera tecnica IL MERCATO DEL TURISMO Nel 2007. Su 839.460 assunzioni previste 105mi1a sono state nell'accoglienza Molti specialisti senza sbocchi mentre le aziende non trovano profili adatti PAGINE A CURA Di Michela Finizio Diplomati, laureati e specializzati, ma senza le competenze necessarie richieste sul mercato. Il turismo oggi offre enormi possibilità di occupazione, ma il titolo di studio serve a poco. La domanda delle imprese si concentra soprattutto sulle figure professionali medio-basse e il giovane appena laureato, magari a pieni voti,finisce col cercare opportunità di lavoro all'estero. Il numero dei corsi di laurea e delle scuole di specializzazione continua a crescere. Sono pochi, però, i percorsi formativi che tengono conto della reale domanda presente sul mercato. Di conseguenza sono pochi i giovani laureati che riescono a trovare un'occupazione coerente con il loro titolo di studio. Ma non solo «molti corsi si ritrovano con pochi iscritti -afferma Ugo Picarelli, direttore di Fare turismo, l'evento dedicato a studenti, laureati e operatori turistici che si svolge ogni anno a Salerno -, spesso c'è una sovrapposizione di docenze. Le offerte formative dedicate al turismo sono annualmente circa una decina in ogni singola regione, ma questi corsi nascono soprattutto per fare cassa piuttosto che per rispondere alle esigenze del settore». Le imprese turistiche e le strutture ricettive, infatti, cercano principalmente professionalità di profilo minore, che non richiedono una laurea e una cultura accademica. «Bisogna ridiscutere anche il ruolo degli istituti professionali - continua Picarelli -. Dovrebbero essere gestiti a livello regionale per poter mantenere un rapporto costante con il mercato locale, mentre attualmente non hanno alcun rapporto con il tessuto imprenditoriale del territorio». E cosi attualmente solo il 3,8% degli occupati negli alberghi e nella ristorazione è laureato, su un totale di 1,16 milioni di unità. Un valore molto basso rispetto a quello dei principali competitor, come Francia (13,9%) e Spagna (15,2%). In particolare nelle strutture ricettive italiane si registrano z39mila lavoratori, di cui solo l'8,49% ha terminato l'università. Nel 2007, inoltre, su un totale di 839.46o assunzioni previste da Unioncamere, oltre 105mila (il 12,6%) si sono concentrate nel settore alberghi, ristoranti e servizi turistici e 36.970 in agenzie di viaggio e tour operator. Di queste, però, solo l'14% riguarda personale con titolo universitario. Ma nonostante la domanda si concentri per la maggior parte su manodopera non qualificata, in seguito della riforma universitaria il numero di corsi di laurea dedicati alle attività turistiche sono cresciuti in modo esponenziale: nell'anno accademico 2006/2007 si calcolavano 105 corsi di laurea (76 di I livello e 29 di II livello) e 40 master (ai quali sene devono aggiungere dieci organizzati dagli istituti di formazione), per un totale di circa 3omila studenti iscritti, di cui z8mila ai corsi triennali. «Nella pianificazione didattica- afferma Stefano Poeta, direttore scientifico del Centro studi sul Turismo di Assisi - si assiste alla proliferazione di nuove denominazioni molto accattivanti, che in realtà nascondono figure professionali tradizionali. Si tratta quasi sempre dell'evoluzione di vecchie carriere che non hanno più appeal. L'offerta deve sapersi innovare veramente, trasmettendo le competenze necessarie per elevare qualitativamente anche le professionalità più basse». Anche perché il mercato del lavoro legato al turismo è in costante crescita, come emerge dall'ultimo rapporto dell'istituto per la Formazione dei Lavoratori (Isfol): in base alle proiezioni elaborate sul fabbisogno professionale,nelaoo9leopportunità legate alle figure tecniche e specializzate cresceranno del 2,6%, mentre gli esercenti e addetti alla ristorazione dell’8,3 per cento. «Guardando l’attuale offerta didattica delle università, sembra che tutti debbano fare i manager - afferma Fosca Gennari, direttore di Fast, il centro di formazione del gruppo Alpitour -. Si è alzato il livello medio dei titoli di studio, ma non il livello di competenza delle nuove leve. Bisogna valorizzare le professionalità ritenute poco appetibili e innalzare la qualità di certe figure». La domanda di beni e servizi da parte dei turisti genera, nel nostro Paese, un valore aggiunto pari al 5,7% del Pil. Ed è per questo che diventa fondamentale riuscire ad innovare il panorama delle professioni legate al settore. Negli alberghi e ristoranti, ad esempio, si rileva che il 28% ha un'occupazione temporanea, valore superiore alla media dell'Unione europea (22,5%). Nelle strutture ricettive, in particolare, il dato relativo al precariato raggiunge il 44%, rendendo molto più complessa, oltre che meno conveniente, la crescita professionale di chi lavora nel comparto. _____________________________________________________ L’Unità 25 mar. ’08 RICERCA: LE AMBIGUITÀ DI CONFINDUSTRIA SERGIO FERRARI Con l'articolo pubblicato sull'Unità del 13 marzo, in risposta a un'analisi di Pietro Greco pubblicata lo scorso 11 marzo, Pasquale Pistorio e Gianfelice Rocca, nella loro veste di vice Presidenti di Confindustria rispettivamente per la Ricerca e per l’Education, hanno voluto fornire l'interpretazione di una lettura della posizione di Confindustria in materia di innovazione che, a parere del sottoscritto, si andava esprimendo secondo linee concettualmente differenti, tra quella fatta di « hi-tech» e quella «combinatoria». Secondo queste precisazioni non si tratta di due line differenti ma di due componenti ognuna di 180 gradi che insieme dovrebbero costituire una strategia a 360 gradi. Non solo ma secondo queste precisazioni siamo in presenza ormai di situazioni aziendali molto brillanti, di una «nuova imprenditorialità», di misure che «hanno posto le basi di una accelerazione della ricerca e dell'innovazione» e anche di un «sistema finanziario che ha iniziato a reagire alle nuove esigenze della competitività globale». Ci rimane ancora una questione aperta e cioè che «ora è necessario che anche la Pubblica Amministrazione faccia la sua parte, diventando un partner delle aziende che vogliono crescere e innovare e non più un ostacolo». Naturalmente non si può correggere questa autorevole interpretazione ma sia consentito esprimere qualche dubbio: se nonostante gli ostacoli della solita Pubblica Amministrazione ora tutto sembra messo sui binari giusti, allora sono superate non solo quelle eventuali differenti di linee, ma quelle stesse linee che partivano da una situazione e da una denuncia di ritardi che incidevano negativamente sul nostro sviluppo e sulla qualità sociale, ambientale ed economica del nostro sviluppo. È vero che alcuni non si sono ancora accorti di queste importanti trasformazioni - pensiamo alle OO.SS. e alla ricerca pubblica, e sarebbe interessante verificare il pensiero e i programmi dei partiti del centro sinistra in materia - ma affermazioni di questo rilievo sottendono il superamento di ritardi storici, di specializzazioni produttive e tecnologiche, di divari commerciali, di livelli di formazione e di qualità dell'occupazione, dello stesso divario negli indicatori della variazione del Pil, ecc. Purtroppo per ora da questo parte non sembrano arrivare indicatori con andamenti positivi. Non sarebbe positivo se alla combinazione delle linee di politiche per l'innovazione e lo sviluppo all'interno di Confindustria dovesse corrispondere una arretramento rispetto alle esigenze del paese. Anche da questo punto di vista il richiamo alle proposte e alle visioni politiche dei partiti di centro sinistra sembrerebbe del tutto opportuno e dirimente. Sergio Ferrari. Direttore della rivista Energia, Ambiente, Innovazione già direttore dell'Ufficio Studi e vicedirettore generale dell'Enea _____________________________________________________ Il Mondo 4 Apr.’08 CACCIA DI PROFESSORI AL MERCATO DEI CERVELLI UNIVERSITÀ COMINCIA A DIFFONDERSI ANCHE IN ITALIA IL RECLUTAMENTO NEI JOB MARKET INTERNAZIONALI Gli appuntamenti più importanti sono negli Usa, a New Orleans e ad Anaheim. Ci vanno Luiss, Bocconi, Imt, Bankitalia, luc Giovedì 6 marzo la facoltà di economia della Luiss, ateneo romano di Confindustria, ha costituito un comitato di tre docenti: Raffaele Oriani, Pietro Reichlin e Marco Scarpini, che hanno il compito di predisporre un piano per reclutare giovani docenti di economia e finanza sul job market. È l'ultimo esempio, in ordine cronologico, di università o enti italiani che decidono di assumere professori o ricercatori secondo le regole del mercato. E cioè come farebbe un'azienda nella scelta dei propri manager. Quello che conta è un misto di buoni stipendi, prospettive di successo nella carriera, prestigio della casa madre. A mettersi in vetrina sono giovani trentenni che hanno concluso (o si apprestano a farlo) il proprio PhD, il dottorato di ricerca nelle università di tutto il mondo, e vogliono scegliere dove continuare la carriera di ricerca e insegnamento che potrà portare qualcuno di loro in futuro anche a vincere un premio Nobel. Sconosciuto in Italia fino a qualche anno fa, il reclutamento di cervelli attraverso il mercato interessa un numero crescente di istituzioni. «Da noi sono aperte circa dieci posizioni di assistant professor ai quali proponiamo contratti di tre anni rinnovabili anche nelle aree di marketing e management», afferma Giorgio Di Giorgio, preside di economia alla Luiss. «Luniversità e alcune imprese sponsor ci garantiscono i fondi e contiamo di inserire i docenti nel prossimo anno accademico». Per fare questo l'ateneo, che offre una retribuzione lorda da 45 a 65 mila euro l'anno, ha intenzione di partecipare a metà agosto al job market di Anaheim (California) organizzato dall'associazione Academy of management. È uno dei due più importanti mercati dei cervelli negli Stati Uniti. L'altro (il Joe, organizzato dall American economic association) si è tenuto a New Orleans lo scorso gennaio. E i reclutatori italiani non erano pochi. A cominciare dagli uomini della Bocconi di Milano, che per primi sono sbarcati negli Usa all'inizio di questo decennio. Da allora attraverso il job market sono stati assunti 32 docenti, 28 dei quali operano ancora nell'ateneo di via Sarfatti, con il passaporto di Germania, Spagna, India, Messico, Venezuela, Regno Unito. «Per quanto giovani, possiedono una forte esperienza professionale», dice Fulvio Ortu, direttore della scuola di dottorato dell'ateneo milanese. «Si sono misurati con le migliori pratiche di insegnamento internazionale». Per circa dieci posti a disposizione nel 2008, in Bocconi sono arrivate 510 application: dopo selezioni e interviste, in sette hanno accettato il posto. Tra questi Hannes Wagner (classe 1976), laurea a Monaco di Baviera, poi specializzazione alla London business school su temi come corporate finance e corporate governance, e Debrah Meloso con PhD al California institute of technology e master a Barcellona: in Bocconi farà ricerca su finanza comportamentale e disegno di mercati finanziari. «È un circuito nel quale vale la pena entrare perché, al di là dei giovani che assumiano, si acquisiscono informazioni e si stringono contatti con ricercatori motivati», sostiene Daniele Terlizzese, direttore dell'Einaudi institute for economics (Eief), il centro studi romano (formalmente è una fondazione) interamente controllato da Bankitalia, al suo debutto sul mercato dei cervelli. Per quattro posti l'istituto ha ricevuto 250 domande. Ardua la selezione: dopo 36 interviste realizzate a New Orleans, sette candidati hanno ricevuco il cosiddetto fly out, cioè l'invito a Roma per tenere seminari, incontri one to one, altre interviste. «Poi li portiamo a cena», aggiunge Terlizzese, «per valutare come si comportano in situazioni di stress ma anche in momenti rilassanti. È un meccanismo certamente più efficace del classico concorso. Guai però a fare domande banali: i candidati voltano le spalle a istituzioni che ritengono poco rilevanti». Eief ha messo sotto contratto, con stipendi che vanno da 65 a 75 mila curo l'anno, tre assistant professor. Oltre all'americano Jeffrey Butler per microeconomia, arriveranno Luigi Paciello dalla Northwestern university, dove per qualche stagione ha insegnato finanza e macroeconomia, e Francesca Carapella, con dottorato alla Minnesota university e attiva in economia monetaria ed economia politica. Già, perché il meccanismo del job market funziona anche come calamita per far rientrare in Italia cervelli che erano fuggiti. Bankitalia ha assunto sei research fellow, tutti italiani, per produrre analisi di politica economica e finanza pubblica. Hanno contratti di 12 mesi rinnovabili (a 52 mila curo) ed entreranno in alcuni dipartimenti del Centro studi di Palazzo Koch. «Torneremo negli Usa anche il prossimo anno», afferma Eugenio Gaiotti, vice capo del servizio congiuntura, «abbiamo trovato candidati brillanti. Che forse non avrebbero partecipato ai nostri concorsi». In Italia rimane questa infatti l'unica modalità di accesso con un posto fisso nei centri studi pubblici e nelle università (anche le private). La riforma Moratti prevede la possibilità di reclutare assisrant professor a contratto, dopo una valutazione sul merito e che poi magari vincono il concorso. Ma negli atenei statali è rimasta lettera morta. «È un problema di ordinamento del sistema», sostiene Fabio Pammolli, direttore dell'Imt di Lucca e docente di economia a Firenze. «Abbiamo inseguito la perfezione delle regole, per esempio nei concorsi, perdendo di vista le esperienze internazionali di que sti anni». Che non vuol dire soltanto gli Usa: un job market di professori è attivo nel Regno Unito, ma anche in Spagna. Nel frattempo Pammolli ha chiamato a Lucca ricercatori come Leonardo Badia (da Stoccolma), Giammario Impulliti (PhD in economics alla New York university), Mauro Sylos Labini (da Stanford e poi Alicante), Francesco Sobbrio (Ucla, California). Per loro, contratti di tre anni (45 mila euro lordi) con valutazione finale. «Nell'iter di scelta seguiamo le indicazioni della Carta europea dei ricercatori, che raccomanda selezioni trasparenti e candidati non iper specialistici», conclude Pammolli. A sua volta, il Collegio universitario internazionale di Torino (www.iuctorino.it) ha già scelto 17 visiting professor per il master biennale in analisi economica del diritto al via in ottobre. Argentina, Giordania, India alcuni tra i Paesi di provenienza. Tre sono italiani che ritornano: Luca Anderlini (da Georgetown university), Paolisa Nebbia (Leicester) e Alexandra Brown (Oxford). «Per i più giovani lo stipendio è 65 mila euro a tempo pieno, per i senior anche 120 mila», dice Ugo Mattei, coordinatore accademico di Iuc e ordinario di giurisprudenza nella città sotto la Mole. Non vanno direttamente sul job market invece i vicini di casa de1l’Escp-Eap, business school presente in cinque città europee (Londra, Madrid, Parigi, Berlino e appunto Torino). A reclutare è la sede inglese, «che funziona come un hub di aeroporto», spiega il direttore Roberto Quaglia, «perché poi questi docenti arrivano anche da noi». Fabio Sotta ________________________________________________________ Corriere della Sera 27 mar. ’08 MUSSI: BLOCCATO DA DOCENTI CONSERVATORI ROMA - «Quando i governi cadono precocemente è facile infierire...» Fabio Mussi, ministro uscente dell' Università, risponde alle accuse del sociologo Alessandro Dal Lago apparse su «Liberazione» («se Mussi si fosse occupato di più dell' università, l' istituzione non sarebbe al collasso, dubito che i docenti universitari di sinistra lo voteranno») e agli appunti di Lucio Villari, Sebastiano Maffettone, Alberto Abruzzese e Giulio Ferroni. La prima reazione è una contro-accusa: «Parlano professori universitari esponenti di un ceto dotato di rilevante potere, con elevate responsabilità accademiche». Quindi? «Dovrebbero prima di tutto rispondere del modo in cui hanno esercitato il potere. Quando ho tentato riforme innovative, animate da spirito radicale, dal mondo universitario si sono alzati tsunami di conservazione. Non ho sentito squillare voci a sostegno del cambiamento». Cosa risponde a Dal Lago? «Rispetto il suo giudizio. Ma sono rimasto in carica venti mesi, un tempo inferiore alla formazione di qualsiasi legge di rilievo. Vogliamo parlare di finanziamenti? Nell' autunno 2006 ho dovuto minacciare le dimissioni per ottenere appena qualcosa. Villari dice che avrei dovuto dimettermi davvero. Se lo avessi fatto, avrei provocato la caduta del governo Prodi». E dopo? «In pochi ricordano che l' accordo con i camionisti costò 180 milioni di euro sottraendone 90 netti all' università». Poi Mussi ribatte sul piano delle riforme: «Ho fermato la proliferazione delle sedi, la frammentazione dei corsi, degli esami delle cattedre. Ho bloccato la proliferazione delle università telematiche». Villari parla di ricercatori universitari e di dottorati... «I miei illustri interlocutori sanno che nella Finanziaria 2007 c' erano i finanziamenti per 4000 ricercatori al terzo anno. Ma non è colpa mia se poi il piano straordinario di assunzione dei ricercatori, con un sistema di valutatori anonimi sui curriculum, è stato incredibilmente bocciato dalla Corte dei Conti. E' in dirittura d' arrivo la registrazione dell' agenzia nazionale di valutazione». Una sua valutazione conclusiva, Mussi? «Che l' università è allo stesso tempo dissestata ma anche ricca di grandissime qualità. Ma occorre stabilità politica per governare un processo di cambiamento». P. Co. Conti Paolo ________________________________________________________ Corriere della Sera 26 mar. ’08 I PROF DI SINISTRA «DELUSI DA MUSSI NON HA RISCHIATO» ROMA - «Sinistra, sono deluso ma ti voto» titolava ieri il fondo su Liberazione, di Alessandro Dal Lago, sociologo a Genova. A tre quarti del testo l' affondo: «Scusate la franchezza, ma se Mussi si fosse occupato un po' di più, e con idee più chiare, del suo ministero, l' università, l' istituzione in cui opero non sarebbe al collasso (perché di questo si tratta). Dubito fortemente che i docenti universitari di sinistra lo voteranno». Vero o falso? Lucio Villari, docente di Storia contemporanea all' Università di Roma Tre, premette un dato umano: «Non vorrei dispiacere a Mussi, proprio ora che ha passato un brutto momento legato alla sua salute». Ma il suo giudizio? «A dire la verità, Mussi non ha rischiato quanto avrebbe dovuto. Anche a costo di dimettersi, suo compito sarebbe stato scatenare una battaglia contro l' impossibilità di rinnovare il corpo universitario. Senza concorsi per ricercatori e dottori di ricerca, ci si nega qualsiasi possibilità di dare nuova vita all' università italiana. Diciamo che Mussi si è dedicato all' università nella stessa misura in cui lo hanno fatto molti suoi predecessori». Cioè, Villari? «Cioè senza riuscire a mettere, almeno parzialmente, mano ai guasti della riforma Berlinguer che ha burocratizzato tutto e ha ridotto le grandi potenzialità culturali e scientifiche della nostra università». A occhio, per chi voterà? «Direi forse a orecchio... per il Pd. Non è che non voterò per Mussi a causa del suo lavoro all' università. La mia è una valutazione politica generale» Durissimo Giulio Ferroni, docente di Letteratura italiana a «La Sapienza»: «Tutti ci aspettavamo da Mussi interventi più rapidi e penetranti. Invece la sua riforma del modulo tre anni più due è rimasta a metà in un clima di lentezza, confusione». Non voterà per Mussi? «No. Sceglierò il male minore, ovvero Walter Veltroni. E dico il male minore». Il filosofo Sebastiano Maffettone, docente alla Luiss-Guido Carli ma anche all' Istituto Suor Orsola Benincasa a Napoli, è più assolutorio: «Mi pare una manifesta esagerazione attribuire i guai dell' università italiana a Fabio Mussi, dopo cinquant' anni di disastri. Magari non sarà stato un ministro particolarmente brillante in un governo sostanzialmente deludente. Ma non gli si può addossare l' intera mole, per dirla con Alessandro Dal Lago, del collasso dell' istituzione universitaria». E Maffettone aggiunge una nota di merito: «Non capisco perché un professore universitario debba attaccare l' operato di un ministro non sull' aspetto accademico ma su quello politico. Il vero problema è che le tasse universitarie dovrebbero essere più alte per far funzionare la competitività tra gli atenei. Ma nessuno ha la forza politica per affrontare questa verità». Cosa voterà? «Per le ragioni di prima, il mio voto è scollegato da questi ragionamento. Comunque sono e resto all' antica, voterò per il Pd». Infine il sociologo Alberto Abruzzese: «Indipendentemente dalla figura di Mussi, penso che in generale la professione del politico distragga dai problemi reali dell' università, non aiuti a capirli, direi a "ri-conoscerli". Il caso Mussi in particolare? Avrebbe almeno dovuto scardinare la routine dei comportamenti del ceto universitario, dai rettori in giù. Questo, sì. Non ha fatto granché contro un apparato decrepito, macchinoso, vuoto di contenuti». Il suo voto? «Veltroni. Ma Mussi c' entra poco». Perché? «Personalmente ho un solo scopo. Battere Berlusconi». Chissà cosa ne dirà Mussi. * * * L' intervento Sociologo Alessandro Dal Lago (sopra) insegna sociologia all' Università di Genova. Tra i suoi libri: Descrizione di una battaglia. I rituali del calcio e Non-persone. L' esclusione dei migranti in una società globale. Ieri ha criticato la sinistra su «Liberazione» (sopra) Conti Paolo _____________________________________________________ Il Sole24Ore 26 mar. ’08 LA SCUOLA DEL MERITO E LE REGOLE DA ACCETTARE di Giacomo Vaciago La campagna elettorale comincia ad affrontare anche i nodi veri del Paese, quelli dalla cui soluzione dipende il nostro futuro. È il caso soprattutto di scuola e università; dei cui problemi abbiamo cominciato a discutere a fondo in questi ultimi mesi. Un tema in particolare attira ora l’attenzione dei politici e degli intellettuali, che presentano la proposta di un patto bipartisan per la formazione e un'organizzazione didattica moderna, mentre è in arrivo un piano di Confindustria per dieci azioni condivise su scuola e università. È il tema del merito, che oggi è di moda anche in Italia: non a caso parlava di «voglia di meritocrazia» il sondaggio di Nicola Piepoli pubblicato ieri sul Sole 24 Ore. Essendo gli unici al mondo ché hanno garantito in Costituzione (articolo 34) i diritti degli studenti «capaci e meritevoli», dovremmo essere . anche quelli che per sessant'anni hanno fatto di più per realizzare ciò. Anzitutto mettendo a punto i criteri e le regole con cui il merito viene misurato e valorizzato. Ma l'abbiamo davvero fatto? Ha ragione di dubitarne chiunque osservi il degrado del nostro sistema educativo, che è cresciuto in quantità e risorse impiegate ma ha perso in qualità e soprattutto in rigore. È vero, ci sono ancora tanti docenti e studenti di valore, ma sono mescolati a caso con fannulloni e mediocri, e soprattutto nessuno si preoccupa seriamente di invertire questa tendenza tornando a privilegiare il merito e a valorizzare i talenti. La ragione principale di questo fiasco è che abbiamo rinunciato a confrontarci anzitutto sulle regole che dovrebbero far funzionare il sistema e sulla responsabilità di chi quelle regole deve far rispettare. In questo senso i problemi della scuola sono non a caso emblematici del Paese, perché è sempre una questione di regole e di responsabilità che troviamo alla base di ogni problema irrisolto (da Alitalia ai rifiuti di Napoli). Proviamo a esemplificare, con riferimento ai due principali modelli di sistema educativo che abbiamo in Europa. Il primo, tipico dei Paesi continentali come Italia e Francia, è quello della scuola-servizio pubblico, che ha come principale obiettivo l’eguaglianza dei risultati. Il merito è definito in modo oggettivo ed è l'obiettivo cui tutti devono tendere. Si spiega cosi perché la scuola promuova é bocci gli studenti, oltre a costringerli a "recuperare" nelle materie in cui sono insufficienti. Si spiega così perché i programmi di studio siano gli stessi per tutti, e perché gli studenti si iscrivono alla scuola più vicina a casa. A questo modello se ne contrappone uno molto diverso che ha invece come obiettivo la valorizzazione dei talenti, quali essi. siano. È un sistema che caratterizza piuttosto i Paesi del Nord Europa, come Finlandia , Svezia e Inghilterra, dove gli studenti scelgono le scuole in base alla loro (diversa) qualità, dove i programmi sono a loro volta i più adatti ai talenti di ciascun studente, e si scelgono le materie su cui gli studenti concentrano la loro preparazione. Il tutto rispetta criteri che privilegiano le scelte individuali degli studenti nei confronti di scuole tra loro in competizione. È evidente la differenza tra quei due modelli. È anche noto che per tradizione noi apparteniamo al primo dei due, ma avendo semplicemente trascurato di applicare le regole necessarie per il suo buon funzionamento. Ne ricordo una di importanza fondamentale: la necessità di una rigorosa valutazione dei risultati ottenuti dagli studenti, valutazione che ovviamente non può essere affidata ai loro stessi docenti (né limitata a una parte soltanto delle materie, magari scelta a caso), altrimenti scattano meccanismi collusivi che producono i risultati peggiori. Si è mai visto da noi uno studente denunciare il docente mediocre o assenteista, sapendo che ne sarà poi giudicato, e soprattutto sapendo che sono proprio i professori mediocri quelli che danno i voti più alti? Un discorso analogo vale anche per l'università. Una volta noi ne avevamo un numero ridotto, università molto diverse nella qualità delle loro discipline e dei loro professori, tra le quali gli studenti sceglievano in base ai loro talenti. Ma negli ultimi trent'anni abbiamo scelto una strada opposta: le sedi universitarie sono state moltiplicate fino a raggiungere tutti gli studenti ovunque fosse la loro casa. Da questo punto di vista, l'università è diventata uguale alla scuola media: è un servizio pubblico, tendenzialmente omogeneo e senza un'effettiva competizione per valorizzare talenti diversi. Non stupisce che i rettori - tutti - chiedano più soldi al Governo, cioè al contribuente, e non ai loro studenti. Per concludere: tornare a privilegiare il merito sta bene e sarebbe strano che in proposito non ci fosse unanimità. Il problema vero è un altro. Vogliamo limitarci a fare quelle poche riforme che bastano per far funzionare meglio il nostro sistema educativo come si era storicamente strutturato? Oppure, vorremmo adottare un sistema che è quello tipico dei Paesi del Nord Europa, dove il merito è conseguito tramite la consapevole scelta da parte degli studenti di istituti tra loro in competizione? AL di là delle preferenze personali (io ad esempio penso che questo secondo modello dia risultati migliori, soprattutto quando il mondo cambia rapidamente, come in questi anni), è su queste diverse regole che bisognerebbe far decidere il Paese. Senza tacere il fatto che se nel primo caso bastano poche riforme, tutto sommato di buon senso e che richiedono solo qualche anno di rodaggio, nel secondo quella che si prospetta sarebbe una vera e propria rivoluzione, con vent'anni di duro lavoro per andare a buon fine. Giacomo Vaciago _____________________________________________________ Corriere della Sera 23 mar. ’08 UN SOFTWARE SCOPRE LE FALSE RICERCHE Dopo i non pochi casi, alcuni clamorosi, come quello dei falsi dati su staminali embrionali del sudcoreano Hwang Woo Suk (nella foto), arriva Perk, kit anti-frode. Lo ha lanciato ElseUier, la casa editrice di importanti giornali scientifici, come il Lancet. Si tratta di un software che confrontando parole chiave riesce a trovare i falsi, le copie, gli articoli che contengono esperimenti vecchi spacciati per nuovi. Lo ha ideato tra gli altri l'italiana Federica Rosetta, che si occupa delle riviste nel settore farmacologico della casa editrice Elseuier. _____________________________________________________ Repubblica 26 mar. ’08 COSI’ IL WEB RISCALDA LA TERRA Le nuove tecnogie producono tanta Co2 quanto gli aerei. L’allarme in uno studio americano: troppa energia sprecata DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ANDREA TARQUINI BERLINO industria pesante americana, giapponese o europea, le acciaierie cinesi e indiane, il boom energetico dei russi di Gazprorn, i gas di scarico dei jet di linea, il traffico di auto sempre più potenti ovunque nel mondo. Non sono più gli unici colpevoli del riscaldamento della temperatura sul nostro pianeta. Ora gli fanno illustre, e pericolosa, compagnia i computer e soprattutto l'uso crescente di internet. Il mondo virtuale, le comunicazioni online, i cellulari, i calcolatori in generale ormai, secondo i ricercatori della Gartner americana, sono responsabili per ben i12% delle emissioni di Co2 in tutto il mondo. Cioè la stessa percentuale causata dall'aviazione civile. L'allarme, lanciato da Der Spiegel, spinge a un drastico ripensamento: addio all'illusione che l'universo delle nuove tecnologie prepari un mondo pulito, più ecologico, meno pericoloso per il clima e per l'ambiente. L'unico rimedio è ridurre il numero dei grandi calcolatori, costruirne di sempre più potenti, e di nuovo tipo, in modo-almeno cos3 assicurano i big del settore-difornire al futuro una vita virtuale più ambientalista. Le crude cifre illustrate dal professor Hegering, responsabile del supercomputer del centra di calcolo Leibnitz a Garching- la periferia iper moderna dell'economia postindustriale alle porte della ricca Monaco di Baviera fanno paura. Il nuovo supercalcolatore di Garehing, che dovrebbe entrare in servizio tra tre anni, avrà un consumo di energia elettrica pari a quello di un Ice 3, il più moderno treno ad alta velocità made in Germany, quando con tutto il suo peso di 400 tonnellate a pieno carico accelera in pochi minuti da zero a 330 all'ora. Il consumo di energia del centro di Garchingè salito da 2 a quasi 8 megawatt, il bisogno di energia per gli impianti di raffreddamento vola, i costi delle bollette sono alle stelle. Ma è soprattutto l'inarrestabile, velocissima diffusione di internet sul pianeta blu a causare un aumento in crescita esponenziale del fabbisogno di produzione di energia. Proprio mentre il mutamento del clima, l'aumento della temperatura media sulla Terra, il pericolo desertificazione si fanno sempre più minacciosi, una nuova , crescente insidia all’equilibrio climatico già distorto viene proprio dalle tecnologie indispensabili alle ricerche per salvare l'ambiente e quindi il mondo in cui viviamo. I conti sano presto fatti: in appena cinque anni, dal 2000 al2005, il consumo di energia elettrica dei grandi calcolatori è raddoppiato nel mondo. Nel 2006, nella sola Germania, i circa cinquantamila grandi centri di calcolo elettronico assorbono la produzione di una intera centrale nucleare. Un altro esempio: bastano pochi secondi per una ricerca ondine affidando - si a Google o a un altro moderno motore, per consumare tanta energia elettrica quanto basta per tenere accesa una delle nuove lampadine ecologiche a risparmio di elettricità per un'ora intera. Ancora una volta, il genere umano non ha pensato agli indesiderabili, pericolosi effetti collaterali delle sue geniali invenzioni. E non sfugge alla triste regola nemmeno internet. All'inizio le grandi aziende hanno comprato mega computer a iosa, senza preoccuparsi del consumo. E parallelamente è cresciuto il consumo e l'uso privato della rete, quindi dei computer per navigarvi. Senza che nessuno si preoccupasse del consumo di elettricità necessaria, quindi della produzione di energia richiesta dal web e del riscaldamento del clima che ne deriva. Senza parlare del riscaldamento degli apparati elettronici di per sé: i grandi computer devono essere raffreddati, con sistemi che a loro volta consumano energia. Il triste paragone avanzato da Der Spiegel fa pensare: è quello tra la nuova, imprevista sfida di internate dei computer al clima e la leggerezza con cui, all'alba della rivoluzione industriale, le potenze economiche e le grandi aziende si lanciarono nella corsa a chi produceva più acciaio 0 consumava più carbone. Senza che, per decenni e decenni, nessuno si chiedesse quali effetti la logica dello sviluppo ueber Alles avrebbe fatto sentire sulle risorse e sugli equilibri climatici e ambientali. La storia si ripete. Basta vedere come sale la percentuale media del consumo d'energia nelle bollette di abbonamento ai server: in pochi anni è arrivata al 50 per cento del totale del conto pagato dall'utente, l'anno prossimo, ammonisce Thomas Meyer, esperto della Idc, salirà magari fino al75 per cento. L'unico rimedio, secondo gli esperti, è paradossalmente centralizzare: meno grandi calcolatori, meno centri di calcolo, ma molto più potenti. Centralizzare la "virtualizzazione", come la chiamano alla Ibm, può consentire risparmi di consumo energetico fino all'80 per cento. Ironia della sorte: proprio nella dimensione più iper moderna del nostro presente, cioè il mondo dei computer e di internet, in nome della difesa del clima torneranno i dinosauri, i grandi, ingombranti supercomputer ritenuti obsoleti fino a ieri. Ma questa possibile via di salvezza è costosa, e non tutti potranno permettersela. _________________________________________________________ Repubblica 27 mar. ’08 LA CENSURA WEB IN FORTE CRESCITA" Intervista a Ron Deibert, direttore del Citizen Lab di Toronto, centro all'avanguardia nel monitoraggio delle restrizioni online Access denied in 26 paesi del mondo Non solo Cina, Iran e Arabia Saudita: sistemi di filtraggio sempre più sofisticati. Ma si evolvono anche i software di difesa di MARCO DESERIIS Ron Deibert TORONTO (Canada) - Che i media e la rete cinese vengano regolarmente monitorati e censurati non è un mistero. Ma da un paio di settimane le maglie della censura sono ancora più strette: i servizi televisivi dei network satellitari sulla rivolta dei tibetani a Lhasa e sulle contestazioni all'accensione della fiamma olimpica vengono regolarmente oscurati, i maggiori siti di informazione internazionale sono spesso inaccessibili, e anche l'accesso a YouTube, su cui sono stati postati diversi video indipendenti della rivolta, risulta bloccato. La stretta repressiva non coglie certo di sorpresa Ron Deibert, direttore del Citizen Lab di Toronto, centro di ricerca all'avanguardia nel monitoraggio della censura online. "I siti sull'indipendenza del Tibet sono sempre stati oscurati in Cina", spiega Deibert. E in momenti come questo, è facile per il governo cinese bloccare l'accesso a determinati siti: i loro filtri sono installati direttamente sulle dorsali di internet, negli internet service provider e negli internet caffè, il che oltre a essere tecnicamente efficace produce un clima di autocensura." Situato in uno spazioso seminterrato inondato di luce all'interno del Munk Centre for International Studies dell'Università di Toronto, il Citizen Lab è in questi giorni in piena fibrillazione. Oltre a monitorare la situazione cinese, il team di dodici ricercatori si riunisce frequentemente nella sala conferenze - ironicamente ribattezzata "the cage" (la gabbia) - per vagliare i dati raccolti nel 2007 sullo stato della censura in internet in 71 paesi. Condotta in collaborazione con la OpenNet Initiative - una partnership delle università di Toronto, Harvard, Oxford e Cambridge - la ricerca verrà pubblicata ufficialmente a giugno. Da un paio di settimane la OpenNet Iniative ha dato alle stampe Access Denied, un volume edito dalla casa editrice del MIT, contenente i dati relativi alle ricerce effettuate nel 2006 in 41 paesi. I risultati non sono certo rassicuranti: "La censura su internet è in crescita sia da un punto di vista quantitativo che per sofisticazione," spiega Deibert. "Su 41 paesi in cui abbiamo condotto dei test, abbiamo riscontrato varie forme di censura in 26 paesi. Quando iniziammo il monitoraggio nel 2000 erano pochi i paesi a destare preoccupazioni: la Cina, l'Iran, l'Arabia Saudita e pochi altri. Negli ultimi anni la crescita è stata impressionante. Dal rapporto 2007 ci aspettiamo che siano una quarantina i paesi che esercitano varie forme di controllo sulla rete." Quali sono gli stati in cui la censura è più diffusa? "Nel rapporto 2006, abbiamo classificato alcuni paesi come censori "pervasivi" - il che significa che hanno bloccato la percentuale più alta di contenuti in tutte le categorie che abbiamo testato. In questa categoria rientrano Cina, Birmania, Vietnam, Tunisia, Iran e Siria. Seguono l'Uzbekistan, il Pakistan, l'Etiopia, l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi che bloccano una quantità "sostanziale" di contenuti". Quali sono le tipologie di censura più frequenti? "Abbiamo diviso il filtraggio di contenuti in quattro tipologie: la censura apertamente politica; quella sociale (contenuti legati alla sessualità, il gioco d'azzardo, il consumo di droghe e alcol, ecc.); la censura legata a conflitti armati regionali; e la censura relativa e specifici servizi internet come l'email, il web hosting, e i motori di ricerca. Ad esempio negli ultimi anni abbiamo notato una crescita della censura nel Voice Over IP e di servizi come YouTube. Inoltre le tecniche stesse di filtraggio variano da paese a paese". Può fare un esempio? "In alcuni paesi, come la Cina, il filtraggio viene implementato soprattutto a livello delle dorsali e dei gateway internazionali. In altri paesi il filtraggio avviene a livello dei singoli Internet Service Provider. Il che significa che la rete appare diversa a seconda del provider da cui ci si collega. Inoltre, in paesi come la Cina la richiesta di una pagina bloccata restituisce all'utente un semplice errore di time out. In altri casi, come in Arabia Saudita, il governo chiede al cittadino di compilare un form in cui può spiegare perché la pagina richiesta non dovrebbe essere bloccata". Avete riscontrato una crescita della censura anche nelle cosiddette democrazie occidentali? Se sì, qual è la differenza con la censura nei paesi non democratici? "Diversi paesi occidentali hanno iniziato a discutere il filtraggio dei contenuti in rete, in particolare in relazione a materiali legati allo sfruttamento sessuale dei minori o alla pornografia in rete. Tra questi vi sono Stati Uniti, Gran Bretagna, Norvegia, Danimarca, Canada e Australia. Poiché in questi paesi il filtraggio viene discusso a livello legislativo, non ci siamo concentrati molto su di loro, perché le eventuali tecniche di filtraggio adottate sono in gran parte trasparenti. Il discorso cambia notevolmente se ci si sposta nel settore commerciale. Ad esempio, esistono una serie di aziende nella California del Nord che si stanno specializzando nella produzione di software per il filtraggio selettivo di contenuti. Software che vengono rivenduti a paesi terzi come l'Iran, la Birmania e la Tunisia. Il problema è che questi software sono protetti da segreto industriale ed è quindi estremamente difficile per i cittadini sapere quali tipo di servizi e contenuti vengono filtrati, e perché. Bisogna inoltre considerare - e questa osservazione vale anche per i paesi democratici - che una volta che dei sistemi di filtraggio vengono installati la tentazione di usarli per scopi diversi da quelli dichiarati può essere molto forte". Come fate a raccogliere i vostri dati? Qual è il modello organizzativo della OpenNet Initiative? "La OpenNet Initiative si avvale del lavoro di circa ottanta operatori che combinano la ricerca contestuale sul campo con una serie di strumenti sofisticati di indagine sulle reti. Le quattro università che formano la partnership hanno diverse funzioni. Ad esempio l'Advance Network Research Group dell'università di Cambridge coordina la ricerca sul campo. Al Citizen Lab invece sviluppiamo gli strumenti di monitoraggio delle reti. Ci avvaliamo inoltre della collaborazione di circa ottanta Ong che sono fondamentali per capire i paesi che stiamo studiando, dalla lingua ai problemi politici a livello locale. A livello tecnico usiamo diversi strumenti di analisi, come il Traceroute, per capire come sono dislocati i filtri. Tuttavia, al di là del fatto che alcune di queste tecniche di monitoraggio sono discutibili da un punto di etico, anche da un punto di vista tecnico hanno un'efficacia limitata, soprattutto se le si usa solo remotamente. Per questo ci affidiamo a una serie di ricercatori che si trovano fisicamente nei paesi sotto osservazione. I ricercatori scaricano da internet o portano con se nei propri computer portatili delle applicazioni e le usano a livello locale collegandosi a internet da diversi provider. Le applicazioni creano degli elenchi di migliaia di URL e parole chiave, che vengono poi trasmesse a dei database situati al Citizen Lab di Toronto dove vengono analizzate e interpretate". "In un certo senso - continua Deibert - la nostra struttura organizzativa è ricalcato sul modello dei servizi di intelligence nazionali: la divisione del settore tecnico e umano, la compartimentazione delle conoscenze, sono tutte misure che adottiamo per proteggere i nostri ricercatori, cioè coloro che corrono i rischi maggiori. In molti dei paesi che stiamo studiando questo tipo di operazioni sono classificate come spionaggio. Personalmente, trovandomi al vertice di questa operazione, non conosco l'identità di gran parte dei nostri ricercatori. Se volessimo descriverci in poche parole potremmo dire che la ONI è "un'operazione di contro-spionaggio globale della società civile"". Nel dicembre 2006 il Citizen Lab ha rilasciato Psiphon un software che consente ai navigatori di aggirare la censura nei paesi che bloccano l'accesso a determinati siti. Può spegarci come funziona? "Psiphon si serve di Internet e delle reti sociali di amici, familiari e conoscenti distribuite 'a cavallo' di paesi in cui la rete è censurata e di paesi in cui non lo è. Il primo passo per rendere Psiphon operativo è che una persona residente in un paese in cui internet non è censurata scarichi il software e lo installi sul proprio computer, che diviene così un provider Psiphon. La persona in questione fa quindi pervenire le informazioni per connettersi al proprio nodo Psiphon a una ristretta cerchia di familiari, amici o colleghi residenti in un paese in cui la rete è censurata. Quando questi vogliono visualizzare dei contenuti bloccati si collegano con un nome utente e password al nodo-provider Psiphon, che li collega a sua volta all'informazione richiesta. Poiché l'intera transazione è crittata e il processo rimane privato, è difficile per le autorità individuare e bloccare i nodi Psiphon. Inoltre il protocollo utilizzato da Psiphon è l'Https che essendo in uso per le transazioni finanziarie non può essere bloccato indiscrinatamente dai provider. Quali sono le principali differenze tra Psiphon e altri software anonimizzanti? "Psiphon non è un anonymizer. I suoi utenti non sono anonimi rispetto al loro provider. Anche se il traffico tra l'utente Psiphon e il provider Psiphon è crittato, questi ultimi possono in teoria monitorare tutte le attività degli utenti Psiphon. Lo abbiamo progettato in questo modo deliberatamente, per sottolineare l'importanza dei rapporti di fiducia interpersonale, in particolare tra i provider e gli utenti di Psiphon. Rispetto ad altri software simili Psiphon ha il vantaggio di essere molto facile da installare. E poi è open source, il che significa che riceviamo ottimi suggerimenti su come migliorarlo". Quanti utenti ne fanno uso al momento? "L'architettura decentrata di Psiphon e l'indipendenza di ciascun nodo, fa sì che sia impossibile per noi sapere quante persone ne fanno uso. Quello che sappiamo è che dal dicembre 2006 è stato scaricato da 150.000 utenti. Anche i ricercatori dell'OpenNet Initiative se ne servono quando si trovano nei paesi in cui la rete è censurata, il che significa che sappiamo bene come funziona 'sul campo'". Le Olimpiadi di Pechino potrebbe fornirvi un'ottima occasione per diffondere Psiphon. Molti giornalisti e operatori avranno bisogno di fare un uso non censurato della rete... "Di recente ci siamo resi conto che esiste una porzione significativa degli utenti della rete che potrebbe beneficiare di un servizio professionale strutturato intorno a Psiphon, e le Olimpiadi di Pechino ne sono un buon esempio. Migliaia di giornalisti arriveranno in uno dei paesi in cui la rete è più censurata. Anche se alcune testate dispongono di soluzioni proprie, molti si affideranno a fornitori esterni. Per questo abbiamo creato una società apposita che ha riscontrato un interesse immediato. Ovviamente la maggior parte delle aziende interessate preferiscono non parlarne apertamente per timore di mettere i propri giornalisti a rischio. Noi speriamo che le Olimpiadi siano l'occasione giusta per lanciare Psiphon come business". Quali sono le tecniche di aggiramento della censura più usate dagli attivisti e dai dissidenti cinesi per navigare? "La maggior parte degli utenti cinesi si servono di server proxy aperti. Essendo "aperti" questo tipo di server sono insicuri per definizione e possono essere facilmente monitorati. Inoltre molti di questi server finiscono rapidamente su delle block list, e quindi diventa estremamente difficile farne uso. Esistono anche dei software realizzati da cittadini cinesi che vivono negli Stati Uniti, ma poiché devono essere scaricati non sono del tutto sicuri. Altri utenti cinesi si servono di Tor, un software che distribuisce le richieste dei navigatori lungo una lunga serie di nodi che anonimizzano l'identità di chi naviga. Anche quando non vengono bloccate, questo tipo di connessioni hanno il problema di essere estremamente lente". In che modo Psiphon può tornar loro d'aiuto? "Psiphon è facile da usare, molto veloce, e piuttosto sicuro. Se i cittadini cinesi hanno contatti con amici, familiari e parenti al di fuori del loro paese è un ottima scelta. Abbiamo tradotto le FAQ in cinese e faremo lo stesso con l'interfaccia del software e la guida utente. Stiamo anche lavorando a una nuova versione che permetterà agli utenti di fare domanda per la gestione di nodi Psiphon anche se si trovano all'interno del paese censurato, senza che debbano scaricare alcun software. L'interno processo sarà gestito dal web. Per lanciare questo servizio Psiphon dovrà gestire migliaia di nodi a livello mondiale e implementare una strategia anti-bloccaggio. Quest'ultima richiede molte risorse, il che dipende da quanti introiti l'azienda riuscirà a generare, e da altre forme di sovvenzionamento". A proposito, chi sono i finanziatori della OpenNet Initiative? "La ONI è finanziata da diverse fondazioni come la MacArthur Foundation e l'Open Society Institute. All'ONI consideriamo la nostra autonomia un fattore cruciale. Non accettiamo soldi dai governi ad esempio, e facciamo sì che un elenco aggiornato di tutti i nostri finanziatori sia sempre presente sul nostro sito". _____________________________________________________ Panorama 3 Apr. ’08 PORTE CHIUSE AGLI STUDENTI CANAGLIA Lotta al terrorismo Per tutelare la sicurezza nazionale gli atenei inglesi hanno introdotto controlli per tutti gli studenti extraeuropei iscritti a facoltà dove si insegnano materie delicate. E in Italia, Francia, Germania... dl PINO BUONGIORNO Khalid Sheikh Mohammed, il terrorista di Al Qaeda che pianificò gli attentati dell' 11 settembre 2001, si era laureato nel 1986 in ingegneria meccanica all'Università agricola e tecnica della Carolina del Nord. Anche Mohammed Atta, il capo dei dirottatori degli aerei che andarono a schiantarsi contro le Torri gemelle e il Pentagono, aveva studiato in Occidente: ad Amburgo, fra il 1993 e il '98, aveva frequentato l'Università tecnica specializzandosi in pianificazione urbana. Diversi anni prima A. Q. Khan, lo scienziato che ha costruito la bomba atomica del Pakistan e poi è diventato il maggiore mercante mondiale di tecnologia nucleare, aveva preso il master in scienze all'Università di Delft, Paesi Bassi, e il dottorato in ingegneria metallurgica all'Università cattolica di Lovanio, Belgio. E ancora, fra il 1970 e il 2000, ben 1.148 fisici e ingegneri nucleari dell'Iran si sono specializzati nel prestigioso centro di fisica teoretica di Trieste. Qual è il prezzo che le università dei paesi industrializzati devono pagare per frenare la proliferazione nucleare e il terrorismo internazionale? Ma, soprattutto, bisogna aprire o chiudere le frontiere agli scienziati dell'Iran, della Corea del Nord, del Pakistan, della Siria o della Somalia? L'argomento è di strettissima attualità. Dal 7 febbraio, nella Rayburn House di Washington, la commissione Scienza e tecnologia della Camera dei rappresentanti ha iniziato una serie di sedute, con la partecipazione di rettori ed esperti di sicurezza interna, sulla concessione dei visti agli studenti e ai docenti stranieri. In Gran Bretagna, da novembre, si sperimenta un nuovo sistema, definito Atas, che attribuisce alle università, ancor prima che al Foreign office, l'onere di ammettere o respingere i ricercatori extraeuropei in 41 facoltà definite «sensible». Nel resto d'Europa si comincia a discutere se debbano essere i docenti a occuparsi delle iscrizioni universitarie degli stranieri oppure i servizi segreti, che esaminano le singole richieste di visti. È una materia quanto mai delicata e le soluzioni finora trovate non vanno tutte nella stessa direzione. La Gran Bretagna sembra privilegiare una chiusura. Gli Stati Uniti, dopo la stretta attuata all'indomani dell'11 settembre, vanno verso una rinnovata apertura a favore degli studiosi stranieri. Gli altri paesi (Italia, Germania e Francia) seguono criteri più pragmatici, senza però un approfondito dibattito all'interno del corpo accademico e tanto meno in parlamento. L’esperimento inglese è sicuramente il più controverso. Fino a novembre vigeva un sistema denominato Vvc per l'ammissione a corsi postlaurea degli studenti di 10 paesi (fra cui Pakistan, Siria, India, Iran ed Egitto) nelle università di Londra, Cambridge e Oxford. Era su base volontaria: i college di Cambridge, per esempio, avevano rifiutato di aderirvi sostenendo che si trattava di un'intromissione del governo nella vita accademica e anche di un fardello burocratico non necessario. Sta di fatto che anche sotto quel programma l’Mi-S, il servizio di sicurezza interno, aveva operato con mano decisa soprattutto a partire dall'11 settembre. Fra il 2001 e il maggio 2005, su 2.282 domande di visto da parte degli studiosi extracomunitari, 238 erano state respinte, nella maggior parte dei casi perché si era scoperto che i richiedenti avevano legami con organizzazioni estremiste islamiche. Dopo le stragi del S luglio 2005 nella metropolitana di Londra, l’intelligence inglese ha preteso ulteriori controlli. Questa volta su base obbligatoria. È entrato così in vigore, quattro mesi fa, l'Atas, che il Foreign office ha giustificato più come uno strumento necessario per combattere la proliferazione delle armi di distruzione di massa che in chiave antiterrorismo. Gli studenti già laureati che non provengono dalla Ue e dalla Svizzera devono completare un questionario sulla loro famiglia, sulle loro affiliazioni, sui motivi per cui chiedono l’ammissione nelle facoltà inglesi. Sono 411 corsi di dottorato e master reputati delicati. Si va dalle scienze biologiche a quelle fisiche, dalla matematica all'ingegneria, dalle tecnologie all'agricoltura. E solo quando le università danno il loro assenso gli studiosi possono chiedere il visto. In tal caso la pratica passa al Foreign office, che fa compiere altri accertamenti. L'intero processo richiede almeno sei mesi. Da novembre sono pervenute 3.400 richieste di autorizzazione all'iscrizione nei corsi postlaurea. Non si sa quante ne siano state respinte. È noto solo che le domande da Iran, Pakistan, Sudan, Siria e Corea del Nord riguardano in particolare ingegneria e tecnologia; medicina e scienze biologiche vengono subito dopo. Funziona o no? Dichiara a Panorama Duncan Lane, dirigente del consiglio per gli affari degli studenti internazionali: «Dobbiamo aspettare maggio per capire meglio. Ma un punto mi preoccupa. Nei centri di ricerca avanzati si lavora in gruppo o a progetto. Se un elemento viene meno perché non è ammesso, vacilla la stabilirà del progetto di ricerca». Assai negativo è il giudizio di Faisal Hanjira, portavoce della Federazione degli studenti islamici: «LAtas non era affatto necessario e avrà conseguenze sulla ricerca nel Regno Unito perché probabilmente molti scienziati opteranno per paesi privi di misure così draconiane». L’esperienza americana mostra proprio questo: se si chiudono le frontiere accademiche, a rimetterci è la conoscenza scientifica. È successo dopo le stragi delle Torri gemelle. I ricercatori stranieri hanno avuto sempre più difficoltà a ottenere i visti per motivi di studio e, subito, il mondo universitario americano si è sentito più povero. Non solo in termini di cervelli, ma anche economici, dal momento che ogni anno gli studenti provenienti dall'estero (600 mila, secondo le ultime stime) portano la bella cifra di 14,5 miliardi di dollari nelle casse degli atenei americani. «L’analisi rischi-benefici ci ha fatto capire che a rimetterci eravamo solo noi» dice Jacques Gansler, ex sottosegretario alla Difesa nell'amministrazione Clinton, oggi docente all'Università dei Maryland. «La reazione è stata eccessiva, come era assurda la pretesa del Pentagono di obbligare gli stranieri nei campus a indossare targhette identificative. Oggi il mondo accademico spinge per più apertura». Conferma Allen Goodman, che presiede l'Istituto per l'istruzione internazionale: «Gli studenti stranieri stanno aumentando in tutte le facoltà, anche scientifiche. II processo per ottenere il visto si è semplificato, anche se le maggiori difficoltà non vengono dai consolati, ma dagli addetti all'immigrazione negli aeroporti, spesso impreparati ». Per recuperare il divario competitivo, gli Stati Uniti non solo stanno riaprendo le pone di università e centri di ricerca, ma anche attuando una nuova forma di diplomazia scientifica, pubblicizzando le migliori facoltà in Cina, nonostante o caso ai spionaggio nei laboratori governativi di Los Alamos che coinvolse uno scienziato d'origine cinese. Nel resto d'Europa la delicata questione università-sicurezza nazionale è tutta demandata ai servizi segreti, incaricati di gestire i visti di accesso per motivi di studio. Accade in Germania e Francia. )r anche in Italia. II Centro internazionale di fisica teoretica di Trieste, intitolato al premio Nobel pachistano Abdus Salam, non fa eccezione, anche se qui prevale la considerazione che l’istituto opera sorto l’egida di Unesco e Alca, l'agenzia per l'energia atomica. Ogni anno passano dal Centro di Trieste 6 mila scienziati di 126 paesi. Alcuni rimangono solo due settimane, altri anche sei mesi. Nel 2006, 106 studiosi iraniani hanno frequentato corsi di specializzazione così come 63 cubani, 62 pachistani, 16 sudanesi, 5 siriani e 21ibici. Con loro c'erano 352 americani e 187 inglesi, oltre a 465 italiani. Hanno collaborato Erika Serbarr e Simona Tobia) _____________________________________________________ Il Sole24Ore 27 mar. ’08 DISCORSO SUL METODO: PENSO DUNQUE IDEO La generazione di novità è un percorso di libertà intellettuale, centrato sulla cultura dell'ascolto dell'utente DI ANTONIO DINI Da giovane faceva "solo design". Oggi, fa qualcosa di più complesso, che cerca anche lui di spiegare per approssimazioni successive: gestione della creatività, progettazione, "storytelling". Bill Moggridge, inglese di 64 anni trapiantato da trent'anni in California, una leggenda tra i designer industriali di tutto il mondo. È uno dei tre fondatori di Ideo, nel yn, l'azienda californiana di design nata dalla fusione della sua ID Two con David Kélley Design e Matrix Product Design; dell'inglese Mike Nuttall: «La mia riflessione su cosa sia in realtàil design-spiega al margine dell'incontro milanese "Meet The Media-, Guru" - è nata in realtà cinque minuti dopo aver finito di realizzare il Grid Compass, nel 1979. Ha presente?». Il Grid Compass è il primo computer portatile moderno della storia dell'informatica: apertura a libro, schermo a cristalli liquidi, costava 10mila dollari dell'epoca e con il suo speciale sistema operativo GridOs veniva utilizzato ad esempio dagli astronauti delle prime missioni Shuttle per conto della Nasa. «Era fantastica la forma, il materiale, l’usabilità dell'apparecchio. Però, dopo cinque minuti di utilizzo, in realtà ti perdevi nel "mondo interno" software, non nell'oggetto fisico esteriore. Quello è stato il momento in cui ho cominciato a riflettere che l'interazione centrata sull'utente riguarda tutto, non solo la progettazione dell'apparecchio fisico». Le intuizioni che ne sono seguite si chiamano "user centered design " e "interactive design". Da li alla creazione di Ideo, 550 dipendenti che si occupano di design a 360 gradi all'interno di una delle più grandi, famose e rispettate società del settore, il passo non è stato certo breve, ma era lo stesso nell'ordine delle cose. «Oggi il mio lavoro è di fare il design della mia azienda, di creare il clima e i presupposti grazie ai quali riusciamo a essere creativi e innovativi sia che ci si trovi a progettare uno spazio per un aeroporto o un ospedale, sia che si tratti di nuovi software o strumenti informatici». Progettare un'azienda di queste dimensioni vuol dire andare oltre al carisma e alla capacità creativa dei singoli, vuol dire infonderle un'anima a se stante; che permetta a chi ci lavora di condividere una cultura e un modo di lavorare unico, sostiene Moggridge. «Per questo dal punto di vista del mio lavoro i principi del design oggi sono un'attività di storytelling che si deve sposare con l'esattezza della ragione scientifica e l'elasticità del pensiero creativo». Il frutto di queste riflessioni è confluito in un lavoro collettivo, "Designing Interactions'', pubblicato un anno fa, in cui q o maestri del design di settori differenti (dal Douglas Engelbart padre del mouse e delle interfacce a finestre sino a Will Wright, autore di SimCity e The Sims) articolano il pensiero alla base della progettazione industriale, alla creatività e al processo innovativo. «Il problema è sempre la comprensione delle persone, perché alle sorgenti dell'innovazione c'è in maniera molto semplice questo: capire le persone, lo spazio in cui si muovono, il modo in cui interagiscono. E parallelamente capire i prototipi che realizziamo, sapendo collocarli nella realtà delle cose». Oggi, argomenta Moggridge, il cielo è cambiato sempre più nella sua direzione: «Internet ha legato insieme servizi e prodotti. Il computer attraverso la rete offre l'accesso a servizi e altre persone. Nel mezzo va progettata in maniera intelligente e invisibile la tecnologia complessa, ma intuitiva per l'utente che permette di rendere interattiva la connessione». Anche la lezione dei videogiochi, ad esempio con le riflessioni di Will Wright, sono centrali sul modo in cui costruire il processo di design: «Le interfacce devono essere gratificanti in quanto facili, e presentare una curva di complessità crescente che sia a sua volta affrontabile e premi con nuovi modi di uso naturali chi decide di investire il proprio tempo. È un segreto che hanno capito nel mondo dei video games prima che in quello del design convenzionale dove prevaleva invece la staticità». Infine, il processo innovazione passa attraverso la costruzione di prototipi sempre più complessi e raffinati («sennò è inutile farli») e soprattutto sulla progettazione di piattaforme. «Jonathan lve, il genio dietro a iMac, iPod e iPhone, è bravissimo. Ma ha costruito su qualcosa d'altro: una piattaforma come quella di Mac Os X o iTunes che consentono di creare l'esperienza d'uso del Mac o degli apparecchi digitali di Apple. Il designer non si muove nel vuoto pneumatico e 1e sue idee devono essere radicali, ma al tempo stesso progressive e pedagogiche: devono insegnare a usare nuove funzioni per nuovi bisogni». Senza contare che la creatività oggi, grazie al mondo "piatto" generato da internet, è ovunque: «S i possono avere processi innovativi o evolutivi, ma c'è un ampio spazio perla creatività in tutte le fasi. Ci si può concentrare sulla ideazione ma anche sulla produzione, la vendita. Ci sono mille modi nei quali la creatività si realizza. Oggi è davvero un fiume in piena, una sorgente che sta sgorgando liberamente da mille direzioni diverse. L'importante è costruire l'ambiente fortemente creativo, costruito sulla capacità di ascolto e comprensione dei bisogni e delle specificità dei clienti e delle persone. Il resto viene quasi da solo». _____________________________________________________ Il Sole24Ore 28 mar. ’08 ATENEI, LE SPACCATURE NON SERVONO La creazione di Aquis, che ha autoselezionato una serie di poli d'eccellenza, suscita polemiche - Guarini (La Sapienza): inutile dividersi in serie A e serie B di Renato Guarini Un gruppo di rettori italiani ha deciso di dare vita a un'associazione – Aquis -formata da università che, sulla base di una auto valutazione; rivendicano il ruolo di atenei di qualità. L'iniziativa è certamente animata dalle migliori intenzioni, tuttavia appare fortemente rischiosa per la coesione interna del sistema universitario italiano. Molti atenei, compresa la Sapienza, avrebbero tutto il diritto, in ordine ai criteri proposti, di attribuirsi la qualifica di ateneo virtuoso. Ma questo atteggiamento elitario e autoreferenziale difficilmente risolve i problemi, che devono invece essere affrontati in un'ottica complessiva. Nel contesto europeo è ampiamente riconosciuta la funzione pubblica delle università e gli obiettivi di estendere la formazione universitaria assicurandone la qualità sono alla base della strategia europea di Lisbona, strategia che gli atenei perseguono coordinandosi attraverso una propria organizzazione autonoma; l’European Uuiversity Association. La sfida 'e quella di riuscire a garantire che l’università, divenuta università di massa, sia ancora in grado di esprimere eccellenze, coniugando una capacità formativa ampia e rivolta a tutti i giovani con una qualità che solo l'impegno nella ricerca può dare. Teaching e researching rappresentano due aspetti di una missione unica e inscindibile e ogni università dovrebbe tendere a questo modello, anche attraverso forme di consorzio o di federazione laddove le dimensioni sono troppo esigue per permettere un reale sviluppo delle attività di ricerca. Certo, il perdurare di difficoltà finanziarie e normative non può che portare al declino dei migliori atenei e dell'intero sistema universitario italiano. Tuttavia sbaglierebbe chi giustificasse l'immobilismo sostenendo che le riforme universitarie richiederebbero chissà quali risorse, e12 reperirsi inevitabilmente a carico delle famiglie; ma sbaglierebbe ancora di più chi ritenesse che la cura consista semplicemente in una diversa distribuzione delle risorse esistenti fra università di serie A e di serie B. La prospettiva europea è quella dell'armonizzazione attraverso la valorizzazione delle differenze e dei diversi ruoli degli atenei. Insomma, aggiungendo la E di Europa, Aquis diventerebbe Aequis. Un buon titolo per un manifesto o un convegno che porrebbe faccendo da un lato sull'impegno ad assicurare la qualità della ricerca scientifica e delle formazione; dall'altro sulla necessità d una maggiore equità nel sistema universitario italiano, non solo nella ripartizione delle risorse ma anche relativamente alla funzione insieme progressiva ce equitativa che le università, in particola. re se statali; sono chiamate a svolgere nei confronti dell'intera collettività. * Rettore Università La Sapienza di Roma _____________________________________________________ Il Messaggero 28 mar. ’08 GLI ESAMI TRUCCATI ALLA SAPIENZA: A GIUDIZIO 27 TRA DOCENTI E STUDENTI SCANDALO ALL’UNIVERSITA Nel 2003 l'inchiesta portò a perquisizioni ed arresti: due assoluzioni e sei proscioglimenti di GIULIO DE SANTIS e VALENTINA ERRANTE Ventisette rinvii a giudizio. due assoluzioni e sci proscioglimenti. Si chiude così il primo round dell'inchiesta che nell'estate del ?OOS fece "tremare" l’Ateneo, con gli arresti e le perquisizioni alla Facoltà di legge della Sapienza. Uno scandalo: a Giurisprudenza gli studenti compravano esami per qualche migliaio di curo. Ieri il gup Barbara Callari ha accolto l'impianto accusatorio del pm Vincenzo Barba: associazione per delinquere. falso. concorso in corruzione sono i reati contestati agli imputati a seconda delle posizioni. Sono cinque i ricercatori che il 91uglio dovranno difendersi in aula: Gabriella Troise e Fausta Pugliese di Diritto commerciale, Pietro Maria Putti. intanto diventato professore associato alla Facoltà di Econonia dell'Università Politecnica delle Marche, Giorgio Francolini di Diritto civile, Michele Franco Gelardi, dell'istituto di Diritto penale. Ma anche Antonio Riccitelli. assistente volontario di Diritto Canonico. Poi nove impiegati dell'Ateneo, tra questi l'usciere Nicola Circosta. la bibliotecaria Civita Ribaudi e la segretaria Matilde Mariani, presunte «menti» dell'organizzazione. Alla sbarra anche Gianfranco Albini. responsabile della Biblioteca di Economia. Tutti i dipendenti sono stati spostati ad altre mansioni all'interno dell'Università. Infine dodici tra studenti e familiari degli aspiranti "dottori". Come i fratelli Gabriele e Daniele Pulcilli. Alcune delle accuse contestate sono cadute. mentre la studentessa Cinzia Fanzi e l'assistente, oggi docente di Diritto del Lavoro Franco Calà, che avevano scelto il rito abbrevialo. sono stati assolti «perché il fatto non sussiste». Il gup ha invece prosciolto l'assistente di Diritto ecclesiastico Fabio Franceschi, gli studenti Carmina Corigliano, Giuseppe Fabiano. Cristiano Rossi. Paolo Visco e dell'impiegata Anlaarita Massari. Lo scandalo era scoppiato il 17 luglio del 2003. Quando, su richiesta del pm Barba. diciotto ordinanze di custodia cautelare furono notificate a cinque docenti, sei impiegati e sette studenti. Mai nonni iscritti sul registro degli indagati erano trentacinque. Sott'accusa era finita l'attività accademica di Giurisprudenza dalla metà del 200? fino al giugno dell' anno successivo. Da oltre un anno gli investigatori intercettavano gli indagati. Ventisette gli esami che sarebbero stati truccati. Un supermarket del le materie. Con prezzi che oscillavano dai mille e 500 ai tremila curo, in base alla difficoltà dell'esame da acquistare. 1 ragazzi si rivolgevano agli impiegati che potevano contare sui ricercatori pronti ad assicurare la promozione a quanti avessero pagato. L'operazione battezzata «Minerva». in omaggio alla statua di fronte al Rettorato, portò anche alla perquisizione di uffici e abitazioni di docenti. impiegati e studenti a Subiaco (Roma). Belvedere Marittimo (Cosenza), Gaeta (Latina) e Rieti. Gli investigatori trovarono anche un timbro dell'Università e materiale che sarebbe stato utilizzato per falsificare statini e documenti. E intanto il ministero rende noto di avere già dato mandato all'avvocatura dello Stato perché si costituisca parte civile «a difesa dell'immagine dell'Università e della serietà degli studi universitari». ____________________________________________________ Corriere della Sera 26 mar. ’08 IL MERCATO NON SALVERÀ LA TERRA Giovanni Sartori: le teorie degli economisti sono vane dinanzi ai rischi demografici e ambientali di GIOVANNI SARTORI Qual è il rapporto tra democrazia e sviluppo economico? Nel secondo dopoguerra ha trionfato la dottrina economicistica che sostiene che per trasformare i regimi autocratici in democrazie occorre una crescita di benessere, e che il benessere porta automaticamente con sé la democrazia. Insomma, la democrazia dipende dai soldi e nasce con i soldi. È proprio così? Direi di no. Cominciamo con il rapporto tra democrazia e mercato. È ormai assodato che una democrazia senza sistema di mercato è poco vitale. Ma non è vero il contrario. Un'economia di mercato può esistere e fiorire senza democrazia, o precedendo la democrazia: vedi Singapore, Taiwan, Corea del Sud, Cina. Altro quesito: se la democrazia produca benessere. Sì, ma anche no. L'America Latina è stata impoverita anche dalla democrazia, perché la democrazia induce o può indurre a consumare più di quello che si produce o si guadagna. E le «democrazie in deficit» sono state e continuano a essere frequenti. Guardiamo allora all'aspetto nuovo del problema, al rapporto tra democrazia e sviluppo. Finora si è argomentato, per un verso, che il benessere promuove la democrazia e, dall'altro, che il denaro la corrompe e la compra. Ma finora il rapporto tra Stato e mercato vedeva uno Stato che variamente regolava e interferiva nel mercato. Ma recentemente, con la globalizzazione, si è creato lo «sviluppismo», una dinamica, un vortice che nessuno (neanche gli Stati) riesce a disciplinare né a frenare, uno svilupparsi a ogni costo, il più presto possibile, alla maggiore velocità possibile. È bene che sia così? Sarebbe un bene se vivessimo in un pianeta sottopopolato e, diciamo, dieci volte più grande del nostro con risorse praticamente integre. Il guaio è che il nostro è un pianetino disperatamente sovrappopolato, nel quale la crescita non può essere illimitata, e che da qualche decennio è entrato nel vortice di uno «sviluppo non sostenibile», tale perché consuma più risorse di quante ne produca, e che attinge a risorse in via di esaurimento. Ma di questo sviluppo non sostenibile il grosso degli economisti non si vuole nemmeno accorgere. Il loro mantra è che a tutti i problemi dello sviluppo infinito e della crescita a gogò provvederà il mercato, quando sarà tempo di provvedere. Ma no, proprio no. Dicevo dello sviluppo non sostenibile, e che questo problema non è affrontato e tanto meno risolto dai meccanismi di mercato. Intanto, mercato e sistema economico non coincidono. Il mercato non contabilizza tantissime cose, per esempio i «beni collettivi», quei beni che nessuno paga e che sono pagati, di regola, dalle tasse. Gli esempi classici sono la polizia, la sicurezza, le strade. Se chiedo l'intervento della polizia, non è che poi ricevo il conto da pagare. Né pago per l'illuminazione stradale. Ma ci sono casi più complicati. Prendiamo gli alberi, una foresta. Sono beni collettivi? Nella misura in cui forniscono il servizio di pulire l'aria, di fornire legno e di proteggere la fertilità del suolo, direi di sì. Ma non per il mercato. Chi abbatte alberi mette in conto soltanto il costo del loro abbattimento. Il costo della distruzione di una foresta va in cavalleria. Lo stesso vale per l'acqua. Quella di superficie che è canalizzata viene di solito fatta pagare, ma l'acqua freatica, l'acqua di falda, no; chi la estrae paga soltanto il costo dell'estrazione. Va bene finché il consumo dell'acqua di falda viene pareggiato dalla sua sostituzione naturale. Ma altrimenti il consumo in eccesso produce un danno collettivo che non viene pagato né contabilizzato. Poi ci sono le cosiddette externalities, gli «effetti esterni». Chi inquina l'acqua o avvelena l'aria con «gas serra» produce danni che il danneggiante non paga e che il mercato non registra. Eppure si tratta di danni colossali, con costi di ripristino e di riparazione — che sicuramente si renderanno necessari — altrettanto colossali. Il succo del discorso è che gli economisti si sono chiusi nel recinto del mercato, e che non avvertono che la crescita e la prosperità economica sono ormai crescite in deficit, pagate, in proporzioni sempre crescenti, da un collasso ecologico su scala planetaria. Un ulteriore limite del mercato è che è lento, che è miope. Non anticipa i tempi, ma al contrario prevede e calcola solo a brevissimo raggio. Quando si dice markets do not clear, si sottintende che i mercati non sbrogliano i problemi in tempo, che affrontano i nuovi problemi quando è troppo tardi. Tra pochi decenni il petrolio diventerà insufficiente. Che cosa dice l'economista? Dice: va bene, quando il petrolio diventerà scarso, il prezzo salirà e renderà competitivi prodotti sostitutivi, per esempio metanolo e biodiesel ricavati da piante zuccherine. Tante grazie! Dal momento in cui il petrolio arriverà, mettiamo, a 150-200 dollari al barile a quando lo potremo sostituire con i biocombustibili passerano 4-5 anni. Dovremo far crescere le piante, costruire le fabbriche, organizzare una rete di distribuzione, adattare le automobili. Che cosa faremo nel frattempo? Nell'affidarsi ai «miracoli» del mercato gli economisti ignorano anche che i biocombustibili non basteranno, anche perché le coltivazioni, diciamo, «petrolifere» si sviluppano a danno dell'agricoltura che produce grano e che ci sfama. Non c'è abbastanza territorio per produrre contemporaneamente piante per la benzina e prodotti alimentari. Siamo saturi, eppure gli economisti non se ne accorgono. Un altro esempio. Non mi sono ancora imbattuto in un economista che affronti davvero il problema della scarsità già grave e sicuramente crescente dell'acqua. Secondo le regole di mercato, per rimediare occorre che l'acqua venga a costare quanto la desalinizzazione del mare. Ma l'agricoltura non potrà mai affrontare questo enorme costo di estrazione e anche di distribuzione. Senza contare che ci manca l'energia (altro problema!) per mettere in moto questo processo. E così la vita stessa di un miliardo e anche più di persone si troverà, in tempi abbastanza brevi, in pericolo. È uno scenario terrificante. Il punto è che il mercato arriva tardi e male per fronteggiare i drammatici cambiamenti in corso, mentre dall'altro lato li accelera e li aggrava, innescando sempre più uno «sviluppismo cieco» destinato all'implosione. La terra è già popolata da sei miliardi e mezzo di persone, e il loro numero è ancora in crescita. Per gli economisti e per i demografi la sovrappopolazione è un problema extraeconomico, che non li riguarda. Addirittura molti di loro sostengono che bisogna essere prolifici perché occorre una forza lavoro crescente, altrimenti l'economia ristagna o diventa difficile pagare le pensioni. Ma questo è un vortice senza fine. Lo sarà ancora di più quando saremo 9-10 miliardi. Nel frattempo una crescita demografica fuori controllo ci sta inesorabilmente portando al disastro climatico e al collasso idrico. Senza che quasi nessuno (inclusi gli economisti) se ne avveda. Il paradosso è che il sistema economico di mercato ha per circa duecento anni promosso la liberaldemocrazia, mentre ora la minaccia con un'accelerazione fuori controllo, la cui implosione può travolgere anche la democrazia che aveva allevato. Un cataclisma climatico e ambientale può affossare, assieme a tutto il resto, anche la città libera. Perché lo sviluppo non sostenibile è anche uno sviluppo inaccettabile, che impone un ritorno a quel passato di carestie e di povertà che ci eravamo lasciati alle spalle. _____________________________________________________ Il Sole24Ore 27 mar. ’08 CHI SCOMMETTE SULL'IT II ritmo della ricerca Come recuperare le spese nell'arco di cinque anni; con un aumento di redditività M eno scommesse, ma di maggior calibro. È questa la conclusione a cui sono arrivati i big dell’hi-tech che si trovano a dover affrontare due pressioni contrapposte: far lievitare i margini di profitto mentre devono investire nelle nuove tecnologie necessarie per alimentare la crescita futura. Hewlett-Packard e Ibm, i due colossi mondiali dell'It per fatturato, hanno entrambe aumentato i loro budget per ricerca e sviluppo di meno dell’1% fanno scorso, mentre i concorrenti di Sun Microsystems hanno limato i loro investimenti di fronte alle pressioni sui grandi systemmaker per focalizzarsi sulle tecnologie in portafoglio dotate del maggior potenziale. Un'analisi del «Financial Times» mostra un trend simile per tutto il settore, con l'unica eccezione di una decina tra i maggiori gruppi Usa. Per molte divisioni R&S delle aziende la pressione per sostenere la crescita delle vendite mantenendo la redditività si è tradotta in una riorganizzazione delle priorità della ricerca. John Kelly, nuovo capo della ricerca di IBM, ha cercato di focalizzare gli sforzi di Big Blue attorno ai mercati a più alto potenziale di crescita sul lungo periodo, puntando su quattro aree, tra cui il cloud computing e i nuovi sistemi per la sicurezza dati. Per il gruppo questa svolta non comporterà tagli di rilievo nelle altre aree della ricerca. Ma Big Blue ha già ristrutturato il budget riducendo gli investimenti nelle aree meno promettenti. L'altra settimana Hp ha alzato il velo sulla riorganizzazione dei suoi Hp Labs, la divisione di ricerca di base, spostando i fondi da 150 piccoli progetti a ao-3o di maggior entità, nel tentativo di rifocalizzare la divisione di ricerca. Come IBM, anche Hp punta su una decina di grandi aree di ricerca, compresi il cloud computinge la sostenibilità. L'obiettivo è di integrare maggiormente il lavoro di frontiera fatto agli Hp Labs con le divisioni business, quelle che rappresentano la maggioranza dei suoi 3,6 miliardi di dollari di spesa in R&S. «Se hai a disposizione risorse limitate, adottare un approccio da "far sbocciare mille fiori" non consente di avere risorse sufficienti per nessuna idea», afferma Prith Banerjee, il direttore degli Hp Labs. Sun Microsystems, la società di software e tecnologie che è stata tra quelle più colpite dalla flessione dei settore all'inizio del decennio, ha mantenuto stabile il suo budget per ricerca. e sviluppo attorno ai due miliardi di dollari per un po' di anni. Poi è stata costretta ad affidare lo sviluppo del suo processore Sparc ai partner di Fujitsu, nell'ambito del tentativo di rifocalizzare le sue strategie sulle tecnologie che riteneva potessero avere maggior potenziale in termini di mercato. Alcuni manager della ricerca hanno messo in guardia: il rallentamento della crescita degli investimenti in Róz5 è stato esagerato dallo spostamento di enfasi verso servizi più redditizi da parte di molte società It. «Sostenere i servizi, dal punto di vista dei costi in ricerca e sviluppo è molto meno dispendioso che non sviluppare hardware», afferma Sophie Vanderbroek, chief technology officer di Xerox. Sul più lungo termine ci potrebbero essere diversi incentivi per le società tecnologiche per non ridurre i loro Budget in R&S anche in momenti di crisi del settore. Secondo una ricerca di Sanfrod C. Bernstein, le aziende che tengono duro e che aumentano i loro investimenti R&S in percentuale sul loro giro d'affari tendono poi a essere remunerate nell'arco di un periodo di cinque anni con un incremento dei margini di redditività e con un aumento delle quotazioni azionari. Almeno stando all'esperienza degli ultimi anni. Il messaggio, secondo Richard Keiser, analista di Bernstein, è: «Il management tende a essere un giudice migliore degli investimenti in R&S che non il mercato». Ora, però, con Wall Street che sta diventando sempre più ansiosa sulle prospettive di una profonda crisi, crescerà inevitabilmente la pressione per iniziare a mettere mano ai tagli. KEVINALLISON RICHARD WATERS Financial Times Microsoft 51,1 7,1 +8,2 IBM 98,8 6,2 +0,8 Intel 38,3 5,8 -2,0 Cisco 34,9 4,5 +10,6 Motorola 36,6 4,4 +7,g Fiewlett-Packard 104,3 3,7 +0,6 Oracle 18,0 2,2 +173 Texas-Instruments 13,8 2,2 -1,8 Gnogle 16,6 2,1 +733 Sun 13,9 2,0 -1,9 _____________________________________________________ Il Sole24Ore 27 mar. ’08 L’ACCADEMIA DEL VALORE Alla ricerca delle aziende creative DI FRANCESCO Morace Future ConceptLab Parlare oggi di innovazione significa dare al design e alla creatività un ruolo che fino a ieri era assunto quasi esclusivamente dalla tecnologia. Gli americani lo chiamano design thinking. L'esperienza estetica –n ella sua espressione più italiana legata al "sentire", al gusto e all'intuizione-permea ormai il consumo in tutto il mondo e riapre i giochi consegnando ci un mercato da ripensare, da ricreare, da ridisegnare. Un mercato in permanente trasformazione in cui il verso è multiplo: architettura, moda, design, grafica, arti visive. In questo percorso il design thinking è quanto di più vicino ci sia all'esperienza rinascimentale di incrocio tra arte, spirito e tecnologia, di cui le invenzioni di Leonardo rimangono l'esempio più elevato. È in questa dimensione che va ripensato anche il senso dell'innovazione. C'è lo spazio per una visione neo- rinascimentale delle professioni e de mercato: un rilancio dei valori umanisti, una rigenerazione della ricerca scientifica e tecnologica intorno a un nucleo forte di valori creativi che arri va dalla tradizione umana e sociale una centralità del design all'italiana - inteso come processo intuitivo produttore di qualità -, la definizione d strategie di lungo termine per il miglioramento della qualità della vita e del suo gusto quotidiano. L'obiettivo diventa quello di porre l'Italia e la sua tradizione rinascimentale al centro di una nuova visione strategica che concilia la qualità dei prodotti, del management e della vita quotidiana, secondo una pratica interdisciplinare, innovativa e umanistica allontanando il fantasma della visione economico-centrica proposta da capitalismo e dalla finanza tipicamente anglosassone che si sta ormai ridimensionando in tutto il "mondo, abbandonando la vecchia logica di una globalizzazione sorda a qualsiasi differenza, che schiaccia il genius loci di popoli e Paesi. La visione del Terzo Rinascimento può rilanciare in questo modo il Senso dell'Italia, il made in Italy, ma anche i giacimenti culturali del Mediterraneo e dell'Europa, e di Paesi e aziende che riconoscono la sua centralità. È probabile che questa visione si dimostri capace di attrarre energie e interesse al di là dei confini italiani o europei, in particolare in quei Paesi che in modo indiretto, attraverso il loro coinvolgimento nel mondo coloniale, rappresentavano le "altre sponde" del Rinascimento. Si tratta di costituire un gruppo di partner con una forte identità e caratteristiche comuni nel mercato (vocazione illuminata e spesso "familiare", forte esportazione in tutto il mondo, alta innovazione di processo e di prodotto, gestione sostenibile delle risorse, forte valore aggiunto nella qualità della vita delle persone) che possano creare attenzione, curiosità, entusiasmo nel loro modo di proporsi al mercato, mettendo a punto strategie comuni nell'affrontare ad esempio i mercati del Bric. Le aziende dovranno inoltre raccontare la loto storia in modo trasparente e documentabile. Proviamo allora a definire gli obiettivi a lungo termine di una visione neo-rinascimentale: focalizzare una visione per il Terzo Millennio che orienti in modo nuovo la globalizzazione economica, definendo la centralità interdisciplinare della creatività, dell'innovazione e della sostenibilità; creare una comunità di operatori eccellenti nel mondo dell'impresa, della cultura, della formazione, della politica, che condividano questa visione e lavorino insieme in questa direzione; ridare al sistema Paese Italia una dignità e un peso che rischia di perdere definitivamente, rilanciando il Senso dell'Italia (dopo il miracolo economico degli anni Sessanta che possiamo considerare il Secondo Rinascimento), inteso come capacità di trasformare le proprie qualità quotidiane in virtù e in valori permanenti; attivare progetti di ricerca e consulenza, con un respiro internazionale e interdisciplinare, che possano circolare rafforzando la visione e i valori del Terzo Rinascimento. Per rispondere a questa sfida è necessario definire un percorso in cui il design avanzato, il made in Italy e la Bottega Rinascimentale dimostrino inaspettati punti di contatto e di vitalità e un potenziale straordinario in termini di nuove metodologie di lavoro. Il Rinascimento ha costruito la sua unicità sulla capacità di giocare la propria intelligenza su diversi livelli e con protagonisti eccellenti (i maestri del Rinascimento) impegnati nell'atto della creazione. La Rete e le nuove comunità di progetto possono assumere oggi un ruolo simile a quello della bottega rinascimentale, creando le condizioni di confronto e di condivisione che in passato esistevano nell'esperienza delle botteghe artigianali o d'arte: per questo ad esempio si parla oggi -in considerazione del grande contributo di internet a questo tipo di progetti-di Rinascimento a.o. Per sostenere questo filone di pensiero è però necessario conoscere e riconoscere un nuovo modello manageriale e imprenditoriale che definisca il nuovo senso dell'innovazione, attraverso il design thinking e il riconoscimento delle qualità italiane. Il nuovo percorso che sarà sempre meno solo tecnologico e sempre più anche culturale, alla ricerca di un nuovo senso dell'innovazione, si baserà sui 5 pilastri che tratteggiano oggi le esperienze fondamentali del Terzo Rinascimento e che molti professionisti e persone cominciano a riconoscere come valori di straordinaria forza evocativa: la nuova percezione, la memoria visionaria; la creatività pubblica, l'emozione sostenibile, il senso del corpo e della bellezza. Analizziamoli insieme. La nuova percezione. Il tema della percezione è ormai chiaramente diventato il più sensibile nello scenario attuale del progetto, sia in termini estetici che di qualità percepita. La percezione riguarda i processi, i materiali, i dettagli, e quindi i nuovi criteri di valutazione dell'esperienza, riconoscendo quel virtuosismo creativo che nel Rinascimento affiancava le virtù cristiane, esprimendosi nella creatività di un Michelangelo o di un Raffaello. Nel nuovo mercato per "consumatori percettivi" bisogna quindi affrontare il tema attraverso interventi sui nuovi linguaggi espressivi, con un design "sensibile" che accompagni le nuove esperienze di consumo. In questa visione rinnovata del made in Italy, Future Concept Lab e Domus Academy stanno organizzando una serie di incontri seminariali per il top management, allo scopo di sensibilizzare la classe dirigente su questi temi e sulla possibilità reale di un Terzo Rinascimento per le loro aziende. La memoria visionaria. La capacità di memoria (umana e tecnologica) , e la vocazione visionaria (personale e collettiva), costituiscono le due direzioni di sviluppo per le estetiche avanzate, e diventano decisive quando si misurano l'una con l'altra. Questi due temi dovranno essere sviluppati e approfonditi nelle aziende in modo nuovo e originale. Il teatro della memoria di Pico della Mirandola e l'utopia di Tommaso Moro costituiscono ancora oggi punti di riferimento imprescindibili per attivare la ricerca. In questa dimensione bisogna affrontare l'esperienza del pensiero della complessità che ha le sue prime espressioni proprio nel Rinascimento e più in particolare l'esperienza progéttuale del design italiano nell'affrontare queste dinamiche di sviluppo. Andrea Branzi nella sua "Introduzione al design italiano" lo spiega molto bene. La creatività pubblica. Il trasferimanto creativo e progettuale della disschi e Palladio per arrivare alla contemporaneità. Bisogna in questo caso affrontare il tema della nuova architettura, e della qualità diffusa e del design degli spazi, In questa dimensione Renzo Piano continua a essere Maestro e punto di riferimento. L'emozione sostenibile. La sostenibilità costituisce oggi il tema di riflessione e sviluppo che maggiormente stimola investimenti economici e psichici. La Silicon Valley si è trasformata in un luogo in cui il Terzo Rinascimento viene guidato dalle qualità ambientali e dalle innovazioni a esso rivolte. La chiave vincente risulta quella della sostenibilità vissuta in termini emozionali e non ideologici, attraverso cui i progetti vengono vissuti come arricchimenti della propria integrità personale. In questa dimensione bisognerà affrontare il tema dell'emozione sostenibile e della coprogettazione. Ezio Manzini e il suo progetto/libro/sito Sustainable.Everyday ne è in Italia e nel mondo un esempio illuminante. Il senso del corpo e della bellezza. Il corpo e la bellezza tornano a cerca re riferimenti nella propria rinnovata ricerca della sezione aura, come ne «La Divina Proportione» di Luca Pacioli. La cura del corpo assomiglia sempre più a una "nuova religione", mentre bellezza e salute rappresentano "la salvezza", come ci racconta Gilles Lipovetsky nel suo illuminante liUro «Una felicità paradossale». Su questi presupposti bisognerà definire un nuovo percorso di senso per le aziende e le comunità locali, un nuovo senso dell'agire, ridefinendo valori e comportamenti. Su questi temi bisognerà trovarsi preparati, sia dentro che fuori le aziende, in termini di design thinking. È per questo che bisognerà in Italia affrontare in modo nuovo il tema del rapporto tra moda, design, cosmetica, così come il rapporto tra territorio e cibo, che Slow Food, Eataly e l'Università dei Gusto di Pollenzo (frazione di Bra) hanno già trattato con tanto successo. Con la stessa sensibilità bisognerà affrontare anche il tema del well-Ueing e delle _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 27 mar. ’08 CAGLIARI: UNIVERSITÀ, LE CATTEDRE DEL TERRORE Da Ingegneria a Medicina, ecco le bocciature record Inchiesta. Alcuni docenti hanno conquistato la fama di spietati: con loro spesso l'esame si trasforma in un incubo Gli studenti stilano il lungo elenco dei professori cattivi. Chi può cerca di sostenere l'esame con docenti meno severi. Prima di sostenere l'esame il professore cattivo si presenta la notte trasformando i sogni in incubi. In altri casi è impossibile cancellare dalla mente il suo nome, anche quando si è diventati stimati professionisti o dirigenti d'azienda. Spesso, quando la laurea e già in tasca, lo si sommerge con i peggiori insulti per poi, dopo qualche anno, rivalutare la sua figura e i suoi insegnamenti, nonostante le pene patite. II docente universitario, quello che, parafrasando le definizioni più colorite, viene descritto dagli studenti come "crudele", "senza pietà", "cattivo", è figura ben conosciuta anche a Cagliari: il suo esame si trasforma in prova da ripetere cinque o S81 volte, dove il numero di bocciature è un multiplo di quello delle promozioni. C'è anche chi si scontra con loro da subito canto da arrivare alla decisione di cambiare facoltà. Il problema alla fine resta sempre lo stesso: professori troppo severi e coi) sbalzi d'umore oppure studenti asini? GIURISPRUDENZA In viale Sant'Ignazio, nel polo giuridico, il nome che fino a qualche anno fa faceva drizzare à capelli era quello di Luigi Concas, docente di Diritto privato. Il suo posto in cima ai pensieri - quelli peggiori - dei ragazzi è stato occupato da diversi docenti: Andrea Pubusa, ordinario di Diritto amministrativo, Angelo Luminoso e Bruno Troisi (Diritto privato), Leonardo Filippi (Diritto processuale penale), Franco Farina (Diritto commerciale), L'accusa principale? All'esame saltano fuori domande su argomenti mai affrontati durante le lezioni. INGEGNERIA. Bocciature record ed esami ripetuti più volte. Anche in ingegneria si trema davanti ad alcuni nomi: Carlo Bernardini (Fisica tecnica), Giuseppe Arca (Geometria), Daniele Giusto (Telecomunicazioni) e .Andrea Paglietti (dipartimento di Ingegneria strutturale). ECONOMIA. Roberto Malavasi, docente di Tecnica bancaria, ha fatto sollevare gli studenti che hanno chiesto di trasformare il suo esame da obbligatorio a facoltativo. Un altro professore molto temuto è Walter Racugno (Statistica). C'è però una via di fuga: la stessa materia è insegnata anche da altri due docenti, i più gettonati dai ragazzi iscritti. MEDICINA. Rispetto al passato la media delle carriere universitarie si é abbassata notevolmente, Ci sono ancora però degli esami tappo come quelli di _ Chirurgia 1 e 2 (Giovanni Paolo Farina e Giuseppe Casula), Farmacologia (Pier Luigi Onali e Walter Fratta) e Medicina interna in odontoiatria (Quirico Mela). LE ALTRE. In Lettere lo scoglio che blocca. o rallenta notevolmente gli studenti resta quello di Latino, con il suo docente, Paolo Cugusi, definito un "grande professionista ma con il cuore di pietra". In Farmacia l'ostacolo principale è Farmacoterapia: l’ex preside, Gaetano Di Chiara, arriva a interrogare anche di notte. In Scienze non piacciono i numeri: Algebra e il suo professore Luigi Cerlienco sono indigesti alla maggior parte degli iscritti. Benedetta Caltagirone (Antropologia culturale) e Maria Pietranilla Penna (Psicologia generale) conquistano il primo gradino del podio in severità nella facoltà di Scienze della formazione mentre in Lingue e letterature straniere non passare una. delle tre parti (scritto, orale e lingua) di lnglese e Spagnolo significa ridare l’ intero esame. _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 27 mar. ’08 MISTRETTA:DALLE SUPERIORI STUDENTI CON MOLTE LACUNE L'Università, così come la società moderna, vive momenti di incomprensione tra generazioni». Pasquale Mistretta nei suoi diciassette anni di rettorato ne ha viste di tutti i colori: professori che umiliano gli studenti, esami insuperabili, docenti severissimi. «1 nomi? 1î-oppi per essere ricordati tutti», scherza. «Il vantaggio dei professori di un po' di anni fa è che non esisteva Internet e tutto restava chiuso nelle aule d'Università». Il problema degli esami "blocca carriera" è uno dei primi nell'agenda del rettore. «Le statistiche», ricorda Mistretta, «si trasformano in finanziamenti ministeriali. Noi abbiamo fatto una scelta precisa: niente numero chiuso e tasse universitarie basse. Aumenta la quantità e di conseguenza la qualità diminuisce. Altri Atenei da tempo hanno adottata un'altra politica: Pochi iscritti, i migliori. Così la qualità aumenta. E anche i soldi». Tra le criticità c'è quella della scarsa preparazione delle matricole: «Chi si iscrive al primo anno», sottolinea il rettore, «si porta dietro un pesante debito formativo dalle scuole superiori che non si azzera in uno 0 due anni. Per questo stiamo investendo ingènti risorse per aiutare le matricole a superare l'impatto can il sistema universitario». (m. u) _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 27 mar. ’08 L'ALLIEVO IMPREPARATO CAUSA DANNI IRREPARABILI La linea dura ha un unico scopo: preparare nel modo migliore chi entra nel mondo del lavoro I professori della lista nera replicano alle accuse mosse dai ragazzi «Bisogna impedire che gli asini,. una volta entrati nel mondo del lavoro, provochino danni permanenti». È questa la logica seguita dal docente severo, che non tollera il lassismo di molti professori. Secondo Andrea Pubusa, docente di Diritto amministrativo della Facoltà di Giurisprudenza, l'università sta attraversando mi memento di grave crisi perchè «è strutturata in modo tale da, fornire una preparazione inadeguata». Ovvero, non sono i professori esigenti a seminare il terrore e compromettere la serenità degli allievi bensì quelli amorevoli a rovinare il sistema universitario. Ecco un esempio pratico, secondo Pubusa: «Ci si lamenta spesso che l’amministrazione pubblica non funziona ma non si riflette sul fatto che mi laureato impreparato, magari grazie a un appoggio, riesca trovare un posto e ottenere uno stipendio per tutta la vita senza meritarselo». L'esito di questa selezione, va da sé, è che «molti neppure si presentano all'esame. Ma tra quelli che lo affrontano, a superare la prova sono largamente più della metà». Inutili, poi, le proteste e la ricerca di comprensione, che non servono certo ad addolcire il nemico: «Certo, sono molti quelli che vengono a lamentarsi o a espormi i loro problemi. ma io non sono un curatore d'anime». Questo non significa che il 30, magari accompagnato dalla lode, sia un voto assente nei libretti firmati dai docenti che rientrano nella lista nera stilata dagli studenti: «In ogni sessione capita di assegnarne più di uno. Tendenzialmente, comunque, non mi piace mettere voti bassi». Non sempre, inoltre, è valida la netta suddivisione tra. ragazzi che superano l'esame e adorano il docente e quelli che invece si bloccano e odieranno per tutta la vita quello che considerano il responsabile di un abbandono forzato. Esistono infatti una via di mezzo e una consolazione anche per chi non supererà mai le Forche Caudine: «Uno studente, che diversi anni fa ha sostenuto l'esame nove volte, è diventato un mio caro amico». A furia di vedersi così spesso, l'ex studente ha scelto la via dell'amicizia. Pretende una preparazione adeguata anche Gaetano Di Chiara, che insegna Farmacoterapia nella facoltà di Farmacia: «Uno studente deve essere abbastanza preparato da prendere almeno 24. Si tratta di una materia fondamentale, che insegna cosa sono e a che servono i farmaci e che è da considerarsi il coronamento di tutto il corso». Ci sono anche temi. particolari su cui il docente non transige. Una domanda frequente che, se non viene seguita al volo da una risposta chiara, corrisponde a una bocciatura certa, ad esempio, è: «Qual è il trattamento farmacologico della tossicodipendenza da eroina? Alcuni rispondono, altri no. Ma chi non conosce determinati argomenti non può assolutamente laurearsi in farmacia». In ogni caso non «mi capita quasi mai di ricevere lamentele. Ai ragazzi spiego che non sono ancora abbastanza maturi, loro capiscono e si preparano meglio. Senza rancore» MARIANGELA LAMPIS _____________________________________________________ TST 26 mar. ’08 GLI ULTIMI MOHICANI DELL'ATOMO TRICOLORE Energia. Per la prima volta non ci sono italiani tra i nuovi iscritti al dipartimento del XIVI '4 _Nel Belpaese troppe campaj~£ne di disinformazione il solare non sostituirà. il nucleare" RICCARDO LATTANZI MASSACHUSETTS INSTITUTE OFTECHNOLOGY-BOSTON Ogni anno migliaia di laureati lasciano l'Italia per andare a specializzarsi all'estero. Tra questi, un piccolo gruppo parte con il biglietto di sola andata. Sono gli ingegneri nucleari, una specie in via di estinzione nelle università italiane, dove il loro corso di laurea sta ormai scomparendo. Per anni molti di loro hanno popolato i laboratori del MIT, il Massachusetts Institute of Technology, occupandosi delle problematiche legate alla progettazione di reattori, ma il prosciugamento del bacino italiano potrebbe mettere fine a questa tradizione. Quest'anno, per la prima volta dopo tanto tempo, non ci sono studenti italiani tra i nuovi ammessi al dipartimento di «Nuclear Science and Engineering» e, se il tanto auspicato ritorno al nucleare non ci sarà, oggi al MIT potrebbero esserci gli «ultimi dei Mohicani» di una disciplina in cui l'Italia imo a pochi anni fa era leader. In mezzo a tanti cervelli espatriati, che si lamentano perché respinti dal loro Paese, chi sono e cosa fanno gli ingegneri nucleari, loro che di rientrare non hanno mai avuto neanche la speranza? Poche chances Paolo Ferroni, della provincia di Belluno, è arrivato tre anni fa al MIT dal Politecnico di Torino e si occupa di combustibili idruri per reattori ad acqua leggera. «Scelsi ingegneria nucleare consapevole che in Italia c'erano poche possibilità, ma l'argomento mi interessava e l'eventualità di trasferirsi all'estero nella mia famiglia è sempre stata vista come un'opportunità, più che come un rischio - racconta Paolo -. Poi una laurea in ingegneria, indipendentemente dall'indirizzo scelto, offrirebbe tanti sbocchi lavorativi nel nostro Paese, se uno volesse tornare». Riciclaggio di un ingegnere nucleare. Certo che le due cose insieme sarebbero un bel paradosso per quelli che sostengono che con energie rinnovabili e risparmio energetico si può evitare il nucleare! Una convinzione questa sempre più diffusa, ma forse non troppo realistica. «Le cosiddette energie alternative sono un'opzione, ma da sole non bastano - spiega Luisa Chiesa, scienziata di Albano Sant'Alessandro, paese nel Bergamasco L'energia utile, che arriva dal Sole sulla Terra, è in media di 2.500 kilowattora per metro quadro all'anno e, se riuscissimo a trasformarla tutta in energia elettrica, a ogni italiano basterebbero circa quattro metri quadrati di pannelli solari per provvedere al proprio fabbisogno. L'efficienza, però, oggi non supera il 15% e quindi in realtà ne servirebbero quasi 30 e poi, quello elettrico, non sarebbe che poco più di un decimo del consumo energetico pro-capite in Italia». Tutto ciò senza tenere conto del costo energetico per la produzione industriale dei pannelli solari o di quello per il trasporto dell'elettricità dalle località con il clima e gli spazi adatti a produrla, fino alle città. Questo dimostra che oggi non si può razionalmente pensare di abbandonare le fonti di energia tradizionale. MATERIALI SUPERCONDUTTORI Luisa è da sempre favorevole alle energie rinnovabili e ha anche frequentato diversi corsi al MIT sul l'argomento, ma per la sua tesi di dottorato ha scelto di studiare i materiali superconduttori, che un giorno permetteranno la costruzione dei reattori a fusione nucleare. Secondo lei, «la soluzione del problema energetico è nella combinazione ottimale delle varie tecnologie disponibili» e ne sono convinti anche alla «National Academy of Engineering», tanto che, tra le grandi sfide dell'ingegneria per il XXI secolo, presentate poche settimane fa a Boston, compaiono la capacità di rendere l'energia solare più conveniente e allo stesso tempo lo sfruttamento della fusione nucleare a fini energetici. Lungo i corridoi del MIT, poi, si incontra anche chi, come Antonio Damato, le sue conoscenze ha già iniziato a riciclarle. Milanese, al quinto anno di dottorato, si è laureato al politecnico della sua città con una tesi sui combustibili per reattori nucleari. Arrivato a Boston, ha però deciso di applicare la sua preparazione di ingegnere al campo della medicina. Insieme con il suo professore sta costruendo un nuovo tipo di mammografo, che combina l'analisi della rifrazione dei raggi-X da parte dei tessuti a quella tradizionale del loro assorbimento, permettendo di ottenere una risoluzione maggiore e diagnosticare tumori sempre più piccoli. «E' la qualità dell'insegnamento ricevuto al politecnico che mi permette tanta versatilità - dice Antonio, che dopo questa esperienza al MIT vorrebbe cambiare ancora -. Mi piacerebbe lavorare in finanza e creare modelli matematici per le banche di investimento». Anche lui è un convinto sostenitore del ritorno al nucleare, ma da diversi anni ha ormai rinunciato a darsi una spiegazione sulle scelte italiane. SLOGAN IRRAZIONALI Troppo spesso in Italia le questioni importanti vengono affrontate a suon di slogan, con campagne di disinformazione che finiscono con l'influenzare i processi decisionali. «La democrazia funziona soltanto se la popolazione è messa in condizione di fare scelte razionali - dice Ferroni -. Per valutare i pro e i contro del nucleare, bisognerebbe confrontare un reattore da 1000 Megawatt, che fornisce elettricità ad 800 mila abitazioni, con un impianto a energia solare della stessa potenza, invece di raccontare che qualche pannello solare sui tetti delle case risolverebbe tutti i problemi». Sono in molti a sostenere che solo costruendo centrali nucleari l'Italia possa salvarsi dal baratro energetico. Per farlo, ci vorrebbero almeno 10 anni di investimenti e tanto capitale umano dall'estero, visto che ormai nel nostro Paese gli ingegneri nucleari si contano sulla dita di una mano. Penso che sarebbe ora di presentare un biglietto di ritorno a tutti i nostri Paolo, Luisa, Antonio. _____________________________________________________ Il Sole24Ore 27 mar. ’08 LA MATEMATICA DELLE OTTAVE DI MICK HAMER Una delle star dell'incontro della Mathematical Association of America l'anno scorso era Robert Schneider, chitarrista del gruppo indie The Apples in Stereo. I delegati hanno ascoltato una canzone dell'ultimo album, New Magnetic Wonder. Fin dalle prime note la musica sembra strana, quasi spaventosa, un po' come un disco suonato al contrario. La sua qualità eterea è in parte frutto del sintetizzatore da parte di Schneider al posto degli strumenti musicali convenzionali. Ma c'è anche una ragione più profonda per quello strano suono: utilizza una scala musicale inedita in cui gli intervalli tra le note sono basati su logaritmi. Nonostante l'impatto iniziale, più la si ascolta, più la melodia diventa piacevole. «Quando ascoltiamo funzioni matematiche con le nostre orecchie, le chiamiamo suoni -spiega Schneider-. Quando la matematica assume forme particolarmente eleganti e ordinate, la chiamiamo musica». Schneidernon è il primo musicista che inventa una scala musicale e antiche culture musicali, come le orchestre gamelan di Bali e Giava, usano le scale in maniera molto differente rispetto agli standard occidentali. Anche quelle utilizzate dai compositori europei medievali sono ben diverse da quelle cui siamo abituati. Il che solleva la questione se la nostra preferenza per una melodia dipenda dall'abitudine o da qualcosa di innato. Le tesi contrapposte si sono confrontate per decenni per stabilire se la musica sia qualcosa di naturale o frutto dell'educazione. Ora inizia a emergere qualche certezza. Sia per le melodie che per le scale musicali su cui sono basate è questione di differenze di frequenze - ciò che i musicisti chiamano "intervalli" - tra le note. Ascoltate coppie di frequenze scelte a caso e suonate simultaneamente e scoprirete che alcune sono piacevoli, altre risultano stridenti. Quello che a noi importa è il rapporto tra le frequenze: noi tendiamo a preferire quelle che hanno un rapporto semplice, come 2:1, 3:2 e simili.. Quando una nota ha la frequenza doppia rispetto a un'altra - un intervallo di un'ottava - le due insieme non solo suonano gradevoli, ma sembrano quasi la stessa nota. Non solo percepiamo la stessa nota per il do centrale (di solito 261,6 hertz) e la nota posizionata un'ottava sopra (532,2 hertz), ma le chiamiamo entrambi do. Dare lo stesso nome a note separate da un'ottava non è solo una convenzione europea: «È così in tutte le culture che usano nomi per le note», spiega Martin Braun, ricercatore nell'ambito delle neuroscienze applicate alla musica a Karlstad. Qui si esauriscono però le analogie. Gran parte della musica occidentale è basata su una scala in cui le ottave sono divise in dodici note chiamate seminote, ognuna che differisce dall'altra per la radice alla i2ima di 2. Alcune culture utilizzano un sistema diverso. A Giava e Bali, per esempio, ci sono due scale diverse, una che divide l'ottava in cinque ulteriori note divise in maniera non uguale, e l'altra divisa in sette note, non spaziate allo stesso modo. Le orchestre gamelan utilizzano entrambe le scale. Nella scala logaritmica di Schneider le note successive si fanno sempre più vicine e il numero dei singoli toni per ottava aumenta in maniera quasi esponenziale nelle ottave successive. Appare quindi più adatta per la musica elettronica. Per suonarla su un piano sarebbe infatti necessaria una tastiera praticamente infinita, suonata da un pianista dotato di braccia smisurate. Ma suonalo stesso melodiosa. Sembrerebbe così che si possa perdere tempo con le scale musicali, é che il modo di percepire la musica che ne deriva dipenda almeno in parte da quello cui gli ascoltatori sono abituati. Ma quando si arriva alle ottave, le cose diventano meno flessibili. C'è una ragione fisica che spiega questo. Una corda accordata in do centrale non solo vibra a 261,6 hertz; ma anche sulla base di multipli della frequenza di base, noti anche come armonici. In effetti tutti gli strumenti producono uno spettro di suoni simile. Questo potrebbe spiegare il motivo per cui le scimmie rhesus, che hanno un orecchio scarsamente musicale, riescono comunque a riconoscere semplici melodie imparate se sono spostate in su o in giù di un'ottava o due, ma non ci riescono se le melodie sono spostate di mezza ottava. Braun interpreta questo come un indizio che il nostro cervello non è molto tarato per distinguere le ottave, e la sua stessa ricerca dimostra che il cervello umano riconosce ottave anche quando la percezione delle tonalità è compromessa. In base al suo studio, Braun ha sfruttato il contributo di una pianista in grado di identificare l'altezza di qualsiasi nota singola, e il ricorso a un antidepressivo come il carbamazepine, cori il curioso effetto collaterale di abbassare la sua percezione dell'altezza di circa un semitono e di distorcerne la percezione degli intervalli musicali. Anche con il farmaco non aveva alcun problema a riconoscere gli intervalli di ottava. Braun sostiene che questo dimostra che due note separate da una o più ottave hanno lo stesso percorso neurologico, attivando un set di neuroni all'interno della regione del cervello nota come talamo uditivo. Quindi; mentre la capacità di riconoscere le ottave sembra essere innata, noi impariamo altri intervalli musicali praticamente nello stesso modo in cui i bambini imparano le lingue. C'è qualcosa di liberatorio nello scoprire che il nostro modo di apprezzare la musica ha a che fare sia con la natura che con l'educazione, che è in parte innata e in parte no. Significa che con il passare degli anni possiamo imparare ad apprezzare suoni che prima trovavamo offensivi. E spiega anche allo stesso tempo quel lungo elenco di musicisti che una volta venivano considerati avanguardia e oggi sono inseriti tra i classici. © 2008 New Scientist Magazine, Reed Business Information Ltd. All rights reserved. Distributed by Tribune Media Services International La matematica delle ottave Perché una melodia suona gradevole alle nostre orecchie? Dipende anche dai logaritmi _____________________________________________________ Il Sole24Ore 27 mar. ’08 UNA FOTO TRASFORMA IL VINILE IN DIGITALE DI FEDERICO CAPITONI Il processo che dall'analogico ci porta al digitale non è più un mistero per nessuno, né risulta ormai difficile farsene un'idea. Ci è familiare soprattutto per quanto riguarda la musica. Più curioso, anche se fisicamente scontato, è il fatto che dall'immagine di un supporto musicale possa ricavarsene il suo contenuto sonoro. È in pieno sviluppo da qualche anno un progetto, ideato da Stefano Cavaglieri e avviato in Svizzera in partnership con la Scuola di Architettura e ingegneria di Friburgo, chiamato Visual Audio. Una trovata che consente di ricostruire esattamente il suono di un disco, in vinile o in gommalacca, a partire dalla fotografia dei solchi. Del resto basterebbe ricordarsi il nome della prima macchina in grado di registrare suoni, il Phonoautograph. Ogni intervento sonoro lascia un segno, e questo segno è sempre diverso. Quindi anche la forma del solco corrisponde a una particolare forma d'onda, e se la normale puntina del giradischi non può leggerla per i motivi più disparati, interviene la fotografia; l'immagine, un'altra categoria di rilevazione che apparentemente sembra non avere nulla in comune con il suono. «È proprio nei casi critici - spiega Cavaglieri - che questo processo è utile. Capita di dover fare i conti con dischi non più utilizzabili, spaccati, o con la lacca screpolata». In questo caso infatti là puntina salterebbe in continuazione non potendo leggere con continuità l'informazione contenuta nel solco, e fino a poco tempo fa di fronte a un problema del genere ci si sarebbe arresi. Il funzionamento di Visual Audio è disarmante nella sua semplicità. Si scatta una fotografia ad altissima risoluzione dell'intero disco su negativi di 30 x 30 cm: «Un foglio di pellicola cosi grande non sarebbe supportato da uno scatto in digitale - puntualizza Cavaglieri -, in più queste dimensioni, praticamente pari al diametro del disco, permettono di evitare le riduzioni». La pellicola viene poi messa su un piatto che ruota a una velocità che solitamente a un decimo dei 78 giri e uno scanner centripeto legge gli anelli di una decina di solchi. Dopo di che il compito è tutto del software che riconosce la forma del solco e ne ricava quindi fonda sonora attraverso algoritmi appositi. Il passaggio è quindi dall'analogico più puro al digitale più sofisticato. Il software in questione viene sottoposto a continui aggiornamenti e nell'ultima versione è possibile persino far combaciare nuovamente i solchi sfalsati dei dischi in origine spezzati. E, soprattutto, funziona. Sul sito della fonoteca svizzera (www.fonoteca.ch) vi sono moltissimi esempi sonori di materiali d'archivio, vittime di funghi, graffi o crepe, ai quali viene restituita vita sonora. Visual Audio è una magnifica e innovativa impresa di recupero, basata - come spesso accade su un principio scientifico basilare è intuitivo. Un ripristino reso possibile certamente da una tecnologia digitale avanzatissima, ma anche da un processo che è analogico per definizione (alla forma del solco corrisponde la forma d'onda). Ma come recupereremo invece le informazioni che i supporti digitali oggi vanno perdendo? Che cosa faremo quando i nostri Cd smarriranno tutti i loro bit? Un flash sui solchi e si recuperano i vecchi dischi _____________________________________________________ IL FOGLIO 26 mar. ’08 GLI SPRECHI DELLO SCIENTISMO Vent'anni fa il dottor Grmek spiegò perché era inutile cercare il vaccino per l’Aids Ricordo benissimo quell'incontro a Parigi con Mirko D. Grmek, il celebre medico e storico della medicina, curatore della "Storia del pensiero medico occidentale". Era la primavera del 1989, ed era uscita da poco la sua "Storia dell'Aids". Ero molto curioso di discutere con lui di quest'opera che costituiva un'applicazione sul campo della sua teoria della "patocenosi", secondo cui si formano stati di equilibrio nell'interazione delle patologie indotte da fattori microbici o virali, i quali vengono perturbati e talvolta rotti dagli interventi della medicina, spesso per ignoranza dei tanti fattori in gioco. Secondo Grmek, l’Aids si era fatto largo nel disequilibrio seguito alla scomparsa del vaiolo dalla scena virale. La cena avvenne all'Ange Gourmand, un piccolo ristorante sulla Rive Gauche, quai de la Tournelle, malto amato dal professore, e che non esiste più. Grmek era uno straordinario conversatore. Dominava perfettamente tante lingue ed era capace di spaziare con inesauribile cultura nei campi più disparati. Dei tanti argomenti discussi voglio qui ricordare quel che mi disse circa la possibilità di realizzare un vaccino per l’Aids. Grmek fu drastico: era un'idea auto contraddittoria, una prospettiva inesistente. Il motivo era semplice: il proposito di vaccinare contro una malattia che attacca il sistema immunitario contraddiceva il concetto stesso di vaccino. Sono saltato sulla sedia leggendo le cronache di questi giorni del colossale flop delle ricerche sul vaccino anti Aids: cinquecento milioni di dollari annui sperperati per vent'anni soltanto negli Usa. Le motivazioni addotte ricalcano testualmente quella di Grmek: stimolare le difese immunitarie producendo cellule deputate ad attaccare il virus significa soltanto ampliare il target prediletto dall'Hiv, il suo "pascolo". E non c'è gran che da aggiungere. A questo punto però occorre fare alcune considerazioni generali. Di fronte all'improntitudine con cui illustri "scienziati" si sbracciano a parlare di "disastro" paragonabile a quello del Challenger e dichiarano desolati di non sapere come preparare un vaccino efficace, occorre chiedersi come si è potuto manipolare per vent'anni senza porsi uno straccio di domanda teorica. E a chi insorge indignato quando si critica l’andazzo da "bricolage" della ricerca contemporanea va chiesto: cosa ha a che fare un modo di procedere del genere con la scienza? Qui la funzione della scienza teorica come controllo e guida delle applicazioni è completamente dismessa. Forse ha ragione Jean-Mare Lé~y-Leblond: la possibilità di fare ricerca a un livello teorico fondamentale è sempre più illusoria e si sta sgretolando irreparabilmente "il connubio, dopotutto piuttosto sorprendente e storicamente molto particolare, tra speculazione e azioni. che ha caratterizzato la scienza occidentale per due secoli". E' una conclusione molto pessimistica, ma vicende come queste purtroppo la avvalorano. Difatti, siamo di fronte a un modo di procedere che evoca quello dell'alchimista medioevale piuttosto che quello dello scienziato moderno. Con una cruciale differenza: le implicazioni economiche delle attività degli alchimisti medioevali erano irrilevanti, mentre i bricolage tecnoscientifici alimentano un giro vertiginoso di quattrini, di fronte al quale la dottrina e la saggezza di un Grmek vengono spazzate come fuscelli al vento. Un'ultima considerazione che meriterebbe un'analisi approfondita. Grmek ci ha ricordato - con la sua teoria sulla patocenosi - che la scienza teorica mostra la necessità di maneggiare con estrema attenzione processi complessi di cui non conosciamo la dinamica profonda e di cui non sappiamo prevedere gli sviluppi provocati dai nostri interventi. Parliamo molto di "complessità" ma non siamo in grado di districarci nei suoi meandri. Questo stato di cose vale in tutti i contesti. Si è invece prodotta un'assurda divisione di fronte: proscrivere la manipolazione della genetica umana è "di destra", mentre proscrivere la produzione di Ogni è "di sinistra"; chi si straccia le vesti di fronte agli Ogni accetta allegramente di manipolare embrioni, mentre sul fronte opposto si proclama a priori l'assoluta innocuità degli Ogni. Per chi aderisce a una visione umanistica, la manipolazione della genetica umana pone problemi morali che non esistano nel caso degli organismi vegetali. Ma, dal punto di vista strettamente scientifico, la situazione è identica e sarebbe ora di smetterla di farne una questione ideologica. In entrambi i casi emerge - questione morale a parte, lo ripetiamo - la nostra scarsissima conoscenza delle implicazioni delle nostre manipolazioni e lo scarsissimo interesse ad approfondirle. Chi volesse negarlo dovrebbe riflettere prima con serietà e modestia sulla vicenda del vaccino dell'Aids. Giorgio Israel _____________________________________________________ Corriere della Sera 25 mar. ’08 CHICCO TESTA: IL NUCLEARE? E' VERDE Il dibattito Esce il libro dell'ex leader ambientalista divenuto banchiere «Fui contro il referendum, ma frena l'effetto-serra» Per l'ex manager di Enel e Acca, il consumo di energia salirà ma le fonti alternative non riescono a rispondere alla domanda MILANO - Quale rischio è maggiore: quello rappresentato dall'energia nucleare o quello provocato dall'effetto serra? E chi è più ambientalista? Chi sostiene che il nucleare è un'opzione che andrebbe quanto meno presa in considerazione o chi rifiuta l'energia senza C02 prodotta con l'atomo, e si condanna così a utilizzare fonti fossili tradizionali? 5e il «pentitismo» fosse una questione di logica, e non avesse i connotati del conflitto ideologico, il passo compiuto da Chicco Testa si presterebbe al dibattito e alla forza delle argomentazioni. Ma messo nero su bianco il «ritorno al nucleare» difeso dall'ex presidente dell’Enel rischia di alimentare le polemiche. Perché prima di approdare all’Enel ~e prima ancora all’Acea, e dopo 1 Ene1 alla banca d'affari britannica Rothschild) Testa è stato anche presidente di Legambiente, e deputato del Pci. E uno dei promotori del «no» italiano all’energia nucleare sancito con i tre referendum del 1987. Ma se si ammette che i tempi e le condizioni siano cambiati, e che ci si è sbagliati, «almeno in parte» - come fa Testa nel suo nuovo libro «Tornare al nucleare?» - il tema diventa di stretta attualità, ai di là di possibili usi strumentali a fini elettoralistici. In sintesi la domanda è: sarebbe conveniente per l'Italia riprendere la strada del nucleare? Questione complessa, non c'è dubbio, ma anche un lettore «frettoloso» dovrà prendere atto, sostiene Testa, che alcune cose non sono più le stesse di vent'anni fa. Rispetto ad allora il mondo ha bisogno di più energia, anzi «di tanta energia» perché sulla scena sono arrivate le economie in transizione, Cina, India e Russia su tutte, che hanno pieno diritto di godere di sviluppo e benessere paragonabili a quelli occidentali. Secondo l’International energy agency di qui al 2030 la richiesta di energia mondiale sarà superiore del 5o% a quella attuale, e tre quarti dell'incremento sarà imputabile ai paesi in via di sviluppo. E allora: si può rinunciare impunemente a una fonte di energia che già contribuisce al 7% dei " consumi energetici del pianeta? E ancora: là promessa tecnologica di un mondo che possa fare a meno delle fonti fossili, cioè di petrolio, gas e carbone, finora si è mostrata deludente. Le fonti rinnovabili sono rimaste discontinue e quantitativamente modeste. Non sono cioè diventate veramente «alternative», e almeno per il prossimo mezzo secolo l'energia dell'Europa e dell'Italia si produrrà soprattutto per combustione. Con tassi di dipendenza assai elevati: L’80% per la prima e addirittura il 90% per la seconda. Si può quindi rinunciare a una fonte «non fossile» capace di assicurare produzione continua e di rilevante quantità? Terzo ma non ultimo, f«effetto serra». Se come sostengono gli ambientalisti più accesi siamo alle soglie o addirittura in mezzo a una catastrofe, ci si può per mettere il lusso di rinunciare all'unica fonte energetica che non emette gas serra? Certo, rimarrebbero altri problemi, primo tra tutti quello delle scorie, ma lo stato attuale della tecnologia è in grado di contenerli, di affrontarli con efficienza in attesa di condurli a una soluzione definitiva. E allora qual è il problema, se anche un sondaggio effettuato di recente dal Financial Times ha stimato nel 58% la quota degli italiani che sarebbe favorevole alla costruzione di centrali. Un'«agenda minima» nazionale per i prossimi 3-5 anni - è la proposta di Testa - potrebbe prefiggersi fini ben precisi: indicare un sito per lo stoccaggio, ricostruire l'autorità di controllo, scegliere la tecnologia e individuare i luoghi per 4-6 centrali. Ma «il problema non è il nucleare, il problema è l'Italia», è la conclusione di Testa. Della sua incapacità decisionale e del provincialismo delle sue élite, quella politica prima di tutte. Ecco perché «Tornare al nucleare?» ha il punto di domanda. Ed ecco perché la risposta non è scontata. Stefano Agnoli ======================================================= ________________________________________________ Il Sole 24 Ore 27 mar. ’08 SANITÀ, DECISIONI IN STAND BY Conferenza Stato-Regioni. Rinviate le scelte su interruzione di gravidanza, Lea e piano vaccini Determinanti i dubbi sull'impatto economico delle misure L'IMPASSE Per impedire il rinvio dei provvedimenti al prossimo Governo diventa decisivo l'intervento dell'Economia Paolo Del Bufalo Barbara Gobbi ROMA Livelli essenziali di assistenza, piano vaccini e linee guida per l'applicazione della legge 194/1978 sull'interruzione volontaria di gravidanza: nulla di fatto ieri in Conferenza Stato Regioni. A parte il protocollo per l'applicazione della 194 (si veda l'articolo in questa pagina), infatti, i due provvedimenti sono rimasti congelati per la mancanza delle necessarie verifiche sulle compatibilità economiche, col rischio che se il parere dell'Economia non arriverà in fretta tutto sia rinviato al prossimo Governo. Per i livelli essenziali (Lea) - il vademecum di tutte le prestazioni erogabili da parte del Ssn - dovrebbe bastare il via libera dell'Economia perché sia firmato il Dpcm che li renderà operativi. «Siamo fiduciosi e sereni - ha commentato Vasco Errani, presidente dei governatori - e confidiamo nel parere positivo». Per i vaccini invece sarà necessario tornare in Stato-Regioni per confermare un'intesa già espressa in linea di massima dai governatori, compatibilità economiche a parte. Sui Lea le Regioni hanno dato l'intesa a condizione che siano recepiti alcuni emendamenti in cui si rinvia l'entrata in vigore dei nuovi Nomenclatori delle protesi e delle prestazioni specialistiche dopo l'approvazione dei relativi tariffari, da concordare in Stato- Regioni. «Entro dieci giorni - ha spiegato il sottosegretario alla Salute, Serafino Zucchelli - gli emendamenti saranno esaminati, ma se l'Economia non troverà la copertura, i nuovi Lea salteranno». E questo nonostante le misure contenute nei Lea prevedano minori spese sui soli costi ospedalieri per circa un miliardo grazie allo spostamento di alcune prestazioni dai ricoveri ordinari al day hospital e di altre dalla day surgery all'ambulatorio (si veda anche «Il Sole-24 Ore» del 21 marzo). Risparmi che, secondo la Salute, sono in grado di coprire eventuali aumenti di spesa in altri settori. Anche l'accordo di massima sui vaccini 2008-2010 incassa la doccia fredda della verifica sulla copertura finanziaria. Il ministero della Salute ha ritirato il piano - ha spiegato ancora Zucchelli - davanti alle perplessità dell'Economia. «Stimiamo - ha detto ieri il coordinatore degli Affari finanziari della Conferenza delle Regioni, il lombardo Romano Colozzi - che il costo vada dai 180 a 280 milioni l'anno». L'entrata in vigore e l'applicazione del piano è quindi rinviata all'intesa sulle risorse, accresciute anche dall'introduzione nel provvedimento di tre nuove profilassi gratuite, oltre alle 9 già esistenti: papillomavirus (Hpv), responsabile della maggior parte dei tumori al collo dell'utero, meningite e pneumococco. Oggi le vaccinazioni obbligatorie per legge e gratuite sono quelle contro difterite, tetano, poliomielite, epatite B, pertosse ed emophilus (la cosiddetta "esavalente"). A esse si sommano quelle contro morbillo, rosolia e parotite, conosciute come vaccino combinato trivalente. Altra novità del Piano vaccini è l'addio esplicito al federalismo vaccinale: d'ora in poi la strategia di profilassi e l'offerta dovranno essere uniformi in tutto il Paese. Oggi la realtà è ben diversa, con differenze non solo tra Regioni ma anche tra aziende sanitarie quanto a disponibilità, copertura e ticket. ==================================================== ________________________________________________ Il Sole 24 Ore 27 mar. ’08 IN OSPEDALE ARRIVANO I CRITERI DI APPROPRIATEZZA Capo V Assistenza ospedaliera Art. 35 x Aree di attività dell'assistenza ospedaliera 1. Il livello dell'assistenza ospedaliera si articola nelle seguenti aree di attività: j) pronto soccorso; k) ricovero ordinario per acuti; l) day surgery; m) day hospital; n) riabilitazione e lungodegenza post acuzie; o) attività trasfusionali; p) attività di trapianto di organi e tessuti. Art. 36 x Pronto soccorso 1. Nell'ambito dell'attività di pronto soccorso, il Servizio sanitario nazionale garantisce l'esecuzione degli interventi diagnostico-terapeutici di urgenza, il primo accertamento diagnostico, clinico, strumentale e di laboratorio e gli interventi necessari alla stabilizzazione del paziente, nonché, quando necessario, il trasporto protetto del paziente. 2. Nelle unità operative di pronto soccorso è assicurata la funzione di triage per la selezione e classificazione dei pazienti in base al tipo e all'urgenza delle loro condizioni al fine di stabilire le priorità di intervento. Il triage si articola nelle seguenti fasi: q) accoglienza; r) raccolta di dati, di eventuale documentazione medica e di informazioni; s) rilevamento dei parametri vitali e registrazione; t) assegnazione del codice di gravità. Art. 37 x Ricovero ordinario per acuti 1. Nell'ambito dell'attività di ricovero ordinario, il Servizio sanitario nazionale garantisce le prestazioni assistenziali ai soggetti che, in presenza di problemi o patologie acute, necessitano di assistenza medicoinfermieristica prolungata nel corso della giornata, osservazione infermieristica per 24 ore e immediata accessibilità alle prestazioni cliniche, farmaceutiche, strumentali e tecnologiche ai fini dell'inquadramento diagnostico, della terapia o di specifici controlli clinici e strumentali. 2. Nell'ambito dell'attività di ricovero ordinario sono altresì garantite le prestazioni assistenziali al neonato sano nonché le prestazioni necessarie e appropriate per la diagnosi precoce delle malattie congenite previste dalla normativa vigente e dalla buona pratica clinica, ivi inclusa la diagnosi precoce della sordità congenita e della cataratta congenita. 3. Il Servizio sanitario nazionale garantisce le procedure analgesiche nel corso del travaglio e del parto vaginale nelle strutture individuate dalle Regioni e all'interno di appositi programmi volti a diffondere l'utilizzo delle procedure stesse. Le Regioni adottano adeguate misure per disincentivare il ricorso al parto cesareo in un numero di casi superiore a un valore percentuale/soglia sul totale dei parti, fissato dalle stesse Regioni. 4. Gli interventi di chirurgia estetica sono garantiti dal Servizio sanitario nazionale solo in conseguenza di incidenti, malattie o malformazioni congenite. Art. 38 x Criteri di appropriatezza del ricovero ordinario 1. Si definiscono inappropriati i ricoveri ordinari per l'esecuzione di interventi o procedure che possono essere eseguiti in day hospital o in day surgery con identico beneficio per il paziente e con minore impiego di risorse. 2. Le Regioni adottano adeguate misure per disincentivare l'esecuzione in ricovero ordinario dei Drg elencati nell'allegato 6A in numero superiore a un valore percentuale/soglia di ammissibilità, fissato dalle stesse Regioni, sul totale dei ricoveri eseguiti in regime ordinario per ciascun Drg. Art. 39 x Day surgery 1. Nell'ambito delle attività di day surgery il Servizio sanitario nazionale garantisce le prestazioni assistenziali per l'esecuzione programmata di interventi chirurgici o di procedure invasive che, per complessità di esecuzione, durata dell'intervento, rischi di complicazioni e condizioni sociali e logistiche del paziente e dei suoi accompagnatori, sono eseguibili in sicurezza nell'arco della giornata, senza necessità di osservazione post-operatoria prolungata e, comunque, senza osservazione notturna. Oltre all'intervento chirurgico o alla procedura invasiva sono garantite le prestazioni propedeutiche e successive, l'assistenza medico-infermieristica e la sorveglianza infermieristica fino alla dimissione. (continua a pag. 11) Art. 40 x Criteri di appropriatezza del day surgery 1. Si definiscono inappropriati i ricoveri in day surgery per l'esecuzione di interventi o procedure che possono essere eseguiti in regime ambulatoriale con identico beneficio per il paziente e con minore impiego di risorse. 2. Le Regioni adottano adeguate misure per disincentivare l'esecuzione in day surgery degli interventi chirurgici elencati nell'allegato 6B in numero superiore ad un valore percentuale/soglia di ammissibilità, fissato dalle stesse Regioni, sul totale degli interventi eseguiti nei diversi regimi di erogazione. Art. 41 x Day hospital 1. Nell'ambito delle attività di day hospital medico il Servizio sanitario nazionale garantisce le prestazioni assistenziali programmate, appartenenti a branche specialistiche diverse, volte ad affrontare patologie o problemi acuti che richiedono inquadramento diagnostico, terapia, accertamen- ti clinici, diagnostici o strumentali, nonché assistenza medico-infermieristica prolungata, non eseguibili in ambulatorio. L'attività di day hospital si articola in uno o più accessi di durata limitata a una sola parte della giornata, senza necessità di pernottamento. Art. 42 x Criteri di appropriatezza del ricovero in day hospital 1. I ricoveri in day hospital per finalità diagnostiche sono da considerarsi appropriati nei seguenti casi: a) esami strumentali in pazienti a rischio che richiedono un'osservazione per più di 1 ora dopo l'esecuzione dell'esame; b) esami che prevedono somministrazione di farmaci, esclusi i mezzi di contrasto per esami radiologici, che necessitano di oltre 1 ora di monitoraggio dopo l'esecuzione; c) esami su pazienti che, per particolari condizioni di rischio, richiedono monitoraggio clinico; d) accertamenti diagnostici a pazienti non collaboranti che richiedono un'assistenza dedicata e l'accompagnamento da parte di personale della struttura negli spostamenti all'interno della struttura stessa. 2. I ricoveri in day hospital per finalità terapeutiche sono da considerarsi appropriati nei seguenti casi: a) somministrazione di chemioterapia che richiede particolare monitoraggio clinico; b) somministrazione di terapia per via endovenosa di durata superiore a un'ora ovvero necessità di sorveglianza, monitoraggio clinico e strumentale dopo la somministrazione di durata superiore a un'ora; c) necessità di eseguire esami ematochimici o ulteriori accertamenti diagnostici nelle ore immediatamente successive alla somministrazione della terapia; d) procedure terapeutiche invasive che comportano problemi di sicurezza per il paziente. Art. 43 x Riabilitazione e lungodegenza post-acuzie 1. Il Servizio sanitario naziona- le garantisce, in regime di ricovero ospedaliero, secondo le disposizioni vigenti, alle persone non altrimenti assistibili, le seguenti prestazioni assistenziali nella fase immediatamente successiva a un ricovero ordinario per acuti: a) prestazioni di riabilitazione intensiva diretta al recupero di disabilità importanti, modificabili, che richiedono un elevato impegno diagnostico, medico specialistico a indirizzo riabilitativo e terapeutico, in termini di complessità e/o durata dell'intervento, all'interno di un progetto riabilitativo che definisce le modalità e i tempi di completamento del ciclo riabilitativo. b) prestazioni di lungodegenza postacuzie a persone non autosufficienti affette da patologie a equilibrio instabile e disabilità croniche non stabilizzate o in fase terminale, che hanno bisogno di trattamenti sanitari rilevanti, anche orientati al recupero, e di sorveglianza medica continuativa nelle 24 ore, nonché di assistenza infermieristica non erogabile in forme alternative; c) prestazioni di lungodegenza post-acuzie a soggetti disabili non autosufficienti, a lento recupero, non in grado di partecipare a un programma di riabilitazione intensiva o affetti da grave disabilità richiedenti un alto supporto assistenziale e infermieristico e una tutela medica continuativa nelle 24 ore. Art. 44 x Attività trasfusionali 1. Il Servizio sanitario nazionale garantisce in materia di attività trasfusionale i servizi e le prestazioni individuati dall'art. 5 della legge 21 ottobre 2005, n. 219. 2. Il Servizio sanitario nazionale garantisce altresì la ricerca e il reperimento di cellule staminali emopoietiche presso registri e banche nazionali ed estere. Art. 45 x Attività di trapianto di organi e tessuti 1. Il Servizio sanitario nazionale garantisce l'attività di prelievo, conservazione e distribuzione di organi e tessuti e l'attività di trapianto di organi e tessuti in conformità a quanto previsto dalla legge 1 aprile 1999, n. 91. _____________________________________________ Il Sole 24 Ore 27 mar. ’08 INTRAMOENIA, MEZZA ITALIA IN RITARDO Mariapaola Salmi REGOLAMENTATA (Legge 120, agosto 2007) la libera professione dei medici dentro gli ospedali, le Regioni (non tutte), le provincie autonome e tutte le aziende sanitarie, sono al lavoro per colmare i ritardi. Ma ora, a quasi 10 anni dalla emanazione della Legge 448 del dicembre 1998, che prevedeva che i direttori generali, in attesa di realizzare strutture idonee nelle aziende, reperissero all'esterno spazi per consentire l'attività liberoprofessionale, l'intramoenia "allargata" è al capolinea. I giochi si chiudono il 31 gennaio 2009. «L'intramoenia non sarà più la scorciatoia obbligata per ottenere subito una prestazione che non si riesce ad avere in regime ordinario ma un'ulteriore opportunità offerta dal servizio pubblico. Molte questioni sono da definire però ora abbiamo gli strumenti per dare maggiori garanzie e certezze a cittadini e medici», ha detto il ministro della Salute Livia Turco, a Roma, alla recente presentazione dell'indagine conoscitiva sull'esercizio della libera professione medica intramuraria, promossa dal presidente della Commissione igiene e sanità del Senato, Ignazio Marino. Esercizio che, visti i dati dell'Osservatorio nazionale per la libera professione illustrati da Aldo Ancona, direttore dell'Agenzia dei servizi sanitarì regionali, ha prodotto un aumento del 63% dei ricavi, pari a 1.147.043 euro dal 2001 al 2006. In media la spesa pro-capite è di 23 euro al Nord, 20 al Centro e 7 al Sud. Il 50% delle visite specialistiche. in testa ginecologia, ostetricia, oculistica, chinirgia generale, ortopedia, si effettua in intramoenia: 52.000 (il 37% del totale) i ricoveri sempre nel 2004 in libera professione. Ma emerge un'intramoenia "allargata" fuori controllo: investimenti minimi (11%) rispetto a quanto stanziato nel 1998, mancanza di trasparenza nella gestione, un 95% dei medici in rapporto esclusivo di cui 60% svolge attività intramuraria, solo il 2% degli spazi è separato, mentre i letti dedicati sono il 2,3% contro il 10% della normativa, nel 30% dei casi mancano CUP centralizzato, tariffario, elenco delle prestazioni e dei professionisti. Insomma in molti casi s'improvvisa, con aree inaccessibili come cardiologia e ortopedia. Dopo la "120" le cose vanno meglio: la relazione trimestrale inviata dalla maggior parte delle regioni dice che solo Abruzzo, Molise e Sardegna non hanno ancora presentato i piani aziendali per adeguare gli spazi all'esercizio intramoenia, in media è stato usato il 70% dei finanziamenti per l'adeguamento. Ma se Veneto, Trentino, Toscana, Umbria, Emilia Romagna, Lazio e Basilicata sono virtuose, Sicilia e Calabria nemmeno li hanno richiesti e tacciono sui piani aziendali. «L'intramoenia garantisce la libertà di scegliere il medico, ma ricorrervi non può essere determinato dalle carenze organizzative dell'azienda: a tal fine si dovrà operare uno stretto controllo sul volume dell'attività», ha sottolineato Marino. Le cose forse cambieranno: la "120" indica che i direttori generali inadempienti saranno destituiti dalle Regioni 0 dal ministero della Salute. ==================================================== Il Sole 24 Ore 27 mar. ’08 EFFETTO LEA: RAZIONALIZZAZIONE E APPROPRIATEZZA LIVELLI ESSENZIALI/ In settimana l'intesa Stato-Regioni sul Dpcm che cambia dopo sette anni i Livelli essenziali di assistenza erogati dal Ssn La revisione dei Drg porta minori spese per 1,1 miliardi - Nomenclatori: decidono le Regioni - Vaccini: slitta il Piano Dopo sette anni stanno per arrivare i nuovi Lea. Le Regioni e il Governo hanno raggiunto l'intesa sullo schema di Dpcm predisposto a luglio dello scorso anno dal ministero della Salute e che ha dovuto passare il vaglio scrupolosissimo dei tecnici, tanto che fino all'ultimo tutto è rimasto appeso a un filo. Ora però, per il via libera definitivo, previsto questa settimana (il 26 marzo), è necessario attendere le verifiche dell'Economia sugli emendamenti chiesti all'ultimo momento dalle Regioni. Questi prevedono, in sintesi, che se l'assistito dovesse chiedere un dispositivo protesico di caratteristiche tecniche superiori a quelle descritte nel nomenclatore, la differenza sarà a suo carico e che i principi di erogazione dell'assistenza protesica e le disposizioni per l'assistenza specialistica ambulatoriale, entreranno in vigore al momento dell'approvazione dei decreti relativi alle tariffe per queste prestazioni, che emanerà la Salute di concerto con l'Economia, dopo l'intesa con le Regioni. Come dire: le Regioni danno l'altolà sui nomenclatori che rimarranno congelati fino alla definizione delle tariffe relative a tutte le prestazioni. Uno dei problemi che ha rischiato di far arenare del tutto il Dpcm è stato quello della verifica sulla quantificazione della spesa per i vaccini. Nei Lea, infatti, è richiamato il vaccino per l'Hpv che fa parte del nuovo Piano 2008-2010, ma l'aggiornamento riguarda in realtà solo le prestazioni previste dal Piano 2005-2007 e per il nuovo vaccini si fa solo riferimento alla legge che l'ha previsto (la Finanziaria 2008). Tanto è vero che proprio per la verifica di spesa chiesta dalle Regioni (v. tabella) anche l'approvazione del nuovo Piano vaccini è slittata la scorsa settimana a una prossima Stato- Regioni straordinaria dopo le ulteriori verifiche dell'Economia. Il jackpot dell'ospedale. Un miliardo e 174 milioni tra risparmi e maggiori entrate dall'ospedale. A garantirli sono due azioni. La revisione della lista dei 43 Drg ad alto rischio di inappropriatezza, con l'introduzione di 66 nuovi Drg (in tutto sono 108 perché uno dei vecchi non c'è più) che porta a una minore spesa di 1,1 miliardi. Il calcolo è stato effettuato sulle Sdo 2005 (v. anche pagine 12-13). L'individuazione di un elenco di interventi chirurgici (individuati come "pacchetti di prestazioni") fino a oggi erogabili solo in day surgery che sono destinati al trasferimento in ambulatorio, porterà invece una riduzione dei costi di produzione e un incremento delle entrate da partecipazione alla spesa (ticket sulla specialistica ambulatoriale). In tutto un risparmio di 73 milioni e una maggiore entrata per i ticket sulla specialistica di 1,961 milioni, calcolando che la metà delle prestazioni sia utilizzata da non esenti. La compensazione. Tre le voci in cui si potrebbe registrare una maggiore spesa: assistenza integrativa, specialistica ambulatoriale, protesica. Questo perché il restyling prevede l'introduzione di prestazioni innovative e high tech con il nuovo nomenclatore protesico, di forniture gratuite per una serie di patologie croniche come il diabete e le nefropatie e un aumento di prestazioni specialistiche ambulatoriali. In realtà però la relazione tecnica al provvedimento sottolinea che determinate misure non produrrano i possibili effetti perché sono già in opera in molte Regioni. Ma anche per questo non è possibile quantificare l'aggravio di spesa anche perché non sono nemmeno rilevati i volumi di prestazioni in questi settori. Però gli 1,17 miliardi di risparmi che derivano dall'ospedaliera garantiscono una «capienza sufficiente». Inoltre, sempre secondo i calcoli della Salute, l'esperienza fatta col precedente Dpcm sui Lea ha messo in risalto «un'ampia variabilità nella capacità delle Regioni nel sostenerne i costi, in dipendenza dell'impegno da esse sviluppato sui temi dell'appropriatezza organizzativa e clinica e dell'efficientamento in materia di organizzazione del personale e di acquisizione di beni e servizi» e quindi lo schema di Dpcm sui Lea non porterà davvero, è la conclusione, ad aggravi di spesa. Paolo Del Bufalo Stima della spesa per vaccini contro pneumo e meningococco e Hpv Regioni Totale Regioni Totale Di cui copertura Hpv al 50% nell'anno 2008 Di cui copertura Hpv al 50% nell'anno 2008 Toscana 8.077.809 2.059.800 Emilia R. 9.783.701 2.417.700 Sardegna 3.663.745 997.800 Abruzzo 3.108.579 857.250 V. d'Aosta 319.353 81.000 Bolzano 1.512.974 409.650 Pa Trento 1.377.360 372.450 Liguria 3.238.762 850.650 Puglia 10.993.219 3.128.250 Lombardia 24.119.773 6.065.550 Veneto 12.174.793 3.118.200 Piemonte 9.837.352 2.551.650 Umbria 1.991.083 504.750 Friuli V.G. 2.755.985 720.450 Basilicata 1.457.938 418.200 Molise 736.421 214.350 Calabria 5.281.924 1.490.850 Marche 4.204.560 1.233.600 Campania 17.718.598 4.955.700 Sicilia 14.117.400 3.934.500 Lazio 13.713.053 3.469.500 Totale 150.184.382 39.851.850 N LINE www.24oresanita.com Testo e allegati dei Lea ____________________________________________________________ Il Sole 24 Ore 27 mar. ’08 NUOVO NOMENCLATORE PER GLI SPECIALISTI ASL PRESTAZIONI SPECIALISTICHE AMBULATORIALI Largo al nuovo Nomenclatore delle prestazioni specialistiche ambulatoriali. Per il mondo degli specialisti Asl è questa la principale novità contenuta nello schema di decreto sui Lea: l'elenco contenuto nell'allegato 4 sostituisce il Nomenclatore fissato dal decreto ministeriale 22 luglio 1996. «Nella predisposizione del nuovo Nomenclatore - si legge nella relazione che accompagna la bozza di decreto - si è tenuto conto delle proposte formulate nel corso degli ultimi dieci anni dalle Regioni, dalle Società scientifiche e da soggetti ed enti operanti nell'ambito del Ssn, relative all'inserimento di nuove prestazioni (la maggior parte delle quali rappresenta un trasferimento dal regime di day hospital o day surgery), alla modifica di prestazioni attualmente incluse o alla soppressione di prestazioni ormai obsolete». Per ogni prestazione, il Nomenclatore riporta il codice identificativo, la definizione, eventuali paletti all'erogabilità in relazione ai requisiti necessari a garantire la sicurezza del paziente ed eventuali indicazioni cliniche per migliorare l'appropriatezza della prescrizione. Le Regioni sono chiamate a disciplinare le modalità di erogazione delle prestazioni di specialistica ambulatoriale, «assicurando l'adempimento degli obblighi di cui all'articolo 50 del decreto-legge 269/2003, convertito, con modificazioni, dalla legge 326/2003». Sono confermati nei nuovi Lea i limiti e le condizioni di erogabilità delle prestazioni di densitometria ossea e di chirurgia refrattiva (si vedano le schede in pagina) attualmente previsti dal Dpcm 5 marzo 2007. Roberto Lala , segretario del Sumai, è decisamente meno critico dei colleghi della medicina generale: «L'intervento è minimo. E comunque il nostro obiettivo adesso è tentare di trasformare la specialistica ambulatoriale da attività "meramente prestazionale" in attività di sostegno alla persona. Ci interessano dunque i Lea, ma ancora di più ci interessa la presa in carico del paziente». I paletti alla chirurgia refrattiva Le prestazioni di chirurgia refrattiva sono incluse nei Lea, in regime ambulatoriale e limitatamente a: 1. Anisometria sup. a 4 diottrie di equivalente sferico, non secondaria a chirurgia refrattiva, limitatamente all'occhio più ametrope con il fine della isometropizzazione dopo aver verificato, in sede pre-operatoria, la presenza di visione binoculare singola, nei casi in cui sia manifesta e certificata l'intolleranza all'uso di lente a contatto corneale 2. Astigmatismo uguale o superiore a 4 diottrie 3. Ametropie conseguenti a precedenti interventi di oftalmochirurgia non refrattiva, limitatamente all'occhio operato, al fine di bilanciare i due occhi 4. Ptk per opacità corneali, tumori della cornea, cicatrici, astigmatismi irregolari, distrofie corneali, esiti infausti di chirurgia refrattiva 5. Esiti di traumi o malformazioni anatomiche tali da impedire l'applicazione di occhiali, nei casi in cui sia manifesta e certificata l'intolleranza all'uso di lente a contatto corneale La certificazione di intolleranza all'uso di lente a contatto, ove richiesta, dovrà essere rilasciata da una struttura pubblica diversa da quella che esegue l'intervento e corredata da documentazione anche fotografica ==================================================== Il Sole 24 Ore 27 mar. ’08 RICOVERI, SCATTANO I CONTROLLI Limiti e parametri per l'ospedale nell'ottica dei costi-benefìci I Drg a rischio diventano 108 e per 24 interventi si sceglie l'ambulatorio Punta tutto sulla razionalizzazione, sul miglioramento dell'assistenza per i pazienti e sul risparmio il capitolo sull'ospedaliera. Secondo la relazione al Dpcm, infatti, la maggior parte delle misure previste per l'area dell'assistenza ospedaliera è destinata a produrre «consistenti riduzioni dei costi a carico del Ssn». Come a esempio quelle per ridurre il ricorso al parto cesareo, con la fissazione di soglie a livello locale al di sopra delle quali le Regioni devono adottare misure disincentivanti. Sempre per quanto riguarda parti e neonati, in questo capitolo è prevista la diagnosi precoce delle malattie congenite e della cataratta congenita e della sordità congenita. Unica nuova prestazione quest'ultima «destinata ad accrescere, peraltro in misura minima, il costo del livello», sottolinea la relazione. E tra i Lea entrano anche le procedure analgesiche per travaglio e parto vaginale nelle strutture scelte dalle Regioni. Cambia anche il capitolo dei Drg a rischio di inappropriatezza. Passano da 43 a 108 (65 in più di quelli orignari, ma in realtà con 66 new entry perché gli «interventi sul ginocchio» previsti nella versione del 2001 sono modificati) e ci sono 24 prestazioni di day surgery che possono essere erogate in ambulatorio anziché in ricovero, con minori costi e anche la previsione di entrate legate al ticket sulla specialistica. Tra le nuove prestazioni introdotte nell'elenco dei Drg a rischio ci sono gli interventi sulla bocca, tutti gli interventi sulle articolazioni, i trapianti di pelle e la chirurgia plastica della mammella, diabete, difetti congeniti del metabolismi, dialisi, calcolosi, gli interventi sulle vie urinarie, sui genitali maschili e su quelli femminili, le anomalie dei globuli rossi nei minorenni, la radioterapia, alcuni tipi di chemioterapia e le anamnesi di neoplasie maligne senza endoscopia, la dipendenza da alcol e farmaci riabilitazione compresa, l'assistenza riabilitativa con o senza neoplasia maligna come diagnosi secondaria, l'Hiv. Per la day surgery sono da mandare in regime ambulatoriale prestazioni come la liberazione del tunnel carpale e tarsale, ricostruzione della palpebra, cataratta con o senza lente intraoculare e gli interventi sul cristallino, tutta una serie di interventi agli arti dall'artroscopia all'artoplastica, la litotripsia, una serie di interventi su vari tipi di ernie. Gli interventi di chirurgia estetica poi saranno erogati solo in caso di incidenti, malattie o malformazioni congenite e per tutti i tipi di ricovero si fissano criteri di appropriatezza. Sono inappropriati i ricoveri ordinari per prestazioni che possono essere eseguite in day hospital o in day surgery e quelli in day surgery che invece possono essere eseguiti in ambulatorio. I ricoveri in day hospital, invece, hanno precisi parametri per essere considerati appropriati. Che vanno, per quelli con finalità diagnostiche, dagli esami strumentali in pazienti a rischio con un'osservazione per più di un'ora dopo l'esame agli accertamenti diagnostici in pazienti non collaboranti che necessitano di assistenza dedicata. I ricoveri in day hospital per finalità terapeutiche sono appropriati invece, tra le altre indicazioni, in caso di chemioterapia, di terapia per via endovenosa di durata superiore a un'ora o con necessità di sorveglianza, monitoraggio clinico e strumentale dopo la somministrazione per più di un'ora o di procedure terapeutiche invasive. P.D.B. __________________________________________________ La Nuova Sardegna 27 mar. ’08 TRONCI: PER I PROBLEMI DELLA SALUTE MENTALE NON SERVONO FORMULE IDEOLOGICHE di Antonio Tronci * A seguito del decesso di un paziente nel Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC) di Cagliari, in merito al quale non è stata ancora espressa nessuna sentenza, i vertici della salute mentale e la signora Gisella Trincas, che afferma di rappresentare i familiari dei pazienti psichiatrici, hanno rilasciato pubblicamente dichiarazioni sul personale medico del medesimo fingendo di non conoscere (o forse non conoscendo affatto) i problemi delle emergenze psichiatriche in un reparto non a norma di legge. La descrizione dell’evento palesava finalità ideologiche o di conquista di ribalte politiche, proponendo un’immagine dei medici del reparto come un «lupo cattivo» da dare in pasto ad un’opinione pubblica non correttamente informata (e quindi manipolata). La contenzione di alcuni pazienti è un evento routinario in un reparto che è stato costituito con lo scopo di occuparsi elettivamente delle urgenze psichiatriche: molti pazienti gravi non contenuti, nonostante la terapia farmacologica, che in diversi casi può necessitare anche di alcune settimane prima di portare ai primi risultati, abitualmente possono, a titolo di esempio, essere aggressivi e procurare gravi lesioni a sé stessi, più spesso ad altri degenti o al personale; o, ancora, in stato confusionale, cadere a terra o dal letto riportando fratture dello scheletro o commozioni cerebrali. Talvolta si lanciano compulsivamente contro i muri procurandosi molteplici lesioni traumatiche, per non parlare di come l’affollamento renda talvolta difficile il controllo della promiscuità sessuale. In un barlume di consapevolezza sono i pazienti stessi, in alcuni casi, angosciati dalla gravità dei propri comportamenti, che chiedono agli psichiatri di essere assicurati al letto con dei nastri. Questa, che possa piacere o meno ai vari ideologi, “democratici”, strumentalizzatori, buonisti o benpensanti di turno, è la realtà. Il resto sono ciarle utili a imbonire e strumentalizzare l’opinione pubblica. Col pretesto di un rinvio a giudizio, il dottor Gino Gumirato si libera del “capo-branco” dei “lupi cattivi”, il dottor Gian Paolo Turri, reo, al pari del 90% degli psichiatri di tutta la Asl8, di non asservirsi all’ideologia imposta dai neo-colonizzatori, la quale, proclamandosi dichiaratamente anti-scientifica, condanna il ricorso ai farmaci, alle contenzioni e la chiusura delle porte del reparto anche per i pazienti più gravi e minacciosi, e suggerisce terapie alternative consistenti nel pranzare col paziente al Csm, accompagnarlo al cinema, o portarlo in gita; con i risultati che la cronaca ha riportato negli ultimi giorni e che ha visto il loro paziente “prediletto” seguito “full time” con le tecniche innovative descritte, devastare il reparto con una spranga, mandare sei operatori in infortunio, distruggere tre automobili e terrorizzare i pazienti ricoverati che si asserragliavano nelle proprie camere. Ad onor del vero, quindi, lo psichiatra si trova routinariamente costretto a scegliere tra un improbabilissimo rischio di danno da contenzione e un certissimo danno da non-contenzione. E in nessun caso tale provvedimento viene disposto a cuor leggero, trattandosi di una risposta preventiva estrema a comportamenti ancora più estremi. Il cosiddetto “modello” triestino importato considera il paziente unicamente sotto un’ottica socio-politica ovvero come vittima di un sistema sociale ingiusto: la persona, considerata conseguentemente non-responsabile, diviene soltanto una vittima incapace di qualsiasi livello di autodeterminazione e le si nega, per giunta, di poter usufruire delle terapie farmacologiche che in un’enorme percentuale di casi restituiscono una qualità di vita almeno accettabile, quando non assolutamente normale, a persone altrimenti condannate ad una deriva sociale che le porterebbe a destini tragici di degrado, violenza, carcerazione o morte. La restituzione della dignità al paziente consiste nel riconoscimento della sua capacità di essere responsabile (ovvero abile a rispondere) di fronte alle difficoltà della vita, compatibilmente con il livello attuale di gravità che il relativo disturbo gli consente, in un contesto ove un approccio multidisciplinare di carattere medico, psicoterapeutico e socio-riabilitativo si protende armonicamente verso il recupero delle competenze compromesse dal problema psichico. Ma una concreta limitazione degli interventi di contenzione fisica sarebbe effettivamente ottenibile se si provvedesse: la scissione dell’attuale Spdc che risolva l’illegale sovraffollamento; un personale, come previsto dalla legge, adeguato ad una serena gestione del comportamento dei pazienti; una adeguata separazione strutturale di ambienti che protegga i degenti in fase di remissione dal rischio di violenze da parte di quelli ancora pericolosi; un servizio di vigilanza continuativa a protezione dei degenti, dei familiari in visita e degli operatori. Il reparto ha sempre denunciato a questa amministrazione “riformatrice” le molteplici illegalità sopra descritte con innumerevoli segnalazioni protocollate, le quali, e qui sta il tragi-comico paradosso, sono state tutte puntualmente ignorate o sdegnosamente respinte dai ben noti vertici della salute mentale, della ASL 8 e dell’assessorato. A questo punto si chiede al lettore, un po’ più informato, di rispondere in tutta onestà alla seguente domanda: alla gogna e alla sbarra ci dovrebbe finire il solito vituperato “lupo cattivo” oppure è arrivato il momento di arrostire i Tre Porcellini? P.S.: se malauguratamente un familiare di un qualsiasi lettore dovesse ammalarsi di un grave disturbo psichiatrico, con tutto ciò che ne consegue, preferirebbe rivolgersi al “lupo cattivo” o farlo accompagnare al cinema? P.P.S.: alla dott.ssa Giannichedda, che parla di presunti “potentati” e di “interessi di bottega” dei medici, chiedo di rispondere pubblicamente alla seguente domanda: è disposta a scambiare col sottoscritto gli orari di lavoro, i rischi relativi e lo stipendio percepito? Io, a scatola chiusa, Sì. Lei? Ci faccia sapere. * Psichiatra del Servizio psichiatrico di diagnosi e cura Psicoterapeuta UGL – Cagliari _____________________________________________________ Panorama 27 mar. ’08 VALERIA MERICO:NELL'ARCHITETTURA DELLA CELLULA Dal modo con cui i geni e i cromosomi sono organizzati dentro il nucleo cellulare Valeria Merico cerca di carpire i segreti della vita. dl GIANNA MILANO Il mio lavoro di ricerca non ha pause. Se le cellule raggiungono un cerco stadio da sviluppo, se devo dar loro fresco nutrimento, altrimenti muoiono, se devo preparare un esperimento, sabato e domenica li passo in laboratorio. Non mi pesa, questo lavoro mi piace. Sebbene ci stia al pelo con 1.200 curo al mese e sia difficile fare progetti per il futuro». A 31 anni Valeria Merico, che nell'Università di Pavia si è laureata in scienze biologiche e oggi lavora, nel 2005 ha vinto il Carlo Azeglio Ciampi per i suoi studi sull'architettura del nucleo cellulare e su come questa regoli l'espressione genica e quindi le funzioni della cellula: oggi uno dei remi centrali della biologia. A che cosa serve conoscere l'organizzazione dei dna racchiuso nel nucleo di una cellula? Serve a capire molte cose. Dopo che il Progetto genoma umano ha concluso la sequenza del dna, ora è essenziale capire il funzionamento del genoma. E conoscere come è organizzato il dna all'interno del nucleo. Geni e cromosomi, 46 quelli racchiusi in una cellula umana, non sono distribuiti in modo casuale nello spazio e il nucleo possiede un'architettura precisa che regola l'espressione e quindi le funzioni del genoma stesso. Indizi oppure certezze? Siamo in una fase ancora descrittiva della ricerca. Non sappiamo esattamente come l'architettura regoli l'espressione dei geni, ma stabilirne il ruolo è importante. In quale modo procede? Non vado a vedere che cosa fanno i singoli geni, ma analizzo l'organizzazione tridimensionale dei genoma di vari tipi di cellule, con competenze specifiche, dalle embrionali alle germinali, come gli ovociti. E cerco di capire come 1a comparsa di una cerca architettura del nucleo possa essere correlata a una corretta espressione genica e allo stato funzionale del nucleo stesso. Quanto può influire il contesto sul differenziamento cellulare? I:architettura cambia a seconda del tipo di cellula, come pure nel corso del differenziamento cellulare. Mettendo a confronto embrioni di topo ottenuti per trasferimento del nucleo, ossia con clonazione, oppure per partenogenesi, abbiamo osservato che proseguivano nello sviluppo solo quelli con un'architettura del nucleo uguale agli embrioni ottenuti con fecondazione in vitro, che costituivano il campione di controllo. Il contesto è quindi indispensabile perché un genoma funzioni in modo corretto e consenta lo sviluppo. A chi va il merito di questo filone di ricerche? Le prime osservazioni sulla distribuzione non casuale dei cromosomi nel nucleo risalgono agli studi di Carlo Rabl nel 1885. Più di recente, negli anni 80, è stato Thomas Cremer dell'Università di Monaco, dove ho trascorso qualche mese nel 2006, a mettere in evidenza che i cromosomi nei nuclei non sono collocati a caso: i più cicchi di geni sono al centro, i più poveri all'esterno. È strabiliante come questa architettura si sia conservata evolutivamente dal topo alle scimmie e all'uomo. È nata a Lecce, ma si è formata a Pavia, laurea e dottorato. Ha mai pensato di andare all'estero? L'idea c'è. Mi stimola mettermi in gioco e confrontarmi con realtà diverse. Mi piacerebbe però non sentirmi obbligata a emigrare per poter continuare a fare questo lavoro. _____________________________________________________ Corriere della Sera 23 mar. ’08 SEMPRE MENO SANGUE IN SALA OPERATORIA Per ridurre i1 bisogno di trasfusioni si punta sul predeposito, l'emodiluizione, gli interventi a ultrasuoni e l'ipotermia Dal rifiuto di alcune comunità religiose nuove tecniche utili anche nel Terzo mondo Carola, due occhioni splendidi e riccioli ribelli, ha da poco compiuto tredici mesi. Ma ha rischiato di non poter spegnere la sua prima candelina. Fin dalla nascita, il suo cuore non funzionava bene, a causa di una stenosi (un restringimento) aortica grave, una delle manifestazioni di una rara malattia genetica, la sindrome di Williams. Così è stata sottoposta ad un'operazione a cuore aperto: eccezionale, perché Carola pesava appena sette chili e i cardiochirurghi del Policlinico di San Donato (Milano) le hanno corretto il difetto cardiaco senza utilizzare sangue. La piccola non poteva ricevere trasfusioni perché è figlia di testimoni di Geova. L'equipe di Alessandro Frigiola e Alessandro Giamberti ha eseguito l'intervento in circolazione extracorporea, utilizzando una macchina cuore-polmone in grado di superare il limite minimo dei io-i5 chili del malato previsto per questa tecnica. Alla bimba è stata data una cura di tre mesi a base di eritropoietina, ormone che stimola la produzione dei globuli rossi. «L'intervento - dice Frigiola - è la dimostrazione che la tecnologia unita all'esperienza e all'impegno dei medici può farci un giorno arrivare a operare bimbi di 5, 4 0 3 chili e forse, addirittura, i neonati». La stessa tecnica è stata utilizzata, a febbraio e nel novembre scorso, da Giovanni Stellin, cardiochirurgo pediatra dell'ospedale universitario di Padova, che ha al suo attivo oltre 3 mila interventi per cardiopatie congenite. «Oltre a sviluppare tecniche chirurgiche poco invasive - spiega Stellin -, abbiamo messo a punto un ossigenatore miniaturizzato. Così l’emodiluizione del sangue è ridotta al minimo. In più, nei due bimbi operati abbiamo fatto prima un intervento che, provocando una riduzione dell'apporto di ossigeno ai tessuti, stimola la produzione di globuli rossi». Tecniche chirurgiche, apparecchiature come i bisturi a ultrasuoni, che provocano un minor sanguinamento, autotrasfusione, anestesia ipotensiva (si mantiene bassa la pressione del sangue), emodiluizione (prelievo di sangue e sostituzione con una sostanza inerte), camera iperbarica, ipotermia (abbassamento della temperatura corporea) sostituti del sangue e il sangue artificiale: la medicina «senza sangue» si avvale di queste metodiche e non soltanto a beneficio delle convinzioni religiose dei Testimoni di Geova. In Italia, ogni anno vengono compiuti 11 mila interventi senza l'ausilio di trasfusioni di sangue. «Ormai abbiamo dei protocolli per il sangue ben precisi - dice Ettore Vitali presidente della Società italiana di cardiochirurgia -. Tutto il settore chirurgico oggi tende a risparmiare sangue, anche per questioni legate al rischio di eventuali infezioni, sia pure estremamente ridotto. È chiaro però che ci sono operazioni nelle quali non è possibile fare a meno delle trasfusioni». I paesi dell'Unione europea vivono una situazione analoga. Invece gli Stati Uniti sono all'avanguardia, con la creazione di veri e propri bloodless center. Negli States, il dibattito sull'utilizzo del sangue e sulle sue alternative è stato rilanciato anche in un editoriale sull'ultimo numero del New England Journal of Medicine. Negli Usa, dove il sistema sanitario è privato, il problema è anche economico: si stima che il costo complessivo delle trasfusioni sia tra i e 2 miliardi di dollari l'anno. In Italia, il Centro nazionale sangue fa 'sapere che una sacca di sangue intero può costare dai 153 ai 219 euro, a seconda del tipo di raccolta (semplice o aferesi). «Anche se la questione dei costi è controversa, uno studio recente ha portato alla conclusione che il "costo sociale" delle trasfusioni è almeno due volte superiore a quello generalmente valutato in studi precedenti», sottolinea Lelio Mario Sarteschi, esperto di metodi alternativi alle trasfusioni dell'università di Pisa. Dagli Usa arrivano anche le ultime novità sulle ricerche che potrebbero spostare in avanti i limiti della chirurgia senza sangue: quello dei trasportatori artificiali di ossigeno. «Attualmente gli oxygen carriers di prima generazione sono commercializzati solo in Sud Africa - aggiunge Sarteschi -. Mentre proseguono gli studi sulla loro efficacia e sicurezza con risultati controversi, sono già in fase di esame clinico i sostituti dei globuli rossi di seconda e terza generazione, privi dell'effetto ipertensivo che limitava l'uso dei precedenti e capaci di rimanere più a lungo nel torrente circolatorio. Il 29 e 3o aprile, la Food and drug administration, l'ente sanitario federale americano, terrà un seminario pubblico sulla sicurezza degli attuali trasportatori di ossigeno». Ruggiero Corcella _____________________________________________________ Corriere della Sera 23 mar. ’08 DOVE IL BISTURI PIÙ RISPETTOSO DIVENTA UNA NECESSITÀ UTILI I NUOVI METODI PER I PAESI POVERI Collocato al bivio tra la vita e la morte, come dice il fondatore di Emergency Gino Strada, c'è il diritto alla cura di ó0o mila bambini che ogni anno nel mondo nascono con cardiopatie congenite. Di questi, 500mila non hanno nessuna speranza di sopravvivere, perché nascere con una grave cardiopatia in un Paese povero significa essere condannati a morte. L'utilizzo della chirurgia senza sangue è sicuramente una risorsa, ma non è una scelta così semplice sul campo. «Una politica oculata del sangue è doverosa - spiega Enrico Donegani, cardiochirurgo dell'ospedale di Novara e responsabile chirurgo del progetto Salam di Emergency -. Ma in Sudan ci sono bambini che arrivano in condizioni spaventose: denutriti, anemici: Cerchiamo il massimo risparmio di sangue, ma ogni bambino può contare su almeno dieci dona tori fra parenti e amici. Abbiamo creato una banca del sangue interna e, grazie anche a quella di Khartoum, non abbiamo mai avuto carenze». Il centro Salam di cardiochirurgia di Khartoum è stato aperto un anno fa per avviare in Sudan e nei nove paesi confinanti un programma sanitario regionale di pediatria e cardiochirurgia e far fronte all'emergenza. «L'Africa sub sahariana è una delle zone con il più alto numero di patologie cardiache di interesse chirurgico al mondo - aggiunge Donegani -, Si tratta di cardiopatie congenite, ma soprattutto causate dalla malattia reumatica che in Africa ha una forma assolutamente aggressiva». In dieci mesi, il centro ha effettuato più di 7 mila visite ambulatoriali; 477 ricoveri, 324 interventi di cardiochirurgia. La cardiochirurgia pediatrica e la cardiologia di Padova e la onlus Un cuore nel mondo sono impegnati da 4 anni in Eritrea ad aiutare il Mekane Hiwet Pediatric Hospital con il progetto Elias in collaborazione con l'ospedale Sankt Augustin di Bonn, sponsorizzato dall'Hammer Forum. «A novembre abbiamo operato 18 bambini - racconta il cardiochirurgo Giovanni Stellin - e per la prima volta in Africa un chirurgo africano ha fatto un intervento come primo operatore. Il nostro progetto prevede la formazione di medici e infermieri locali. Vagliamo che raggiungano l'autonomia entro 4 o y anni». Anche l'ospedale di San Donato Milanese, attraverso l'Associazione bambini cardiopatici nel mondo, sta realizzando strutture per interventi di cardiochirurgia in 18 Stati (dall'Egitto alla Cina; dall'Iraq al Camerun), dove lavorano go medici. «Crediamo che le tecniche chirurgiche senza trasfusioni - assicura Alessandro Frigiola, che sta rientrando da una missione di y giorni in Kurdistan dove ha operato 28 bambini - ci consentiranno di curare i bambini nei paesi del Terzo mondo, dove è difficile trovare sangue. Presto faremo partire un progetto che ci permetterà di operare ioo mila bambini in 2o Paesi africani» R.Cor. Nel Terzo mondo un intervento cardiochirurgico costa 3.500 euro. In Italia, il rimborso di un Drg è di 25 mila euro Nel mondo ogni anno nascono 600 mila bambini cardiopatici: il 90 per cento rischia di morire ________________________________________________________ Corriere della Sera 26 mar. ’08 AIDS, TEST SULL' UOMO DEL VACCINO-FARMACO MILANO - Il «flop» americano dei vaccini preventivi contro l' Aids non ha fermato la ricerca. Nonostante la perdita di milioni di dollari, guai a fermarsi. Bisogna rilanciare, cambiando strategia. Come ha detto l' immunologo Anthony Fauci, responsabile dell' Istituto nazionale per le malattie infettive (uno dei centri per la sanità pubblica statunitensi): «Ripartiamo, facendo tesoro degli insuccessi». Il punto debole è proprio nelle cellule di difesa umane, le stesse che il virus (l' Hiv) dell' Aids utilizza per «moltiplicarsi» nell' organismo. Nascosto all' interno di chi dovrebbe fermarlo. E allora, invece di prevenire, meglio colpire le armi che l' Hiv usa per invadere il corpo umano. La risposta arriva dall' Italia, dall' università di Brescia. Niente prevenzione, ma vaccino terapeutico. Il microbiologo e virologo pediatra degli Spedali Civili di Brescia, Arnaldo Caruso, ha le idee chiare: «Se per i virus i vaccini hanno una logica, quella dell' "addestramento" delle difese dell' organismo in tempi utili per soffocare l' infezione, per l' Hiv dobbiamo bloccare le proteine create dal virus per invadere e avvelenare l' organismo». Quindi, non il retrovirus ma i suoi prodotti tossici. Aggiunge Caruso: «L' infezione parte, ma il nostro vaccino le impedisce di progredire». La proteina dell' Hiv e studiata come bersaglio a Brescia è siglata At20 (è composta da 20 aminoacidi, i «mattoni» delle proteine). Il vaccino sembra bloccarla: i vaccinati saranno sieropositivi senza espressione della malattia, o portatori sani. La sperimentazione sull' uomo partirà a settembre in quattro centri italiani: Brescia, Torino, Perugia e Milano. Su sessanta sieropositivi in ottimo stato di salute. Il progetto si chiama Imana. Cinque iniezioni, una al mese, sotto la sorveglianza di un comitato ad hoc. Prima verifica: innocuità del vaccino (non tossicità) e efficacia nel creare le difese anti-proteina dell' Hiv. Poi, se tutto è ok, si va avanti. Allargando la sperimentazione. «Con questo vaccino si profila una nuova strategia terapeutica», conferma Gian Piero Carosi, direttore della cattedra di Malattie infettive dell' università di Brescia. Della nuova linea anti-Hiv del progetto di sperimentazione sull' uomo si parlerà oggi, a Brescia, nel corso di un convegno sullo stato dell' arte dell' impegno italiano nella lotta all' Aids. Presente Enrico Garaci, presidente dell' Istituto superiore di sanità. I sieropositivi italiani che da settembre sperimenteranno il vaccino terapeutico a Brescia, Milano, Torino e Perugia Pappagallo Mario ________________________________________________________ Corriere della Sera 23 mar. ’08 LA NUOVA «FOTOGRAFIA» DELLA MALARIA Ogni anno 500 milioni di persone si ammalano di malaria. Un milione, per lo più bimbi africani, muoiono. Eppure negli ultimi 40 anni la mappa della diffusione della malattia non era mai stata aggiornata. Ci hanno ora pensato i ricercatori del Malaria Atlas Project dell' Università di Oxford, in Gran Bretagna, che hanno pubblicato su PLoS Medicine la geografia della malaria aggiornata al 2007 (vedi qui sopra). Uno studio vastissimo, per cui sono state valutate poco meno di 4300 indagini. Risultato: una mappa precisa del rischio malaria in ogni angolo del globo, secondo cui 2 miliardi e 370 milioni di persone vivono in aree dove c' è il pericolo di ammalarsi. Nell' Africa subsahariana si concentrano le zone più a rischio: oltre la metà della popolazione risulta contagiata; altri «crogioli» della malaria sono l' Amazzonia, l' India centrale e il Sudest asiatico. In tante aree la malaria è meno diffusa del previsto e il rischio di ammalarsi è molto basso o aumenta solo in particolari condizioni ambientali. «Una mappa così completa è essenziale per sorvegliare l' andamento della malaria e bonificare l' ambiente dove si possono ottenere i risultati migliori. Ed è molto importante per chi viaggia» commenta Pasquale Narciso, direttore dell' Unità di malattie infettive e tropicali dell' Istituto Spallanzani di Roma. Non a caso la rivista scelta per la pubblicazione è ad accesso libero su Internet. «In Italia vediamo tutti casi "importati" da immigrati o viaggiatori incauti - spiega Narciso. - Purtroppo il turismo di massa unito alla scarsa conoscenza delle zone a rischio e della profilassi, hanno contribuito alla diffusione della malaria». Meli Elena Pagina 59 ________________________________________________________ Corriere della Sera 23 mar. ’08 IL VALORE PREDITTIVO DEI TEST GENETICI La genetica predittiva sta avendo un fortissimo sviluppo, grazie alle continue scoperte di nuove associazioni tra variazioni genetiche e molte malattie. I test predittivi consentono di individuare variazioni a livello del Dna che di per sé non causano una malattia, ma comportano un aumento del rischio di svilupparla, in concomitanza con fattori ambientali scatenanti. È quindi importante garantire il valore predittivo del test proposto, dal momento che l' individuazione dei fattori di rischio genetico in persone sane può giustificare l' eventuale attivazione di misure preventive, variabili in rapporto alla patologia. È altrettanto importante, però, non confondere i test predittivi con quelli diagnostici, che consentono di effettuare una diagnosi o di confermare un sospetto clinico in un individuo già affetto da una patologia. Di fronte a queste nuove potenzialità, si è acceso un forte dibattito, soprattutto sulle modalità di divulgazione e commercializzazione dei test predittivi, seguito da numerosi articoli a favore e contro apparsi su questo ed altri giornali (vedi Corriere Salute del 16 marzo 2008). NGB Genetics, nata come spinoff dell' Università di Ferrara, ritiene che i test predittivi diverranno uno strumento di prevenzione sempre più importante nell' ambito della salute, perciò ha sempre posto la ricerca e la collaborazione scientifica come prerequisito indispensabile nello sviluppare test predittivi e nel garantirne la qualità. Questa scelta è stata fatta anche in considerazione del fatto che le normative vigenti non forniscono criteri vincolanti per la valutazione della validità scientifica di un test predittivo. La scelta e la finalità di ciascun test è per noi il risultato di una stretta collaborazione con gruppi di ricerca universitari scelti sulla base della loro esperienza di ricerca, riconosciuta a livello nazionale ed internazionale. In quest' ottica NGB Genetics auspica l' instaurarsi di una collaborazione sempre più forte tra chi svolge la ricerca, chi comunica e chi cerca di rendere disponibile al pubblico questo strumento di prevenzione, affinché lo stesso possa diventare un servizio per una scelta informata e consapevole del benessere. *Responsabile Ricerca e Sviluppo - NGB Genetics S.r.l. Garoia Flavio _____________________________________________________ LA STAMPA 28 mar. ’08 LA DIETA FA INGRASSARE sacrifici sono inutili: nell'80 per cento dei casi in tre anni si pesa più di prima ANDREA ROSSI TORINO Fanno discutere i risultati di una ricerca americana e diete fanno ingrassare: a distanza di qualche anno si torna al punto di partenza. Anzi, spesso si è più grassi di prima. Il verdetto arriva dagli Stati Uniti. «Medicare» (il programma di assicurazione medica amministrato dal governo, che prosciuga il quindici per cento del budget federale) sta predisponendo un piano per contenere le spese sanitarie, ormai fuori controllo. L'obiettivo è tagliare i rami secchi, quelli che generano costi senza produrre risultati. Ebbene, ai primi posti figura proprio la spesa per assistere chi si sottopone alle diete. La parabola di chi si affida a una cura dimagrante - specie gli obesi - sembra tracciata da una mano beffarda: nelle prime settimane si perdono chili, in alcuni casi anche il dieci per cento del peso complessivo. I risultati sembrano premiare gli sforzi, addirittura illudere che dimagrire sia facile e non richieda nemmeno troppo tempo. La batosta arriva più tardi. Nel lungo periodo ogni sforzo è vanificato: a due anni dall'inizio della dieta per un paziente su quattro l'effetto benefico è già interamente svanito, e la situazione è addirittura peggiorata. A tre anni di distanza il quadro precipita: l’83 per cento pesa di più rispetto al periodo pre-dieta. Senza contare che la metà di chi ha riguadagnato peso, ha accumulato come minimo cinque chili in più rispetto a quando aveva deciso di dimagrire. Solo una minima parte riesce a mantenere intatti i benefici o, quanto meno, a tornare ai livelli precedenti senza superarli. Chi lavora sul campo non mostra stupore. «Le diete sono inutili», sentenzia Augusta Palmo, direttore dell'unità di Dietetica e nutrizione clinica alle Molinette di Torino. «Diminuire, o anche ridurre drasticamente l'alimentazione per periodi saltuari non basta. Bisogna modificare le abitudini di vita, non solo l'alimentazione. Questo è il grande problema: la dieta non va concepita come un'esperienza temporanea». È anche pericoloso. E i rischi non sembrano di poco conto. Gli studi di «Medicare» testimoniano che sottoporsi alle diete è come viaggiare sulle montagne russe: si alternano brusche perdite di peso a repentini recuperi, in un'oscillazione continua dagli effetti nefasti. Le variazioni cicliche di peso, infatti, provocano un aumento delle malattie cardiovascolari e delle cause di mortalità per infarto, ictus, diabete. Ma perché le cure dimagranti falliscono? Enrico Rolla, psicologo e psicoterapeuta: «Le diete non intaccano solo i grassi, ma ancor prima i tessuti muscolari, e perciò riducono il metabolismo. La conseguenza è che bastano minori quantità di cibo per riacquistare peso». Ci sono poi gli stili di vita: «Smettere di mangiare per qualche mese ha tutti i tratti della fatica che, una volta terminata, dà diritto a una sorta di ricompensa. Spesso si ricomincia a mangiare come prima, e soprattutto non si è riusciti ad assimilare abitudini fondate su alimentazione corretta e attività fisica». Ridurre il cibo, insomma, non basta. «Il guaio è che l'obesità nel 70 per cento dei casi è genetica. Ci sono persone, e sono sempre più numerose, predisposte a sintetizzare i grassi con molta facilità - spiega la professoressa Palmo -. Questi pazienti devono mutare radicalmente le proprie abitudini, e soprattutto muoversi. Fare attività fisica, anche se è molto difficile che ci riescano con continuità». Le ricerche analizzate dal «Medicare» tracciano proprio questa direzione: perdere peso è possibile, e si possono anche mantenere i benefici, a patto di muoversi. Sudare. Tutti i giorni, o quasi. Possibilmente cominciando da giovani. Piero Astegiano, vice direttore dell'Istituto di medicina dello sport di Torino, da ventotto anni monitora tutti i ragazzi delle prime medie torinesi. E ha pochi dubbi: «Chi è obeso da giovane ha molte probabilità di esserlo anche da adulto. L'unica soluzione, a qualsiasi età, è fare sport. Non esistono scorciatoie». «Se non si cambiano gli stili di vita, combattere contro la fame è inutile»